Capitolo 3

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Proprio mentre penso questo, tutti i disegni si sciolgono.
Il blu ritorna a conquistare lo spazio.
Diventa acqua, e mi ritrovo immersa chissà dove, a cercare di risalire in superficie, ma nulla da fare.
L'aria nei polmoni si fa sempre meno; continuo a provare di nuotare verso l'alto, ma sembra che una superficie non ci sia; sono morta...

...ma mentre penso di stare per morire, qualcosa mi prende per la giacca e mi tira via.
Mi tira veloce, e l'acqua scorre altrettanto rapida, spingendo con forza sulla schiena.
Tutto questo blu si dissolve, come se non riuscisse a tener testa alla mia velocità, e vengo sbattuta in una città.

Sono a terra, affannata; ancora una volta stavo per morire.
Mi guardo la schiena; la mano non c'è più.
Sento una strana sensazione, come quando ad un bambino tolgono un gioco importante.
Sento di aver perso qualcosa di essenziale, ma non capisco.

Guardo la città; sono in un marciapiede.
La gente passa veloce; sembrano tutti uguali: indossano vestiti eleganti e neri, da lavoro, e camminano veloci, senza sosta, con una valigia altrettanto nera.
Le scarpe fanno un rumore fastidioso e continuo.
Le macchine si muovono senza mai fermarsi, i clacson sono assordanti.
Lo smog si sente anche negli occhi.
Mi alzo lenta, le persone continuano a camminare troppo veloci, tutti insieme.
Sembrano un fiume nero.
Guardo qualcuna di queste e noto qualcosa di strano: ognuna ha dei fili elettrici attaccati alla nuca.
Camminano trascinandoseli dietro; i fili si dissolvono nell'aria dopo qualche decina di centimetri, ma sembrano continuare a prolungarsi molto oltre.
Ognuno di loro è collegato ai fili, non so se siano umani, anche se lo sembrano.
Guardo in alto, giganteschi cartelloni pubblicitari che cambiano immagini in continuazione.
Ancora più in alto, il cielo cambia in continuazione.
Arriva il sole, qualche minuto e scompare, ed ecco la luna, e poi ancora il sole; ma qui non esiste la notte o il giorno, perchè la luce della città rimane, senza badare al sole o alla luna.
Guardo un grande orologio su un gigantesco palazzo: mostra le 14:00, poi le lancette tornano indietro e mostrano le 9:00; e ancora: le 20:02, e continua senza sosta e senza fermarsi mai, a muoversi senza alcun criterio.

Ad un tratto mi assale un dubbio; mi tocco la nuca: mancano i fili.
Sembro essere l'unica, e proprio in questo stesso momento, in cartelloni cambiano immagine di colpo.

Mostrano una mano legata da catene, che tiene una farfalla.
Poi l'immagine cambia, la farfalla brucia, la mano si annerisce, le catene si stringono.
Lo schermo cambia ancora: compare il simbolo di un occhio, poi più nulla.
Tutti gli schermi si spengono in successione, uno dopo l'altro, o almeno così sembra.
Continuo a guardare gli schermi.
"che strano..." penso; e nello stesso istante in cui lo penso, compare qualcosa sugli schermi neri.
Che strano... scritto a caratteri bianchi.
Spalanco gli occhi, non è possibile questo.
Un altra scritta: Non è possibile questo.
Sento qualcosa, in tutta la città rimbombano dei battiti.
Allo stesso tempo, tutte le persone che prima camminavano senza sosta, si fermano.
«Non è possibile questo.» lo ripetono tutti in coro, senza emozione alcuna.
Tutte le persone che mi circondano, ripetono quello che penso.
Sono assordanti e potenti, come un terremoto.
Sento dei battiti che rimbombano in tutta la città, ma non sono i miei.
Tu tum, tu tum, tu tum, tu tum!
I battiti continuano senza fermarsi, mentre i miei pensieri rimangono sui cartelloni.
Ad un tratto sento il mio cuore sintonizzarsi con quello che rimbomba nella città.
Sento il respiro affannoso...
un dolore al petto...
il respiro troppo pesante...
sento che mi mancano dei battiti.
Il ritmo del mio cuore sta cambiando e sta diventando quello della città.
Comincio a scappare, a correre.
Corro tra quelle maledette persone, immobili a fissare il nulla, come fossero spente.
Cosa succede!?
Dove sono!!??
Tutti ripetono ogni mio pensiero, con quella voce robotica:
Cosa succede!?
Dove sono!!??
Improvvisamente, mentre corro, dicono qualcosa di diverso.
«Non...scappi. Tu...non...scappi.» lo dicono lentamente.
Ho paura.
Mi fermo con gli occhi spalancati.
Sento silenzio.
I battiti della città si sono fermati.

Poi ancora loro: «Tu...non...scappi.» continuano a ripeterlo.
Cado a terra e mi inginocchio.
Piango, non riesco a fermare le lacrime.
DOVE DIAVOLO SONO!!!??
Perchè tutto questo succede a me?!
Questa volta non ripetono i miei pensieri, solo la stessa frase di prima.

«Tu...non...scappi».
«BASTA!!!» Urlo con tutto il fiato che ho in corpo.

«Sei...mia...» Alzo la testa di scatto, con le lacrime agli occhi.
C'è qualcuno che li comanda, qualcuno sta parlando al posto loro.
«Sei...un...virus».

«CHI SEI!!??» Urlo.
Nessuna risposta, continua per la sua strada, dietro quel coro di burattini che ripetono quelle parole.

«Sei...una...malattia».

«MALATTIA!? COSA SIGNIFICA!!??».

«Sei...imperfezione».

Non ce la faccio più.
Mi alzo e ricomincio a correre.
I burattini in giacca e cravatta sembrano aver smesso di parlare, ma devo andarmene da qui.
Cambio strada, prendo un vicolo cieco.
Mi fermo non appena mi trovo un muro davanti: non ci sono uscite dal vicolo.

«Chi sei?»sento alle mie spalle.
Mi giro di scatto, spaventata.
È un bambino, l'unica persona che sembra normale.
Parla con una normale voce infantile.
«Sei vera?» chiede lui.
Dopo qualche secondo, decido di chiederglielo io: «e tu?».
«Sí» risponde lui.
Lo guardo con il respiro affannoso.
«Dove siamo?»gli chiedo.
«Non lo so.
Ci hanno portati tutti qui dopo quel disastro...»lo dice con aria triste e affranta.
«Q-quale disastro?» chiedo io.
«Quello con la bomba nucleare.
Quel giorno sono morti quasi tutti.
Sono rimasto io e pochi altri.» risponde, togliendo le mani da dietro la schiena e mostrandomele.
Sono tutte rovinate e storte.
«Sono nato cosí.» continua.
«E adesso t...» si ferma di colpo e cade ai miei piedi.
Dietro di lui, uno di quegli uomini, questa volta con qualcosa di elettrico in mano.

«COSA GLI HAI FATTO!?»Urlo.
Non mi risponde.

Prende dei fili e li attacca nella nuca del bambino, che subito si rialza.
Ha gli occhi neri, e mi accorgo solo adesso che lo stesso vale anche per l'uomo.
Qualche secondo di silenzio, e poi i due dicono qualcosa, sempre con quella voce e perfettamente sincronizzati: «Sei...la...malattia».
Ricomincio a scappare.
Riesco a superarli sbattendogli contro.
Esco dal vicolo, giro alla mia sinistra e continuo per una strada piena di negozi.
Non posso nascondermi dentro uno di questi, ognuno sembra pieno di questi burattini.
Devo uscire da questo luogo!

All'improvviso dal terreno sbucano delle braccia nere; ne sbuco una, poi un'altra.
Aumentano sempre di più.
Salto, giro a destra, mi fermo, giro a sinistra, e continuo così, schivandole.
Non sento affanno correndo, ma le mani stanno cominciando a diventare insuperabili.
Sono sempre di più.
Mi si blocca improvvisamente il piede destro, lo sguardo di scatto.
Una mano mi ha presa.
Cerco di liberarmi, ma il tempo è sufficiente per permettere ad altre braccia di afferrarmi.
Mi strattonano, e sembrano salire sempre di più nel corpo.
Un braccio sembra percorrermi la schiena.
Mi assale il panico.
Urlo.
Niente.
Urlo ancora.
È tutto inutile.
Provo una terza volta, questa volta con tutto il fiato che ho; mi blocca all'istante una delle mani che percorrevano la mia schiena.
Mi tappa la bocca, da dietro.
Sono violente, fastidiose, pesanti.
Continuo a dimenarmi, ma senza possibilità.
Cominciano a stringere forte la pancia e il petto, come un violento abbraccio.
Inizia a mancarmi il respiro, e la mano che mi tappa la bocca peggiora le cose.
Sono immersa in questo mare di braccia, direi quasi buio.
Esatto, buio; proprio quello che mi sta inghiottendo.
Mi coprono la faccia; mi coprono gli occhi.
Non vedo più nulla di quello che mi circonda.
Qualche secondo, solo qualche secondo per dare all'oscurità la possibilità di inghiottirmi completamente; di uccidermi lentamente.
Mi tirano con forza verso il basso; sento un estrema pressione nelle gambe, e non riesco a tenermi in piedi.
Cado in ginocchio.
Vedo solo il buio, ed ora anche la morte, fin troppo vicina.

Sento qualcosa, forse qualcuno che mi può salvare.
Sono voci lontane, ma si stanno avvicinando.
Sembrano essere nelle mie orecchie, le sento nella testa.
Sono parole, ancora incomprensibili, troppo basse.
Sussurrano con violenza qualcosa che si schiarisce man mano che passano i secondi.
«...tile!».
«Sch...tura!».
«Stu...a!».
«...nutile!».
«Scherzo d...atura!».
«Stup...a!».
«Inutile!».
«Scherzo della natura!».
«Stupida!».
«Muori!».
«Vigliacca!».
«ODIOSA!».
«STREGA!».
Sempre più forti, sempre più violente!
Sempre di più, sempre più fastidiose!
«BASTA!» urlo con tutto il mio fiato.
Tutti si zittiscono.
Apro gli occhi.
È tutto bianco.
Sono finalmente morta?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 15, 2017 ⏰

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