3. Breath

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Non riuscii a vedere nulla, il buio mi circondava completamente pietrificando il mio corpo. Era come se stessi galleggiando nell'oscurità più totale, circondata soltanto dal freddo e dalla solitudine. Le mie labbra si schiusero lentamente nel tentativo di far riempire i polmoni d'ossigeno, ma ciò che li  invase fu un enorme quantità di acqua ghiacciata. Mentre il mio corpo cominciò a contrarsi e divincolarsi da quella morsa invisibile, cercando di ritrovare l'aria di cui venne privato, percepii le montagne sgretolarsi sotto gli inesorabili colpi delle onde. I miei arti non vollero muoversi di un millimetro, dentro di me si stava riversando con violenza l'oceano; pronto a distruggermi e a disintegrarmi come se fossi stata di cristallo.

Luce.

Così come i nostri polmoni si dilatano dolorosamente alla nascita per interporci alla vita, mi ritrovai a rivivere quella sofferenza rinvenendo. Il petto si gonfiò lasciando libera entrata all'agognata aria di cui il mio corpo necessitava.

Spalancai la bocca in ricerca di ossigeno, il sole mi accecò con i suoi raggi bollenti. Sollevai il busto lentamente e misi a fuoco l'ambiete circostante, il respiro ancora affannato e il cuore che palpitava furiosamente. Un'enorme distesa di margherite si impadronì della mia visuale

-Belle vero?-

Girai la testa di scatto nella direzione di quella voce, Jensen era lì in piedi con le mani nelle tasche a contemplare la magnificenza di quei minuscoli fiori che dominavano sul prato verde come i suoi occhi. Ci passai in mezzo le dita bagnandomi leggermente per via della rugiada, non stavo affogando. Lentamente mi alzai portando il mio sguardo dai fiori ai grandi alberi che contrastavano dietro al cancello bianco, alti più di 20 metri avrebbero intimidito anche il più coraggioso degli avventurieri; alleggiava una strana atmosfera intorno ad essi.

-La foresta è un luogo pericoloso, chiunque si è inoltrato fuori da quel cancello non è più tornato-.

Puntò i suoi occhi su di me e percepii che quello era un avvertimento, un invito a non provare ad andare oltre.

-Che cosa c'è oltre la porta nera?- mi azzardai a chiedere

-Quale porta nera?-

-La porta in fondo a quel corridoio pieno di dipinti di una donna-

corrugò la fronte confuso -Non c'è nessun quadro che rappresenti una donna, ci sono solo barche e paesaggi marini. Se esistesse un corridoio del genere ne sarei a conoscenza, sono qui da molto tempo. Devi averlo sognato dopo essere svenuta, il tuo organismo è ancora debole per permetterti di girovagare da sola-.

Possibile che me lo fossi davvero immaginato? Eppure mi è parso così reale.

-Ti ho trovata e ti ho portata in giardino così che nessun medico potesse trovarti, se racconti qualcosa dal genere ad uno di loro inizieranno a rimpinzarti di farmaci-.

Premetti le labbra insieme riflettendo a lungo sulle sue parole, me lo ero immaginata di certo. Portai una mano sul mio petto sfiorando lo sterno con le dita e ripensai al dolore che avevo percepito qualche minuto prima, che fosse stato anche quello uno scherzo della mia mente?

-Tutto bene?- era come se i suoi occhi indagatori scrutassero ogni brandello della mia anima con attenzione.

Annuii girandomi verso la struttura, forse era meglio se fossi entrata per vedere quale programma riabilitativo mi era stato assegnato. Mi incamminai seguita da Jensen che si era oramai appropriato del ruolo di "guida turistica", rientrando dalla porta finestra non potei trattenermi dal controllare ogni dipinto presente sui muri in cerca di quella famosa donna; ma lui aveva ragione, tutti i quadri erano identici: barche, tramonti, distese d'acqua e nient'altro.

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