Un balzo.
Era stato sufficiente perché Zar entrasse nel vialetto della villa spettrale.
Strizzai gli occhi e rispolverai tutte le imprecazioni che conoscevo, limitandomi ad un:
-Maledizione, Zar, torna qui!- Chiamandolo dalle sbarre arrugginite del cancello. Avevo una brutta sensazione che mi accelerava il battito del cuore.
Zar ispezionò il giardino bruciato, annusando attentamente rovi e muri. Poi fissò lo sguardo verso una finestra al terzo piano: la tenda grigia era appena spostata e lasciava intravedere un occhio curioso.
Zar prese a scodinzolare allegro e passeggiare sotto la finestra. Io mi morsi il labbro:
-Per l'amore del cielo, Zar, torna qui!- Ma il lupo aveva deciso diversamente. Con agili balzi saltò sugli alberi bruciati, equilibrista sui rami e sul cornicione della finestra. Un lupo comune non sarebbe riuscito a penetrare il vetro impolverato che lo separava dall'interno della villa, ma Zar è pur sempre una creatura custode degli eletti: attraversò lo spesso vetro come se nulla fosse.
Sparì così alla mia vista.
Presi fiato, elencando mentalmente tutta una serie di maledizioni che non avevo il coraggio di pronunciare.
Passeggiai nervosamente su e giù con le braccia incrociate. Che dovevo fare? Seguirlo?
Che diamine, non avevo certo dalla voglia di entrare in quella casa. Perché era entrato lì dentro? Perché?
Era meglio non pensarci.
Presi la rincorsa e scavalcai il cancello, atterrando nelle sterpaglie. Da terra si sollevò della polvere che mi penetrò nella narici. Mi sforzai di non tossire: non volevo attirare l'attenzione su di me. Volevo riprendere Zar e andarmene alla svelta.
Mi arrampicai sugli alberi seguendo il percorso di Zar. Arrivata alla finestra si pose un problema cui prima non avevo pensato: come avrei fatto ad aprirla?
Provai a spingerla, a sollevarla, ma non successe nulla. Il vetro era molto spesso, oltre che molto sporco. Mi avvicinai con l'orecchio, magari avrei sentito qualcosa all'interno, ma mi sbagliavo. Le finestre erano fatte per non far entrare né uscire alcun suono. Isolavano la villa dal mondo esterno. La situazione mi piaceva sempre meno.
Sbattei un pugno contro il vetro, amareggiata: doveva esserci un modo per entrare e recuperare quel disgraziato lupo. Mi accorsi solo allora che dalle mie mani usciva una scia di polvere luminosa. Non avevo idea di che cosa fosse, ma provai a spingere la finestra utilizzando quel bagliore. Più che spingere, mi bastò appoggiarmi per cadere letteralmente all'interno della stanza.Le tende non si erano mosse e nemmeno il vetro si era spostato. Ero io che lo avevo attraversato come un fantasma, ritrovandomi con la faccia sulla moquette impolverata.
Un odore nauseabondo mi penetrò i polmoni, facendomi tossire. Era puzza di chiuso mescolato al marcio.
Ero capitata in una grande stanza, vuota, fatta eccezione per due materassi laceri abbandonati in un angolo. Era tutto buio attorno a me.
Guardandomi le mani, vidi che vi era rimasta un po' di luce. Presi così a sfregarle e il bagliore aumentò, rivelandomi due presenze all'interno della stanza. Una era Zar, l'altra un bambino impaurito e curioso dagli occhi nocciola di circa otto anni. Era chino sul lupo che, pancia all'aria e lingua fuori, si faceva grattare la pancia con aria soddisfatta.
Per un momento ebbi l'impulso di correre a strozzarlo.
Il bambino esitò fissandomi per qualche istante, poi sgranò gli occhi e allargò il sorriso:
-Tu sei una fata!- Mi disse strappandomi un sorriso e facendomi abbandonare i piani di vendetta su Zar.
Mi avvicinai a lui
-Mi chiamo Miki. Tu come ti chiami?- Chiesi. Non volevo farmi vedere da nessuno, ma il sorriso di quel bambino, qualcosa nel suo sguardo, mi aveva commosso il cuore.
-Io mi chiamo Christ!- Disse lui continuando a grattare la pancia di Zar.
-È tuo questo lupo?- Chiese ancora diffidente. Io esitai
-È mio amico, si chiama Zar...tu vivi qui?- Domandai, nonostante il brivido che mi correva lungo la schiena. Quella casa non era un bell'ambiente per un bambino della sua età, non era sano.
-Non è casa mia, noi scappiamo sempre da qui. Tu puoi portarci fuori?- rispose il bimbo con i capelli castano scuro che gli cadevano sugli occhi. Smise quindi di carezzare Zar, senza darmi il tempo di ribattere, o anche solo di realizzare -Tu puoi aiutare mio fratello?- Rimasi in silenzio a guardarlo, non capendo la sua preghiera.Se la stanza di Christ dava l'impressione di reclusione, il resto dalla villa era una prigione. Zar ed io avevamo portato il bambino all'esterno e più volte mi aveva chiesto di tronare all'interno della villa per aiutare il fratello Kyle, chiuso nella cantina.
Temevo mi sarei trovata davanti ad una cella sorvegliata, inaccessibile, ma non ero preparata a quello che effettivamente vidi.
La cantina era una grande sala in pietra umida dove si respirava a stento. Come nel resto della villa, non vi erano luci. Nonostante il buio lo vidi, e trattenni un urlo portandomi le mani alla bocca.
Un ragazzo, avrebbe potuto avere la mia età, dormiva abbandonato con la schiena contro la roccia.
Aveva i piedi nudi, i pantaloni strappati, e il sangue di diversi tagli gli faceva da giacca.
Non si accorse di Zar e me. Non c'erano catene ma sbarre in ferro a trattenerlo. Strofinai le mani, ricreando la polvere luminosa, e la indirizzai verso il ferro che lo teneva prigioniero. Le sbarre iniziarono a cedere, fondersi per l'esattezza, formando un passaggio stretto.
Combattendo contro le gambe che tremavano e l'impulso di scappare, mi avvicinai a lui.
Il suo viso era sereno, nonostante le cicatrici e le ferite fresche, forse fatte poche ore prima. I capelli che avrebbero dovuto essere neri, erano brizzolati, forse a causa dell'orrore che vedeva ogni giorno.
Davanti a lui, le mie gambe non ressero più.
Caddi in ginocchio, tremando.
Capì in quel momento la metafora del topo in trappola. Era in una gabbia radicata nel cuore e nella coscienza di non poter fuggire. Il domani e il presente non avevano differenza, non avevano distanza.
La vita non lo aveva mai guardato in volto. Non aveva mai pianto le sue cicatrici.
Io lo feci. E piansi.
Con gli occhi rossi e il fiato mozzato, piansi di dolore per quel giovane che ancora non si era arreso. L'orrore lo teneva incatenato alla paura, ma lui aveva ancora speranze. Lo capii perché solo una speranza poteva farlo piangere. E lui pianse insieme a me.
Accadde allora qualcosa che non sapevo spiegare: la storia del ragazzo divenne chiara nella mia mente.
Anche lui era figlio di eletti, era orfano assieme al fratello. Un lontano parente li aveva adottati e ogni giorno lo torturava per ottenere il suo potere di eletto. Ogni giorno, Kyle prendeva tra le braccia il fratello e s'inventava un modo per fuggire. Tuttavia la fuga non era mai definitiva e appena abbassava la guardia, veniva ricatturato, e ricominciava la tortura. Quel giovane inerte davanti a me era dotato del potere del fuoco, il potere della distruzione e della rinascita assieme. Ancora però non sapeva come usarlo, come controllarlo. Si aggrappava ogni giorno alla speranza che il piccolo Christ avrebbe avuto una vita degna di questo nome, e combatteva la morte con questo desiderio. Morte che negli anni era diventata una compagna desiderata e temuta: lo avrebbe liberato dal dolore, ma avrebbe lasciato Christ alla mercee del suo carceriere. Pertanto, Kyle non poteva arrendersi. Stringeva i denti e nascondeva le grida e le lacrime, in attesa del momento della fuga dove avrebbe donato un sorriso al fratello minore che tanto amava.
Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi nocciola.
In quel momento lui stesso si rese conto che io sapevo, che ero lì per lui.
Ed io compresi che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, che lui era il mio destino, nel bene e nel male.
Eravamo legati da quel nostro primo sguardo che avrebbe messo a rischio le nostre vite. Solo noi.
Sapevamo entrambe che nessun'altro poteva capire.
Lo lasciai all'ennesima fuga e tornai da Blake.Non dimenticherò mai lo sguardo di Blake quella sera.
Avevamo appuntamento nei giardini della mia famiglia, ma dopo l'incontro con Kyle non avevo entusiasmo di uscire dalla stanza. Perciò Blake venne alla mia finestra con lo sguardo basso.
Quando qualcosa lo turba, lascia che i biondi capelli mal tagliati gli coprano gli occhi e increspa le labbra in una linea preoccupata.
Sospirò due volte.
-Un eletto diventa tutore nel momento in cui il suo destino si lega ad un altro eletto. Non è un patto scritto: è sufficiente uno sguardo per maturare la consapevolezza. Oggi il tuo potere di eletta della luce ha iniziato ad emergere sotto forma del sole, ed io ti insegnerò ad usarlo per difenderti dai pericoli che incontrerai come tutrice.- Disse a voce bassa.
-Kyle è il mio protetto, vero?- L'avevo intuito, l'avevo scelto in quella cantina. Avevo desiderato esaudire la preghiera di Christ e l'unico modo per riuscirci era diventare tutrice.
Blake rimase distante da me
-Non avrei voluto questo incarico per te. Non questo. Vorrei poterti allontanare da questo mondo, ma ormai è troppo tardi...- Biascicò a denti stretti –Ma non ti lascerò sola in questa prova. Cerca di riposare: domani ti presenterò la tua squadra.- E detto questo mi abbracciò e mi baciò la fronte, restando a vegliare sul mio breve sonno.
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Essere un'Eletta
FantasyÈ risaputo che ogni scelta influenza la nostra vita. lo sappiamo, ma non ci pensiamo seriamente. La scelta ingenua di Miki Corrins, fatalità della gioventù, l'ha portata ad essere da alcuni temuta, mentre per altri è diventata un ostacolo da elimina...