«E chi sarebbe questa Evelyne?» Gli occhi blu di Clayton mi sondano da sopra il calice di vino rosso: ne beve sempre un sorso generoso, prima d'iniziare a cenare.
«Una cara amica fin dai tempi del liceo. L'hai conosciuta, ricordi?»
Unisce le dita sul tavolo, assorto: la stanchezza che gli appesantisce lo sguardo non lo rende meno sveglio e il completo da principe del foro che gli fascia il corpo m'incute sempre un certo timore reverenziale. Penso di non aver mai visto mio padre cenare in déshabillé.
«È venuta al nostro diciottesimo e anche alla festa per il diploma...» insisto. Esala un sospiro colpevole; è troppo impegnato per ricordare ogni particolare della nostra vita, ma niente sfuggirebbe al suo acume se non si trattasse di me: Clayton ha una fiducia sconfinata nei miei confronti e io, da solerte studentessa di legge quale sono, ho imparato a dissimulare meglio di Cicerone.
«Non ho presente» ammette, infine, posandosi il tovagliolo sulle gambe accavallate «l'importante è che non faccia tardi e che abbia lasciato un recapito.» La mia testa oscilla su e giù troppe volte e troppo in fretta. «Vedrai che al tuo rientro sarà già qua.»
«Scusi per l'attesa, signor Emerson.»
Priscilla, la domestica che lavora per la nostra famiglia da prima che io e Lexie nascessimo, fa il suo ingresso in sala da pranzo proprio in quel momento, sottraendomi all'esame sospettoso di mio padre. Tiene un vassoio odoroso fra le mani e le curve abbondanti sono strizzate in un grembiule bianco, che mette in risalto il suo incarnato olivastro.
«Grazie Prixy.» Dico, mentre mi serve.
«Prego, mi niña.» Risponde con un occhiolino.
Sorrido a quel nomignolo affettuoso e all'espressione materna del suo volto tondo ogni volta che lo pronuncia: anche se io e Lexie abbiamo compiuto vent'anni, ormai, resteremo sempre le sue piccole gemelle.
«Davvero ottimo.» Si complimenta Clayton al primo boccone di arrosto.
Priscilla si esibisce in un inchino riconoscente e, dopo avermi posato un dolce bacio sulla fronte, si accomiata per la notte; altra scena che si ripete identica da quando ne ho memoria ma che, a dispetto del tempo, riesce sempre a farla arrossire in modo autentico.La seguo con lo sguardo, finché la domanda insidiosa di mio padre non lo attira di nuovo su di lui. «Come va con diritto penale?»
«È tosto.» Sbuffo.
Il sorriso condiscendente che mi rivolge disegna piccole rughe vissute intorno ai suoi occhi scaltri. «Vedrai che per fine giugno ce la farai» commenta fiducioso. Troppo fiducioso. «Mm-mmm... manca solo un mese» dubito, mentre lui sorseggia il vino rosso dal calice con quella calma, che riesce sempre ad arginare la mia ansia. «Vuoi che ti faccia qualche domanda per capire a che punto sei?»
«No!» Esclamo, agitando le mani in aria. Gli scappa una risata. «Suvvia, cosa sarà mai? Mica devo darti un voto finale.»
Cedo, cavandomela meglio di quanto pensassi. Sono sempre stata in pari con gli esami, ma diritto penale è una materia tosta anche per una studentessa diligente come me.
«Niente male, Julie. D'altronde non avevo dubbi.» Lo sento affermare in quel tono fiero, che mi carica sempre di una grande responsabilità.
Ammiro mio padre e il ruolo importante che svolge nella società: ho sempre sognato di diventare un bravo avvocato come lui; peccato che, essendo l'unica figlia su cui ha riposto tutte le sue speranze, debba anche dimostrare di esserne all'altezza.
Il suono del campanello mi distrae dal dessert. «Dev'essere Dustin. Posso?» Ottenuto da Clayton il permesso di alzarmi, attraverso l'ampio corridoio che mi separa dall'atrio per andare incontro al mio ragazzo.
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UGUALI MA DIVERSI
FanfictionL'apparenza inganna? Julie Emerson non si è mai posta questa domanda. Da quando il sogno dell'infanzia è stato spezzato dal vuoto della mancanza, il suo mondo non ammette vie di mezzo: tutto ruota intorno ai confini netti e definiti di bianco o ne...