Uscii dalla stanza accompagnata dal cigolio della porta, mi guardai intorno incuriosita; le pareti erano bianche, ma a differenza della mia stanza erano abbellite con dei quadri di fiori o paesaggi, principalmente balneari. Sembrava molto una casa delle bambole quel posto: i colori delle pareti, dei quadri, erano molto delicati. Camminai un po' ed arrivai ad una specie di piccolo soggiorno, c'erano un divano, una televisione, un tavolino da caffè e un vecchio Jukebox. Mi avvicinai a quest'ultimo, lo sfiorai con la punta delle dita e chiusi lentamente gli occhi, come se quell'apparecchio mi avesse accompagnata nei momenti migliori della mia vita, quella che ignoravo completamente.
-Ci sono dei grandi classici- disse una voce alle mie spalle.
Sobbalzai girandomi scoprendo così il viso del mio interlocutore: aveva un accenno di barba, gli occhi verdi, molto più limpidi dei miei, era più alto di me di una quindicina di centimetri. Indossava dei pantaloni e una maglia semplice, tutto era bianco a partire dai nostri indumenti fino ai pomelli delle porte. La sua voce era roca e vivace, appena la sentii mi si scaldò il cuore, le sue iridi e le sue labbra spaccate mi colpirono subito. Il suo sguardo era talmente penetrante che ne fui quasi intimorita, ma non spostai i miei occhi dai suoi, probabilmente non ci sarei riuscita neanche volendo. Sbattei più volte le palpebre per riprendermi dallo stato di trance in cui ero caduta,
-Ah davvero? Tipo quali?- domandai incuriosita.
Si avvicino a me, maneggiò un po' con il jukebox fino a che non iniziò un grande classico della musica rock degli anni '70: Carry On My Wayward Son. Sorrisi nel sentire i Kansan suonare quella magnifica canzone, mi guardò accennando un sorriso in rimando mentre mi sedetti sul divano in pelle beige e osservai nuovamente l'ambiente intorno a me.
-Suppongo che tu sia nuova da queste parti, non ti ho mai vista. Io sono Jensen, piacere di conoscerti- mi porse la mano che osservai per qualche secondo prima di stringere, una presa forte e sicura la sua.
-Cosa si fa qui? Voglio dire, mi hanno detto che questo posto serve a riabilitare le persone che hanno subito...dei traumi? Credo che quell'uomo abbia detto qualcosa del genere-
-Oh certo, devi aver parlato con il Dottor Phill. Beh, qui si fanno molte cose... si ascolta la musica, si dipinge, si fa qualche seduta di terapia con qualche dottore...-
Eravamo tagliati fuori dal mondo, chiusi in una struttura con sbarre alle finestre, dispersi in una distesa di alberi della quale non si vedeva nemmeno la fine. Chiusi gli occhi riflettendo e percependo un lieve dolore alla testa e un pizzichio da sotto le garze che mi avvolgevano il braccio sinistro, nel frattempo Jensen interruppe il suo discorso descrittivo per osservarmi e sorridere in modo quasi nostalgico.
-Tu mi ricordi tanto una persona, ma non riesco proprio a ricordare chi-.
Alzai le spalle in risposta non sapendo sinceramente cosa dirgli e mi rialzai cominciando a camminare a piccoli passi verso una rampa di scale che conducevano ad un piano inferiore. Lui mi seguì mentre percorsi gli enormi gradini in marmo passando le mie sottili dita sul corrimano ghiacciato e giunsi dinanzi ad una grande portafinestra che si affacciava su un giardino. Mi avvicinai al vetro che mi parve tanto sottile da potersi infrangere con una folata di vento e ammirai le siepi perfettamente tosate poste parallelamente al cancello che impediva l'accesso alla foresta; le panchine in legno erano posizionate in modo che sedendocisi sopra si possa osservare soltanto la struttura in cui risiediamo.
-Bello, non é vero?-
-Un po' triste... é sempre così vuoto questo posto?- chiesi volgendo il mio sguardo verso il giovane uomo che scosse la testa in risposta infilandosi le mani nelle tasche.
-Sono tutti impegnati a parlare con qualche dottore o a pensare modi in cui uscire di qui. Sai, non puoi uscire finché non sei "guarito" e "riabilitato" secondo il direttore sanitario della struttura-.
Mentre stavo per chiedergli se potessi parlare con questo direttore, un uomo molto alto e magro interruppe il nostro dialogo fissando con sguardo apatico Jensen. Lo osservai attentamente e trovai curiosa l'espressione di quell'uomo, sembrava quasi che fosse annoiato e stufo; come se ripetesse sempre le stesse cose, giorno dopo giorno. Dopo aver sfoderato un sorriso a trentadue denti verso il medico, o forse l'infermiere, Jensen mi disse che doveva andare a fare una visita e che era parecchio in ritardo. Lo osservai andarsene insieme a quella figura slanciata e mi accorsi di essere nuovamente sola, immersa nel vuoto e nella confusione della mia mente.
Girai per i corridoi della struttura per un bel po': muri color pastello si susseguivano uno dopo l'altro, ogni finestra era munita di sbarre ed ogni porta di un allarme esterno. Arrivai in un grande corridoio nel quale erano presenti dei quadri ben diversi da quelli che vidi precedentemente. Nessuna finestra, solo un susseguirsi di illustrazioni che sembrava raccontassero una storia, come fossero collegate. Una donna senza vestiti era rappresentata nel primo dipinto: colori molto tenui la circondavano, una mano era poggiata sul suo petto mentre l'altra si allungava verso un lago limpido; un quadro che mi trasmise subito serenità. Dopo qualche passo mi ritrovai davanti ad un'altra tela e poi un'altra ancora, un susseguirsi di immagini che viste una dopo l'altra ricostruirono un qualcosa: la donna venne circondata da colori sempre piu scuri e minacciosi, dal lago fuoriuscì un'altra figura, una figura scura che afferrò la mano della donna appropriandosi di lei affresco dopo affresco. Arrivai con il fiatone dinanzi all'ultimo dipinto: la tela era completamente nera, come inghiottita da un'inquietante presenza. Mi accorsi di essere giunta alla fine del lungo corridoio e un'enorme porta nera come la pece era situata lì; potevo vedere le venature del legno impregnate di oscurità. Un suono cominciò a propagarsi, inizialmente lo percepii come lontano, ma col avanzare dei secondi si fece sempre piu forte e vicino, non riuscivo proprio a capire che cosa fosse. Percepivo un'enorme pericolo provenire da quel mogano così scuro che stonava completamente con tutto il contesto.
Il rumore era oramai diventato assordante e il mio respiro sempre più corto, poggiai una mano sul mio petto e mi accorsi che ciò che sentivo era il palpitio del mio cuore; tentava di spaccarmi le costole per liberarsi e batteva, batteva con violenza inaudita. Si scontrava contro la mia gabbia toracica con così tanta forza che potei percepire il dolore di ogni singolo colpo fino a che una mano gelida si posò sul mio braccio facendomi sprofondare nel abisso della mia mente.
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Novela JuvenilÈ tutto bianco. Persino la mia pelle è talmente candida da mimetizzarsi con tutto questo bianco. Ma c'è qualcosa che stona, è rosso. Sta impregnando tutto ciò che mi circonda...