Parte quarta

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Dario, Milano, 14 Luglio 2017

Era l'una di pomeriggio, l'ora di punta. Il pullman che mi aveva portato dall'aeroporto di Bergamo alla Stazione Centrale di Milano aveva impiegato un'eternità a percorrere le strade trafficate del centro città.

Non appena sceso in metropolitana, il caldo soffocante mi tolse il respiro e mi fece provare un senso di claustrofobia, dal quale mi liberai solo una volta arrivato a destinazione. Risalii le scale della metro e mi avviai verso l'abitazione che una volta era stata per me casa.

Vi ero tornato di tanto in tanto durante quei cinque anni, ma ora era tutto diverso: ancora due giorni, e ci saremmo ritrovati tutti e tre in quella chiesa, a guardare i nostri amici giurarsi amore eterno proprio come noi una volta ci eravamo giurati di rimanere amici per sempre.

Noi quella promessa però l'avevamo infranta.

E proprio mentre la mia mente era presa da quel pensiero, sentii una voce alle mie spalle chiamare il mio nome.

Non avevo bisogno di girarmi per sapere che si trattava di Adrian.

Mi bloccai all'istante, lasciai il manico della valigia e mi voltai.

Non era cambiato di una virgola. I capelli una folta massa di ricci scuri che si abbinava alla perfezione con la sua carnagione olivastra, segno delle sue origini colombiane da parte di madre, il fisico asciutto e prestante, il contrario del mio, che ero piuttosto tonico ma mingherlino.

Mi guardò negli occhi, immobile a tre metri da me, senza dire una parola.

Erano passati cinque anni, eppure, ora che lo avevo di fronte, tutta la rabbia che avevo provato nei suoi confronti era scomparsa, e l'unica cosa che riuscivo a vedere era la parte migliore di me, quella che avevo smarrito per tanto, troppo tempo.

Quello che avevo di fronte era il mio migliore amico.


Adrian, Milano, 14 Luglio 2017

Non appena vidi Dario, in fondo alla strada dove un tempo abitavamo, non resistetti all'impulso di chiamarlo.

Ma quando il suo sguardo fu su di me, non fui più in grado di dire neanche una parola.

Era leggermente diverso da come lo ricordavo: i capelli, un tempo biondissimi, avevano acquistato una sfumatura dorata color del grano, e il viso era ricoperto da un accenno di barba.

Ma i suoi occhi, chiari come l'acqua di sorgente, erano sempre gli stessi.

E quando Dario mi venne incontro e mi abbracciò, mi ci volle un lungo minuto prima di poter ricambiare l'abbraccio. Avevo sognato il momento in cui il mio migliore amico mi avrebbe perdonato per cinque lunghissimi anni. E ora che stava succedendo non riuscivo proprio a crederci.

Quando ci sciogliemmo dall'abbraccio, Dario mi sorrise e disse: «Ciao Adrian. Mi sei mancato.»

E non ci fu bisogno di chiedere perdono, di giustificarsi, di accampare scuse. Sapevo che quelle semplici parole volevano dire: "Tranquillo amico, ormai è acqua passata".

Quella stessa sera io e Dario uscimmo per bere qualcosa e aggiornarci su quello che era accaduto nelle nostre vite negli ultimi cinque anni. Parlammo del suo master in Ingegneria, del mio lavoro come fotografo, degli inverni polari ad Amburgo e del caldo torrido di Barcellona.

Parlammo di tutto. Tranne che di lei.

Fu solo a fine serata, mentre eravamo sulla via del ritorno, che Dario mi chiese: «L'hai più sentita in questi anni?»

Non aveva bisogno di specificare che stava parlando di Iris.

«No» risposi abbassando lo sguardo, «da quando è partita per Atene non ne ho più saputo nulla.»

Dario fece un mugugno di assenso e continuò a camminare, le mani in tasca e lo sguardo fisso dritto davanti a lui.

«Pensi che sarà al matrimonio?» chiesi, sperando di ottenere qualche informazione.

«Non lo penso, lo so per certo. Ho parlato con Paolo un paio di settimane fa, mi ha detto che sarà la damigella d'onore di Roberta.»

«Pensi che vorrà parlarci?» continuai con voce titubante.

«Non lo so proprio Adrian... Non posso credere che siano passati cinque anni...» disse Dario con fare mogio.

Ai miei occhi era evidente che questa separazione aveva fatto soffrire anche lui. O meglio, soprattutto lui.

Percorremmo il resto della strada in silenzio, uno accanto all'altro, scalciando qualche pietruzza o tappo di bottiglia qua e là.

Tra me e Dario era sempre stato così, ci bastava stare vicini per poterci sentire in compagnia, le parole erano superflue.

O almeno così avevo sempre creduto.

Ma dovevo riconoscere che in quella circostanza, cinque anni prima, forse parlare sarebbe stato meglio che agire.

E mentre la mia mente era impegnata in queste congetture, d'un tratto Dario si fermò di colpo e mi posò una mano sulla spalla. Mi voltai a guardarlo, ma i suoi occhi non erano su di me. Stavano fissando un punto in fondo alla strada. E quando girai il viso per guardare nella sua stessa direzione, fu allora che la vidi.

Jeans strappati, una maglietta rossa leggermente corta sulla pancia, Convers bianche ai piedi e una lunga treccia castana sulla spalla destra.

Non ebbi dubbi.

Era lei. Era Iris.

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Come reagirà Iris di fronte ai suoi due vecchi amici? 

Si chiariranno o lasceranno che gli eventi passati distruggano definitivamente la loro amicizia?

Venitelo a scoprire nell'ULTIMA PARTE di Wherever I will go ❤ 

E se vi piace la storia lasciate un commento e una stellina, mi renderebbe molto felice 

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