IV - First Blood

51 9 2
                                    

ORA MI DARAI RETTA?
Matteo si sentì svenire. Quello che stava vivendo non poteva essere vero. Era un Filosofo, un uomo di scienza, studiava all'Università e sapeva bene che queste cose, nella vita reale, non succedono. Ci doveva essere una spiegazione, una causa logica per cui stava accadendo quello che stava accadendo.
VUOI METTERTI ADDOSSO UN PAIO DI MUTANDE, PER FAVORE?
No, non poteva essere, in nessun modo. La sua mente gli stava sicuramente giocando qualche brutto scherzo... Scherzo! Ma certo! Era tutta una messa in scena di Franco, che gli aveva dato una cartuccia truccata per trasformare il gameboy in una specie di ricevitore-trasmettitore in stile chat. Questo era possibile? Tecnicamente non avrebbe saputo dirlo, ma doveva essere così per forza.
SMETTILA FRANCO, SEI RIUSCITO A SPAVENTARMI, ORA BASTA.
La risposta non tardò ad arrivare.
COSA DEVO FARE PER CONVINCERTI?
CONVINCERMI DI COSA?
CHE QUESTO NON E' UN GIOCO.
Matteo rimase un attimo pensieroso: questa storia lo aveva già stancato, e non aveva alcuna intensione di continuare a farsi prendere per il culo da Franco, magari lo stava anche filmando per la gioia di Internet.
BUTTATI DALLA FINESTRA.
Scrisse con una punta di rabbia.
OVVIAMENTE TU INTENDI FRANCO, NON E' VERO?
Matteo spense il gioco con stizza, per poi gettarlo sulla scrivania.
 
Il resto della giornata lo passò a cazzeggiare, passando dal computer al televisore e dal televisore al computer, guardando film e giocando a vari. Si mise addosso qualche vestito solo verso sera, per poter cucinare senza il rischio di bruciarsi. Cucinò un piatto semplice, di quelli che vanno a mala pena scaldati sul fornello o in microonde, e mangiò, ovviamente, davanti al televisore. Per la notte, decise di passare alla maratona di tutti i suoi film preferiti.
La mattina dopo si svegliò sul divano, circondato da una serie di cadaveri di patatine, che lo avrebbero costretto a lavare il divano prima di Domenica sera. Aveva gli occhi arrossati dai troppo video e la testa che gli girava per l'alcool ingerito. Quando posò il piede per terra urtò come minimo due bottiglie vuote di birra. Si lavò in fretta e uscì di casa, lasciando le finestre aperte: avrebbe ripulito dopo aver cambiato l'odore di chiuso.
L'aria fresca del mattino (quasi ora di pranzo) lo rimise in sesto in poco tempo. Dopo aver fatto per due volte il giro del quartiere, decise di andare da Franco, per cantargliene quattro e farsi due risate cariche di autoironia, prendendo in giro la strizza che aveva avuto il giorno prima, per tre frasi scritte con tono horror su un videogioco taroccato.
Raggiunse il negozio dell'amico ma lo trovò chiuso. Il cartello sulla porta prometteva l'apertura anche nel week-end e denunciava un ritardo di quasi due ore. Con un poco di preoccupazione pensò che l'amico doveva essere ammalato, e che si fosse dimenticato di avvisare il liceale che lo aiutava di andare ad aprire il negozio al posto suo. Proprio mentre pensava di lasciare tutto e tornarsene a casa, il telefono li squillò in tasca.
Uno strano presentimento gli strinse lo stomaco, mentre si portava il telefono, che riceveva una chiamata dal cellulare di Franco, all'orecchio.
 
Non poteva essere vero. Caterina, la madre di Franco (Caterina a pecorina, come la chiamava quando sfotteva con l'amico), lo aveva chiamato dal cellulare del figlio (i vecchi Nokia non li ammazzi manco a martellate), per chiamarlo all'ospedale(ci si muore, all’ospedale!). Sembrava che Franco avesse fatto qualche stupidaggine. Viveva da solo (mica come te, sbarbatello!), e a quanto pare i vicini lo avevano sentito inquieto per tutta la notte(si fa bisboccia!). A tratti aveva urlato, ma più spesso mormorava qualcosa camminando per tutto il corridoio. La mattina poi, quando sembrava finalmente essersi calmato, lo avevano sentito correre per tutta la casa fino alla finestra del salotto che, dando sul garage interno del condominio, era la più alta della casa.
Si era schiantato sul marciapiede (marciapppiede, come lo pronunciava Franco), ma era rimasto vivo per diverse ore, anche quando erano arrivati i soccorsi e avevano cercato di mettergli le ossa a posto. Era rimasto più o meno cosciente per tutto il tempo, scivolando a volte nel delirio e altre volte ancora nel sonno leggero, ma continuando a ringraziare il cielo che 'la voce malvagia' lo avesse abbandonato. Quando Caterina lo aveva chiamato, il figlio era appena morto.
Aveva lasciato un biglietto, e mentre Matteo sosteneva la madre dell'amico che non faceva altro che piangere silenziosamente, davanti al cadavere del figlio, se lo rigirò tra le dita, in tasca, più stanco che spaventato. Su quel foglio era stata vergata una sola, enigmatica frase, con la disordinata grafia stampatella di Franco:
X MATTEO: LUI TI VUOLE E LUI TI AVRA'.

Estratto del prossimo capitolo:
"VUOI VENDICARLO?
Certo che voleva vendicarlo! Ma come poteva combattere contro un videogioco?
SE RIESCI A FINIRE TUTTE LE MISSIONI PUOI ANCHE PROVARE AD UCCIDERMI."

Non si gioca col DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora