Capitolo Quattro: "Risveglio"

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Da quando Audrey è nata, la notte è diventata mia nemica. Mi sveglio alle ore più indecenti a causa del suo pianto strillante. Al primo impatto vorrei urlarle contro, ma poi ricordo che è la mia sorellina, e quindi mi alzo dal letto per controllarla.
"Audrey, sono qui." dico, mentre mi avvicino alla culla per prendere quella bambina paffuta, di appena sei mesi. "Hai fame piccola peste? Molto probabilmente sì..." dico, sbattendo le palpebre un paio di volte per scacciare il mio sonno. "Perché devo essere io a fare queste cose...?" La porto in cucina e la stendo su una sedia vicino al tavolo; poi prendo il latte in polvere dalla dispensa, che si trova sopra la mia testa. Con molta calma, verso dell'acqua calda e la polverina biancastra nel biberon, dopodiché lo metto nello scalda-biberon. Faccio passare una decina di minuti e poi lo prendo in mano per controllare la temperatura.
"...Perfetta." Mi giro per controllare come stia la bambina, ma non la trovo, ed andando nel panico, la cerco. "Audrey..." dico sottovoce, e finalmente la trovo, nascosta dietro la sedia. A volte, rimpiango il fatto che mia madre non se ne prenda cura senza pensare al figlio di quattordici anni, che il giorno dopo deve andare a scuola. Prego solo che Charlotte non rida per il mio pessimo viso. Dopo aver allattato la peste, la porto nella culla e la stendo cautamente. Non vorrei svegliarla di nuovo, chi la sente poi mia madre. Vado a letto, e come mi sono svegliato mi addormento, di colpo.
Inizio a sognare, ma non capisco niente. Sento una voce che mi urla: "Nathan, scappa finchè sei in tempo, salvati, salva le persone a cui tieni, salva lei!" Mi sveglio di soprassalto, tutto sudato e con la sveglia che suona. Bene, sono le sette e mezza, l'ultima sveglia è suonata, sono in immenso ritardo ed anche oggi farò tardi a scuola. Inizio a correre inciampando sui miei stessi piedi ed impreco. Mi vesto, lavo i denti e lego i capelli, dovrei tagliarli, ma non adesso. Corro in cucina e vedo che al mio arrivo c'è solo la tata, Audrey e la cameriera. Saluto tutte loro e prendo la cartella, senza ascoltare i richiami della tata, che mi dice di mangiare. Corro verso la scuola che dista a tre chilometri da casa mia... "Oggi niente autista, farei troppo tardi a causa del traffico."
Erano le nove meno un quarto e mancavano dieci minuti all'inizio delle lezioni. Intravidi Charlotte appoggiata al muro del cancello ad aspettarmi, corsi da lei con il fiatone e con i capelli semi slegati. La salutai, e stetti a sentire la sua ramanzina. "Ma la mattina la sveglia la senti o sei diventato sordo?" Mi scusai, dicendole: "Questa notte, per l'ennesima volta, mi sono dovuto prendere cura io di Audrey, ed sono andato a letto tardi. Stai tranquilla, sorellina..." Tralasciai l'incubo, e la vidi sbuffare e diventare rossa per la rabbia. "Non sono la tua sorellina! È solo che io, Charlotte Husback, ho la tua stessa età e sono nata nel tuo stesso mese! Ora muoviti!" Urlò, trascinandomi per un braccio verso l'entrata. Mi ricordava particolarmente Sarah, e per questo cominciammo subito a socializzare subito, a tre mesi dal mio inizio scolastico. Lei è sempre stata bella, solare e simpatica, non a caso si è offerta volontaria come mia compagna di studio. La prima ora avevamo tedesco, e me la cavai bene. Miss. Munball dice sempre che ho un'innata bravura in quella lingua. Alla seconda ora, mentre mi reco nell'aula di matematica, vengo sbattuto contro un armadietto da Mark Hodrick, il bullo più odiato della scuola, acclamato dalle ragazze popolari. "Trömp, dammi i tuoi soldi." iniziai a tremare e lui mi prese per i capelli, sciogliendoli. "La femminuccia ha paura, guardatela mentre trema!" Dopodichè mi prese a calci nel costato e nelle ginocchia. Iniziai ad urlare e mentre una folla di persone si avvicinava, vidi Charlotte chiedere aiuto, e finalmente sentii quella voce. "Hodrick! staccati, adesso!" Jonathan Trämporn, nonchè capitano della squadra di basket del quinto anno. Ne rimasi affascinato quando l'anno scorso Charlotte m'invitò ad una sua partita, poichè lui era il figlio di un collega di suo padre. Non ci ho mai parlato, ma vorrei tanto farlo. Sento il cuore scalpitare al suono della sua voce, ed appena Mark mi molla, scappo via da lì; appena entrato in bagno mi chiudo in una cabina. Non so se facciano più male le ferite o il fatto che lui non mi abbia mai notato. Esco di lì e scavalco la finestra, finendo nel giardino, e senza farmi vedere corro via. L'ennesima fuga da me stesso, l'ennesima fuga da tutto. Mi ritrovai ben presto nel cuore della cittadina, e come se fosse uno scherzo, iniziò a piovere. Ma decisi di non tornare a casa, non avrei voluto sentire le domande delle domestiche, che poi avrebbero detto tutto ai miei genitori. Arrivai nel bosco che su cui si affacciava la cittadina e m'infiltrai all'interno. Vidi quella che era una casa presumibilmente abbandonata, e mi sedetti sulle scale nel porticato. Decisi di entrare, e vidi che l'interno era vuoto, ad eccezione per alcuni mobili; entrai e la esplorai. Sarebbe potuta diventare la mia casa segreta. Dopo qualche ora, decisi di uscire, poichè avevo molta fame. Mi diressi verso la pizzeria più vicina ed ordinai una pizza. Dopo aver finito, notai che si erano fatte le tre del pomeriggio, e decisi d'incamminarmi verso casa con calma. Arrivato, corsi in camera mia, e dopo essermi chiuso in bagno, decisi di medicarmi le ferite, fasciandole. Mentre tagliavo le garze, mi venne l'idea di tagliarmi i capelli; ero stanco di essere preso in giro per la loro lunghezza. Allora iniziai a tagliare le ciocche. Ormai ci sapevo fare, nell'orfanotrofio mi dovevo badare da solo. Grazie ad Anne, una ragazza di quasi diciotto anni, imparai a tagliarmi i capelli. Dopo averli anche un pò rasati ai lati, mi guardai allo specchio e sorrisi. Sentii la porta di casa sbattere, e poi un richiamo. "Nathan! Siamo a casa!" Urlò mio padre, ed allora decisi di scendere sotto, ma non prima di aver messo un berretto di lana, per nascondere i capelli, ed aver pulito per terra. Li salutai e notai lo zio, ovvero il vero padre di Audrey. Lo salutai con un sorriso falso e mi diressi verso la piccola che gattonava nel salotto, la presi in braccio e con voce bassa le sussurrai: "È arrivato il tuo paparino..." la portai con me nel luogo dove si trovavano tutti e mi sedetti. Parlammo della crescita di Audrey e molte altre cose noiose, dopodichè qualche ora dopo lo zio se ne andò. Dopo cena decisi di andare a letto presto, e mi addormentai con la speranza che la peste nella notte non si sarebbe svegliata. Nella notte feci un altro sogno strano: sognai di essere legato e sentivo qualcosa farmi male al braccio e al petto. Sentii di nuovo quella voce urlare.
"Ora sei in grave pericolo Nathan, dovevi scappare, dovevi salvarti. Farai del male e soffrirai, sei un dannato!" Mi risvegliai di soprassalto e notai che erano le sette e Audrey non era sveglia. Decisi di andare a farmi una doccia e ci rimasi per quasi venti minuti. Appena uscii, notai che tutto lo specchio era appannato e non mi vedevo. Lo pulii con una mano. Appena mi vidi, sbandai e sbattei contro il muro, ed iniziai ad urlare. I miei occhi erano neri come due pozzi profondi, ed avevo delle lunghe e affilate zanne.

*Spazio Autrici (che hanno ritrovato la retta via)*
Buonasera, cari lettori che abbiamo abbandonato. Ci scusiamo il tremendo ritardo di quasi ben tre mesi... abbiamo avuto molti impegni scolastici e problemi vari. Comunque questo capitolo è molto particolare, per farci perdonare. Sappiate che da qui in poi scoppierà la crisi più totale. (Scusate la drammaticità, vi vogliamo bene.)
Byee!

The Same Wolf, Alone Again.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora