CAPITOLO VI: COME PRIMA...O QUASI

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Il periodo che seguì l'inizio della terapia fu uno dei più controversi della mia vita: se una parte di me faceva ancora fatica ad accettare la decisione che avevo preso, l'altra ne era maledettamente felice.
La mia vita infatti, molto ma molto lentamente, stava ritornando quella di sempre.
Dopo alcune settimane avevo cominciato ad uscire di nuovo, a farmi degli amici e a riprendere i contatti con quelli che, mio malgrado, avevo trascurato.
Quando finalmente rividi Sarah fu come vedere per la prima volta la luce.
Mi corse in contro con il più dolce dei sorrisi e mi strinse le braccia attorno al collo e di colpo tutti i dubbi che avevo sparirono: era quella la vita che volevo e avrei fatto di tutto perché restasse così.
Poi però accadde quello che temevo di più.
Il ricordo di Gabriel cominciò a sbiadire sempre più velocemente e, prima che me ne rendessi conto, rimossi dalla memoria tutto ciò che lo riguardava.
L'avevo perso... Di nuovo.
Mia madre in oltre aveva scongiurato tutte le persone che conosceva – ovvero l'intero quartiere – affinché si evitasse di parlare di Gab in mia presenza, onde evitare il riaffiorare di dolorosi ricordi e fare in modo che le ferite lasciate dal trauma si rimarginassero definitivamente.
Arrivò così l'estate e, per la prima volta nella vita, mi sentivo in cima al mondo: la triste ragazza che aveva tentato di togliersi la vita, quella che si era lasciata andare dopo la tragica scomparsa dell'amico – se così lo vogliamo chiamare – aveva lasciato il posto a una giovane donna, piena di gioia e circondata da amici come mai prima d'allora.
<< Elisabeth, tesoro, scendi un attimo. Io e papà vogliamo farti una proposta >> disse mia madre dalla cucina.
Per qualche strano motivo quella frase mi suonò come un inganno, ma fu abbastanza per convincermi a lasciare senza troppe difficoltà il libro di matematica aperto sulla scrivania.
<< Vedi, zia Prue vorrebbe portare i sui nipoti alla casa al lago. Sai che ormai ha una certa età e che fa molta fatica a gestire quelle piccole pesti, quindi mi sono detta: perché non vai anche tu e le dai una mano? Sarà divertente vedrai, come ai vecchi tempi>>
Ecco dov'era il trucco: dovevo fare da balia a due poppanti e a una vecchia zia con problemi di circolazione!
<< Ed io cosa ci guadagno? Insomma, come proposta non mi sembra molto allettante >>Se dovevo passare una settimana da incubo, valeva la pena chiedere qualcosa in cambio.
<< Beh, che ne dici se provo a sentire i genitori di Sarah? Se non ricordo male, quando eravate piccole avevamo montato le tende da campeggio in giardino e vi eravate divertite un mondo. Potete rifarlo che dici? Penso che saranno d'accordo. E poi non dimentichiamoci che c'è zia Prue a farvi da guardia >> disse facendo l'occhiolino e cercando in tutti i modi di trattenere una risata.
<< Sul serio?! Ma è FANTASTICO! E campeggio sia >> gridai piena di entusiasmo.
Era la prima volta che avevo l'occasione di passare le vacanze lontana dai miei genitori e, se poi contiamo che ci sarei andata con la mia migliore amica, era un offerta che non avrei rifiutato per nessun motivo.
Il viaggio in auto verso il lago sembrò durare un eternità, tanta era l'impazienza.
Più ci avvicinavamo, più sentivo crescere in me l'emozione: dopo tanti anni, stavo finalmente per ritornare nel luogo in cui avevo trascorso gli attimi più belli e sereni della mia vita.
Arrivati a destinazione, mi guardai attorno ed ebbi la sensazione di entrare in un vecchio album di fotografie.
Era come se il tempo si fosse fermato: i colori, i suoni, i profumi erano rimasti quelli di un tempo.
Persino il vecchio orologio a pendolo – che aveva smesso di funzionare da diversi anni – segnava ancora la stessa ora.
Passarono alcuni minuti prima che mi riprendessi, poi aiutai zia Prue e i monelli coi bagagli e partii con Sarah alla ricerca del posto perfetto dove piantare la tenda.
Girammo in lungo e in largo, quando ad un tratto un vecchio albero attirò la mia attenzione.
<< Che ne dici, può andare qui vicino>> chiesi speranzosa.
<< Mi sembra perfetto! Però c'è un problema... Hai mai montato una tenda da campeggio?>>
In effetti non l'avevo mai fatto prima di allora, di solito ci pensava papà, ma non doveva essere così difficile, bastava seguire le istruzioni.
Già, più facile a dirsi che a farsi.
Ci impiegammo un ora buona per capire come muoverci, e quando finalmente piantammo l'ultimo picchetto... tin!
Quel suono non prometteva niente di buono: doveva essere una pietra.
Così scavai con le mani per toglierla – non avevo certo intenzione di smontare la tenda – ma quello che trovai fu qualcosa di completamente diverso: una vecchia scatola di latta, di quelle che non si usano più da secoli, logorata dal tempo.
La aprii con delicatezza e vi trovai all'interno un sacco di foglietti e giochi di quando io e Sarah eravamo piccole.
Era un tuffo nel passato.
Tra una risata e l'altra, esaminammo tutti quei ricordi, ma poi inspiegabilmente Sarah si fece seria e cambiò espressione.
<< Ehi che cos'è quella faccia, hai visto un fantasma?>>
Scattai accanto a lei prima che potesse rispondere e vidi, anche se di sfuggita, la fotografia che teneva in mano.
Era il viso di un bambino, con degli enormi occhi azzurri, i capelli dorati e un sorriso dolcissimo.
<< Mi sembra di conoscerlo, chi è?>> chiesi curiosa.
<<Niente, lascia stare, era un mio amico delle elementari, ma non lo vedo più da anni>>
La risposta non mi convinceva più di tanto – se una sua foto era finita in mezzo ai ricordi più belli della nostra infanzia, un motivo doveva esserci – ma decisi che per il momento non era il caso di insistere.
Nonostante la costante presenza dei gemelli, il pomeriggio sembrò volare, anche se di tanto in tanto la mia mente mi riproponeva l'immagine di quel bimbo.
Dopo la cena attorno al fuoco ero esausta e decisi di tornare in tenda.
Mi addormentai quasi subito, e per la prima volta da quando ero tornata a vivere, sognai.

Lacrime d'angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora