Sembrare di essere

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Non essere accettati. È questa la paura che rincorre i giovani. Io lo so, sono uno di loro. La mia unica paura è quella di sembrare ciò che non sono. La gente mi giudica per quello che vedono in me, ma non mi conoscono abbastanza per sapere chi sono. Mi chiamo Alessandro, ho 17 anni quest'anno. Non sono cresciuto per niente, tranne in altezza. Sono alto 1.86 metri e tutti mi considerano gigante. Molti invidiano anche la mia altezza, ma non sanno che ognuno è perfetto a modo proprio. Molte persone, soprattutto nel mio paese, pensano che io sia un ribelle, un ragazzo di strada, una persona non controllata che crea solo danni. Da una parte hanno ragione. Di danni ne ho fatti, ma soprattutto a me stesso. Avevo 13 anni, quando uscivo con un ragazzo, il suo nome era Alessandro. Eravamo ottimi amici, fino al momento in cui ho cominciato a comprendere la differenza sostanziale che c'era tra noi due. Era il 20 novembre del 2013. Quel giorno a scuola non ci andammo e decidemmo di uscire un po'. A noi si aggiunse un nostro amico, che divenne in poco tempo, il mio migliore amico.Il suo nome era Marco, ha la mia stessa età, abbastanza in carne di altezza medio-bassa.Erano più o meno le 11:35 di mattina, giornata calda e soleggiata. Ci trovavamo presso la stazione della nostra cittadina. Quel giorno non lo potrò mai dimenticare. Dovevamo arrivare al centro del nostro paese, che è la piazza. La salita per arrivarci è faticosissima, poi con quel caldo che c'era, non era proprio il caso e così ho deciso di andare a trovare i miei nonni. Sono i genitori di mamma, e con me non si sono mai comportati da veri nonni. Anche se io non sono stato un nipote come si deve, però anche con la mia famiglia, non hanno avuto un comportamento molto adeguato. A mia madre l'hanno sempre trattata male, e adesso che è sposata, non la cercano più. Mio nonno, di nome Mario, ha una sessantina d'anni. Non è molto alto, ha i capelli bianchi e molto ricci. Mia nonna invece si chiama Anna, anche se io l'ho sempre chiamata nonna Ivelise. Ha i capelli corti e bianchi. Anche lei come nonno non è molto alta. Veste quasi sempre sportiva, con una tuta viola. Porta gli occhiali, con le lenti piccole e le stecche fine, un tipico modello di occhiale che si portava all'epoca. Anche lei ha una sessantina d'anni, ma mi frequento così poco con loro, che non so neanche la loro effettiva età. Entrato da loro, come al solito mio nonno mi saluta, con la sua maniera un po arrogante, non mi ha mai dimostrato affetto, e per questo non so neanche se mi voglia bene. Mia nonna mi saluta come sempre con i due baci sulle guancie, e mi invita a sedere. Abitano in un condominio popolare, al secondo piano. La loro casa è piccola, hanno il salone, la cucina, 2 bagni, e 3 camere da letto. Così mi sedetti sulla panca marrone, attaccata al muro. Mio nonno, accanto a me, mi fa delle domande:
-"Come va? Tutto apposto?"- Disse mentre con il braccio destro, giocherellava con un bicchiere di plastica.
-"Si va avanti"- dissi con voce bassa e timida, dovuta proprio alla poca confidenza che ho con loro.
Mia nonna nel frattempo, mi portò un piatto di ciambelle al vino, fatte in casa da lei. Ne mangiai una, e una volta finita, chiesi a mio nonno:
-"Nonno, ma percaso, te stai andando via?"-
Nonno mi guardò, per un secondo, in silenzio, sembrava che gli avessi chiesto di risolvermi un'equazione di secondo grado.
-"Si, che te serve un passaggio?"- Disse con il suo tipico tono di voce rauco, e la parlata dialettale che abbiamo tutti qui in questo paese. Feci cenno di si con la testa, e lui mi disse di andare. Salutai mia nonna e la ringraziai per la ciambella. Mio nonno prese le chiavi della macchina e aperta la porta, mi fece passare prima di lui. Scendemmo le scale, fino ad arrivare al piano terra, dove un grande portone, color rosso pomodoro, ci separava dall'ambiente esterno. Aprimmo il portone e uscimmo dal condominio. Nonno aveva e ha tutt'ora, una fiat panda color giallo limone. Poco più distante da essa, c'erano Alessandro con Marco, che parlavano tra di loro sotto voce, e sembrava stessero complottando qualcosa. Gli dissi di andare che mio nonno ci dava un passaggio. Alessandro mi guardò e mi disse: - "Tu comincia ad andare, noi ti raggiungiamo tra poco." - Io rimasi stupito, ma non gli diedi molta importanza, e allora salii in macchina con nonno. Dopo 4 minuti di macchina, dissi a mio nonno: -"lasciami qui, che devo aspettare loro che arrivino."-
Allora nonno, accostò di fronte alla scuola media Marianna Dionigi, che si trova affianco alla mia attuale casa. Scesi dalla macchina, salutai nonno, chiusi lo sportello e mi sedetti sul muretto basso, accanto all'enorme cancello verde, che mi separava dal cortile della scuola. Passarono 10 minuti, e ancora non ebbi loro notizie. Mi arrabbiai, e allora decisi di chiamarli. Ad Alessandro, il telefono non squillò, ma a Marco si, e dopo due squilli, mi rispose.
-"Pronto?"-Mi disse con voce bassa
-"Eh,pronto sto cazzo"- gli dissi alterato.
-"Dimme Volpa" - mi disse.
Per i miei amici, io non sono Alessandro, ma sono stato soprannominato "Volpa" derivato dal mio cognome, che è Volpes.
-"Ma che fine avete fatto? Sono 15 minuti che sto qua davanti la scola, sotto il sole a sciogliermi, dove state?"- dissi con voce molto più alterata.
-"Stiamo arrivando, tranquillo, tu aspettaci 2 minuti"- disse con voce divertita.
-"Vabbè, vi vengo incontro nel frattempo"- dissi con tranquillità. Allora attaccai la chiamata, mi alzai dal muretto, e mi incamminai verso la stazione, nella speranza di incontrarli mentre venivano su. Ma più passi facevo, e più mi convincevo del fatto che stavano ancora lì alla stazione. Arrivai di nuovo sotto la casa dei miei nonni, dove vidi loro, in piedi, nello stesso punto in cui gli ho visti, prima di partire e andarmene via con nonno. Mi avvicinai a loro. Ebbi la voglia di urlargli contro, rimproverarli per il loro comportamento, sfogare tutta la mia rabbia. Ma quando mi avvicinai a loro, mai potevo aspettarmi una cosa simile...

Un ragazzo come meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora