50

55 12 5
                                    

Il professore aveva riattaccato il telefono ma continuava a fissarlo. Qualcosa gli ronzava ancora nella testa.
Ritornò sulla conversazione appena terminata, a vagliare la sensazione di una dimenticanza. Ma non gli parve d’aver omesso nulla. Aveva informato i suoi capi delegazione ad Astana dell’arrivo di Freya. E li aveva messi in guardia sul suo probabile tentativo di persuaderli a farla rientrare nella delegazione per le trattative ministeriali. Cosa che loro dovevano rifiutare categoricamente. Altre cose importanti non ce ne erano. Altro non conta.
Quella sensazione però non l’abbandonava.
Si alzò per affacciarsi al grande oculo, quasi nella speranza che Zurigo gli avrebbe recuperato alla mente le fattezze di quel vuoto mentale che gliela inceppava.
Non fu il panorama, ma il vetro a rispondere alla sua invocazione.
Accanto al suo riflesso ne apparve un altro.
Sempre tu, certo...
E si smarrì nei ricordi, fino al più antico.
Il loro incontro.




Quello sguardo lo colpì. La sua fissità vitrea emanava un’inquietudine profonda che l’attraeva. Ne percepiva una forza oscura. L’irresistibile forza di svuotare le bocche e ammutolire l’aria. Gli sembrò pietrificato e vivente insieme.
Tanto era immobile che per un momento ebbe il sospetto che stesse realmente vedendo qualcosa di incommensurabile, qualcosa di trasparente e terribile, che solo lui poteva percepire davanti a sé. Come una visione sconvolgente. Nient’altro pareva esistergli intorno. Solo quel punto misterioso a qualche spanna dal suo naso.
Aveva ancora le mani ammanettate dietro la schiena, seduto su una seggiola di legno, nel mezzo della piccola stanza asettica. Completamente bianca. L’intensa rifrazione delle lampade quasi cancellava le ombre delle pareti, trasformando quello spazio in un limbo. Ciò nonostante il biancore abbacinante delle pareti non lo turbava affatto. Si portò a ridosso del vetro che li divideva e scoprì il perché. Le pupille non solo non erano contratte, ma erano addirittura dilatate.
Midriasi indotta.

«Davvero notevole, Direttore» disse voltando le spalle alla parete di vetro e cercando nella penombra la sagoma seduta dell’uomo. «L’effetto della sedazione di quel negro è davvero notevole, molto interessante. Ma ancora non capisco cosa abbia di speciale per meritarsi tutta la segretezza e urgenza di questa riunione...»
La bocca, incorniciata da curatissimi baffetti bianchi, si stirò di lato, o almeno gli parve, a suggerire un sorriso. Ma la scarsa luce e un paio di occhiali circolari lasciavano ineffabile lo sguardo, conferendo al volto una sinistra vaghezza.
«Professore, quando l’ho fatta partire da Berna per portarla qui in Virginia, un anno fa se non sbaglio, non avevo ancora un’idea precisa di come impiegare le sue competenze, che avevo trovato straordinarie. In particolare, la cosa che più mi aveva impressionato della sua scheda erano gli studi sull’interazione fra alcune sostanze chimiche e il funzionamento della mente... come le definisce lei quelle sostanze?»
«Psicoattive» rispose il professore recuperando il suo posto al tavolo, dove una lampada da scrivania con paralume in bachelite verde cerchiava di luce alcuni documenti.
«Esatto, psicoattive. Che lei spiegava capaci di modificare il comportamento e la personalità delle persone...» l’uomo si alzò in piedi ed estrasse dal taschino del corpetto un cofanetto in latta di sigarini. «Questa cosa, da quando l’ho letta, mi è sempre ronzata in testa, una vera ossessione. Continuavo a ripetermi che avremmo potuto manipolare le persone a nostro piacimento, senza che nessuno se ne accorgesse. Devo però rivelarle che temevo anche di perdere uno scienziato come lei. Anzi – adesso glielo posso pure confessare serenamente – la mia paura più grande era che uno come lei potesse sbarcare a Mosca, lavorare per i sovietici, per Stalin. Ecco, questa opzione mi arrovellava le budella. Immaginarla con i comunisti e non con i nostri mi dava preoccupazione, davvero.» Prese due sigarini dal cofanetto, offrendone uno al suo interlocutore che lo rifiutò con la mano.
«C’è un’altra cosa che mi sono sempre ripromesso di chiederle e che per un motivo o per un altro non abbiamo mai affrontato: come hanno preso avvio i suoi studi in questo ambito così innovativo e quale struttura glieli ha commissionati?»
L’uomo si abbandonò allo schienale della seggiola, volgendo lo sguardo oltre il negro dietro il vetro, sul muro bianco, a proiettarci un film di ricordi.
«Il thought control – come lo definite voi, qui – era un campo d’indagine sconosciuto, per lo meno per me, o almeno nessuno mi ha mai riferito di simili studi. Dunque, forse lei non ci crederà e le sembrerà pure paradossale, ma lo sviluppo di questo nostro filone si deve interamente al caso, che nella scienza – malgrado si ammanti di rigore nel complicato rapporto fra verità e metodo wahrheit und methode – ha un’importanza capitale. La scienza si trova a valle del caso... Coincidenze, appunto. Ero un giovane ricercatore medico e il mio professore, Gerhrard Ding-Schuler, che aveva molto apprezzato i miei studi sulla farmacodinamica della DMT – un noto allucinogeno naturale presente in molte piante comuni – mi segnalò a Ernst Robert Grawitz, comandante del servizio medico delle SS. Lui volle fare la mia conoscenza e dopo alcuni incontri – nei quali fantasticammo delle incredibili prospettive che si dischiudevano alla scienza tedesca – mi propose di assumermi nell’azienda citata nella scheda, la Deutsche Heilmittel GmbH, di proprietà delle SS, che si occupava di ricerche mediche. L’accordo d’assunzione prevedeva che avrei dovuto condurre una sperimentazione sulle sostanze psicotrope conosciute allo scopo di elaborare dei nuovi preparati in grado di plagiare la volontà degli individui per fini militari. Così – come è scritto nella scheda – ho passato due anni a Weimar-Buchenwald, da marzo del ‘42 a febbraio del ‘44, facendo quello che ha avuto modo di leggere nella relazione che vi ho fornito.»
«Mi perdoni una domanda: ma non ha mai avuto esitazioni, dubbi, cedimenti?... Intendo per la sperimentazioni che facevate lì?»
«Mister Dulles, mi perdoni la franchezza, ma la sua domanda non fa onore alla sua intelligenza» replicò compito ma risoluto. «Nessun uomo, appena normale, intelligente o sensibile può rimanere indifferente al dolore di altri esseri umani, anche se ebrei, soprattutto quando è lui stesso a cagionarlo. Solo un sadico troverebbe piacevole la condizione di quel negro lì» disse indicando il disgraziato in stato di incoscienza. «È la convinzione profonda, rinnovata ogni giorno con pervicacia, che stai facendo qualcosa di importante per la tua nazione a renderti sopportabile a livello psicologico la tensione di un tale spettacolo. Occorre un’enorme forza di volontà e la consapevolezza che la grandezza si raggiunge solo con il sacrificio. E la prima cosa che uno scienziato deve sacrificare è lo spirito compassionevole. Ma questo immagino che valga anche per lei. Anzi per lei e per i militari è il primo nemico da uccidere. Roma non avrebbe costruito la storia dell’Occidente se l’idea della misericordia cristiana fosse nata con lei.»
Il silenzio scese fra i due, come se quelle ultime parole avessero sbalzato i pensieri di entrambi oltre le pareti anguste di quella saletta buia.
«Torniamo al motivo del nostro incontro» riprese dopo alcuni interminabili secondi il direttore. «Da quando è in America ha mai sentito parlare dell’FBN?»
«No, mai sentita.» fece scuotendo il capo.
«L’FBN» si accese il sigarino, espirando una boccata di un fumo denso che inondò la piccola stanza, quasi a saturarla «è il Federal Bureau of Narcotics, un’agenzia del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Si occupa del contrasto all’uso di sostanze illegali, sostanzialmente droghe. Anche se era nata quasi vent’anni fa, all’alba del proibizionismo, per colpire il traffico clandestino di alcolici. Poi però il proibizionismo è terminato... ma ora non è il caso che le racconti questa storia, interessante ma molto lunga...»
«E cosa c’entra quest’agenzia con quel negro là dietro?»
L’uomo ritrovò con la mano la sedia accanto al tavolo e tornò a sedersi. «Cosa c’entra l’Fbn con quel negro?» ripeté espirando un’altra intensa boccata di fumo che osservò mescolarsi al buio della stanza.
«Adesso le spiego la questione... Anzi» si voltò a guardarlo con un mezzo sorriso. «Preferisco che siano proprio loro a farlo.»
«Loro chi?» la domanda però non raggiunse in tempo l’uomo che aveva già sollevato la cornetta del telefono.
«Signorina, sono Allen Dulles, per cortesia, accompagni da me i due signori della saletta...» poi però, ascoltando la risposta, la fronte si increspò.
«Era proprio così urgente?»
...

«...delle telefonate urgenti... pochi minuti...»
...

«Va bene, allora intanto faccia accomodare lui, poi quando avrà terminato di chiamare...»
...

«Okay» disse voltandosi verso il professore. Poi, ebbe appena il tempo di spiegargli che una delle due persone che dovevano incontrare li avrebbe raggiunti più tardi, quando la serratura si aprì con un clic. Allora la porta si spalancò in un rettangolo di luce, nel quale indugiò una figura, incerta se entrare o sostare sulla soglia.
«Non si preoccupi» lo incoraggiò Dulles «entri e si sieda accanto a noi. Quando avrà chiuso la porta vedrà che i suoi occhi si abitueranno velocemente alla poca luce.»
L’uomo scivolò nel buio fino al tavolo, sedendosi accanto al direttore.
La lama di luce della lampada gli rivelò la parte inferiore del viso, scoprendo un largo sorriso di saluto.
«Professore, le presento l’artefice di quella sedazione» fece poggiando la mano sulla spalla del neovenuto. «Il chimico farmaceutico italiano Velio Di Sangro, suo futuro assistente nel progetto che stiamo mettendo in piedi. Ovvero l’oggetto confidenziale di questa riunione che non potevo rivelarle prima. Le anticipo che si tratta di un’unità operativa che intende mettere assieme le sue competenze con altre esperienze, come le strategie del Federal Bureau of Narcotics, che hanno prodotto dei risultati molto interessanti nel controllo dei gruppi sovversivi statunitensi. Fra pochi minuti ci raggiungerà il suo boss, il commissario Anslinger, e ce ne parlerà lui di persona.»
Il professore fece un cenno d’assenso e tornò a squadrare il volto alienato del negro oltre il vetro.
Controllo dei gruppi sovversivi...

I signori delle ombre (Vincitore Wattys 2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora