La verità è sempre la scelta migliore

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Erano le 13:25 circa, quando decisi di invitare Marco a restare a casa mia per pranzo. Così chiamai mio padre. Si chiama Nicola, ha 53 anni e quest'anno ne compie 54. È alto, anche se io l'ho superato in altezza, capelli brizzolati mori e corti. Veste per lo più di colore nero, per il fatto che è un Agente immobiliare, e dice che non può andare al lavoro con la maglia rossa. Ovviamente ha ragione. Ultimamente è dimagrito, perchè gli hanno scoperto il diabete alimentare, e si è dovuto mettere a dieta. Ha perso 23 kilogrammi in 2 mesi. Adesso veste più sportivo, ma continua sempre ad indossare un paio di mocassini neri lucidi. Gli chiesi se poteva venire Marco a pranzo, e lui disse che non c'erano problemi. Avemmo il via libera per poter andare a casa mia. Nella via per tornare a casa, nel frattempo, ci chiamò Alessandro, che ci disse che lui rimaneva a pranzo da un nostro amico. Il suo nome è Francesco, ha la mia età. È alto 1.63 metri. Abita vicino la stazione e faceva parte del nostro gruppo di amici. Veste quasi sempre con un giacchetto grigio logorato, un paio di jeans bucati e le converse nere. Noi lo chiamiamo Bobo, perchè più corto e semplice da ricordare. A noi non importava di ciò, però facemmo finta di niente e continuammo a camminare verso casa. Si respirava un'aria strana, particolare. Sembrava che ci fossimo solo noi per quella via, amche se invece c'erano molte mamme e padri a prendere i figli a scuola. Io e Marco, durante la camminata, parlammo della cavolata che ha fatto Alessandro. Avemmo promesso di restare in silenzio e di non dire nulla, soprattutto perchè spaventati di poterci andare di mezzo. Arrivammo a casa, dove mamma ci accoglie con molta gentilezza. Mia madre si chiama Mascia, ha 45 anni ed è parecchio bassa. Ha i capelli lisci e biondi. Erano le 14:40 quando finimmo di mangiare, ma mio padre mi lesse in viso, che avevo qualcosa che non andava.
-"Che hai fatto Alessà?"- mi disse con tono affettuoso. Papà mi ha sempre aiutato e mi vuole un bene dell'anima. Non mi ha dato mai uno schiaffo in vita mia.
-"Niente"- risposi non voce fioca e preoccupata.
-"su dimmi che hai"- ribattè, molto insistente e curioso di ciò che fosse successo. Mi guardai Marco, aveva lo sguardo preoccupato anche lui. Alla fine cedetti e gli raccontai tutto. Dal primo all'ultimo avvenimento. Papà mi guardò, perplesso. Rimase con la bocca semi-aperta a fissarmi. Non fece un fiato. Dentro di me, la paura stava incombendo. Sempre di più. Poi ad un tratto, papà abbassò lo sguardo. Pochi secondi dopo lo rialzò e con voce molto calma mi chiese: -"tu hai preso il motorino? Lo hai toccato?"-
-"no non l'ho toccato"- dissi con voce soffocata dalla paura.
-"ci penso io"- mi disse con il sorriso. Era sicuro di ciò che faceva. Aveva la situazione sotto controllo. Prese il telefono e se ne andò in camera. Io e Marco eravamo nel salone, preoccupati. La paura di sporcarsi la fedina penale a 14 anni, era una cosa che ci spaventava a morte. Essere riconosciuti con il nome di "lardi". Dopo qualche minuto di tensione, ritornò papà nel salone. Aveva l'aria disinvolta e tranquilla, e già da lì, capii che c'era qualcosa di positivo.
-"Allora papi?"- dissi con voce fioca
-"State tranquilli"- ci disse -"ho parlato con Clemente, il maresciallo dei carabinieri, amico mio. Ha detto che se voi non avete toccato il motorino non centrate nulla."-
In quel momento, ci fu come una liberazione in me. È come quando arrivi alla fine di una salita con lo zaino di scuola, pesante per tutti i libri che contiene, e lo togli dalle spalle. Sorrido. Sono felice. Poi papà aggiunse: -"ah, per Alessandro invece non andrà bene."- Noi rimanemmo perplessi. -"In che senso pà?"- dissi incuriosito. Lui rispose -"Ha detto Clemente che manda gli agenti in borghese."-
In quel momento, eravamo preoccupati per Francesco. Lui stava con Alessandro, il quale sarebbe tornato lì al motorino insieme a lui. Provammo a chiamarlo. Ma non rispose. L'ansia si fece sentire. Decidemmo di andare da lui per avvertirlo di persona. Prendemmo il giacchetto, salutammo i miei genitori e uscimmo. Attraversammo l'uscio, e scendemmo le scale, fino ad arrivare al portone del condominio. Fuori da esso, ci sbrigammo a scendere verso la stazione. L'ansia saliva ancora di più. All'improvviso il mio telefono iniziò a suonare. Lo presi e mi segnò il suo nome. Mi stava chiamando. Senza pensarci due volte risposi.
-"Pronto?"- Dissi spaventato.
-"Volpa, non puoi capire cosa sia successo"- mi disse molto gioioso.
-"Che è successo?"- in quel momento, mi tranquillizzai, ma mi incuriosii allo stesso tempo.
-"Stavamo con Alessandro davanti al motorino, e mentre stava cercando di metterlo in moto, sono arrivati due signori. Ci hanno chiesto che stavamo facendo e poco dopo, hanno tirato fuori i distintivi. Erano poliziotti in borghese!"- La sua felicità mentre disse questa frase, non potrò scordarla facilmente.
-"E allora?"- chiesi in modo molto frettoloso.
-"A me e Jessica ci hanno detto di andare, ad Alessandro lo hanno cominciato ad interrogare."- (Jessica è la cugina di Francesco).
In quel momento, finì la mia ansia, ed iniziò il mio senso di colpa. Volevo fargliela pagare in qualche modo, ma non così.
-"e quindi?"- chiesi con tono afflitto, mi dispiaceva.
-"e quindi non lo so Volpa, io sto venendo su"- mi disse.
-"vabbene, ci vediamo tra poco allora"-
-"ok, ciao volpa"-
-"ciao"- e chiusi il telefono. In quel momento mi chiedevo, se avevo fatto la cosa giusta. Ero arrabbiato per ciò che aveva fatto, ma non volevo che andasse in mezzo ai guai. Era il mio migliore amico, con cui ho passato fantastici pomeriggi. Ma la nostra amicizia, come una rosa, è nata, cresciuta... e poi appassita. In quel momento il fiore della nostra amicizia appassì. E da quel giorno Alessandro non lo frequentai più, non ebbi più sue notizie. Seppi solo che cambió scuola, e si trasferì all'Albafor. Cosi il mio gruppo di amici inziò a dividersi.
Rimanemmo in 3. Io, Marco e Francesco, accompagnato a volte dalla cugina Jessica. Ma i problemi non finirono quì.

Un ragazzo come meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora