Nelle fucine

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Mairon passò le dita in mezzo ai fogli di pergamena, leggendo un'ultima volta i progetti che vi erano scribacchiati sopra.

Aulë aveva dato ordine a lui e a Curumo di ritirarsi, ma Mairon doveva prima portare i progetti alle fucine, o se li sarebbe dimenticati.

Ci mise poco a raggiungere le fucine. Conosceva talmente bene la strada per arrivarci, che vi giunse senza staccare lo sguardo dai fogli.

Con una mano spinse la porta d'ingresso del suo laboratorio, senza smettere di riguardare i progetti. Non distolse lo sguardo da essi nemmeno per accendere una candela.

Si diresse alla scrivania, dove lui si sedeva per progettare le sue nuove creazioni, come testimoniavano i vari fogli appesi al muro attorno al tavolo, pieni di disegni e di note e calcoli scribacchiati in fretta e furia. Mairon rimase in piedi davanti al tavolo per qualche minuto, osservando i progetti e controllando minuziosamente di non aver fatto errori nel calcolare le misure e le quantità di materiale necessario.

Quando finalmente si fu accertato di aver scritto ogni misura e annotazione possibile, immaginabile e necessaria, posò i fogli soddisfatto. Avrebbe lavorato il giorno seguente a quei progetti.

Appena però si liberò la mente dai pensieri che lo avevano tenuto occupato fino a quel momento, si accorse che qualcosa non andava: l'oscurità che regnava in quella stanza, a malapena dissipata dalla luce della candela, pareva portatrice di freddo, di paura e di disperazione.

Mairon corrugò la fronte. Mai aveva provato quelle sensazioni nelle fucine di Aulë. Altre volte vi si era recato di notte, ma l'atmosfera era sempre stata calda (dopotutto era una fucina), impregnata dell'odore del sudore, risonante degli sbuffi di fatica e del battere dei martelli. Mai aveva sentito freddo. Si era sempre sentito protetto in quel luogo, al sicuro, come avvolto da un bozzolo. Era quello il luogo dove si sentiva se stesso, dove si sentiva libero, dove si sentiva vivo.

Perciò era davvero strano sentire quel freddo.

Prese la candela e si girò per andarsene. E quando lo vide si irrigidì, rimanendo immobile, la candela stretta talmente forte nella mano che le sue nocche erano diventate bianche.

Una figura, immobile, interamente coperta da un mantello con tanto di cappuccio, si stagliava contro la luce notturna che filtrava dalla finestra, che, come al solito, era aperta. Un lieve venticello soffiava nella stanza, muovendo le tende attaccate alla finestra e rendendo la figura più misteriosa e minacciosa di quanto già non fosse.

Essa stava immobile. Mairon non avrebbe saputo dire se era girata di spalle o verso di lui. L'oscurità non gli permetteva di saperlo, ma a lui non importava che lo guardasse o meno. Sapeva chi era.

-Tu devi essere pazzo- sussurrò a mezza voce -per entrare nelle fucine del mio signore-

-Lo siamo tutti, oppure lo siamo stati, almeno una volta nella vita- replicò una voce profonda, talmente profonda che Mairon non avrebbe mai detto che appartenesse a un essere umano. O meglio, a un essere con fattezze umane. Perché quello non era un uomo, no non lo era. Mairon lo sapeva da prima ancora che lui parlasse.

-Cosa vuoi da me, Melkor?- chiese il Maia, anche se sapeva benissimo cosa voleva.

La figura si diresse verso di lui, abbandonando la rigida posa con movimenti fluidi. Con un gesto rapido si levò il cappuccio, rivelando un volto cinereo, dai lineamenti duri e squadrati come la pietra, e una liscia chioma di capelli corvini: Melkor, il fratello di Vala Manwë, il Vala rinnegato.

-Tu lo sai benissimo cosa voglio- disse. Si era avvicinato a Mairon, i visi erano talmente vicini che i loro proprietari potevano sentire i rispettivi respiri sulle guance e sul naso.

Nelle fucine // Angbang OS - Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora