Prologo.

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Roma, 2014.

Il giornalista è appena arrivato, Camilla lo ha fatto sedere sul divano in salotto, quello di pelle, di fronte alla mia poltrona. 

È un uomo sui quarant'anni, credo, brizzolato e con un paio di occhiali davvero bizzarri. A dire il vero, anche i suoi vestiti sono leggermente bizzarri. Coloranti e allegri, ma gli stanno bene. Iniziamo l'intervista, oggi sono cento anni dallo scoppio della grande guerra che ha devastato la mia vita. Ma che l'ha anche resa degna di essere vissuta. Mi chiede di raccontargli la mia vita, a quell'epoca. Ma cosa dovrei dirgli?  Una vita ho iniziato ad averla solo dopo, la guerra. Solo dopo aver conosciuto il vero...

< non avevo mai compreso l'autenticità del vero, signor Agnotti. Vede, io vivevo in un epoca in cui tutto era fondato su un'etica e una morale ben precisa. E guardando quello che adesso tutti chiamano ''valori'' capisco quanto io fossi fortunata,  vivere in quell'epoca. E mi sento terribilmente stolta, poiché io ho capito cosa fosse il vero quando era troppo tardi. Sono lieta, però, che loro lo abbiamo capito e lo abbiano saputo custodire,  quel vero.>>

<<loro, loro chi? >> domanda, sorridendo con garbo.

<<le due anime più pure che io abbia mai visto. Lui era mio fratello e lei... lei era una folle, signor Agnotti, una folle.  Ma ha salvato mio fratello, con la sua follia.  e loro hanno salvato me. >> dico, muovendo a scatti le mani.  Ho ancora i brividi, quando parlo della loro storia. <<e magari, dopo questa storia, io salverò qualcuno >>

<<da cosa? >> domanda, smenttendo di scrivere. Un sorriso si forma sulla mia labbra.

<<dal mondo. Dalla noiosa e banale regolarita del mondo>> dico, ripetendo le parole di quella folle. 

<<vada avanti >> mi incoraggia,  con un sorriso gentile.  Prendo un respiro profondo e inizio. 

<<vede, signor Agnotti, la mia vita era molto diversa da quella di una ragazza di ora, come può ben immaginare. La mia famiglia era di ceto medio elevato, e solo ora mi rendo conto di quanto i miei genitori se ne compiacessero.  Eravamo in tanti, in casa. Avevo cinque fratelli, tutti più grandi: io e mio fratello Andrea eravamo gli ultimi.  Io avrei dovuto seguire i piani di mia madre e, a sedici anni, avrei dovuto sposare un uomo di buona famiglia, quello che mio padre avrebbe considerato un buon partito.  Ma, qualsiasi fosse il controllo che mia zia Rossella esercitasse su di me, io non lo feci. Non mi sposai,  a sedici anni.  Studiai così tanto da diventare il membro della famiglia ad aver letto più libri e che conosceva più lingue.  Ed ero felice, felice della mia cultura. Conoscevo le stelle, i paesi di tutto il mondo e sapevo a memoria tante poesie. Ma ero una ragazzina ingenua, che sapeva ben poco, della vita.
Andrea sarebbe dovuto diventare... Qualsiasi cosa, tutto, tranne quello che era>> dico, arricciando le labbra <<ma non... Lui non era quello che mio padre voleva che fosse, da bambino. Così, mentre io mi immergevo nei libri di storia e letteratura, lui si immergeva in tramonti infiniti.  Che si estendevano immensi, davanti ai suoi occhi. Ma... Mio padre non ne era contento. In realtà, signor Agnotti, lui non era felice nemmeno di me.  Io e Andrea eravamo troppo diversi da quello che i nostri genitori si aspettavano. Troppo diversi.  Mio fratello, a dieci anni, fu mandato in un prestigioso colleggio, in Francia. Ci rimase per diversi anni, in Francia. Tornava, ogni Natale e per due mesi in estate, e ogni volta che tornava era sempre un pò più cupo.  A mano a mano, il bambino che fissava i tramonti era diventato un uomo.  L'uomo che mio padre desiderava che fosse. 
''Guarda'' diceva a mia madre, ''adesso il ragazzo sta davvero bene''. 
A diciassette anni, mio fratello era tornato in Italia, a Roma, e non sarebbe tornato più in Francia. Non ricordavo più il bambino che guardava il tramonto, non riuscivo più a trovarlo. Adesso era solo un uomo, come tutti i miei fratelli, del resto. Tutto cambiò, lui cambiò,  quando>> dico e mi si incrina la voce <<quando la vide>>.

Nonostante le stelle. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora