Capitolo 4

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MIREA

I giorni passano lenti, scanditi da lezioni interminabili e silenzi pesanti. Né io né Cristian troviamo il coraggio di parlarci, come se le parole fossero diventate un ostacolo insormontabile tra di noi. Eppure, ogni tanto, i nostri sguardi si incrociano, brevi attimi in cui il tempo sembra fermarsi, carichi di qualcosa che nessuno dei due osa dire ad alta voce.

Dentro di me, il desiderio di avvicinarmi a lui cresce sempre di più. Vorrei solo rompere questo muro invisibile, dirgli qualcosa, qualsiasi cosa. Ma ogni volta che provo a farmi avanti, qualcosa mi trattiene. È paura? Orgoglio? O forse il timore che, una volta pronunciata la prima parola, tutto possa cambiare di nuovo?

Mi rifugio nei miei pensieri, cercando di soffocare questa voglia crescente di sentirlo, di capire cosa gli passi per la testa, se anche lui sta vivendo questa distanza come una tortura silenziosa. Ma la verità è che non so più come comportarmi. Non so se aspettare che sia lui a fare il primo passo o se trovare il coraggio di farlo io.

Sono sdraiata sul divano, con lo sguardo perso nel soffitto, mentre il ticchettio dell'orologio riempie il silenzio della stanza. Il mio respiro è lento, ma dentro di me il cuore batte a un ritmo irregolare, come se stesse cercando di mettere ordine tra il caos dei miei pensieri.

Ripenso a ciò che è successo tra me e Cristian qualche giorno fa. Ogni dettaglio è ancora vivido nella mia mente: il suo sguardo intenso, il calore delle sue mani sulla mia pelle, il battito accelerato dei nostri cuori, e poi... quel momento in cui si è fermato, come se all'improvviso avesse realizzato l'errore che stavamo commettendo. Il suo sguardo confuso, il suo "mi dispiace" sussurrato in fretta, il suono della porta che si chiudeva dietro di lui.

Un'ondata di tristezza mi investe. Mi sento vuota, come se avessi perso qualcosa di importante, qualcosa che per un istante era stato mio. Eppure, subito dopo, un fremito di felicità mi attraversa. Per quanto possa sembrare assurdo, mi sono sentita viva come non succedeva da tanto tempo. Quel bacio, quel contatto, anche solo per un attimo, mi ha fatta sentire di nuovo al centro del suo mondo.

Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, cercando di calmare la tempesta che mi porto dentro. Ma è inutile. Sono intrappolata in questa confusione di emozioni, tra il desiderio di dimenticare e la paura di farlo davvero.

Mentre sono persa nei miei pensieri, disegnando forme senza senso con le dita sul soffitto bianco del salotto, un suono improvviso squarcia il silenzio. Il telefono squilla all'improvviso, il trillo forte e insistente mi coglie alla sprovvista, facendomi sobbalzare sul divano. Il cuore mi balza in gola, il respiro si spezza per un attimo e, nella confusione del momento, perdo l'equilibrio.

In un batter d'occhio mi ritrovo a terra, atterrando goffamente sul grosso tappeto verde che ricopre il pavimento del salotto. Il colpo non è doloroso, ma la sorpresa mi lascia qualche secondo senza fiato. Rimango lì, sdraiata, mentre il telefono continua a squillare, implacabile, come se volesse costringermi a rispondere.

Chi può essere? Con il cuore che batte ancora forte per lo spavento, mi tiro su a fatica, allungando una mano verso il tavolino per afferrare il telefono.

Mentre cerco di rialzarmi dal pavimento freddo, lancio un'occhiata distratta all'orologio appeso alla parete: le lancette segnano le tre e trenta del pomeriggio. Sospiro, cercando di scrollarmi di dosso la goffaggine del momento, e mi passo una mano sulla fronte. Il telefono continua a squillare, insistente, come se avesse fretta di essere ascoltato.

Il mio sguardo vaga per la stanza finché non lo trovo, appoggiato sul bracciolo del divano. Mi allungo con fatica, allungando le dita fino ad afferrarlo. Lo schermo luminoso mi abbaglia per un istante, ma subito dopo leggo il nome che compare: Nicole.

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