Michael
Misi un piede a terra, issandomi fuori dall'abitacolo opprimente della mia auto che ora sostava in un piccolo parcheggio al margine di quel locale.
Il 'Hey There Delilah', una squallida discoteca con il nome palesemente ispirato alla canzone, si ergeva ai confini della città di cui ero residente.
La fastidiosa icona al led illuminava l'entrata e buona parte del sentiero davanti ad essa con quella stupida luce rosa fosforescente.Il sole stava ormai per tramontare, un leggero venticello frizzante mi accarezzava con delicatezza il volto, passando tra le dita e penetrando attraverso il tessuto fin troppo leggero della mia malconcia camicia di flanella.
Ed erano dolci i suoi gesti.
Avrei voluto notarla, la dolcezza con cui il vento mi sfiorava la pelle, ma c'era quest'altra sensazione a cui davo molta più importanza.
Il dolore.
E quello mi stava colpendo ripetutamente alla bocca dello stomaco, buttandomi a terra e coprendomi con quelle macchie verdi-violacee pure il viso stanco. Era come fosse stato un pittore; ricopriva la sua tela con rabbia, con gesti disperati e violenti, alternando il colore al colore. E io in quel momento stavo diventando la sua opera meglio riuscita.
Non mi accorsi neanche del mio sguardo che si era perso tra i fili d'erba che spuntavano dall'incontro tra l'asfalto della strada e il cemento del marciapiede, almeno fino a quando non udii il suono di un clacson vicino accompagnato da urla di festeggiamento. Mi ripresi e sbuffai, sbattendo la portiera dietro di me, attraversando il parcheggio a grandi falcate e con lo sguardo puntato sulle mie All Stars total black ormai da buttare via.
Premetti il pulsante destro della chiave, per chiudere le portiere della macchina e poi le riposi nella tasca posteriore dei miei jeans sgualciti.
E ok, non ero conciato nel miglior modo possibile, ma poco m'importava dei miei vestiti.
Appena giunsi all'interno del locale, un odore acre si fece strada nelle mie narici facendomi quasi tossire.
C'era meno gente del solito, il dj stava trasmettendo qualcosa ad un volume contenuto probabilmente aspettando che il numero di persone in pista aumentasse.
Avanzai lentamente facendo correre lo sguardo qua e là per il locale, guardando gruppi di persone o cercando dettagli insoliti nella struttura. Mi sedetti poi su una di quelle sedie alte che si vedevano spesso nei bar, facendo un cenno al barista per farmi notare.
Il ragazzo in questione sbuffò, per poi avvicinarsi e chiedermi cosa prendevo.
Aveva una fronte molto ampia, dei capelli bruni tirati su sul davanti che ricadevano di lato e delle labbra rosee ripiegate in una smorfia.
-Qualcosa di molto forte, non mi interessa cosa.
E mentre preparava degli shot differenti tra loro, osservai come si muovevano le luci psichedeliche del locale.
Ritornai alla realtà solo quando il barista, che a quanto diceva la targhetta affissa alla sua divisa si chiamava Brendon, mi mise davanti cinque shot diversi chiedendomi venti dollari.
Non badai allo sguardo compassionevole che mi rivolse prima di tornare a servire i clienti, come non badai al forte mal di testa quando iniziai a bere il primo alcolico della serata.---
Sospirai. Una, due, tre volte.
Presi il piccolo bicchierino di vetro guardandolo quasi implorante. Ma dopo l'ennesimo sospiro rassegnato alzai dal bancone il quinto shot della serata e lo buttai giù velocemente, sentendo l'esofago bruciare. Il liquido mi fece fare una smorfia, era qualcosa di davvero troppo alcolico per i miei gusti ma andava bene così, almeno per quella sera andava bene così.
Con la mente annebbiata dall'alcol mi alzai da quello scomodo sgabello di pelle rossa dove stavo seduto, la musica pop di quello stupidissimo locale ora era troppo alta per i miei poveri timpani, così pensai di uscire fuori.
Barcollai mentre mi muovevo in mezzo a quella massa di persone che ballavano senza neanche un ritmo preciso.
Vidi delle ragazze con dei vestiti fin troppo attillati intente a strusciarsi in modo provocante addosso a dei ragazzi completamente ubriachi e probabilmente fatti, feci una smorfia di disgusto.
Brofonchiai un paio di imprecazioni, scostando malamente chiunque si parasse davanti a me.
Ricevetti tipo tre bestemmie e una miriade di insulti, ma in quel momento le stupide parole di stupidi esseri umani erano solo l'ultimo dei miei tanti problemi.
Appena poggiai la mano sul metallo freddo del maniglione antipanico grigio quasi esultai, mi appoggiai di peso sulla porta e corsi fuori reggendomi in piedi a fatica.
Presi una profonda boccata d'aria più o meno pulita, riprendendomi pochi istanti dopo.
Cercai di prendere le chiavi della mia macchina dalla tasca posteriore dei miei jeans ma senza successo, dopo l'ennesimo tentativo fallito scoppiai a ridere accasciandomi a terra e rotolando sull'asfalto.
Sentivo piccoli sassolini premere contro la mia pelle calda attraverso il tessuto della camicia, li sentivo appiccicarsi al palmo della mia mano destra come fossero fatti di colla.
Mi misi seduto, passando una mano sul braccio e dietro la schiena per togliermeli di dosso, poi provai ad alzarmi un paio di volte, continuando a borbottare parole senza un senso logico e a sbuffare risolini ingiustificabili.
La mia vista era quasi totalmente offuscata, sentivo la temperatura del mio corpo fin troppo alta e non capivo più nulla.
Mi sentivo come se stessi affondando: la vista offuscata, l'ossigeno sembrava mancare e non avevo la forza per risalire; e sì, sarei affondato nei miei problemi, nell'alcol, nell'oscurità più totale.
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falling down ➫ muke [slow updates]
Short Story❝Stavo cadendo nel vuoto. E nessuno sarebbe stato in grado di salvarmi❞ dedicata a tutti quelli che sono sull'orlo del precipizio e che sono ad un passo dal cadere. a tutti voi, perché con voi ci sono anch'io. [#178 in short stories] 12.07.2017