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Subii quel cambiamento di scuola come si affronta un cambio climatico. Da un profondo inverno, ad una calda estate. Per me, non ci fu cambiamento migliore. Ma in quella nuova classe, dove eravamo tutti artisti, c’era lei.

Lei, che era diversa.

Lei, che si muoveva nell’ombra.

Lei, che non aveva mai parole inutili.

Lei, con quelle labbra che non conoscevano critiche.

Lei, che non parlava.

C’erano giorni in cui le leggevo la sofferenza negli occhi, e io non potevo farci niente. Ciò non vuol dire che non ci provai, e Dio, se mi ci impegnai. Inziai a parlarle ogni giorno, in ogni momento. Certe volte mi guardava e basta, senza rispondermi, e bisognava interpretarle gli occhi. E ogni volta, nei suoi occhi, io ci vedevo un’infinità di parole, bloccate da qualcosa. Capitava che la facessi ridere. Non era bella, no, ma quando sul volto le esplodeva quel sorriso, non esisteva spettacolo più bello. Eravamo così: lei, ad ascoltare, e io, a parlare per entrambe. C’erano volte in cui venivo buttata fuori dall’aula per le mie troppe parole, ma, prima di uscire, buttavo un occhio nella sua direzione, e, se rideva, sapevo che ne era valsa la pena. Certi giorni mi stancavo di sentire solo la mia voce nell’aria e la incitavo a scrivermi le cose. E sulla carta, eravamo identiche. Sulla carta finalmente si liberava. Ma non pensate erroneamente, nemmeno sulla carta abusava delle parole. Molte volte ci ritrovavamo stese sul prato e stavamo lì, nel silenzio.

In quel silenzio che non comprendevo.

In quel silenzio che mi uccideva.

In quel silenzio che la uccideva.

Un giorno, seduti in quel prato, lei smise di sopportare quel silenzio. Prese la carta, e scrisse. Scrisse di come la parola la abbandonò, o piuttosto, come fu lei a lasciarla svanire.

Scrisse delle grida che la tormentavano.

Scrisse di persone che le imponevano il silenzio.

Scrisse di persone che non ritenevano la sua opinione necessaria.

Scrisse di persone che le insegnarono solo l’arte delle insicurezze e delle paure.

Scrisse di persone, di cui non valeva la pena scrivere.

Scrisse, infine, di come il silenzio l’accolse.

Poi mise a posto la penna, si girò e aprì la bocca. Ci provò, lo giuro che ci provò, ma uscirono solo lacrime gelide. E io lo so che in quel momento dalla sua bocca non uscì niente, ma io per la prima volta mi accorsi di quante parole fosse in grado di produrre un silenzio. Per la prima volta non ci fu silenzio più chiaro. Per la prima volta, sentii quel silenzio anche mio. Per la prima volta, in quel silenzio, la sentii. Per la prima volta, sentii la sua voce.

Ed era così felice, tra quelle lacrime, che le promisi che avrei scritto di lei.

Ed era così bella, che alla fine, lo feci davvero.

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