Stelle Cadenti

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La neve scendeva copiosa dal cielo in quella sera d'inverno. Le prime luci avevano iniziato a sparire all'orizzonte già un'ora prima, quando la bufera si era acquietata permettendo alla gente di affollare nuovamente le strade. Due ragazzi, seduti l'uno ad un metro di distanza dall'altro si trovavano sulla ringhiera di un ponte in quella cittadina montana. Avevano entrambi uno sguardo perso, malinconico, i piedi sollevati nel vuoto, avvolti in pesanti cappotti per ripararsi dal freddo pungente dell'esterno. Uno dei due indossava un cappello di lana e un cappotto nero e guardava con astio e forse con una punta d'odio il cielo, come se esso fosse responsabile delle sue disgrazie, come se avesse in qualche modo influito per rendergli la vita un inferno. L'altro era un biondino, dai capelli abbastanza lunghi per un ragazzo, dai tratti giovanili che lo facevano sembrare più piccolo di quanto non fosse, dal sorriso dolce, che in quel momento era sparito dal suo volto, timido chiuso, ma una persona d'oro a cui tutti si affezionavano facilmente, era di un biondo cenere, non portava nessun cappello e le orecchie arrossate erano esposte al vento gelido, le guance e le labbra, rese rosse dal freddo, spiccavano sulla sua carnagione pallida, aveva le lentigini e sembrava che la bassa temperatura non gli procurasse alcun fastidio. Il primo era un tipo solitamente divertente, solare e socievole, ma sapeva anche diventare scontroso, teneva i capelli corti, mori e gli occhi del medesimo colore, aveva numerosi nei sul volto e un naso all'insù, nelle sue iridi color cioccolato non si intravedeva una goccia di felicità ormai da molto tempo. Non era colpa sua, avrebbe detto, non poteva essere diverso, ma non avrebbe mai ammesso, neppure con se stesso, che quella tristezza scritta nei suoi occhi lo divorasse al punto di fargli odiare l'unica cosa che gli era rimasta, la vita. La vita che lo aveva distrutto pezzo dopo pezzo, togliendogli una dopo l'altra le persone che amava, ma questa volta l'aveva fatta proprio grossa, questa volta aveva trovato il punto giusto per indurlo all'auto distruzione, aveva trovato il tasto dolente che purtroppo era anche l'asse portante della sua anima che ora collassava su se stessa con una lentezza spaventosa. Il biondo capiva, sapeva, ma non riusciva a rimetterlo in piedi, nonostante quante volte ci avesse provato, non era più in grado di illuminare quel baratro vuoto in cui il moro stava precipitando, non poteva più sostituire quell'asse portante che se n'era andata, non poteva più aiutarlo benché lo desiderasse con tutto il suo cuore.
La neve smise di cadere e, mentre l'ultimo fiocco si adagiava a terra, le nuvole si diradarono e, come un sipario, si aprirono rivelando un meraviglioso cielo stellato, un mantello nero ricoperto di microscopici granelli bianchi che brillavano in un oscurità spaventosa. Il ragazzo moro osservò quello spettacolo con un sorriso accennato sulle labbra mentre le lacrime scendevano copiose sulle sue guance, come fiocchi di neve che cadono giù dal cielo, come la pioggia che quel giorno d'estate aveva costretto lui e Newt, il suo Newt, a ripararsi in quel negozio inquietante. Quante volte quell'inverno Thomas ci era tornato, per osservare quelle statuine strane esposte in vetrine, per osservare quegli assurdi amuleti che aveva ammirato mesi prima con Newt, in quel mondo che se n'era andato lasciandosi dietro i cocci della sua anima frammentata. Non lo avrebbe più ritrovato ne in quei posti che erano solito visitare, ne in quei momenti della vita in cui lui c'era sempre stato, ne tutte le volte che sarebbe caduto, la sua mano non avrebbe più stretto quella di Newt, le sue labbra non avrebbero più toccato quelle del ragazzo, tutto ciò che gli restava erano i ricordi e quelli avevano cominciato a sbiadire tempo fa. Il biondo ancora seduto affianco a Thomas lo guardava piangere e se avesse avuto ancora lacrime le avrebbe versate anche lui, non poteva vederlo così. Si avvicinò al moro in modo che le loro mani potessero almeno sfiorarsi, ma Thomas non lo guardò, non si girò ad incrociare i suoi occhi, non lo aveva più fatto e forse non lo avrebbe fatto mai più. Allora anche il biondo distolse lo sguardo dalla figura scura di Thomas e fissò il vuoto sotto di lui, avrebbe voluto chiedergli cosa ci facessero li, perché lo avesse portato in quel luogo ma non gli era rimasta più voce, non riusciva a parlare.
-Newt...- era il moro a parlare, la voce rotta, lo sguardo perso a contemplare qualcosa davanti a se, non aveva più forza di combattere quella vita, non voleva superare tutto come aveva superato la morte di coloro che in precedenza aveva perso e lo avrebbe detto al biondo accanto a lui se solo gli fosse rimasta ancora voce per parlare, per urlare, avrebbe pianto in eterno se solo gli fossero rimaste lacrime da versare, sarebbe scappato ancora una volta da quel dolore opprimente se solo non fosse stato così distrutto e avrebbe combattuto ancora per quei brandelli di vita se avesse avuto ancora uno scopo per farlo. E invece non aveva più nulla, anche le lacrime presto finirono e le parole si spensero nella sua sua gola. Se in quel momento avesse potuto avrebbe urlato all'universo che aveva vinto, che poteva prendersi ciò che restava di lui, di quel guscio vuoto senza più anima, che non gliene fregava più nulla di quello che sarebbe successo dopo, che si era arreso che aveva smesso di lottare perché la sua vita se n'era andata insieme ad un ragazzo e al suo sorriso. Ma non aveva più la forza e le parole per urlare l'odio che provava verso quel destino, quel fato, quel dio che gli aveva fatto tanto male, non aveva più voglia per opporsi a quel dolore che lo aveva travolto come un fiume in piena.
Intanto il biondo guardava e capiva, ascoltava ciò che l'anima di Thomas non avrebbe avuto la forza di dire, sentiva e si faceva carico del dolore che il cuore del moro non era in grado di sopportare. Fu allora che Thomas alzò lo sguardo verso quel gelido cielo invernale cosparso di stelle, e fu allora che mentre le guardava parlò al biondo che seguì il suo sguardo nel cielo, alla ricerca della stessa stella che fissava Thomas.
-Sappi che non è stata colpa tua,- iniziò e il biondo pianse e si odiò -sappi che ti amo e tutto quello che succederà da adesso in poi non cambierà l'amore che provo per te.- il biondo abbassò lo sguardo dal cielo e lo puntò sulla sua stella polare che per una vita aveva diretto i suoi passi e lo aveva aiutato, Thomas -Voglio che tu sappia che sei stato il primo che io abbia amato in questo modo, che senza di te la mia vita sarebbe rimasta un grande punto interrogativo, una domanda senza risposte, ma con te avevo trovato il mio scopo, avevo risolto la mia equazione e trovato l'incognita che mi avrebbe indicato il mio segreto per la felicità.- allora anche Thomas voltò il suo sguardo alla sua destra e fu un istante prolungato all'infinito in cui il biondo si perse nello sguardo del moro e il moro cercò invano quello del biondo-Newt, quel segreto portava il tuo nome.-
Poi abbassò lo sguardo e lo puntò nel vuoto sotto i suoi piedi, senza saperlo, senza accorgersene strinse la mano di Newt che si sentì ancora una volta vivo, Newt chiuse gli occhi e un'unica parola uscì dalle sue labbra Tommy, quel nomignolo che aveva affibiato al ragazzo che amava molto tempo fa. Thomas, mentre si lanciava nel buio, vide una stella cadente attraversare il cielo solo per lui e allora seppe che Newt, il biondino che aveva tanto amato in vita, gli era stato sempre seduto accanto su quel ponte, in quella notte d'inverno solcata da una minuscola stella cadente.

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