18. GLI ANGELI

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Fui riportata indietro, quasi in superficie, da una fitta di dolore nella zona della spalla sinistra ma non riuscii a raccogliere le forze sufficienti per aprire gli occhi.

Il mio corpo provò a rigettare il dolore che perdere il braccio aveva causato, ma continuavo ad essere risucchiata dall'oscurità che scandiva i secondi di agonia, il che mi rendeva difficile stare al passo con la realtà.

Ma poi sapevo di essere morta perché attraverso gli spessi strati di oscurità sentii la voce di un angelo chiamarmi.

"Alaska, stai sveglia, focalizzati sul suono della mia voce" mi implorò l'angelo.

Non riuscivo a separare la realtà dall'immaginazione. L'unica cosa che sapevo era che c'era qualcosa di più importante di tutta questa tortura ma non riuscivo a ricordare cosa fosse, o dove mi trovassi, o chi fossi.

"Andrà tutto bene" disse l'angelo in un sussurro, ma non ne sembrava molto convinto.

Volevo rispondere, ma non riuscivo a trovare le mie labbra. Provai a cercare l'origine della voce nell'oscurità e tra le onde di dolore, ma continuai ad essere risucchiata da un dolore ancora più forte. Sembrava che peggiorasse e basta.

"Buck, dobbiamo portarla al laboratorio di Stark. Prendila per le gambe" si introdusse una voce più calma e metodica.

Sentii una presa delicata che mi mise su di una superficie dura ed ora mi stavo muovendo. Il cambio di posizione esercitò pressione sulla spalla sinistra e fece male. Poi fui assalita da altri dolori sparsi ed urlai e piansi per cercare di liberarmi dai muri della tortura. Forse ero ancora viva, la morte non doveva essere così scomoda.

"Mi dispiace, mi dispiace" si scusò l'angelo.

L'oscurità mi travolse nuovamente e più forte di prima fino a che non vidi più niente, era come se fossi stata bendata. Ma questa benda non mi copriva solamente gli occhi, ma tutto il corpo come un peso su di me. Era sfiancante cercare di levarmelo di dosso e sapevo che sarebbe stato più facile arrendermi ad esso, lasciare che l'oscurità mi trascinasse laddove non c'era dolore o coscienza o incertezza.

Ma, per qualche ragione incomprensibile, sentivo il bisogno di continuare a lottare. Stavo combattendo per qualcosa che non riuscivo a capire. Non sarebbe stato più facile lasciare che mi consumasse e mi liberasse da tutta questa sofferenza? C'era qualcosa nel suono della voce dell'angelo, qualcosa nel tono delle sue parole che mi teneva cosciente. Mi rendeva determinata a sopravvivere.

Tra l'oscurità ed il dolore che non finiva sentii le voci che mi galleggiavano intorno.

"Era troppo chiedere di portarla qui tutta d'un pezzo?" si aggiunse una nuova voce con un misto di sarcasmo e shock.

"Era la nostra unica opzione" ribatté arrabbiato l'angelo.

"Da quando l'amputazione è l'unica opzione per una missione di salvataggio, huh? A cosa stavi pensando quando l'hai fatto? Come sapevi che avrebbe funzionato?" sbottò l'uomo.

"Tony, devi provare. Non sono sicuro di quanto dolore lei possa sopportare"

Seguì un sospiro profondo e poi dei rumori di sottofondo mentre il dolore che mi aveva accompagnata fino ad adesso iniziava a scomparire, seguito però da un altro – sulla spalla dove si trovava il mio braccio.

Bruciava.

"Basta" provai a dire ma la mia voce era troppo lenta e pesante. Stavano peggiorando le cose. Non riuscivano a capire che non volevo più soffrire? Volevo morire.

"Brucia!" urlai una volta trovate le forze necessarie ed aprendo gli occhi. Non riuscivo a vedere i loro visi, c'era qualcosa di scuro e caldo che mi copriva gli occhi. Perché non vedevano il fuoco? Avrebbero potuto spegnerlo.

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