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Deludente.

E' così che mi sento, sotto gli sguardi di disapprovazione dei miei genitori mentre dico loro che ho preso l' ennesima insufficienza in questo anno di scuola. Non sono per niente dispiaciuta perchè, se fosse per me, ora sarei a scrivere al computer parlando della vita di personaggi completamente inventati con una tazza di caffè in mano. E invece sono qui, con due paia di occhi azzurri puntati addosso, ma lo sguardo non lo abbasso, non devo fare vedere a nessuno che sono debole.

Sono figlia unica, diciamo. Lo dico perchè mio fratello ci ha lasciato poco più di un anno fa.          
Overdose.                                                   Ho cercato un paio di volte di raggiungerlo ma i miei genitori me lo hanno impedito. No, non sono depressa, se ve lo state chiedendo. Mi sento solo inferiore a lui, ogni tanto. Specialmente dopo che sento i miei genitori parlare di lui come se fosse stato migliore di me. Ed evidentemente lo era. Voti ottimi, sempre con il sorriso, solare e aperto con tutti. Non si meritava quella fine. 

Io invece sono sempre stata così, asociale e apatica, amante del nero, degli horror e delle lacrime. Mi è sempre piaciuto piangere, anche se in silenzio, anche inutilmente. 

Esco dalla cucina e mi dirigo in bagno prendendo lo struccante e iniziando a togliere la spessa linea di eyeliner che ogni mattina disegno. Rimango un po' a fissarmi, mi sento come vuota, senza quello strato di trucco che mi ricopre completamente. Lo amo proprio per questo. E' una maschera che indosso e che mi trasforma nella me che non sarei mai voluta diventare.

Ognuno ha un' etichetta addosso, perchè si sa, quando vediamo una persona per la prima volta ci facciamo subito un' idea su di essa. Questa può cambiare ma il giudizio iniziale rimarrà lo stesso. A scuola mi hanno etichettata come "La ragazza depressa e scontrosa". La prima non lo sono, la seconda si.
E' più forte di me, non ce la faccio a non rispondere sgarbatamente alle persone, e a dirla tutta non ci sto neanche male.

Salgo in camera senza dire una parola e mi butto sul letto in silenzio.
Guardo le pareti nere spoglie per l' assenza quadri, mi rispecchiano. Sono vuote.
Perché si, siamo tutti un qualcuno ma pochi si sentono nessuno.
Alcune persone sono vuote, certo, prima erano piene, ma il tempo e i ricordi hanno scavato in loro un vuoto incolmabile.
Ormai è troppo tardi per cercare di riempirlo.

Qualcuno bussa alla porta. Credo sia mio padre, normalmente avrei paura di lui ma ora no, non più.
Mi sento come se avessi tante cose da dire ma nessuno a cui poterle rivelare.
Entra nonostante io non gli abbia risposto, si avvicina minacciosamente a me e mi tira uno schiaffo in pieno viso.
Non mi fa effetto, non più ormai.
Da quando mio fratello Thomas se ne è andato mi picchia sempre, anche solo schiaffi e calci, ma i lividi rimangono comunque sulla mia pallida pelle.
Chissà se Thomas mi vede da lassù, se capisce quello che provo.
Chissà cosa vede lui, invece, chissà cosa vede mio padre.
Probabilmente una figlia deludente e depressa, anche se non lo sono.
O forse non so di esserlo.
Non lo sono.
Io vedo un uomo stanco, frustrato e confuso.
Mi fissa in piedi con il telefono in mano.

《Mi ha chiamato la scuola》dice con voce roca《Hanno detto che ti hanno beccato a fumare. Di nuovo》continua e alza di nuovo le mani.

Cerco di coprirmi il più possibile ma sento comunque li schiaffo che arriva sull' esterno della coscia, dove non fa poi così male.

《Lo so. Anche io odio il fumo e papà, non so cosa mi sia preso.》mento.

《Non sai cosa ti prende da più o meno dieci mesi, inventati una nuova scusa e poi possiamo riparlarne》

Scusa.
No, io non devo chiedere scusa a nessuno e non devo neanche spiegazioni.
Non mi sono mai stati dietro, loro due.
Neanche Thomas. Ero utile solo a parlargli il culo quando serviva.
Pochi mesi prima di morire però è cambiato. Sembrava più...comprensivo.
Forse capiva la situazione in cui mi trovavo perché in passato non stavo bene con me stessa.
Ho smesso circa tre mesi fa di andare dalla psicologa.
Mia mamma diceva che questo mio calo del rendimento scolastico (unica cosa che credo le importi veramente) era dovuto a mio fratello e alla sua morte.
Ma in realtà era dovuto alla sua vita, al tempo che avevo trascorso con tre persone che sapevo non potevano capirmi.

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