Prologo

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Jamie

Nacque tutto da un semplice incidente in auto. Mia madre guidava, io osservavo il paesaggio della mia cittadina fuori dal finestrino, e improvvisamente tutto si fece buio, oscuro, senza un briciolo di luce ad illuminarmi.

Mi sentivo in gabbia, soffocato dal mio stesso respiro. Il rumore sordo dell'ambulanza esplodeva all'interno dell'auto, ed i miei occhi erano chiusi, incollati, come se non volessero aprirsi. Il petto mi faceva male e la testa per poco, esplodeva di dolore.

Con un po' di coraggio, riuscii ad aprire i miei occhi dalle iridi azzurre, e l'unica cosa che riuscii a vedere fu una ragazza, dai capelli scuri, le labbra rosse intense ma non riuscii a capire il colore dei suoi occhi.

La pelle pallida la faceva sembrare una bambola e i capelli le incorniciavano perfettamente il volto.

Era seduta sulle mie gambe e mi guardava intensamente, come se volesse prendere il controllo della mia mente. Pronunciò delle parole con le sue labbra carnose, e subito dopo, come se mi avesse incantato, chiusi gli occhi, tornando nuovamente nell'oscurità.

Mi risvegliai in una stanza completamente bianca. Ero sdraiato su un letto che ad un solo movimento scricchiolava, creando un rumore fastidioso. Anche le lenzuola che erano posate sul materasso, avevano un colore bianco, che ricordava la neve.

Immediatamente provai a mettermi seduto, ma una fitta dolorosa attraversò la mia testa, facendomi sdraiare nuovamente. Sulle mie braccia vi erano degli aghi che connettevano tramite un tubo, ad una sacca contenente un liquido che non riuscivo a capire cosa fosse.

Accanto al mio letto, un monitor indicava il battito del mio cuore. Una linea sottilissima che si alzava e abbassava: prima di aver visto quel computer, non mi sarei mai immaginato che il mio cuore battesse velocemente.

La stanza non era completamente bianca, anzi, una scrivania era completamente occupata da oggetti e fiori di tre diversi colori: rosso, verde e giallo. I colori della scuola.

I miei capelli biondi erano posati sul cuscino, alcuni anche sulla mia fronte. Un sorriso involontario comparì sul mio volto, notando quante persone fossero venute a trovarmi. Ero il ragazzo più popolare, intelligente e carino di tutta la scuola, non mi sarei dovuto meravigliare, eppure ero contento di aver ricevuto tante attenzioni.

Come se un flash, il ricordo dell'incidente balenò nella mia mente. Io e mia madre stavamo cantando San Diego, dall'album California dei Blink-182, e mentre la donna rideva e scherzava con me, guidando, un'altra auto ci travolse, facendoci finire fuori strada.

Un brivido mi attraversò la schiena, facendomi chiudere gli occhi, quando ripensai alla ragazza sulle mie ginocchia. Sembrava così reale, ma l'unica cosa che riuscivo a ricordare veramente, era la pelle bianca latte in contrasto con le labbra di un rosso intenso, come se avesse messo un rossetto.

Scossi la testa velocemente, mettendomi a sedere con calma in modo da non avere nuovamente un forte mal di testa. Quella ragazza non poteva essere reale, era sicuramente una mia allucinazione, per aver battuto il capo durante l'incidente.

Mi alzai prendendo un respiro profondo, e quando realizzai di essere in piedi, accennai un sorriso. Indossavo un pigiama blu di ospedale, dei calzini del medesimo colore e non potevo non sembrare un idiota, in quel momento.

Trascinandomi dietro la flebo, uscii a passi veloci, fino ad arrivare alla porta che aprii. Nel corridoio, davanti alla mia stanza, vi era una sedia su cui era seduta mia madre, addormentata.

Aveva il viso pieno di tagli e ferite, un braccio ingessato ma sembrava che stesse bene, per fortuna. Chiesi dentro me stesso se anch'io avessi qualche taglio.

Ero molto simile a mia madre: stessi capelli e forma del viso. C'era soltanto una differenza: i suoi occhi erano verdi mentre i miei azzurri, forse presi da mio padre, anche se non lo avrei mai saputo.

Seduta su quella sedia, sembrava più giovane di quanto già non lo fosse.

L'infermiera che passò davanti alla stanza, sgranò gli occhi nel momento in cui mi notò sullo stipite della porta. Fece per parlare, ma io la interruppi, portandomi il dito indice alle labbra e con l'altra mano indicare la donna addormentata.

Essa capí, per poi avvicinarsi a me silenziosamente. Mi fece entrare e chiuse la porta piano, per paura di svegliare mia madre.

"Cosa ci fai in piedi?" Il tono della sua voce ricordava molto un rimprovero, come se non  dovessi essere in piedi per nessuna ragione.

Aveva dei lunghi capelli neri, probabilmente la sua età era compresa fra i venticinque ed i ventotto anni.

"Cosa è successo?" Chiesi io, senza muovermi di un centimetro.

"Prima siediti, per favore. Hai poche forze, non riuscirai a stare in piedi per molto. Ti spiegherò tutto."

Io invece, mi sentivo terribilmente in forma. Volevo saltare, tornare ad allenarmi con la mia squadra di basket a scuola. Tuttavia, dopo averla guardata per qualche istante, mi sedetti nuovamente sul mio letto mentre la donna sospirò abbassandosi, in modo da togliermi un calzino.

Ero abbastanza confuso, ma le lasciai fare comunque.

"Hai una caviglia slogata, e quando ti hanno trovato, avevi una profonda ferita sul petto."

Disse lei, cominciando a togliere le fasciature che avvolgevano la mia caviglia.

Ricordai quando sentii dolore ampio al petto, e capii immediatamente che tutto quel male era dovuto a quella ferita.

"L'uomo che guidava l'altra auto, è morto sul colpo. Ubriaco, totalmente." Continuò lei, prendendo da un cassetto altre bende per poi chinarsi nuovamente.

"Ubriaco alle cinque del pomeriggio..." borbottai incredulo da quelle parole.
"Che vergogna."

Quando l'infermiera finí di fasciare nuovamente la mia caviglia, si alzò per guardarmi in pieno volto. Io, distolsi lo sguardo, come se essere guardato così mi rendesse vulnerabile.

Ed era strano, a dirla tutta. Amavo essere guardato durante le partite e mentre passavo per i corridoi a scuola.

"Non aveva niente da perdere. La moglie e le due figlie sono morte qualche giorno prima." Disse lei, con una specie di acidità in quelle parole.

Rimasi in silenzio. Non osavo immaginare come potesse sentirsi l'uomo, mentre beveva tutto l'alcol che poi, avrebbe portato alla morte anche lui.

"Avete trovato una ragazza?"

Quella domanda uscì dalle mie labbra velocemente. Non ero neanche sicuro di essere stato io ad aver pronunciato quelle parole.

La donna mi osservò con i suoi occhi marroni, aggrottando le sopracciglia.
"No, non abbiamo trovato nessuna ragazza."

N/A:
Ehilaaa!
Nuova storia💓
Saremo in due a scriverla, Giada e Alessia.
Per riconoscerci ci firmeremo in due modi diversi. Io, Giada, sarò -MissBower🍪
Ditemi se questo capitolo vi è piaciuto lasciando una stellina o un commento! Grazie!❤ alla prossima!
-MissBower🍪

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