Capitolo 2.

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Il mattino seguente vengo svegliata dal frastuono della sveglia.
Guardo che ore sono. Le 4:00 di mattina?!
"Ma perché mi devo svegliare così presto se è sabato?! " penso. Ma poi ricordo il motivo della sveglia a quest'ora.

Guardo la mia stanza.
Non la rivedrò mai più.
Quattordici anni in questa camera.
Quattordici anni in questa casa.
Quattordici anni in questa città.

Non posso accettarlo. Devo restare qui.
Mi ricordo di aver preparato le valigie per ordine di mia madre. Infatti sono accanto alla scrivania.
Tutti i poster sono ancora appesi alle pareti. Salto giù dal letto e inzio a staccarli dalle pareti, cercando di non strappare nulla.

La stanza è troppo spoglia così. Non posso pensare di lasciarla per sempre.
Ma chi dice che sarà un vero "per sempre"?

Prendo i miei due trolley pieni di vestiti, la mia custodia del violino, un borsone pieno di libri e il mio zaino.

Mia madre ha detto che questa casa rimarrà comunque nostra, ma che non potremo più tornarci per non so quali motivi. Mi piange il cuore.

Cammino verso la cucina ancora in pigiama, con le braccia cariche di borse.
Mia madre sta vagando come una disperata per la stanza sussurrando "Dov'è?!" di tanto in tanto. Sorrido. Non l'ho mai vista così nervosa.
Anche lei è in pigiama. Ha tutti i capelli biondi arruffati e il viso pallido.
Poi finalmente si accorge della mia presenza e mi guarda con gli occhi spalancati.

《Buongiorno.》dico io, cercando di non ridere guardando la sua faccia.

《Hai visto per caso il mio cellulare?》mi chiede continuando a cercare.

《Mamma, ce l'hai in mano.》rido.

《Oh, che sbadata!》sorride e si appoggia al tavolo《Vado in crisi quando perdo le cose...》

Mi trattengo dal dirle che basterebbe pronunciare "Accio telefono", ma poi mi ricordo che lei è una Babbana e non crede che la magia esista.

Appoggio i bagagli in salotto, dove trovo mio padre già vestito di tutto punto. È intento a mangiucchiarsi le unghie mentre guarda il telefono, probabilmente gli orari del volo o cose simili.

《Buongiorno.》dico.

《Oh, ciao Katie. Sei pronta?》mi chiede con un sorriso.

《No, non ancora.》e detto questo vado in camera mia, dove ieri sera ho preparato i vestiti. Dicono che a Nizza farà caldo, così ho preparato un paio di jeans leggeri e una T-shirt azzurra. Prendo la collana con la Giratempo che avevo appoggiato sulla scrivania ieri pomeriggio e la indosso.

Poi mi guardo allo specchio.
Sono più alta di quanto ricordassi... I capelli castani sono spettinati e gli occhi sono circondati da occhiaie. Sono troppo stanca. Non posso partire.

Quando torno in salotto anche mia madre è pronta.
Ci saranno una quindicina di borse e valigie sul pavimento. Prendo le mie e mi dirigo verso la porta d'ingresso seguendo a ruota i miei. Fisso il pavimento i parquet, che probabilmente non rivedrò più. Registro ogni minimo dettaglio di tutto.

Poi arriviamo alla porta. I miei piedi si ancorano al pavimento. Non riesco a muoverli. Non riesco a uscire. Non voglio uscire di qui.
Poi però mi costringo ad andare.

Papà chiude la porta a chiave.

Non piango. Ma sono triste come non mai.
Saliamo sul taxi che mamma ha chiamato dieci minuti fa.

Guardo casa mia allontanarsi da me.

"Addio casetta." penso. Da piccola dicevo "Ciao casetta" quando andavamo in vacanza per qualche settimana. Ora quel "ciao" è un "addio".

Fisso la strada illuminata dalle luci. È strana la città a quest'ora del mattino: la maggior parte dei negozi è chiusa, in giro non c'è praticamente nessuno... e ho troppo sonno.
Mi pento di aver letto fino a mezzanotte. Pensavo che ci saremmo svegliati più tardi... ma mi sbagliavo.

《L'aeroporto è distante?》chiedo a mio padre.

《Mh... non molto...》mi risponde lui. Però stava pensando ad altro, lo vedevo dai suoi occhi pensierosi.

Mia madre si era addormentata. Non aveva dormito quella notte, ne ero sicura.

Arriviamo all'aeroporto.
Dopo svariate operazioni di controllo entriamo nell'aeroporto vero e proprio. Cerchiamo un bar per fare colazione e quando lo troviamo ordiniamo subito.

《Cappuccino e brioche, grazie.》dice mio padre al cameriere.

《Una tazza di tè e due di quei meravigliosi biscotti al cioccolato sul bancone.》dice mia madre, indicando un punto imprecisato dietro le mie spalle.

《E lei, signorina?》mi chiede il cameriere.

Stavo fissando la vetrina della libreria accanto al bar. Per un un istante mi sento un'idiota. Mi risveglio dai miei sogni.

《Uhm... una cioccolata calda e una brioche, grazie.》dico.

Il cameriere ci porta le ordinazioni.
Che buona quella brioche...

Dopo andiamo nella sala d'attesa dell'aeroporto. Io prendo un libro e inizio a leggere. Mia madre mi ha comprato dei libri in francese per potermi esercitarmi con la lingua. C'erano "Alice dans le pays des merveilles" e tanti altri.

Il problema è che io non sopporto il francese. Quella pronuncia strana che cerco di imitare inutilmente mi dà sui nervi.
È molto meglio l'inglese. Non potevamo andare a Londra?

Immersa nelle mie riflessioni, riusciamo a salire sull'aereo per Nizza.
Mi siedo vicino al finestrino, così posso guardare il panorama.

Decolliamo.
Ho sempre amato volare.
Amo soprattutto il momento della partenza, quando il corpo viene schiacciato contro al sedile, e provi eccitazione e paura allo stesso tempo. In qualche modo, mi rilassa.
Inizio a leggere. Leggo "Le Cronache di Narnia", questa volta in italiano, però.

Circa venti minuti dopo distolgo lo sguardo dal libro e guardo fuori dal finestrino.

《Siamo sopra Genova, Katie.》mi dice mia madre.

Torno a leggere.

Dopo un po' arriviamo a Nizza.
L'aeroporto è grande e molto affollato.
I miei vanno a prendere i bagagli che avevano spedito. Io rimango su una poltroncina.

Vedo avvicinarsi qualcuno.
No. Non può essere. Non lei...

《Katie! La mia cara compagna di classe! La sciocca che trascorre tutto il giorno con il naso incollato ai libri! È un piacere rivederti.》mi dice.
Quanto la odio...

《Julie... che cosa ci fai qui?》le chiedo massaggiandomi le tempie.

《Non lo sai? I nostri genitori lavorano insieme. E allora anche noi ci trasferiamo qui... per mia... sfortuna...》dice con un'aria maligna.

La guardo con occhi spalancati. Sono senza parole.

《Seriamente?!》dico quasi urlando.

《Sì! Bello, eh? Staremo sempre insieme...》dice con aria disgustata. 《Sappi bene una cosa: tu non sarai mai all'altezza degli altri. Non vali niente. Sei solo una scarpa fortunata.》

Digrigno i denti. Come si permette?!
Ma poi cosa c'entra adesso?
Le tiro uno schiaffo e lei corre via.

《Che succede?》chiede mia madre con delle valigie in mano.

《Niente...》rispondo indifferente.

Ci incamminiamo verso la concessonaria vicina.
Vedo che ci dirigiamo verso una grande macchina blu. Una Volkswagen Tiguan.

Partiamo.
Ci dirigiamo verso la nostra nuova casa.
Sono ormai le 14. Mi rendo conto di avere tantissimo sonno e mi addormento...

~Francy

Il campo di girasoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora