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Giovanni vide la scura successione di stabili e palazzi interrompersi.
La strada penetrò in uno spazio ampio, grande. Sulla sinistra si stagliava una struttura tetragona, con gradinate rastremate verso il basso, come solo un palazzetto dello sport poteva esibire. Sul lato opposto si apriva invece un parcheggio sconfinatamente vuoto che i fiochi lampioni perimetrali spogliavano del mistero della notte e velavano di un'aura spettrale e brumosa. In fondo, pensò di riconoscere nelle sagome tondeggianti le singolari tribune arcuate del Velodrome dormiente, immerso in una foschia ambrata che impastando insieme luci artificiali e ombre notturne lo trasfiguravano in una schiena d'asino di dimensioni titaniche.

L'auto percorse fino in cima il viale e prima d'infilarsi sotto un binario sopraelevato svoltò a destra per entrare nel parcheggio dello stadio, come vinta dalla forza gravitazionale di una sfera di vetro a specchi, alta circa sei metri, piazzata lì, poco oltre l'ingresso, senza che intorno a essa nessun evidente elemento ne giustificasse l'architettura, la funzione o la bizzarria.
«Che ganzi 'sti focesi... Sembra una bolla di sapone che si è cristallizzata al suolo» commentò Chiara sorridendo a Giovanni, il quale si strinse nelle spalle e più prosaicamente ripiegò mentalmente sull'analogia con una gigante, seppure immobile, palla stroboscopica, costretta a riverberare sempre il solito paesaggio urbano, che quella sera contemplava il mesto silenzio del Velodrome e una vecchia Mercedes a due posti, anni ottanta, parcheggiata proprio di fronte a essa. Dentro un uomo ingrigito, che accolse i fari della macchina con una faccia da lemure smunto.

La vecchia Mercedes tagliava la notte di Marsiglia, superando incroci vuoti e una sfilza di semafori lampeggianti, nell'indifferente cipiglio di sparuti gatti randagi che alzavano appena il muso dalle loro consuete faccende.

«Quando al telefono Sarti m'ha detto di Velio ho avuto un tuffo al cuore» esordì l'uomo anziano. «Eh sì, un tuffo al cuore. E la memoria poi, non ti dico... Cazzo, Velio, il grande Velio, il genio, l'uomo irriducibile, sempre teso come una cazzo di corda. A lui niente pareva precluso, poteva essere capace di tutto. Era infinito. Tuo nonno era davvero infinito. In tutti i sensi, perché non lo beccavi mai in castagna e quando pensavi di averlo fregato aveva già trovato mille scappatoie oppure ti stava prendendo per il culo, facendotelo credere. Non si fermava mai, sempre un passo avanti. Dove gli altri si disperavano lui iniziava a divertirsi. Eh già, nelle difficoltà lui si divertiva, come se le cose troppo facili non fossero degne del suo ingegno, lo annoiassero. E poi aveva un'energia... Cazzo non era mai stanco. Aveva un'energia mentale che lo sa il diavolo dove la prendesse» poi guardò Giovanni negli occhi «a meno che il diavolo non fosse lui stesso.»

«Ancora però non ci ha detto dove stiamo andando.»
«In un posto.»
«Ma questo ce l'ha già detto al parcheggio.»
«È sempre il solito posto.»
«Casa sua?»
«No.»
«E allora?»
«In un magazzino.»
«E perché ci porta in un magazzino?»
Gli occhi dell'uomo si fecero sparati sulla strada, come puntassero qualcosa davanti al muso della macchina, ma Giovanni comprese perfettamente che quel punto, in realtà, non si trovava fuori bensì dentro la sua stessa testa. «Perché» riprese d'un tratto «con il passare degli anni ti rendi conto che molte cose fatte e vissute si sono liberate dalla ragnatela della memoria, sono volate via, a pezzi o perfino intere. Lasciano dei buchi. Che te devi ricostruire riprendendo foto, documenti, lettere. E più le vicende sono state strane, incredibili, e più sospetti che siano state inventate. Qualcuno, forse tu stesso, le ha create e raccontate. A volte perciò dobbiamo sforzarci di ripeterci la nostra esistenza, punto per punto, dettaglio per dettaglio, ché non ci torni su come il racconto d'un altro. E quella di Velio in maniera particolare. Per come ho conosciuto la sua storia, le parole non sono sufficienti a scacciare l'incredulità. Perché la parole non bastano. Non puntellano la verità. Hanno la stessa consistenza del vento, se non le ancori a qualcosa, volano via.

I signori delle ombre (Vincitore Wattys 2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora