Fuggi

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Il mattino seguente decisi che non avrei fatto nessuna valigia, nono potevo, non dovevo, così che se i soldati fossero tornati per assicurarsi che non ci fosse nessuno non avrebbero sospettato nel vedere due grandi armadi vuoti. Misi il cappotto di mio padre che nessuno aveva toccato dalla sua scomparsa così da camuffarmi meglio e poter nascondere comodamente Gabriel, lo stesso fece Seb. Andai al mercato e incontrai Mary. Nessuno disse niente, dovevamo restare invisibili. Riuscimmo a raggiungere la stazione e a passare i controlli grazie al mio aspetto poco ebreo e alla capacità di persuasione della donna. Solo una volta saliti sul vagone e presi i post più lontani e isolati la tensione ci liberò dalla sua gabbia. Mary tirò quello che poteva essere un sospiro di sollievo o di rammarico. Doveva avere inteso che mia madre non ce l'aveva fatta perché nel guardarmi lessi il suo tormento. Feci uscire Gabriel da sotto il cappotto, lei sembrò sorpresa, ma scelse di non fare domande, poteva intuire lo stato incerto della mia stabilità mentale in quel momento. "Perché papà ci ha abbandonati?" "Non ti permettere ragazzina, tua padre si è comportato da eroe" "Ah certo, ha scritto un articolo che non ha sorbito gli effetti che voleva e non ci ha aiutati a uggire insieme..." "Sei troppo piccola e rancorosa per capire. Quel famoso articolo di ci parli tanto ha permesso a 8 nuclei familiari ebrei di fuggire appena in tempo grazie al contributo degli addetti stampa della ditta per cui lavorava. I suoi colleghi erano italiani e in principio appoggiavano il governo del Duce, ma quanto egli si è alleato con Hitler hanno sempre nascosto la loro disapprovazione. Tuo padre riusciva a guadagnare somme decorose, ma non si tirò mai indietro nell'aiutare chi invece faticava ad arrivare a fine mese e spesso prolungava la sua attività lavorativa per permettere ai colleghi in trasferta di raggiungere in tempo le proprie famiglie. Quando ha pubblicato i suoi scritti ha esplicitamente chiesto aiuto a loro per avvertire e aiutare le famiglie ebree di sua conoscenza, parentela o che risiedevano nelle vicinanze, ma sottovalutavano il pericolo e al fine di non metterli in pericolo non ha citato nessuno nelle sue contestazioni scritte." "Che fine a fatto?..Tu lo sai?" azzardai titubante. "Ricordi la casa Mori dove andavi da piccola? Ebbene non ci abita più nessuno dopo l' arrivo di alcuni soldati tedeschi, per mano di una famiglia italiana con cui non scorreva buon sangue e che aveva denunciato i proprietari di presunto furto. Dopo il fatto tuo padre si sarebbe dovuto rifugiare lì. Non poteva avvisare nessuno né tornare da voi perchè lo stavano cercando e sapeva che una volta scoperta chi era la sua famiglia sarebbe arrivato da voi. I colleghi non hanno detto niente e tuo padre ha segretamente continuato con loro ad aiutare finanziariamente e stampare visti e falsi passaporti tedeschi e italiani a tutte le famigli ebree nel raggio di 100 km. Voleva tornare da voi dopo dieci mesi. Il tempo sufficiente per farsi i documenti falsi e dare il tempo alla gente di dimenticarlo". Scoppiai a piangere silenziosamente per non attirare l' attenzione. Mi sentivo un mostro per avere dubitato delle capacità e degli intenti di mio padre, ero stata una sciocca e lo avevo biasimato solo perchè io avevo paura, io non sarei riuscita a fare tutto quello che lui aveva fatto "Piccola, non è colpa tua" disse dolcemente Mary prendendo Gabriel dal mio grembo. Quelle ultime cinque parole erano come miele sulle mie ferite, bruciavano come fuoco ma allo stesso tempo ricucivano il taglio profondo con la loro dolcezza delicata. No era colpa mia e io lo dovevo capire, dovevo smetterla di sentirmi la causa di tutto e in dovere di decidere cosa pensare e di chi pensarlo. La mia vita era troppo delicata e fragile perché io potessi metterne in dubbio l utilità e continuare ad accendere conflitti inutili. La verità era una, io ero viva ed ero lì ancora tremante e sconvolta dalla rapidità degli eventi, veloci, veloci come lo erano le rotai sferraglianti che sembrava fuggissero anche loro con la sola differenza che il treno seguiva un percorso preciso e sapeva che una volta a destinazione sarebbe tornato a casa mentre io, io non sapevo più dovere era la mia di casa e se mai ci sarei tornata. Non avevo la forza per prendermela con nessuno nemmeno con me stessa. Decisi che l arma più potente era il perdono, allora perdonai tutti, i soldati che avevano preso mia madre, i miei compagni di scuola che non mi parlavano più, le persone che mi guardavano con disprezzo; le perdonavo cosi che un giorno si sarebbero vergognate e sentite sprofondare nel realizzare che avevano rovinato la vita di innocenti e nel gesto del mio perdono avrebbero visto i loro errori e forse, una nuova speranza. Quella di ricominciare, abbandonare la loro fervente ricerca di ricchezza e perfezione che mai, e dico mai sarebbe stata posta nella mai di chi come loro si era macchiato dello stesso sangue dei propri fratelli, perché questo siamo. Figli di uno stesso Dio, chiamato e celebrato in modi diversi, che ci ha creati neri, gialli e bianchi, che ci ha reso unici e diversi sotto lo stesso cielo. Questo siamo e non è giusto incolpare uno solo dei fratelli, perché una famiglia per quanto possa essere imperfetta e problematica si perdona e la si lascia giudicare da chi di dovere. Questo a malincuore fu quello che dovetti accettare per non perdere la speranza, nelle persone e in Dio. Forse altri avrebbero perso la fede, la fiducia nel prossimo e si sarebbero tolti la vita, ma questo non li avrebbe resi migliori ne tantomeno salvati, toccava a noi ricominciare e tornare a lottare con una consapevolezza che ci avrebbe distinti. Togliersi la vita perché non si era in grado di reggere il dolore poteva essere la scelta più facile dal momento che mi sembrava di aver perso tutto, ma io scelsi di restare, scelsi di essere migliore, di perdonare e di perdonarmi. Mi addormentai stringendo forte Sebastian. Al risveglio presi in braccio il piccolino.


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