Capitolo Diciassette

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Il chiarore della luna illuminava solo i tetti di Saint Lucille, che iniziavano a pochi isolati dalla sua posizione, mentre le strade buie tra un palazzo e l'altro sembravano feritoie senza fine, fosse oceaniche che sprofondavano nel vuoto. Vincent avrebbe preferito che i postumi del temporale fossero durati ancora, avrebbe preferito un cielo nuvoloso a quel chiarore, ma andava bene così. Diede un occhiata in basso, sullo stradone vuoto e isolato, e lo percorse con lo sguardo fino al ponte della metropolitana che lo interrompeva alla vista dando inizio al quartiere maledetto, poi sul quadrante dell'orologio che segnava le tre del mattino.

Salti e movimenti calibrati, un fantasma nell'ombra. Impercettibile, da un terrazzo all'altro con estrema leggerezza, e quella stesse leggerezza lo fece sentire imbattibile. Si lasciò alle spalle anche il ponte della metropolitana, scavalcando la biglietteria e lanciandosi sul balconcino del primo condominio abbandonato di Saint Lucille. Si fermò, si guardò le spalle con la sensazione di non essere da solo ma non vide nulla, poi sentì l'ultima brezza accarezzargli la pelle e svanire nel contempo; anche l'aria sembrava temere quella zona, ed oltre il buio dei suoi confini il vento pareva non soffiare più, cessava come la vita stessa.

Scrutava le prime sagome, le prime sentinelle sopra i tetti. Una dozzina in un raggio di cinquanta o sessanta metri, almeno quelle che poteva vedere. Un passaggio muto e rapido, dalla mitraglietta che impugnava a tracolla al coltello sotto la giacca.
Passi veloci e pesati.
Preciso, non un punto qualsiasi, e la prima vittima di Vincent non emise alcun suono. Estrasse il coltello dalla carotide e tenendo la mano stretta sulla bocca dell'uomo lo accompagnò per terra, mentre emetteva gli ultimi e sordi respiri nell'ombra dietro un grosso climatizzatore.

Fece lo stesso con un altra decina di uomini, sentì la loro puzza inondare l'aria man mano che proseguiva. L'ultimo di quell'isola condominiale si era insospettito non vedendo più i compagni e mentre si avvicinava col fucile in mano, Vincent si nascose dietro un muretto di cemento. Balzò fuori quando lo udì ad un metro da lui, disarmandolo e tappandogli la bocca in una frazione di secondo. Lo tenne bloccato da dietro, con la guancia premuta sul pavimento e le braccia incrociate sulla schiena.

«Rouf, dov'è il bastardo?»

L'uomo avrebbe voluto gridare, cercava di aprire la bocca e muovere le braccia con tutta la sua forza. Vincent capì che non avrebbe potuto concedergli parola, tantomeno liberargli un solo arto per ottenere una qualsiasi informazione, poiché l'omone, di quasi due metri d'altezza, avrebbe fatto rumore attirando l'attenzione delle sentinelle appostate sopra gli altri palazzi.

Gli infilò il coltello nella gola lateralmente e quando lo estrasse il sangue uscì a fiumi, bagnandogli del tutto la mano. Puzzava, anche il sangue di quell'essere puzzava di putrido e Vincent per un attimo pensò che avrebbe voluto aprirlo per guardare cosa ci fosse al suo interno, per capire di quale materia fosserò costituiti quei mostri.

Ora il silenzio mentiva, un altra sensazione ruppe la concentrazione di Vincent che si voltò di scatto con il coltello gocciolante ancora in mano. Troppo veloce per essere un uomo di Rouf, troppo abile e silenzioso per essere uno di quegli animali. Gli arrivò addosso come un onda, controluce sulla luna come un demone. Schivò la lama luccicante dello sconosciuto rotolando alla sua destra, poi con uno scatto si rialzò e allo stesso tempo tirò un calcio sull'avambraccio dell'uomo, facendogli perdere l'enorme coltello.

Combatterono fino ad incastrarsi l'uno con l'altro, afferrati per il collo, quando anche l'uomo era riuscito a disarmare Vincent. Spinse l'uomo per terra con tutta la sua forza e quando fu sopra di lui finalmente capì, osservando gli occhi dell'uomo spalancati al chiaro di luna. Solo un paio ne conosceva, color ghiaccio, di un azzurro quasi impercettibile, gonfio e scolpito per i duri allenamenti. Aveva la forza di un leone a premergli sul collo facendolo sentire come in una morsa.

"Yuri maskow"

Vincent ricambiava la presa, provando anche a sbattergli la testa sull'asfalto ripetutamente, ma sembrava del tutto futile. Pochi istanti e fu Vincent a trovarsi al di sotto con un ginocchio sull'addome e le mani strette sul collo, questa volta non aveva abbastanza forze per stringere il collo del russo.

Stava perdendo i sensi, mancava l'aria ed un calore lo percorreva lungo tutto il corpo concentrandosi alla fine dentro la sua testa. L'ambiente era diventato più scuro adesso, la sagoma di Yuri lontana e sfuocata.

Il viso del padre apparve nitido invece, i dettagli perfetti, la luce reale. Vedeva la madre rimproverarlo senza capirne le parole, il fratello sorridergli furtivamente, come fossero complici di qualcosa. Poi la mano del padre, pesante e severa, tirargli uno schiaffo tanto forte da farlo girare su se stesso. Immagini surreali.

Tornò sul russo, l'ambiente ancora buio, la mente tornò lucida.
Il pugno su una costola sinistra di Yuri, più e più volte fino a farlo dondolare ed allentare la presa di una mano. Il russo si sbilanciò alla sua destra e Vincent con una ginocchiata lo fece smuovere a lato.
Giusto le forze per sferrargli un calcio sul fianco sinistro e farlo cadere a terra.

Notò che la mitraglietta che teneva a tracolla si era sganciata, l'aveva persa durante il combattimento. Balzò comunque sopra di lui, prima che riuscisse ad alzarsi, sedendogli sul petto e bloccandogli le braccia con le gambe. Poi estrasse il coltellino di riserva dalla cinta e glielo mise alla gola. Yuri respirava a fatica, per quanto fosse tenace si era stancato.

Schernì amaramente Vincent non appena si rese conto di essere arrivato al capolinea, gli sputò in faccia e Vincent ricambiò con un pugno sul naso.

«Dov'è Rouf?! Morico... quel bastardo... dimmi dove trovare Rouf in questo posto di merda!» esclamò Vincent rabbioso, ma senza alzare la voce per il timore di allarmare qualcuno.

Yuri non rispose, sorrise sarcasticamente.

«Dov'è?! Sporco infame!»

«Chiedilo alla tua puttanella, sono passato pensando di trovarti ma non c'eri più» e Yuri continuò a sogghignare maliziosamente.

La lama di Vincent affondò nella carne, poi la ruotò facendo contorcere l'uomo in una smorfia di dolore. Strappò il coltello verso l'alto così forte da bagnare di sangue tutto ciò che circondava quel punto, quasi staccandogli la testa in un solo e lungo taglio. Dall'arteria schizzava fuori sangue a ritmo cardiaco.



VincentDove le storie prendono vita. Scoprilo ora