4. Le Cygne

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4.


Je pense à mon grand cygne, avec ses gestes fous,

Comme les exilés, ridicule et sublime,

Et rongé d'un désir sans trêve ! et puis à vous,


Penso al mio grande cigno, con i suoi gesti da folle,

come gli esiliati, ridicolo e sublime,

e corroso da un desiderio senza tregua! e quindi a voi,


Le Cygne

Les Fleurs du mal

Charles Baudelaire









*


Jimin fingeva di non ricordarsi di quel giorno. Fingeva che il trauma lo avesse cancellato dalla sua memoria. Sapeva che se gli altri avessero saputo, li avrebbe distrutti. C'erano cose di cui era semplicemente meglio non parlare più.  


Ma Jimin ricordava bene quel giorno, la nitidezza con cui quel pensiero lo aveva colpito, netto, irrevocabile, tragicamente incancellabile. 


Il pensiero che lui non voleva più vivere.


I giorni erano troppi per poterseli dimenticare.

Jimin non era morto una sola volta. Aveva continuato a morire, ogni giorno, per anni.


Chiodi nelle scarpe da ballo, oggetti che sparivano, pettegolezzi degradanti, labbra strette, occhi lucidi, risa beffarde.


Fingeva di non ricordare il vuoto.

L'orribile sensazione di non avere un appiglio, di star cadendo, e poi il dolore, quel dolore lancinante, il panico, perché le sue gambe non si muovevano, non si muovevano, e il sapore salato delle sue lacrime perché non poteva vivere senza le sue gambe, era meglio essere morto.


Fingeva di non ricordare le risate provenire da in cima alle scale, mentre guardava in alto, occhi appannati e bagnati, le ombre di chi l'aveva fatto precipitare verso la sua rovina che non si muovevano ad aiutarlo, che lo condannavano.

Passò troppo tempo, troppo tempo prima che qualcuno smettesse di ridere, che qualcuno lo soccorresse.


  Troppo tempo. 


Non c'era niente che non andasse. Una semplice distorsione. Sarebbe dovuto tornare tutto come prima.

Riusciva a camminare. Camminò fino alla stazione, poi fino alla scuola di danza, continuò a camminare fino a dentro la sala da ballo, sotto gli occhi sprezzanti dei suoi compagni.


Ma al primo passo su musica le sue gambe cedettero, il dolore lancinante, come se si trovasse ai piedi di quella scalinata, di nuovo, ancora. Poteva sentire le risa di chi l'aveva spinto nelle sue orecchie, assordanti, e le sue urla non erano per il dolore, no, erano per coprire quel suono orribile, quel suono che lo stava uccidendo.


Non c'era niente che non andasse nelle sue gambe. Poteva camminare, correre, saltare. 


Ma non poteva più ballare. 


La sua unica ragione di vita gli era stata strappata violentemente, lasciandolo senza niente a cui aggrapparsi, senza un peso, e a ogni folata di vento rischiava di volare via. Aveva lottato così a lungo e con così tanta fatica, dibattendosi, dimenandosi, causando onde e cerchi nell'acqua. Ma l'acqua era tornata a farsi immobile, impassibile, soffocante. 


Lui non voleva più vivere.


Non così, almeno. 


Quel pensiero lo aveva roso dall'interno, lentamente, silenziosamente, lasciando solo un involucro imperturbabile. Nessuno avrebbe potuto immaginare il mostro che nascondeva dentro.

Mentre metteva i piedi nell'acqua, uno alla volta, gli parve di ricordare di aver letto da qualche parte che il suicidio era il più forte e disperato richiamo alla vita.

La volontà primigenia di vita rendeva la stessa vita impossibile.

Quel pensiero aleggiò nella sua mente mentre il freddo lo avvolgeva, un centimetro alla volta, gli scivolava addosso, prendendosi prima quelle gambe traditrici, poi il ventre, le braccia, il collo, le labbra. Ben presto solo il naso e gli occhi rimasero al di sopra della superficie.

Un ultimo disperato impulso vitale lo percorse, un richiamo, una richiesta di aiuto, che qualcuno, qualcuno lo salvasse da se stesso, da quel futuro completamente nero, da quel dolore che non lo abbandonava mai, mai, mai.

Singhiozzò forte, ma l'acqua inghiottì il suono, prendendosi anche quell'ultima parte di lui.

Nessuno sarebbe venuto. Perché non c'era nessuno. Non c'era nessuno.


E finalmente, Jimin si lasciò andare. 






*






Nota dell'autrice: 

                                    Capitolo 2.2: "Era una danza goffa e completamente fuori tempo, ma Jimin stava ridendo e stava ballando."
 

Seafret - Oceans:

      

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