Capitolo 5.

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Ecco.
È arrivato il fatidico giorno che da tempo speravo non sarebbe arrivato mai.
Quel giorno che cerchi immaginare come il più distante, una data da saltare ed evitare.
Il giorno a cui eviti di pensare per non stare male.
Il giorno che la tua pigrizia rifiuta.

Il primo giorno di liceo.

E la cosa peggiore di tutto ciò?
Si parla in francese. Solo ed esclusivamente francese.

Non ho assolutamente nulla contro i francesi. Il francese è senza dubbio una bella lingua, ma, come ho già detto in precedenza, non riesco a parlarlo bene e, soprattutto, non riesco a pronunciare quella "r" strana che viene facile a buona parte delle persone che conosco. D'altronde, nessuno è perfetto, giusto?

Ribadisco, non potevamo andare in Inghilterra? Nell'inglese non ho problemi ed è una lingua che amo.

Ho già detto che sto studiando coreano e giapponese? Le lingue orientali mi hanno sempre affascinata e finalmente mi sono decisa a mettermi a studiare qualcosa di diverso. Il fatto che il k-pop sia il mio genere musicale preferito non ha avuto nessuna influenza su questa mia scelta, davvero...

Comunque sia, come previsto, ho passato l'ultima settimana nell'ansia più totale. Mal di stomaco e mal di testa mi perseguitano da giorni, ormai. Posso sembrare esagerata, lo so, ma sono fatta così.

14 Settembre. Ore 6.30.

Quella dannatissima sveglia che sta suonando su quel dannato comodino di legno marrone accanto al mio divino letto deve smettere di suonare all'istante, altrimenti potrei rischiare di avere uno sbalzo di personalità e distruggere il comodino intero solo con la forza del pensiero in questo esatto momento.

Mi alzo controvoglia e rimango per qualche istante a guardare il vuoto senza avere una precisa idea sul da farsi. O meglio, l'idea ce l'ho eccome: il mio cervello ha già iniziato a funzionare da qualche ora, calcolando ogni singola probabilità che tutto quello fosse soltanto un bruttissimo sogno, giungendo alla conclusione purtroppo non fosse così. Forse rimanere sveglia tutta la notte e dormire solo dalle 4.30 alle 6.30 non è stata un'idea brillante.

Mi alzo in piedi e mi dirigo verso il bagno. Rimango davanti allo specchio per osservare la meravigliosa me con dei capelli paragonabili a un nido di struzzo. Non è affatto una bella immagine, non lo è mai stata. Un paio di profonde occhiaie solcano il mio viso. Davvero magnifica.

Mi dirigo verso la cucina, cercando di non inciampare nelle ciabatte di mio padre lasciate in mezzo al corridoio. Sento il piacevole profumo di pane tostato provenire dalla cucina, accompagnato dal fortissimo aroma di marmellata all'arancia che mio padre adora. Evidentemente  entrambi i miei genitori devono aver già iniziato a mangiare senza di me. Grazie mille.

Mi siedo a tavola con l'impressione di avere due paia di occhi puntati su di me. Alzo lo sguardo, evito di parlare, dato che dalla mia gola non uscirebbe altro che un suono stridulo e rauco. Mangio soltanto mezza fetta di pane tostato imburrato e una tazza di caffè. Sempre zitta, mi alzo e ritorno in bagno e successivamente vado in camera per vestirmi.

Una ragazza furba e dinamica avrebbe di sicuro preparato i vestiti la sera prima, ma siccome io non faccio parte di nessuna di queste due categorie, mi ritrovo davanti al temibile armadio, composto principalmente da felpe di vari fandom o maglie e pantaloni neri, con il noioso e stressante compito chiamato "scelta dei vestiti mattutina" che mi si presenta davanti.

Considerando la temperatura molto alta e la altissima probabilità di sudare in ogni caso, opto per un paio di jeans classici e una semplice maglia a maniche corte, rigorosamente nera, con stampato davanti il simbolo degli EXO. Questo può anche dimostrarsi un modo per fare nuove amicizie al primo colpo e cominciare a chiarire i potenziali-elementi-interessanti o compagnie-da-non-frequentare. Indosso senza neanche pensarci la collana con il ciondolo dei Doni della Morte. Questa collana sta iniziando ad essere arrugginita, nonostante io la tratti con la massima cura.

Prendo lo zaino e mi faccio trovare pronta davanti alla porta d'ingresso. Mi sento strana, come se mi stessero portando in tribunale. Mi tremano le mani e cerco di nascondere la mia agitazione, con scarsi risultati. 

《Ti senti bene?》 mi chiede mia madre venendo verso di me con un sorriso falso stampato sul viso. Penso che non sia affatto la domanda giusta da fare in questo momento. Un conto è chiedere "come va?", che è molto generico e offre la possibilità di rispondere in maniera più articolata, e un conto è chiedere "ti senti bene?", dove c'è sempre un che di negativo. A volte penso che dovrei smettere di fare questi discorsi introspettivi: è inquietante.

《No.》 dico seccamente, cercando di non fare tremare la voce.

《Come mai?》 ma c'è proprio bisogno di chiederlo? La risposta non abbastanza ovvia? Tua  figlia sta per iniziare a frequentare una nuova scuola straniera, dove non conosce assolutamente nessuno, non conosce assolutamente l'edificio e non sa nemmeno se tornerà a casa viva o meno da un'esperienza così traumatica. E tutto questo per colpa tua. C'è bisogno di una risposta? Ecco, un altro monologo interiore. Come risposta, uno sguardo assassino è sufficiente.

《Avanti, che vuoi che sia!》 mio padre arriva con aria pimpante, vestito in giacca e cravatta. Facile per voi! Voi non vi troverete circondati da un branco di incoscienti immaturi che rideranno di voi e che non parlano inglese! I vostri colleghi saranno tutte persone adulte che conosceranno l'inglese per il mestiere. Voi non dovrete subire un trauma come questo, dato che siete proprio voi, la causa del trauma! Cerco di non gridargli contro e mi giro verso la porta.

《Quindi? Siamo già in ritardo, volete farmi arrivare tardi il mio primo giorno di scuola perdendovi in chiacchiere?》 dico con fare  arrabbiato, con la voce inconsciamente tremante.

《Hai ragione, sarà meglio andare.》dice mia madre, guardando velocemente mio padre con aria di rimprovero. Forse lei aveva capito la situazione.

Sento le gambe diventare marmo alla vista della macchina, come se il mio corpo, inconsciamente, volesse impedirmi di vivere quell'incubo. Mi faccio coraggio, e, con un grande sforzo mi siedo in macchina. Per un istante penso al ragazzo dei girasoli.

Chissà quanto durerà questo viaggio.
Chissà se durerà.

~Fran
(capitoli noiosi pt. 302378)

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 05, 2018 ⏰

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