Diciassette mesi prima.
Casa Tendo era diventata ormai da anni teatro di una serie di eventi insoliti: roba da riempirci interi episodi di Mistero in prima serata. Svariati passanti e vicini di casa avevano infatti notato – in più di un'occasione – la presenza di strani personaggi, venuti spesso alle mani in veri e propri scontri di arti marziali. Alcuni giuravano persino di aver visto un panda gigante aggirarsi nei dintorni, camminando sulle zampe posteriori come se fosse un uomo. La gente non sapeva spiegarsi nulla di tutto questo, e dopo aver assistito all'ennesimo fatto insolito potevano solo rassegnarsi e tornare ai loro impegni, ignari della verità.
Quella mattina d'estate, tuttavia, un uomo si era fermato ad osservare casa Tendo con interesse, in piedi sopra il muro che recintava la proprietà. Costui indossava un lungo soprabito bianco, dotato di cappuccio che oscurava completamente il suo volto; il suo aspetto e la sua posizione avrebbero suscitato sospetti tra la gente di passaggio... se lui avesse voluto farsi notare. Ma Nul era visibile solo agli occhi di uno, che stava fissando proprio in quel momento: il panda, lo stesso che era stato avvistato nella zona diverse volte. Quel grosso animale dormiva in quel momento nel giardino di casa Tendo, sdraiato a pancia all'aria sul prato accanto al laghetto. Una bottiglia, che fino al giorno prima doveva contenere qualche liquore, stava abbandonata là vicino, e Nul non faticò ad immaginare come fossero andate le cose. Quel tipo si era ubriacato la notte prima per poi cadere accidentalmente in acqua; ed era riemerso in quello stato... un grosso, lardoso panda, a causa della maledizione che lo affliggeva da anni.
Perché dietro quella pelliccia si celava un uomo: Genma Saotome, lo sciagurato padre di Ranma. La prima parola con cui si poteva descrivere in quel momento era "pietoso": dopo l'improvvisa partenza del figlio si era lasciato andare un po' troppo. Quel messaggio di addio lo aveva scosso profondamente, facendolo cadere nella depressione e lo sconforto; così aveva preso a bere, nel tentativo di scacciare temporaneamente la triste verità che lo tormentava... il fatto di essere stato un idiota per molti anni.
Una reazione patetica, dal punto di vista di Nul, e per giunta inaccettabile. Non poteva permettere che quell'uomo si autodistruggesse così; così restava in piedi sul muro, aspettando con pazienza che si svegliasse da solo.
L'attesa, fortunatamente, fu breve: l'animale aprì gli occhi pochi minuti dopo, facendo un lungo sbadiglio; appariva ancora in forte stato confusionale, ma non aveva alcuna importanza. Lo sguardo appannato di Genma si posò infine sul muro, notando la presenza dell'estraneo sopra di esso: lo guardò incuriosito per un po', poi tirò fuori un cartello di legno con su scritto:
Chi sei? Che cosa vuoi?
Nul non disse nulla, ma ripeté lo stesso gesto del panda, mostrandogli un cartello:
So chi sei, Genma Saotome.
Il panda spalancò gli occhi per lo stupore. Erano in pochi a sapere della sua maledizione; riusciva a ricordarlo ancora, nonostante la sbronza. Perciò si alzò in piedi, pronto a reagire al minimo accenno di pericolo: la presenza di uno sconosciuto sulla soglia di casa, per giunta consapevole della sua doppia natura, non lasciava presagire nulla di buono.
Nul rimase tuttavia al suo posto; voltò il suo cartello, sul quale c'era un altro messaggio:
Fa' la cosa giusta.
Genma piegò la testa da un lato, incerto. Non riusciva a capire le intenzioni di quel tipo.
Nul voltò ancora il cartello, che per magia recava una scritta diversa dalla prima: Genma lo riconobbe come un normale indirizzo, anche se non gli era affatto familiare. Poi, sotto l'indirizzo, c'era scritto qualcos'altro... qualcosa che lo fece stupire ancora di più.
Vai da lei.
Il panda restò immobile, ormai paralizzato dal pesante mix di sensazioni che si agitavano nel profondo. Stupore, paura, angoscia e diverse altre sfumature; rimase perciò a fissare impotente lo sconosciuto, che tuttavia gli voltò le spalle dopo qualche secondo e saltò giù dal muro, sparendo alla vista. Cercò di seguirlo, ma quando oltrepassò la soglia non c'era traccia dell'incappucciato lungo il viale... come se fosse svanito nel nulla.
Genma ripassò nella sua testa ciò che quell'uomo gli aveva "detto". Fa' la cosa giusta, Vai da lei... e poi l'indirizzo, che era riuscito a memorizzare. Non capiva affatto a chi potesse riferirsi quel tipo strano, ma Genma era certo di due cose in quel momento: primo, quel tipo strano sembrava conoscerlo bene... forse lo aveva spiato a lungo; secondo, nelle sue intenzioni non c'era stata ostilità... bensì un bizzarro desiderio di aiutarlo.
E in quei giorni difficili, Genma Saotome aveva un disperato bisogno di aiuto.
Poche ore più tardi, l'uomo era arrivato a destinazione, dopo aver recuperato le giuste sembianze per muoversi. L'indirizzo mostratogli da Nul lo aveva condotto in un tranquillo quartiere di periferia, dalla parte opposta di Tokyo. Genma non era mai stato laggiù, e non ebbe nemmeno il bisogno di chiedersi perché: non si era mai interessato a visitare la città, dopo essersi stabilito a casa Tendo con suo figlio. Si era solo preoccupato di sistemare gli affari, senza pensare a ciò che si trovava fuori dal suo piccolo mondo opportunista.
Un mondo andato in pezzi dal giorno in cui Ranma era andato via.
Genma raggiunse l'indirizzo giusto, cercando di non distrarsi. Un piccolo edificio si stagliava di fronte a lui, dotato di un ampio giardino baciato dal sole di quella limpida mattina di settembre. Alcuni bambini scorrazzavano allegri lungo il prato, intenti a giocare e a compiere altre attività. Giostre e giocattoli spiccavano un po' ovunque, rivelando all'uomo l'identità del luogo: un comunissimo asilo nido.
In quel momento Genma si sentiva decisamente fuori posto, come un panda nel deserto africano. Perché l'uomo incappucciato lo aveva condotto fin laggiù? Non riusciva ancora a spiegarselo, anche se il messaggio appariva chiaro nella sua mente, risuonando a ripetizione come un disco rotto.
Vai da lei.
Genma varcò la soglia, inoltrandosi nel cortile. Camminava piano, cercando qualsiasi cosa potesse sembrargli familiare; non vedeva altro che bambini e giochi... chi avrebbe dovuto incontrare in un posto del genere? Forse stava solo perdendo tempo, si disse, anche se aveva già perso molto di più...
« È ora di rientrare, bambini! »
Quella voce attirò la sua attenzione. Genma si voltò, scorgendo nell'area giochi una donna, giunta per avvertire i bambini di tornare dentro. La sua voce, i suoi morbidi capelli bruni, quell'espressione di eterna gentilezza erano inconfondibili: aveva abbandonato il kimono per adeguarsi a un abbigliamento moderno, ma era sempre lei. Una persona che non avrebbe mai voluto abbandonare...
« Nodoka! »
La donna si voltò, attirata dalla voce che aveva gridato il suo nome. Genma si era avvicinato a lei, improvvisamente meravigliato da ciò che vedeva. Anche Nodoka fu dominata dalla stessa emozione, ma rimase al suo posto, non credendo ai suoi occhi.
« Genma? »
Sembrò che qualcuno avesse spento l'audio dall'intero quartiere. All'orecchio di quelle due persone non c'era più nulla di importante a produrre rumori intorno a loro. Moglie e marito rimasero così, scambiandosi un'occhiata che sembrò durare un'eternità; poi, quando non poté più sopportarlo, Genma crollò ai piedi di Nodoka, inginocchiandosi sull'erba. Era scoppiato in lacrime, come non faceva da settimane.
Nodoka lo fissò, sempre più incredula. Fortunatamente i bambini erano già rientrati in classe, così fu loro risparmiata la vista di quella scena imbarazzante. Tuttavia si dimostrò comprensiva e avvicinò la mano, per poi posarla delicatamente sulla sua schiena. Accarezzandogliela piano, sentì che con quel tocco Genma si stava rilassando.
« Mi... mi dispiace » singhiozzava lui, irriconoscibile. « Mi dispiace tanto... perdonami! »
« Su, su » disse lei, cercando di calmarlo. « Va tutto bene, caro... andrà tutto bene. »
Poco più tardi, marito e moglie erano a casa di lei, non lontano dall'asilo in cui si erano incontrati. Era un piccolo appartamento arredato secondo lo stile tradizionale: pavimenti in legno e porte scorrevoli, dotato di una vista panoramica sul quartiere. Nodoka ci abitava da sola; lei e Genma erano seduti in soggiorno, bevendo in silenzio il tè che aveva appena preparato. All'uomo, inoltre, sembrava di rivivere la stessa scena vissuta alcuni anni prima, quando era giunto in casa Tendo insieme a Ranma. Dopo aver riacquistato sembianze umane, lui e Soun erano rimasti nel soggiorno a parlare, seduti nei pressi del giardino, felici di rivedersi dopo tanto tempo.
L'attuale padrona di casa, tuttavia, pur mantenendo un'aria tranquilla, dava un'atmosfera del tutto diversa rispetto a quell'episodio passato. Nodoka sorrideva, ma Genma non riusciva a guardarla: si ostinava a spostare lo sguardo dal pavimento alla sua tazza di tè, come se non avesse il coraggio di alzare la testa. Temeva che solo un gesto così semplice potesse rovinare tutto.
« Ti trovo bene » disse Nodoka, spezzando il silenzio divenuto fin troppo lungo. « Vedo che ti sei tenuto in forma, dopo tutti questi anni. Ho temuto più volte che smettessi improvvisamente di allenarti... e immaginavo di ritrovare un marito ingrassato e trascurato. »
Genma alzò la testa di scatto. Non si aspettava un commento del genere da parte sua come inizio; era certo che avrebbero parlato innanzitutto di Ranma.
« Non hai proprio nulla da dire, caro? » aggiunse lei, preoccupata. « Mi piacerebbe almeno sapere come hai fatto a trovarmi. »
« Ecco, io... » cominciò a dire Genma, ma poi si fermò. Qualcosa gli disse che non era una buona idea parlare dell'uomo incappucciato che gli aveva fornito l'indirizzo... come se fosse un segreto da mantenere ad ogni costo. « È accaduto per caso. Mi trovavo nei paraggi e ti ho riconosciuta. »
Nodoka gli lanciò un'occhiata sospettosa, ma decise di non indagare oltre.
Più tempo trascorreva insieme a lei, più si sentiva stupido per tutto quello che aveva fatto. Genma era stato un vigliacco: nulla avrebbe potuto giustificare o sminuire questa realtà dei fatti. Prima di partire per il viaggio di allenamento, le aveva promesso che avrebbe fatto diventare Ranma un vero uomo, altrimenti avrebbero dovuto morire per mano della stessa moglie tramite seppuku. Ma la maledizione delle Sorgenti aveva messo in serio pericolo la promessa: dal momento che Ranma diventava una ragazza con l'acqua fredda, Nodoka sarebbe stata obbligata ad ucciderlo. Quindi, per evitare di andare incontro al fatale destino, padre e figlio avevano dovuto nascondersi da lei, nei giorni in cui aveva fatto visita ai Tendo.
Ranma, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di stare lontano da sua madre, ma ogni volta che aveva provato a mostrarsi a lei, Genma glielo aveva impedito, pensando soprattutto alla propria salvezza. Aveva preferito restare vigliaccamente un panda, piuttosto che affrontare sua moglie e dirle la verità.
Così Nodoka era ripartita pochi giorni più tardi, ignara di tutto, continuando a cercare altrove il marito e il figlio. Genma era convinto che avesse lasciato Tokyo da un pezzo... ma la realtà era evidentemente un'altra.
« Sai, non ho più lasciato la città dopo essere passata dai Tendo » ammise Nodoka in quel momento. « Desideravo ritrovarvi, tu e Ranma, ad ogni costo... ma qualcosa mi disse che non c'era più motivo di proseguire. Ero certa che vi avrei ritrovati qui, prima o poi. Così ho deciso di aspettare, trovando una nuova sistemazione; ho preso questa casa in affitto, ho trovato lavoro all'asilo... » aggiunse, facendo un sorrisetto. « Quei bambini mi adorano. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo... di essere ancora una madre per qualcuno. »
Genma deglutì, mentre la vergogna cresceva dentro di lui a un ritmo esponenziale.
Ma Nodoka proseguì, ignorando il suo stato d'animo. Continuava a sorridere come se nulla fosse.
« Ho deciso di aspettare » ripeté. « Avevo aspettato il vostro ritorno per anni, qualche mese in più non avrebbe fatto alcuna differenza. È stata una lunga attesa... ma alla fine è stata ripagata, quando tre settimane fa ho rivisto nostro figlio. »
« Co-come? » fece Genma, allibito. « Ranma... è stato qui? »
Nodoka annuì.
« Il nostro incontro è stato per puro caso. Un bambino dell'asilo si era allontanato per una distrazione... e per poco non fu investito da una macchina. Ranma passava da quelle parti e lo portò in salvo; ci siamo visti in quel momento, mentre riportava il bambino dentro la scuola.
« Non credevo ai miei occhi » ammise la donna. « Vi stavo aspettando, certo, ma veder apparire nostro figlio così all'improvviso fu... sconvolgente. Non riesco nemmeno a descrivere come ci siamo sentiti in quel momento: va oltre la semplice gioia, sicuramente.
« Ad ogni modo, ho invitato Ranma qui a casa. È rimasto solo per due giorni, ma sufficienti per parlare di tutto. Credo di essere stata l'ultima a vederlo prima che lasciasse definitivamente la città. Sì, so tutto, Genma » aggiunse, notando il nuovo stupore del marito. « Ora so tutto. »
« Tutto... tutto quanto? »
Nodoka annuì ancora, ma non sorrideva più.
« So del vostro viaggio, dell'allenamento e della maledizione che vi ha colpiti. So che Ranma diventava una ragazza, e tu un panda... gli stessi che avevo incontrato a casa Tendo tempo fa. E naturalmente so perché avete cercato di nascondervi da me all'epoca. »
Le labbra di Genma cominciarono a tremare. Era sul punto di scoppiare in lacrime un'altra volta; ogni parola pronunciata da sua moglie era un'accusa spietata verso di lui, da cui non c'era via di scampo. E sapeva di meritarsele tutte.
« Oh, Genma... come hai potuto? » disse Nodoka. « Come hai potuto pensare che vi avrei uccisi per questo? Credevi davvero che un sortilegio mi avrebbe spinto a tagliare la testa a mio figlio? No... dubito seriamente che ci credevi sul serio; ma non volevi correre il rischio, perciò hai fatto di tutto per nasconderti da me, insieme a Ranma... mentre lui non desiderava altro che poter riabbracciare la sua mamma.
« Sono delusa, Genma. Dopotutto è accaduto tutto questo per causa tua: sei stato tu a portare Ranma alle sorgenti maledette; a farlo cadere in quella pozza che lo ha trasformato in ragazza; a portarlo a Tokyo, affinché sposasse una delle figlie di Tendo; a fargli vivere una vita così... anormale, con tutto quello che è capitato in questi anni. Chiunque avrebbe sofferto moltissimo per tutto questo, se fosse stato al posto di nostro figlio... ma lui mi ha raccontato ogni cosa senza versare una lacrima, senza dimostrare nemmeno un accenno di rabbia nella sua voce. Era troppo felice di rivedermi, per permettere al suo passato colmo di disgrazie di fargli altro male.
« Sai cosa significa questo? Sai cosa significa per me? Significa che Ranma ha mantenuto la promessa... è diventato un vero uomo. E non importa che sia caduto in una sorgente che lo trasformava in ragazza... non ha mai avuto importanza; Ranma ha sopportato ogni cosa fino alla fine. »
« Ma allora... perché se n'è andato? » chiese Genma. « Ci ha lasciato una lettera in cui era stanco di tutto, ma... continuo a non capire. »
« Non c'è niente da capire » rispose Nodoka. « Ranma si sentiva prigioniero di una vita che non desiderava... perché gli è stato impedito di scegliere cosa fare della sua. Aveva bisogno di un'occasione per viverla come voleva, e finalmente l'ha ottenuta: mi ha detto che è riuscito a spezzare la maledizione... ma non mi ha detto in che modo » aggiunse subito, intercettando l'aria ansiosa di Genma. « Non voleva che tu lo sapessi. Come tu avevi stabilito il suo futuro con quel matrimonio combinato, ora lui si è vendicato con questa decisione per il tuo... lasciandoti la maledizione addosso. »
Calò di nuovo il silenzio. C'era un tempo in cui Genma Saotome avrebbe supplicato, pregato, fatto qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che voleva; un tempo in cui si comportava da stupido opportunista, pronto a sfruttare suo figlio per qualsiasi scopo. Ma quel tempo era finito, nello stesso giorno di pioggia in cui ciò che aveva di più caro al mondo era andato via. Ora, di fronte alla sua adorata moglie, si sentiva pronto a ricevere tutto ciò che meritava; l'uomo chinò perciò il capo, posando le mani a terra in segno di pentimento.
« Ho sbagliato tutto » ammise, rivolto al pavimento. « Non c'è bisogno di ripetere quello che hai già saputo. Ho sbagliato, e sto già pagando le conseguenze dei miei errori. Ranma non c'è più... e ora la mia vita sembra aver perduto ogni senso; mi sento persino indegno di continuare a vivere con i Tendo, ormai. Ranma ha ragione... merito di pagare caro per ciò che gli ho fatto: merito di restare un panda per tutta la vita. »
Nodoka restò in silenzio mentre vide alcune lacrime colare dal viso del marito, cadendo sul pavimento.
« Ma ho ancora una promessa da mantenere, Nodoka » continuò Genma « Sono tornato da te, e se ai tuoi occhi sono indegno sia come uomo che come panda, allora dammi pure la morte... come avevamo stabilito anni fa. Hai ancora la spada, vero? Prendila... fai ciò che devi. Decidi tu il mio destino, com'è sempre stato... fin dal giorno del nostro matrimonio. »
La donna annuì, terribilmente seria. Si alzò dal suo posto e raggiunse il ripostiglio, dal quale tirò fuori un lungo fardello. Nodoka lo aprì ed estrasse la spada, che aveva sempre portato con sé per onorare la promessa di suo marito e di suo figlio. Era giunto il momento: Ranma era stato già sciolto dalla promessa... ora toccava a Genma. L'uomo alzò lo sguardo, vedendo la katana scintillare tra le mani di sua moglie, ma non si scompose: era pronto, qualsiasi cosa lei avesse deciso... non sarebbe più fuggito. Sarebbe rimasto fermo dov'era, anche se significava farsi tagliare la testa. Nodoka sollevò la spada. Il cuore di Genma batteva all'impazzata nel suo petto, proprio mentre si avvicinava la fine certa...
Aveva perso suo figlio: ma sarebbe morto con il sorriso, per aver ritrovato sua moglie.
Un forte rumore sordo spezzò il silenzio. Genma alzò lo sguardo di nuovo, ancora vivo, ma soprattutto stupito: la spada era conficcata sul pavimento davanti a lui, ancora stretta fra le mani di Nodoka. Lei aveva deciso di risparmiargli la vita.
« Genma Saotome » dichiarò la donna, con voce tremante. « Hai onorato la tua promessa... di fare di nostro figlio Ranma un vero uomo. Ma ora devi onorare un'altra promessa... quella che mi facesti quando ci siamo sposati; dovrai restare al mio fianco... e non lasciarmi mai più. Intesi? »
Genma non ebbe bisogno di tempo per valutare la proposta. Ne aveva sprecato anche fin troppo con i suoi errori passati; così, appena due secondi dopo, si alzò dal suo posto e strinse Nodoka in un abbraccio; altre lacrime scivolarono lungo le sue guancie, ma di gioia... e fu lieto di versarle, finalmente.
Nodoka rispose all'abbraccio, e rimasero così stretti a lungo, ignari che quel momento magico fosse tenuto d'occhio da qualcuno, seduto sul parapetto di un palazzo vicino. Nul sorrise compiaciuto alla vista dei Saotome, finalmente insieme come aveva sempre sperato; la missione era compiuta, disse tra sé, dunque si voltò per proseguire sulla sua strada.
Li aveva aiutati entrambi. Genma e Nodoka sarebbero rimasti insieme, pronti a recuperare tutto il tempo perso; avrebbero parlato, riso, pianto... ma soprattutto si sarebbero amati, come tutte le coppie normali. Genma avrebbe sopportato ogni cosa, a costo di farsi tramutare in panda per ogni errore commesso ai danni di sua moglie. Ormai era cambiato, e non vedeva l'ora di rivedere Ranma per dimostrarglielo; avrebbe così atteso il suo ritorno insieme a Nodoka, entrambi fiduciosi che il loro amato figlio sarebbe tornato a trovarli, un giorno.
E così sarebbe stato.
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Ranma 1/2 - Rinunciare a tutto
FanfictionLa maledizione che lo aveva afflitto per anni era ormai svanita. Era trascorso più di un anno, ma Ranma sorrideva ancora compiaciuto ogni volta che si bagnava con l'acqua fredda senza subire alcuna trasformazione. Si sentiva felice come non mai, all...