Even saiyans go shopping

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“Abbiamo finito ora?”, urlò un Vegeta sul punto di distruggere l’intero centro commerciale. Da lì a qualche tempo, infatti, la sua donna lo costringeva a prendere parte a strani rituali angoscianti e defraudanti che ella soleva riassumere in una semplice domanda: “Andiamo a fare shopping?”.
La prima volta che udì quell’espressione, il Saiyan ne rimase incuriosito. Difatti qualunque cosa per lui nuova suscitava una tale curiosità da farlo sembrare quasi un bambino. Anni prima non s’interessava più di tanto degli usi e costumi dei vari luoghi in cui incappava. Quanti pianeti aveva distrutto e conquistato senza conoscere nemmeno la lingua che si parlava lì; eppure ora che viveva stabilmente su quel pianeta, con la sua famiglia, era desideroso di comprendere quali fossero i meccanismi che lo muovevano, e quali fossero le tradizioni rispettate. Pertanto Vegeta non se lo fece ripetere due volte e accompagnò di buon grado la compagna a “fare shopping”. Tuttavia ben presto scoprì che l’unico aspetto positivo della situazione era che poteva continuare tranquillamente ad allenarsi anche fuori casa trasportando l’immensa quantità di pacchetti e buste che, di volta in volta, gli passava Bulma.
“Vegeta, abbi solo un altro po’ di pazienza. Mi mancano solo un paio di negozi.”
Erano quarantacinque minuti che ripeteva come un pappagallo la stessa frase.
“Hai davvero bisogno di tutta questa roba?”
“Certo che sì, non siamo tutti come voi Saiyan che indossate sempre la stessa tuta, ovunque andiate e chiunque incontriate!”
Il Principe si limitò a scrollare le spalle. A lui piaceva la sua tuta, la considerava al pari di un abito formale. Ma lei non demordeva.
“Ora che mi ci fai pensare…dovremmo comprare qualcosa anche per te! Vedrai, starai benissimo, potremmo andare…”
Ma prima che potesse iniziare a blaterare di sciocchezze, Vegeta poggiò l’indice sulle sue labbra, facendole capire che doveva chiudere il becco.
“Mia cara, se non vuoi che ti abbandoni qui, lasciandoti con tutti i sacchetti da trasportare, sarà meglio che stia zitta.”, disse con un sorrisetto indulgente.
E l’avrebbe fatto sul serio, non era una minaccia vuota.
Bulma lo imitò e, dopo aver scrollato le spalle a sua volta, esclamò: “Non c’è nessun problema. Chiamerò Yamcha e mi farò aiutare. Va’ pure.”
Bastò quel nome per far ribollire il sangue a Vegeta. Yamcha? YAMCHA?
Con uno sguardo truce lasciò cadere a terra, uno dopo l’altro, tutti i pacchettini e, dopo aver preso tra due dita il mento della donna, le piantò sulle labbra un sonoro bacio, possessivo. Il suo fu un sibilo a malapena udibile: “Provaci e mi vedrai arrabbiato sul serio. Forza, andiamo a comprare qualcosa che mi stia bene. Dov’era quel negozio?”
Raccolti i pacchettini, Vegeta s’incamminò dalla parte opposta rispetto all’uscita, con una Bulma che lo seguiva diligentemente, incredula.
“Sai cosa ti dico invece? Che mi piaci proprio così, con la tua tuta addosso!”
Il Principe alzò gli occhi a cielo. Le donne in generale erano difficili da comprendere, eppure lui era giunto alla conclusione che quelle terrestri lo erano ancora di più.

An unsung hero -- Vegeta & BulmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora