La madre perfetta

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Primo esercizio di stile. Il personaggio. Il compito richiedeva che parlassimo di un personaggio con due segreti: uno l'avremmo svelato, l'altro no.

Nascosta dietro una tenda, sorseggio una tazza di tè caldo, osservando il mare in tempesta in una gelida sera d'inverno. Un forte vento agita i rami secchi degli alberi e grandi nuvole grigie preannunciano che la tempesta è appena cominciata. Noto un passante che solleva la testa proprio verso la mia direzione e mi scanso velocemente per non essere vista. Forse è stata solo una mia impressione, la mia fissa continua di essere costantemente osservata. Poggio la tazza sul tavolo e mi siedo sulla poltrona, poggio i gomiti sulle ginocchia e mi tengo la testa tra le mani.

Sta ricominciando. Un rumore talmente forte che temo possa scoppiarmi la testa, ma che in realtà sento solo io.

Bang!

Un unico colpo, secco ma fatale.

Le mani cominciano a tremare, mi succede ogni volta che rivivo quel giorno. Ho lasciato la città per trasferirmi in un piccolo paese, alla ricerca di pace e riservatezza, ho cambiato taglio e colore di capelli nella speranza che qui nessuno mi conoscesse o ricordasse il mio volto, per poter finalmente ricominciare una nuova vita.

Sono qui da una settimana, ma non ho mai messo piede fuori di casa se non il primo giorno che sono arrivata, per fare la spesa. Ho comprato più provviste possibile pur di non essere costretta a uscire almeno per un'altra settimana. Prima o poi dovrò superare questo blocco, in fondo è per poter vivere una nuova vita che sono qui. Non ho nemmeno disfatto del tutto la valigia, ho levato fuori solo lo stretto necessario.

Il mio telefono ha squillato fino a quando si è scaricato del tutto. Mi alzo e cerco tra le mie cose il caricabatterie, sono giorni che non do mie notizie, nonostante la promessa fatta a mia madre di farmi sentire; mi sono limitata a un semplice SMS appena sono arrivata, per poi sparire nella più totale indifferenza. Mi riprometto che oggi la chiamerò.

La TV dal mio arrivo fino a oggi è sempre rimasta spenta, il terrore di vedere trasmessa la mia faccia ha superato di gran lunga la voglia di ricevere un po' di compagnia. Non mi vogliono lasciare in pace, è trascorso un anno ma continuano a tormentarmi.

Assassina! Citavano alcuni titoli dei telegiornali.

Uccide il marito davanti alla figlioletta. Recitavano altri.

Legittima difesa. La sentenza.

Ho tentato tante di quelle volte di ricostruire dentro la mia testa gli avvenimenti di quel giorno, i ricordi sono chiari fino a un certo punto per poi confondersi tra le urla più disperate. Ho il terrore di ciò che potrebbe riaffiorare, ho paura di affrontare una verità che nessuno è stato capace di scovare.

Sono scappata via nella speranza che, io e mia figlia, potessimo ricominciare lontane da tutto e tutti, fingere di essere una famiglia come tante.

Chi manderebbe la propria figlia a giocare a casa di una presunta omicida?

Ero la più invidiata fra le mie amiche, sembravamo una famiglia di quelle che si vedono nelle pubblicità: perfetti e maledettamente tristi. Ma gli altri non potevano saperlo, non vedevano oltre la nostra ricchezza e il nostro successo, coronato infine con l'arrivo della nostra prima figlia. Lei non si merita questo, lei non ha alcuna colpa, se non quella di essere nata dall'unione di due persone che non si sarebbero mai dovute incontrare.

Eppure, ricordo ancora la prima volta in cui, dieci anni fa, vidi quello che sarebbe diventato il mio futuro marito. Era il mio primo anno di università mentre lui frequentava già il terzo: ne rimasi colpita sin da subito. Così brillante, ambizioso, perfezionista, disposto a qualsiasi cosa pur di raggiungere il successo. Con gli anni si rivelò in realtà un abilissimo manipolatore.

Tutti volevano essere nostri ospiti, entrare a far parte della cerchia dei nostri amici era considerato un privilegio, ed era sempre lui, mio marito, a decidere chi fosse degno di farne parte. Nessuno poteva immaginare cosa si celasse dietro i nostri sorrisi, la vita agiata e borghese. Davanti a tutti eravamo la coppia perfetta, e dopo la nascita della bambina avrei dovuto essere anche una madre perfetta. In casa nostra non erano ammessi sbagli, non c'era spazio per le imperfezioni, tutto doveva andare secondi i piani. I suoi piani. Ma quel giorno no, quel giorno qualcosa si è spezzato, per sempre, e le stesse persone che un tempo facevano a gara anche solo per prendere un caffè insieme, mi hanno voltato le spalle, sono scomparse, inghiottite dal nulla.

Vado avanti e indietro per la stanza, oggi i pensieri mi tormentano particolarmente. Sento cigolii provenire da ogni angolo della casa, piccoli rumori improvvisi ma persistenti. L'appartamento è piuttosto umido, le varie macchie sparse per il soffitto me lo ricordano costantemente; le mura sono vecchie così come i mobili e qualsiasi altro oggetto si trovi qui dentro.

Entro in bagno e riempio la vasca, nella speranza che possa aiutarmi a rilassarmi. Nel mentre che l'acqua scorre mi spoglio e mi osservo allo specchio. Guardo le mie mani: le unghie, un tempo perennemente laccate di rosso, sono ora consumate e violacee; il mio viso, rivela occhiaie e piccole rughe prima assenti.

Mi sto spegnendo.

Eppure, potrei essere ancora una donna piacente se solo lo volessi, forse potrei ricostruirmi una vita.

Assassina!

Quella parola continua a rimbombare nella mia testa. Strizzo gli occhi, cerco di scacciarla, ma oggi ha deciso che non vuole lasciarmi in pace. Mi piego su me stessa, mi inginocchio per terra, provando quasi piacere nel sentire la mia pelle calda a contatto con il freddo del pavimento, mi ricorda che sono ancora viva e che devo reagire, se non riesco a farlo per me stessa devo farcela per lei, la mia bambina. Invece piango fino a sentirmi sfinita, fino a quando l'acqua non trabocca fuori dalla vasca e sono costretta ad alzarmi di scatto.

Faccio uno scatto in direzione del rubinetto e blocco il flusso. In quello stesso istante la porta si spalanca. Sono talmente fuori di me che potrei credere ai fantasmi, ma il riflesso allo specchio mi rivela una piccola figura esile, dai capelli scuri e ricci: si tratta di lei, della mia bambina.

«Mamma? Che succede?» mi domanda con voce assonnata. «Perché è tutto bagnato per terra?»

Metto velocemente l'accappatoio e vado verso di lei per tranquillizzarla. «Va tutto bene, la mamma voleva solo fare un bagno, ma è distratta e ha dimenticato di chiudere il rubinetto. Torna nella tua stanza.»  Ha solo cinque anni, ma mi guarda stranita, consapevole che c'è qualcosa che non va.

«Volevi fare un bagno come quel giorno?» domanda con estrema calma.

«Quale giorno, tesoro?»

«Il giorno che papà è morto.»

Sgrano gli occhi e la fisso come se non fosse lei a parlare. Vedo nella mia mente una vasca colma d'acqua, del colore del sangue. Vedo una mano impugnare una pistola e sparare.

Bang!

E in quel momento ricordo tutto.

Lei non sa soltanto che ho ucciso suo padre, sa anche perché l'ho ucciso.

Sa che non sono innocente.

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