Parte 1

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LA sveglia suonerà da un momento all’altro. Non ho chiuso occhio: ho passato la notte a rigirarmi nel letto, a fissare il soffitto e a ripetere a mente il programma dei corsi. Altre persone contano le pecore; io pianifico. Il cervello non mi concede tregua; e oggi, il giorno più importante dei miei diciotto anni di vita, non fa eccezione.
«Tessa!» chiama mia madre dal piano di sotto. Con un gemito mi tiro giù dal letto. Rimbocco lentamente gli angoli del lenzuolo, perché è l’ultima volta che compio questo gesto. Da oggi, questa stanza non sarà più casa mia.
«Tessa!» grida di nuovo.
«Sono in piedi!» rispondo. Dal rumore degli sportelli al piano di sotto capisco che è nel panico quanto me. Ho un nodo in gola, e mentre decido di fare la doccia prego che l’ansia diminuisca con il passare delle ore. Da tutta la vita mi preparo a questo giorno, il mio primo giorno di università.
Lo aspettavo da anni. Passavo i fine settimana a studiare mentre i miei amici uscivano a bere e a cacciarsi nei guai come fanno tutti gli adolescenti. Ma io ero diversa. Trascorrevo le serate china sui libri, seduta a gambe incrociate sul pavimento del salotto con mia madre che mi raccontava pettegolezzi e guardava televendite di cosmetici per ore.
Il giorno in cui è arrivata la lettera di ammissione alla Washington Central University ero al settimo cielo, e mia madre ha pianto di gioia per ore. Non posso negarlo, ero orgogliosa e felice che tutto quel duro lavoro avesse dato i suoi frutti. Sono entrata nell’unica università per la quale avevo fatto domanda e, dato che la nostra situazione finanziaria non è delle migliori, mi è stata assegnata una borsa di studio. A un certo punto, per un istante, ho pensato di iscrivermi all’università in un altro Stato. Ma quando ho visto mia madre sbiancare, e camminare nervosamente avanti e indietro nel salotto per quasi un’ora, le ho dovuto dire che non facevo sul serio.
Appena entro nella doccia la tensione nei muscoli inizia a sciogliersi. Me ne sto lì sotto l’acqua calda cercando di calmarmi, e invece ottengo l’effetto opposto; sono così distratta che, quando mi ricordo che devo ancora lavarmi i capelli, resta pochissima acqua calda per depilarmi le gambe.
Mentre mi avvolgo nell’asciugamano, mia madre mi chiama di nuovo. Pur sapendo di farla innervosire ancora di più, la ignoro e inizio ad asciugarmi i capelli. So che è agitata per il mio primo giorno di università, ma ho pianificato per mesi ogni istante di questa giornata. Solo una di noi può abbandonarsi al panico, oggi, e non posso essere io: perciò devo attenermi al programma.
Mi tremano le mani mentre mi allaccio il vestito. Non mi piace, ma mia madre ha insistito perché lo mettessi. Finalmente vinco la battaglia con la cerniera e tiro fuori dal fondo dell’armadio il mio maglione preferito. Una volta vestita, mi sento leggermente più tranquilla, finché noto un piccolo strappo sulla manica del maglione. Lo butto sul letto e infilo le scarpe, consapevole che mia madre diventa più impaziente ogni secondo che passa.
Il mio ragazzo, Noah, sarà qui a momenti e verrà con noi al campus. Ha un anno meno di me, sta per compierne diciotto. È brillante, prende voti alti quanto i miei, e l’anno prossimo si iscriverà anche lui alla Washington Central. Vorrei tanto che potesse venire con me già oggi, soprattutto considerato che al college non conosco nessuno, ma gli sono grata di avermi promesso che verrà a trovarmi il più possibile. Ora ho bisogno solo di una compagna di stanza decente: non chiedo altro, ed è l’unica cosa che non dipende da me.
«The-reeeee-saaaa!»
«Mamma, sto arrivando. Per favore, smettila di chiamarmi!» grido scendendo le scale. Noah siede a tavola di fronte a mia madre e guarda l’orologio. Il blu della sua polo s’intona all’azzurro degli occhi e i capelli biondi sono pettinati alla perfezione e fissati con un tocco di gel.
«Ehi, studentessa universitaria.» Sfodera un sorriso perfetto e viene ad abbracciarmi. Ha esagerato con il profumo. Sì, a volte ne mette troppo.
«Ciao.» Ricambio il sorriso, cercando di non apparire nervosa, e raccolgo i capelli in una coda di cavallo.
«Tesoro, se devi pettinarti possiamo aspettare un altro paio di minuti», dice mia madre a bassa voce.
Vado allo specchio: ha ragione lei. Devo avere i capelli presentabili, almeno oggi, e naturalmente non ha esitato a farmelo notare. Avrei dovuto arricciarli come piace a lei: un piccolo regalo d’addio.
«Porto le valigie in macchina», annuncia Noah, porgendo la mano a mia madre per chiederle le chiavi. Dopo un rapido bacio sulla guancia esce dalla stanza, valigie alla mano, seguito da lei.
Il secondo tentativo di pettinarmi va meglio del primo. Do un’ultima spazzolata al vestito grigio.
Mentre esco e raggiungo l’auto già caricata con le mie cose, sento le farfalle nello stomaco: per fortuna ho due ore di viaggio per farle sparire.
Non ho idea di come sarà l’università, e stranamente l’unica domanda che continua a dominare i miei pensieri è: Mi farò qualche amico?
2
VORREI poter dire che i paesaggi familiari di casa mi abbiano tranquillizzata durante il viaggio, o che l’entusiasmo si sia impadronito di me a ogni cartello stradale che ci portava più vicini alla Washington Central. In realtà ero immersa in una pianificazione confusa e ossessiva. Non ho neppure idea di cosa mi stesse parlando Noah, ma so che cercava di rassicurarmi e di mostrarsi felice per me.
«Eccoci arrivati!» squittisce mia madre quando varchiamo il cancello del campus. Dal vivo, è bello proprio come nei dépliant e sul sito, e sono immediatamente colpita dagli eleganti edifici in pietra. C’è molta gente: genitori che salutano i figli con baci e abbracci, gruppetti di matricole vestite dalla testa ai piedi con il logo della WCU e qualche studente che si aggira da solo con aria sperduta e confusa. Le dimensioni del campus mi mettono un po’ in soggezione, ma spero che tra qualche settimana mi sentirò a casa.
Mia madre insiste perché lei e Noah mi accompagnino all’incontro di orientamento per le matricole. Riesce a tenersi il sorriso stampato in faccia per tutte le tre ore, e Noah ascolta attento quanto me.
«Vorrei vedere la tua stanza, prima di andare. Voglio assicurarmi che sia tutto a posto», dice mia madre al termine dell’orientamento. I suoi occhi scrutano il vecchio edificio con disapprovazione. Riesce sempre a trovare il lato peggiore in ogni cosa. Noah stempera la tensione con un sorriso e lei si riprende.
«Non posso credere che tu sia già al college! La mia unica figlia, una studentessa universitaria che vive da sola. Non ci credo», piagnucola, asciugandosi gli occhi attenta a non rovinarsi il trucco. Noah ci segue nei corridoi portando i miei bagagli.
«22B… ma questo è il corridoio C», dico. Per fortuna, un momento dopo vedo una grande B dipinta sulla parete. «Da questa parte!» esclamo quando mia madre svolta dall’altro lato. Meno male che ho messo in valigia solo qualche vestito, una coperta e alcuni dei miei libri preferiti; così Noah non ha molti bagagli da portare e io non ne ho molti da disfare.
«B22», ansima mia madre, trotterellando sui tacchi troppo alti. Al termine di un lungo corridoio, infilo la chiave nella toppa di una vecchia porta di legno e, quando si apre cigolando, la mamma trasecola. La stanza è piccola, con due letti singoli e due scrivanie. Dopo un momento capisco il perché del suo stupore: un lato della stanza è tappezzato di poster di band che non ho mai sentito nominare, con ragazzi pieni di tatuaggi e piercing. E poi c’è la ragazza sdraiata sul letto: capelli rosso fuoco, occhi segnati da quello che sembra essere un chilo di eyeliner nero e le braccia coperte da tatuaggi colorati.
«Ciao, io sono Steph», si presenta con un sorriso che trovo, con sorpresa, piuttosto intrigante. Quando si tira su dal letto e si appoggia sui gomiti, il seno minaccia di uscirle dalla scollatura del top. Senza farmi notare, do un colpetto con il piede a Noah quando i suoi occhi si fissano sul seno.
«Ciao… Io mi chiamo Tessa», balbetto imbarazzata.
«Ciao Tessa, piacere di conoscerti. Benvenuta alla WCU, dove i dormitori sono minuscoli e le feste colossali.» Vedendo le nostre facce inorridite, la ragazza dai capelli rossi scoppia a ridere. Mia madre è rimasta a bocca aperta e Noah si dondola sui talloni, visibilmente a disagio. Steph si avvicina e mi cinge con le braccia magre. Resto impietrita per un momento, sorpresa da quel gesto d’affetto, ma ricambio l’abbraccio. Mentre Noah posa le mie borse a terra, bussano alla porta. Per un momento spero che sia tutto uno scherzo.
«Avanti!» grida la mia nuova compagna di stanza. La porta si apre ed entrano due ragazzi.
Maschi in un dormitorio femminile, il primo giorno del semestre? Forse la Washington Central è stata la scelta sbagliata. O forse c’era un modo per vagliare le possibili compagne di stanza? Dall’espressione afflitta di mia madre deduco che i suoi pensieri hanno preso la stessa direzione: poverina, ha l’aria di essere sull’orlo di uno svenimento.
«Ciao, tu sei la compagna di Steph?» mi chiede uno dei due. Porta i capelli dritti sulla testa, ciocche bionde e castane alternate; ha le braccia coperte di tatuaggi e orecchini grossi come monete.
«Ehm… sì. Mi chiamo Tessa.»
«Io sono Nate. Non essere così nervosa.» Sorride e mi posa una mano sulla spalla. «Ti troverai benissimo, qui.» Sembra simpatico, malgrado l’aspetto inquietante.
«Sono pronta, ragazzi», dice Steph, prendendo dal letto una pesante borsa nera. Sposto lo sguardo sul ragazzo alto e castano appoggiato alla parete. I suoi capelli sono un ammasso di ricci pettinati all’indietro, ha un piercing al sopracciglio e uno sul labbro. Le braccia, che spuntano da una t-shirt nera, sono ricoperte da tatuaggi: non c’è un centimetro di pelle libera. A differenza di Steph e Nate, i suoi sono tutti neri o in sfumature di grigio. So che lo sto fissando da troppo tempo, ma non riesco a non farlo.
Mi aspetto che si presenti come ha fatto il suo amico, invece resta in silenzio, ha l’aria scocciata e prende il cellulare dalla tasca dei jeans neri attillati. Di sicuro non è amichevole come Steph o Nate. Ma è più interessante di loro: qualcosa in lui mi rende difficile staccargli gli occhi di dosso. Quando sento quelli di Noah su di me, mi riscuoto e fingo di averlo fissato per lo shock.
Perché è così, giusto?
«Ci vediamo in giro, Tessa», mi saluta Nate, e i tre escono dalla stanza. Faccio un lungo respiro. Definire imbarazzanti gli ultimi minuti sarebbe un eufemismo.
«Tu cambi dormitorio!» urla mia madre appena la porta si richiude.
«No, non posso», sospiro. «Va bene così, mamma.» Mi sforzo di non sembrare nervosa. Neanch’io so come andrà a finire, ma l’ultima cosa che voglio è che la mia iperprotettiva madre faccia una scenata il mio primo giorno di università. «Sono sicura che quella ragazza passerà pochissimo tempo in camera», dico, cercando di convincere anche me stessa.
«Assolutamente no. Lo cambiamo, adesso.» Il suo aspetto curato stona con la rabbia del suo volto. «Non starai in camera con una ragazza che fa entrare gli uomini in quel modo… e che uomini, poi! Dei teppisti!»
Guardo i suoi occhi grigi, poi mi giro verso Noah. «Mamma, per favore, stiamo a vedere come va. Ti prego.» Non voglio neanche immaginare quanto sarebbe complicato cambiare dormitorio all’ultimo momento. E umiliante.
Lei dà di nuovo un’occhiata intorno, esamina i poster di Steph e sbuffa.
«E va bene», sentenzia con mia grande sorpresa. «Ma prima che me ne vada dobbiamo fare due chiacchiere.» 
3
UN’ORA più tardi, dopo averla ascoltata mettermi in guardia sui pericoli legati a feste e ragazzi – con un linguaggio che fa sentire piuttosto a disagio me e Noah, provenendo da lei – finalmente accenna ad andarsene. Nel suo solito stile, un rapido abbraccio e un bacio, esce dalla stanza dicendo a Noah che lo aspetterà in macchina.
«Mi mancherà averti accanto tutti i giorni», afferma lui abbracciandomi. Respiro il suo profumo, quello che gli ho regalato per due Natali di fila e sospiro. Dopo qualche ora l’aroma si è attenuato, e mi rendo conto che avrò nostalgia di quell’odore familiare e confortante, anche se me ne lamentavo sempre.
«Anche tu mi mancherai, ma possiamo telefonarci ogni giorno», sussurro stringendolo più forte e posandogli il viso sul collo. «Vorrei che fossi qui quest’anno.» Noah è più alto di me di pochi centimetri, ma mi piace così. Mia madre mi ha sempre detto che un uomo cresce di tre centimetri con ogni bugia che dice. Mio padre era alto, perciò non posso darle torto.
Le labbra di Noah sfiorano le mie… e in quel momento sento strombazzare un clacson nel parcheggio.
Noah scoppia a ridere e si separa da me. «Tua madre è tenace. Ti chiamo stasera!» Mi bacia sulla guancia e si affretta a uscire.
Rimasta sola, inizio a disfare i bagagli. Di lì a poco, metà dei miei vestiti è ben ripiegata in una delle piccole cassettiere e l’altra metà è appesa nell’armadio. Rabbrividisco alla vista della pelle e dei tessuti leopardati che riempiono l’altro armadio. Ma la curiosità ha la meglio: accarezzo un abito che sembra fatto di metallo e un altro così sottile da essere quasi impalpabile.
Inizio a sentirmi un po’ stanca, mi sdraio sul letto. Una strana solitudine si sta già facendo strada in me e il fatto che la mia compagna di stanza sia uscita, per quanto i suoi amici mi mettano a disagio, non aiuta. Ho la sensazione che la vedrò di rado, o – peggio ancora – che avrà ospiti molto spesso. Perché non mi è toccata una compagna che ama leggere e studiare? Ma forse è meglio così, perché avrò la stanza tutta per me; però ho un pessimo presentimento. Finora il college non somiglia affatto a quello che sognavo o mi aspettavo.
Ma sono qui da poche ore. Domani andrà meglio. Per forza.
Prendo l’agenda e i libri di testo, trascrivo l’orario del primo semestre e le date degli incontri del club letterario al quale penso di iscrivermi: sono ancora indecisa, ma ho letto dei commenti di altri studenti e voglio provare. Voglio trovare persone con cui ho qualcosa in comune. Non mi aspetto di farmi molti amici, giusto il minimo indispensabile per non mangiare sempre da sola. Domani andrò a comprare altre cose per la stanza: non ho intenzione di riempire di roba la mia metà come quella di Steph, ma vorrei aggiungere qualcosa di mio per sentirmi più a casa. Il fatto di non avere ancora una macchina mi complicherà la vita. Prima me ne procuro una, meglio è. Ho soldi a sufficienza, tra i regali per il diploma e i risparmi accumulati durante l’estate lavorando in libreria. D’altra parte, però, non sono così sicura di volermi sobbarcare lo stress di avere un’auto. Vivendo al campus posso benissimo usare i mezzi pubblici. Mi addormento con l’agenda ancora in mano, e sogno orari delle lezioni, ragazze dai capelli rossi e ragazzi scorbutici pieni di tatuaggi.
La mattina dopo, Steph non è nel suo letto. Vorrei conoscerla meglio, ma sarà difficile se non c’è mai. Forse uno di quei due ragazzi è il suo fidanzato? Per il suo bene spero che sia quello biondo.
Prendo il beauty e vado in sala docce. Ho già capito che una delle cose peggiori del college saranno le docce comuni: è imbarazzante, preferirei che ogni stanza avesse il suo bagno. Spero almeno che non siano unisex.
Invece, sulla porta vedo due sagome disegnate, una femminile e una maschile. Sono inorridita. Come ho fatto a non scoprirlo durante le mie ricerche sull’università?
Vedo una doccia libera, mi faccio strada rapidamente tra ragazzi e ragazze seminudi, tiro la tenda e mi spoglio lì dentro. L’acqua ci mette un secolo a scaldarsi, e per tutto il tempo ho il terrore che qualcuno scosti la tenda. A parte me, la cosa non sembra impensierire nessun altro. Finora la vita al college è davvero strana, ed è solo il secondo giorno.
La doccia è minuscola, con un attaccapanni e spazio a malapena per distendere le braccia davanti a me. Mi metto a pensare a Noah e a casa. Distratta, mi giro e colpisco l’attaccapanni con il gomito: i vestiti cadono sul pavimento, proprio sotto il soffione della doccia.
«È uno scherzo, vero?» borbotto tra me, mentre chiudo l’acqua e mi avvolgo nell’asciugamano. Recupero i vestiti zuppi e corro in camera sperando che nessuno mi veda. Quando richiudo la porta della mia stanza, mi rilasso all’istante. Finché mi giro e vedo il ragazzo arrogante, tatuato, castano, stravaccato sul letto di Steph.
4
«EHM… dov’è Steph?» chiedo con voce stridula, anziché nel tono autoritario che speravo.
Stringo il telo da bagno e controllo ogni due secondi che mi copra ancora.
Il ragazzo mi guarda, accenna un sorriso, ma non apre bocca.
«Mi hai sentita? Ti ho chiesto dov’è Steph», ripeto, cercando di essere un po’ meno scortese.
Lui sorride in silenzio ancora per un po’, poi borbotta: «Non lo so», e si gira verso il piccolo televisore a schermo piatto sopra la cassettiera di Steph. E comunque cosa ci fa qui? Non ce l’ha una stanza sua? Mi mordo la lingua e tengo per me i commenti.
«Okay… be’, potresti… andartene, così mi vesto?» Non ha neanche notato che indosso solo un asciugamano. O forse l’ha notato, ma la cosa lo lascia indifferente.
«Non illuderti, non ti guarderei comunque», mi informa, e si rotola sul letto coprendosi la faccia con le mani. Ha un marcato accento britannico, di cui non mi ero accorta.
Probabilmente perché ieri non ha avuto la gentilezza di rivolgermi la parola.
Non sapendo come reagire, sbuffo e mi avvio verso il comò. Forse non è etero: forse intendeva quello, quando ha detto che non mi avrebbe guardata. Oppure è perché mi trova brutta. Infilo rapidamente un reggiseno e un paio di mutandine, una maglietta bianca e dei pantaloncini color cachi.
«Hai finito?» chiede lui.
Ho finito la pazienza, quella sì. «Ma perché sei così maleducato? Non ti ho fatto niente. Che problema hai?» grido, molto più forte di quanto volessi; ma, a giudicare dalla sua espressione sorpresa, le mie parole hanno sortito l’effetto desiderato.
Mi fissa per un momento. E mentre aspetto che si scusi… scoppia a ridere. Sarebbe anche una bella risata, se non fosse così seccante. Gli sono venute due fossette sulle guance. Mi sento un’idiota, non so cosa dire né cosa fare. Non mi piace litigare, e questo qui è l’ultima persona al mondo con cui dovrei farlo.
La porta si apre e Steph si precipita dentro. «Scusa il ritardo, ho un doposbronza assurdo», dice d’un fiato, poi fa saettare lo sguardo tra noi due. «Scusami Tess, ho dimenticato di dirti che Hardin sarebbe passato.»
Mi piacerebbe pensare che io e Steph riusciremo a sopportarci a vicenda, forse persino a stringere una specie di amicizia, ma non ne sono più tanto sicura, considerato gli amici che si sceglie e gli orari che fa.
«Il tuo ragazzo è maleducato», sbotto prima di riuscire a fermarmi.
Steph lo guarda, poi entrambi scoppiano a ridere. Ma perché ridono tutti di me? Sta diventando fastidioso.
«Hardin Scott non è il mio ragazzo!» esclama lei, e per poco soffoca a forza di ridere. Poi si calma e si gira a guardare storto questo Hardin. «Cosa le hai detto?» Si rivolge di nuovo a me: «Hardin ha… un modo tutto suo di fare conversazione».
Fantastico: in pratica sta dicendo che Hardin è un cafone. Lui, con aria annoiata, cambia canale con il telecomando.
«C’è una festa, stasera. Perché non vieni anche tu, Tessa?» propone Steph.
È arrivato il mio turno di ridere.
«Le feste non sono il mio forte. E poi devo andare a comprare un po’ di roba per la mia scrivania e le pareti.» Osservo Hardin, che si comporta come se fosse da solo nella stanza.
«Ma dai, è solo una festa! Sei al college: una festa non ti ucciderà. Ehi, aspetta, come ci vai al negozio? Pensavo che non avessi la macchina.»
«Prendo l’autobus. E poi non posso andare a una festa, non conosco nessuno», continuo, e Hardin ride di nuovo: una velata conferma del fatto che mi ascolta lo stretto necessario per potermi prendere in giro. «Pensavo di leggere e parlare con Noah via Skype.»
«Non puoi prendere l’autobus di sabato! C’è troppa gente. Hardin può accompagnarti mentre torna a casa… giusto, Hardin? E alla festa conosci già me. Dai, vieni… per favore!» conclude pregandomi con le mani giunte.
La conosco solo da un giorno, dovrei fidarmi? Mi tornano in mente gli avvertimenti di mia madre sulle feste. Steph sembra una brava ragazza, da quel poco che ho interagito con lei. Ma una festa?
«Non lo so… e no, non voglio che Hardin mi accompagni al negozio», dico.
Lui si rotola sul letto di Steph con un’espressione divertita. «Oh, no! E pensare che ci tenevo proprio a passare del tempo con te!» ribatte con così tanto sarcasmo che mi viene voglia di tirargli un libro su quella testa riccioluta. «Dai, Steph, lo sai benissimo che questa qui non verrà alla festa», dice ridendo, con quel suo accento spiccato. Il mio lato curioso (che, devo ammettere, è piuttosto forte) muore dalla voglia di chiedergli da dove viene di preciso. Il mio lato competitivo, invece, vuole dimostrargli che si sbaglia.
«Va bene, ci vengo», annuncio con il sorriso più dolce che riesco a trovare. «Sembra molto divertente.»
Hardin scuote la testa incredulo e Steph fa un urletto di gioia e mi abbraccia. «Evviva!
Ci divertiremo un sacco!» strilla. Spero tanto che abbia ragione.
5
TIRO un sospiro di sollievo quando se ne va, perché così io e Steph possiamo parlare della festa. Ho bisogno di altre informazioni per placare un po’ il nervosismo, e avere Hardin intorno non mi aiuta affatto.
«Dov’è la festa? Ci si arriva a piedi?» le chiedo cercando di sembrare calma mentre allineo i libri sulla mensola.
«Tecnicamente è la festa di una confraternita, una delle più grandi dell’ateneo.» Spalanca la bocca mentre applica un altro strato di mascara. «È fuori dal campus, quindi ci andiamo in macchina. Viene a prenderci Nate.»
Non Hardin, per fortuna: ma so che ci sarà anche lui. Trovo insopportabile il pensiero di salire in macchina con lui. Perché è così maleducato? Dovrebbe essere contento che io non lo giudichi per essersi deturpato con tutti quei piercing e tatuaggi. Okay, forse lo sto giudicando un po’, ma almeno ho il pudore di non dirglielo in faccia. A casa mia, tatuaggi e piercing non sono ben visti. Dovevo sempre essere pettinata, avere le sopracciglia curate e i vestiti puliti e stirati. È così che vanno le cose.
«Mi hai sentita?» Steph mi riscuote dai miei pensieri.
«Scusa, dicevi?»
«Ho detto che dobbiamo prepararci: puoi aiutarmi a scegliere il vestito.» Gli abiti che mi mostra sono così indecenti che mi guardo intorno in cerca di una telecamera nascosta e di qualcuno che salti fuori a dire che è tutto uno scherzo. Rabbrividisco a ogni capo, e Steph ride del mio disgusto.
L’abito – anzi, il brandello di stoffa – che sceglie alla fine è nero, a rete, e lascia trasparire il reggiseno rosso. Solo una sottoveste nera la separa dalla nudità. L’orlo arriva pochi centimetri sotto l’inguine, e Steph continua a tirarlo verso l’alto per scoprire di più le gambe e poi verso il basso per svelare la scollatura. I tacchi sono di almeno dodici centimetri. I capelli rosso fuoco sono legati in un impreciso chignon con qualche ricciolo che ricade sulle spalle, e sugli occhi c’è ancora più eyeliner di prima, nero e blu.
«Ti ha fatto male, farti quei tatuaggi?» le chiedo, mentre indosso il mio abito preferito. «Il primo sì, un po’, ma non quanto pensi tu. È come una sfilza di punture d’ape.»
«Sembra orribile», commento facendola ridere. Mi viene in mente che deve trovarmi strana, come io trovo strana lei. Il fatto che la perplessità sia reciproca è curiosamente confortante.
Poi mi guarda esterrefatta. «Non uscirai vestita così, vero?» È il mio abito preferito, e non è che ne possieda molti.
«Cos’ha che non va?» domando, cercando di non sembrare risentita. È rosso scuro, accollato e con le maniche a tre quarti.
«Niente… solo che è così… lungo!»
«Arriva appena sotto il ginocchio.» Non so se ha capito di avermi offesa, ma non voglio farglielo sapere.
«È carino. Solo che non mi pare molto adatto a una festa. Vuoi che ti presti qualcosa?»
Rabbrividisco all’idea di infilarmi uno dei suoi microabiti. «Grazie, Steph, ma preferisco tenermi questo», dico, attaccando alla corrente il ferro arricciacapelli. 
6
QUANDO i capelli sono perfettamente arricciati e sciolti sulla schiena, infilo due mollette sulle tempie per non farli ricadere sul viso.
«Vuoi i miei trucchi?» chiede Steph.
Mi guardo di nuovo allo specchio. Ho sempre avuto gli occhi un po’ troppo grandi, ma preferisco truccarmi poco: di solito solo un filo di mascara e burrocacao.
«Magari un po’ di eyeliner?» dico, incerta.
Lei sorride e mi porge tre matite: una viola, una nera e una marrone. Me le rigiro in mano, indecisa tra il nero e il marrone.
«Il viola starà benissimo con i tuoi occhi», osserva, e io sorrido ma scuoto la testa.
«Hai degli occhi fantastici, vuoi fare a cambio?» scherza lei.
Steph ha dei bellissimi occhi verdi: perché mai dovrebbe invidiare i miei? Prendo l’eyeliner e traccio una linea il più sottile possibile, guadagnandomi un sorriso orgoglioso da parte di Steph.
Il suo telefono vibra. «Nate è arrivato», mi avvisa. Prendo la borsa, mi sistemo il vestito e infilo le espadrillas bianche, che Steph osserva senza commentare.
Nate ci aspetta lì sotto: dai finestrini aperti della macchina esce musica heavy rock a tutto volume. Mi guardo intorno: ci fissano tutti. Resto a testa china, e quando alzo gli occhi vedo Hardin sul sedile del passeggero. Evidentemente era piegato in avanti e non me n’ero accorta.
«Signorine…» ci saluta Nate.
Hardin mi guarda storto mentre salgo in macchina e mi ritrovo seduta proprio dietro di lui. «Theresa, lo sai che stiamo andando a una festa e non in chiesa, vero?» mi dice, e nello specchietto vedo il suo ghigno.
«Per favore, non chiamarmi Theresa. Preferisco Tessa.» Come fa a sapere il mio nome? Sentirmi chiamare Theresa mi fa pensare a mio padre, e preferirei non doverci pensare.
«Certamente, Theresa.»
Mi appoggio allo schienale, indispettita. Scelgo di non insistere; non vale la pena sprecarci del tempo.
Guardo fuori dal finestrino per tentare di distrarmi dalla musica troppo alta. All’arrivo, Nate parcheggia sul ciglio di una strada costeggiata da grandi case che sembrano tutte uguali. Il nome della confraternita è dipinto in lettere nere sulla facciata, ma non riesco a leggerlo perché è coperto da viti rampicanti. La grande casa bianca è decorata con nastri di carta igienica e da dentro proviene un rumore assordante, come nella migliore tradizione delle confraternite studentesche.
«È enorme, quanta gente ci sarà?» mormoro. Il prato è gremito di studenti con bicchieri rossi in mano, alcuni stanno ballando. Mi sento un pesce fuor d’acqua.
«Parecchia. Sbrigati», risponde Hardin, poi scende dalla macchina e sbatte la portiera. Varie persone salutano Nate dandogli il cinque e stringendogli la mano, ma Hardin viene ignorato. Mi stupisce che nessun altro di quei ragazzi sia coperto di tatuaggi come lui, Nate e Steph. Forse, dopotutto, stasera riuscirò a farmi qualche nuovo amico.
«Vieni?» mi chiede Steph con un sorriso, scendendo dalla macchina.
Annuisco, e mi sistemo il vestito. 
7
HARDIN è già sparito all’interno della casa, meglio così: forse non lo vedrò per il resto della serata, considerato il numero di persone stipate lì dentro. Seguo Steph e Nate in salotto e qualcuno mi porge un bicchiere rosso. Mi giro per declinare l’offerta, ma è troppo tardi e non ho visto chi me l’abbia dato. Lo poso sul bancone e procedo. Raggiungiamo un gruppo di persone sedute su un divano e radunate tutt’intorno. Immagino che siano amici di Steph. Sono tutti tatuati come lei. Purtroppo Hardin è seduto su un bracciolo, ma evito di guardarlo mentre Steph mi presenta gli altri.
«Lei è Tessa, la mia compagna di stanza. È arrivata ieri, così ho pensato di farla divertire un po’ nel suo primo weekend alla WCU.»
Uno a uno mi sorridono o fanno un cenno con il capo. Sembrano tutti cordiali, tranne Hardin ovviamente. Un ragazzo molto carino dalla carnagione olivastra mi stringe la mano. È un po’ fredda per via del bicchiere che reggeva, ma il sorriso è caloroso. Mi pare di avergli visto un piercing sulla lingua, ma chiude la bocca prima che possa accertarmene.
«Mi chiamo Zed. Cosa studi?» mi chiede. Noto che guarda il mio vestito e fa un sorrisetto, ma non dice niente.
«Letteratura inglese», rispondo orgogliosa. Hardin soffoca una risatina, ma lo ignoro.
«Fantastico, a me invece piacciono i fiori», dice. Zed scoppia a ridere.
Fiori? Ma che significa?
«Vuoi bere qualcosa?» mi domanda, senza lasciarmi il tempo di indagare oltre.
«Ah, no, non bevo», gli dico, e vedo che si sforza di non sorridere.
«E ti pareva che Steph non ci portava una santarellina alla festa», mormora una ragazza minuta con i capelli rosa.
Fingo di non aver sentito. Santarellina? Non lo sono affatto, ma ho faticato molto per arrivare dove sono e, da quando mio padre ci ha lasciate, la mamma ha sempre lavorato per garantirmi un futuro.
«Esco a prendere una boccata d’aria», e mi volto per andarmene. Devo evitare a tutti i costi una scenata. Non posso farmi dei nemici, dal momento che non ho ancora amici.
«Vengo con te?» mi chiede Steph.
Scuoto la testa e mi avvio alla porta. Sapevo che non sarei dovuta venire. A quest’ora sarei potuta essere in pigiama a leggere un romanzo. O a parlare su Skype con Noah, che mi manca moltissimo. Anche dormire sarebbe meglio che star seduta fuori da questa festa orribile con un mucchio di estranei ubriachi. Decido di scrivere un messaggio a Noah. Mi rifugio in fondo al giardino, dove c’è meno gente.
Mi manchi. Finora l’università non è tanto divertente. Premo invio e mi siedo sul muretto ad aspettare la risposta. Un gruppo di ragazze ubriache mi passa davanti ridendo e barcollando.
Noah risponde quasi subito. Perché no? Mi manchi anche tu, Tessa. Vorrei essere lì con te. Sorrido.
«Merda, scusa!» dice una voce maschile, e un istante dopo sento un liquido freddo inzupparmi il vestito. Il ragazzo inciampa e si appoggia al muretto. «Colpa mia», borbotta, e si siede.
Questa festa non potrebbe andare peggio di così. Prima quella tipa mi ha dato della santarellina, e ora ho il vestito bagnato da sa Dio cosa e che puzza. Sospiro, prendo il telefono e torno in casa per cercare un bagno. Mi faccio strada nel corridoio affollato e provo ad aprire tutte le porte che trovo, ma nessuna si apre. Cerco di non pensare a cosa staranno facendo quelli chiusi lì dentro.
Salgo al piano di sopra e continuo la mia ricerca di un bagno. Finalmente una porta si apre. Ma purtroppo non è un bagno: è una camera da letto. E quel che è peggio è che sul letto c’è Hardin e, seduta a cavalcioni sopra di lui, c’è la ragazza dai capelli rosa. Si stanno baciando. 
8
LA ragazza si gira a guardarmi. Cerco di indietreggiare, ma i piedi non rispondono. «Posso esserti utile?» sibila sarcastica.
Hardin si alza a sedere senza staccarsi da lei. Il suo volto è impassibile: non è divertito né imbarazzato. Cose del genere devono capitargli in continuazione. Deve essere abituato a essere sorpreso mentre fa praticamente sesso con ragazze sconosciute.
«Ah… no, scusate. Stavo cercando il bagno, mi hanno rovesciato un bicchiere addosso», spiego, trafelata e nervosa. La ragazza ricomincia a baciare Hardin sul collo e io distolgo lo sguardo. Quei due sembrano ben assortiti: entrambi tatuati e cafoni.
«Be’, allora va’ a cercare un bagno.» Annuisco ed esco dalla stanza, richiudo la porta e mi ci appoggio con la schiena. Fin qui il college non è stato affatto divertente. Anziché continuare nella ricerca, decido di andare in cucina a ripulirmi. Non ci tengo ad aprire un’altra porta e trovarmi davanti universitari ubriachi uno sull’altra, in preda agli ormoni. Di nuovo.
La cucina è piena di gente: sul bancone ci sono bottiglie messe in fresco in secchielli per il ghiaccio, e gli altri piani sono ingombri di cartoni della pizza. Devo aggirare una ragazza bruna che vomita nel lavandino per prendere un tovagliolo di carta e bagnarlo. Me lo strofino sul vestito, ma riesco solo a peggiorare la situazione: brandelli di carta restano appiccicati alla macchia. Irritata, mi appoggio al bancone.
«Ti stai divertendo?» mi chiede Nate, avvicinandosi. È un sollievo vedere una faccia conosciuta. Mi fa un sorriso dolce e beve un sorso dal suo bicchiere.
«Non proprio… di solito quanto durano queste feste?»
«Tutta la notte… e metà di domani.» Ride, e io resto imbambolata. Spero che Steph abbia intenzione di andarsene presto.
«Ehi, aspetta», domando nel panico dopo aver notato i suoi occhi rossi. «Chi ci riaccompagna al dormitorio?»
«Non lo so… Puoi guidare tu la mia macchina, se vuoi.»
«Sei molto gentile, ma non posso. Se abbiamo un incidente, o se mi fermano con dei minorenni ubriachi in macchina, finirei nei guai.» Immagino già la faccia di mia madre mentre paga la cauzione.
«No, no, non è lontano, è meglio che prendi la mia macchina. Non hai neppure bevuto.
Altrimenti ti toccherà restare qui, oppure posso chiedere in giro se qualcuno…»
«No, non preoccuparti, mi inventerò qualcosa», riesco a dire, prima che il volume della musica si alzi all’improvviso e le urla del cantante coprano la mia voce.
9
FINALMENTE, dopo aver strillato il nome di Steph dieci volte, quando inizia una canzone a volume più basso riesco a farmi capire da Nate. Scoppia a ridere e mi fa cenno di andare nella stanza accanto. È davvero un bravo ragazzo: perché frequenta gente come Hardin?
Mi volto e sussulto: Steph sta ballando con altre due ragazze su un tavolo del salotto. Un ragazzo ubriaco le raggiunge e afferra Steph per i fianchi. Mi aspetto che lei se lo scrolli di dosso, invece sorride e spinge il sedere contro di lui.
«Stanno solo ballando, Tessa», osserva Nate, divertito dalla mia faccia sconvolta.
Ma non stanno solo ballando: si stanno strusciando e palpando.
«Sì… lo so», rispondo con finta noncuranza. Io non ho mai ballato così, neppure con Noah, e usciamo insieme da due anni. Noah! Tiro fuori il telefono e controllo i messaggi. Ci sei, Tess?
Ehi? Tutto bene?
Tessa? Devo chiamare tua madre? Mi sto preoccupando.
Lo chiamo immediatamente, pregando che non abbia già telefonato a mia madre. Non risponde, ma gli scrivo per rassicurarlo che sto bene e che non c’è bisogno di avvertire mia madre. Perderebbe la testa se pensasse che mi sia successo qualcosa al primo weekend di college.
«Ehiii… Tessa!» biascica Steph, e mi posa la testa sulla spalla. «Ti stai divertendo, roomie?» È ubriaca fradicia. «Penso… ho bisogno… mi gira tutto…»
«Sta per vomitare», dico a Nate, che annuisce e se la carica in spalla.
«Seguimi», replica, e si avvia al piano di sopra. Apre una porta a metà del corridoio e, ovviamente, trova subito un bagno. Appena la posa a terra accanto al water, Steph inizia a vomitare. Distolgo lo sguardo ma le scosto i capelli dal viso.
Dopo una quantità di vomito che non credevo possibile, la smette e Nate mi porge un asciugamano. «Portiamola nella stanza qui di fronte e facciamola sdraiare. Ha bisogno di dormirci su, per smaltire.» Annuisco, ma non me la sento di lasciarla sola in quelle condizioni. «Puoi restare con lei», dice Nate, come se mi avesse letto nel pensiero.
La tiriamo su e, sorreggendola, la accompagniamo in una stanza buia e la depositiamo sul letto. Nate se ne va subito, aggiungendo che tornerà più tardi. Mi siedo sul letto accanto a Steph e le sistemo i cuscini.
Sobria, con una ragazza ubriaca accanto mentre fuori prosegue la festa, mi sento una vera sfigata. Accendo una lampada e mi guardo intorno. Il mio sguardo si posa immediatamente sulle mensole di libri che coprono una delle pareti. Questo mi tira su, e vado subito a curiosare tra i titoli. È una bella biblioteca: ci sono molti classici, compresi tutti i miei preferiti. Trovo Cime tempestose e lo tiro fuori: è malandato, la rilegatura sta per cedere, si vede che è stato letto molte volte.
Sono così persa nelle parole di Emily Brontë che non mi accorgo neppure della porta che si apre, né della presenza di una terza persona nella stanza.
«Che cavolo ci fai nella mia stanza?» tuona una voce alle mie spalle.
Ormai conosco quell’accento. Hardin.
«Ti ho chiesto cosa ci fai nella mia stanza», ripete con lo stesso tono acido. Mi giro e lo vedo venire verso di me. Mi strappa il libro di mano e lo ripone sullo scaffale.
Sono confusa: pensavo che la festa non potesse peggiorare, e invece eccomi qua, beccata a ficcanasare nella roba di Hardin. «Allora?»
«Nate mi ha detto di portare qui Steph…» rispondo con un filo di voce. Lui fa un altro passo avanti. «Ha bevuto troppo, e Nate ha detto…» aggiungo indicandogli il letto.
«Ho sentito quello che hai detto.» Si passa una mano tra i capelli spettinati, chiaramente a disagio. Perché gli dà tanto fastidio che siamo nella sua stanza? Aspetta…
«Ma tu sei iscritto a questa confraternita?» gli chiedo. Non riesco a nascondere lo stupore: Hardin è molto diverso da come immaginavo i ragazzi delle confraternite.
«Sì, e allora?» ribatte avvicinandosi di un altro passo. Ormai c’è meno di mezzo metro tra noi, e quando tento di indietreggiare urto la libreria. «La cosa ti stupisce, Theresa?» «Smettila di chiamarmi Theresa.» Mi ha messa all’angolo.
«È il tuo nome, no?» ghigna, un po’ più disteso.
Sospiro e gli do le spalle, girandomi verso i libri. Non so dove andare, ma devo allontanarmi da lui prima di prenderlo a schiaffi. O di scoppiare a piangere. È stata una giornata lunga, quindi probabilmente scoppierei in lacrime prima di schiaffeggiarlo.
Mi volto e lo oltrepasso.
«Non può restare qui», dice. Mi giro e vedo che stringe tra i denti il piercing che ha sul labbro. Cosa l’ha spinto a infilzarsi la bocca e le sopracciglia con quegli anelli? Dev’essere stato doloroso… ma mette in risalto le sue labbra carnose.
«Perché no? Pensavo foste amici.»
«Sì, ma nessuno può restare nella mia stanza.» Incrocia le braccia sul petto, e per la prima volta da quando lo conosco capisco cosa raffigura uno dei suoi tatuaggi. È un fiore, proprio al centro dell’avambraccio. Hardin, con un fiore tatuato? Il disegno nero e grigio da questa distanza si direbbe una rosa, ma intorno c’è qualcos’altro che lo incupisce.
Sono così irritata che riesco a ribattere: «Ah… ho capito, quindi solo le ragazze che ti baciano possono entrare nella tua stanza?»
Il suo sorriso si allarga. «Quella non era la mia stanza. Però se stai cercando di dire che vuoi baciarmi, scusa ma non sei il mio tipo.» Non so perché, ma quelle parole mi feriscono. Hardin non è affatto il mio tipo, eppure non glielo direi mai in faccia.
«Tu… tu sei…» Non trovo le parole per esprimere il mio fastidio verso di lui. La musica che rimbomba dalle altre stanze mi irrita ancora di più. Sono imbarazzata ed esausta, non ho nessuna voglia di litigare con lui. «Be’… allora portala in un’altra stanza, io me ne torno in dormitorio», dico, e me ne vado.
Mentre mi sbatto la porta alle spalle, più forte persino del rumore della festa, lo sento esclamare in tono beffardo: «Buonanotte, Theresa».
10
SCOPPIO a piangere prima ancora di arrivare alle scale. Detesto già il college, e non sono neppure iniziate le lezioni. Perché non mi è capitata una compagna di stanza più simile a me? A quest’ora dovrei dormire, o prepararmi per lunedì. Questo genere di feste, questo tipo di persone non fa per me. Steph mi sta simpatica, ma non ce la faccio a gestire una persona come Hardin. Quel ragazzo è un mistero per me: perché dev’essere sempre così odioso? Ma poi mi torna in mente la parete tappezzata di libri: perché ne ha così tanti? È impossibile che un cafone insolente e pieno di tatuaggi come lui possa apprezzare quei capolavori. L’unica cosa che lo immagino leggere è l’etichetta di una bottiglia di birra.
Mi asciugo le lacrime e mi rendo conto che non ho idea di dove sono e di come tornare al dormitorio. Avrei dovuto pensarci meglio prima di venire alla festa. È esattamente per evitare inconvenienti del genere che pianifico sempre tutto. La casa è ancora gremita di gente e la musica è troppo alta. Nate e Zed sono spariti. Forse dovrei solo entrare in una stanza a caso e dormire per terra? Ci sono almeno quindici camere da letto, magari avrò fortuna e ne troverò una vuota. Per quanto ci provi non riesco a calmarmi, e non voglio scendere al piano terra e farmi vedere in lacrime dagli altri. Torno indietro, trovo il bagno in cui abbiamo portato Steph e mi siedo a terra con la testa sulle ginocchia.
Richiamo Noah, che stavolta risponde al secondo squillo.
«Tess? È tardi, stai bene?» dice con voce assonnata.
«Sì. No. Sono andata a una stupida festa con la mia compagna di stanza e ora sono bloccata in una confraternita, senza un posto per dormire né un passaggio a casa», singhiozzo. So che non è una questione di vita o di morte, ma sono arrabbiata con me stessa per essermi cacciata in una situazione del genere.
«Una festa? Con quella ragazza dai capelli rossi?» domanda sorpreso.
«Sì, con Steph. Che però si è ubriacata e ora dorme.»
«Ehi, ma cosa ci fai con lei? È così… non è il tipo di persona con cui esci di solito.» Il disprezzo che traspare dalla sua voce mi irrita. Volevo sentirmi dire che andrà tutto bene, che domani è un altro giorno: qualcosa di positivo e incoraggiante. Non volevo essere giudicata.
«Non è questo il punto, Noah…» sospiro, ma in quel momento la maniglia della porta si muove e mi tiro su. «Un attimo!» grido. Mi asciugo gli occhi con la carta igienica, riuscendo solo a far colare ancora di più l’eyeliner. Questo è esattamente il motivo per cui non metto questa roba di solito.
«Ti richiamo, qualcuno ha bisogno del bagno», dico a Noah, e riattacco prima che possa protestare.
La persona dall’altra parte della porta bussa con insistenza. Sbuffo e mi affretto ad aprire. «Ho detto un att…»
Ma mi blocco non appena due splendidi occhi verdi si posano nei miei. 
11
FISSANDO quegli occhi verdi straordinari, mi rendo subito conto che prima non ne avevo notato il colore. Poi capisco perché: Hardin non mi aveva mai guardata negli occhi. Fino a ora. Quando lo oltrepasso per uscire dal bagno, mi prende per un braccio e mi tira indietro.
«Non toccarmi!» grido, cercando di divincolarmi.
«Hai pianto?» mi chiede, incuriosito. Se non fosse Hardin, penserei che sia preoccupato per me.
«Lasciami in pace, Hardin.»
Mi si piazza davanti, il suo corpo mi sbarra il passaggio. Non ne posso più dei suoi giochetti, soprattutto stasera.
«Hardin, ti scongiuro: se hai un briciolo di rispetto, lasciami stare. Tieniti le cattiverie che stavi per dire per domani. Ti prego.» Non m’importa se risulto disperata: ho bisogno che mi lasci in pace.
Sembra confuso. Resta a guardarmi per un momento prima di parlare. «C’è una stanza in fondo al corridoio, puoi dormire lì. È dove ho portato Steph», spiega, in tono monocorde. Aspetto che aggiunga qualcos’altro, invece mi fissa in silenzio.
«Okay», mormoro.
Si fa da parte per lasciarmi passare. «È la terza porta a sinistra», precisa, poi se ne va in camera sua.
So che la sconterò domani, se lo rivedo. Probabilmente si appunta i commenti sarcastici sull’agenda, come io ci scrivo i compiti da fare a casa, e scommetto che sulla pagina di domani ci sarò anch’io.
La terza stanza a sinistra è molto più piccola di quella di Hardin, spoglia e con due letti singoli. Forse lui è il capo della confraternita, o qualcosa del genere? La spiegazione più logica è che gli abbiano concesso la stanza più grande perché hanno tutti paura di lui. Steph è sdraiata sul letto vicino alla finestra; la copro con una trapunta, mi tolgo le scarpe, chiudo la porta a chiave e mi sdraio sull’altro letto.
Mi addormento con i pensieri in subbuglio. Sogno rose dai contorni confusi, sogno occhi verdi e furibondi.
12
AL risveglio, impiego un momento a ricordare come sono finita in questa stanza. Steph dorme ancora, russa con la bocca aperta. Decido di aspettare a svegliarla finché non capisco come tornare in dormitorio. Infilo le scarpe, recupero la borsa ed esco. Dovrei bussare alla porta di Hardin o cercare Nate? Ma Nate poi appartiene alla confraternita? Non avrei mai immaginato che Hardin potesse far parte di un gruppo sociale organizzato, quindi forse è iscritto anche Nate.
Scavalco un gruppo di ragazzi addormentati in corridoio e scendo le scale.
«Nate?» Soltanto in salotto ci sono almeno venticinque persone addormentate. Il pavimento è ingombro di bicchieri rossi e spazzatura: il corridoio del piano di sopra invece era stranamente pulito, ora che ci penso, nonostante la gente per terra. Quando entro in cucina devo proibire a me stessa di mettermi a pulire. Ci vorrà l’intera confraternita e tutto il giorno per rimetterla in sesto. Mi piacerebbe proprio vedere Hardin che fa le faccende, penso ridacchiando. «Che c’è di tanto buffo?»
Mi giro e lo vedo che entra in cucina con un sacco della spazzatura in mano. Spazza con un braccio il bancone facendo ricadere nel sacco tutti i bicchieri di plastica. «Niente», mento. «Anche Nate abita qui?» Mi ignora e continua a pulire.
«Allora, vive qui o no?» chiedo di nuovo, più impaziente. «Prima mi rispondi e prima posso andarmene.»
«Okay, se la metti così. No, lui non vive qui. Ti pare il tipo da confraternita?» «No, ma neanche tu», ribatto.
Sembra risentirsi. Mi gira intorno per aprire lo sportello accanto a me e tira fuori un rotolo di carta da cucina.
«Da queste parti passa qualche autobus?» domando, senza aspettarmi una risposta.
«Sì, a un isolato da qui.»
Lo seguo attraverso la cucina. «Potresti dirmi dove?» «Certo: è a un isolato da qui», ripete strafottente.
Lo guardo storto ed esco dalla cucina. La gentilezza di ieri sera era chiaramente un episodio isolato, e oggi ha intenzione di recuperare il terreno perduto.
Vado a svegliare Steph, che apre gli occhi senza porre resistenza e mi sorride. Sono contenta che sia pronta per andarsene da questa dannata confraternita.
«Hardin mi ha detto che c’è una fermata dell’autobus qui vicino», le riferisco mentre scendiamo le scale.
«Niente autobus. Ci faremo dare un passaggio da uno di questi cretini. Scommetto che Hardin voleva solo farti arrabbiare», e mi posa una mano sulla spalla. Quando entriamo in cucina, Hardin sta tirando fuori dal forno alcune lattine di birra. Steph gli si rivolge in tono autoritario: «Hardin, puoi accompagnarci a casa? Mi scoppia la testa».
«Sì, certo; dammi un minuto», risponde lui, come se aspettasse solo di sentirselo chiedere.
In macchina, Steph canticchia qualsiasi canzone passi alla radio e Hardin tira giù tutti i finestrini, ignorando le mie gentili richieste di tenerli chiusi. In silenzio per tutto il tempo, tamburella distrattamente le lunghe dita sul volante. Non che io lo stia osservando, sia chiaro.
«Passo a trovarti più tardi, Steph», le dice mentre lei scende dalla macchina.
«Ci vediamo, Theresa», aggiunge con un sorrisetto. Gli lancio un’occhiataccia e seguo Steph nel dormitorio. 
13
IL resto del weekend vola via e riesco a non incrociare Hardin. Domenica mattina esco presto per fare shopping, prima che lui arrivi nella stanza, e al mio rientro a quanto pare se n’è già andato.
Ripongo i vestiti che ho comprato nella piccola cassettiera, e intanto sento nella testa l’odiosa vocetta di Hardin: Lo sai che stiamo andando a una festa e non in chiesa, vero?
Sospetto che direbbe la stessa cosa di questi nuovi abiti, ma ho deciso che non andrò più alle feste con Steph, né in qualunque luogo dove potrei incontrare lui.
Finalmente arriva il lunedì mattina, il mio primo giorno di lezione, e non potrei essere più preparata. Mi sveglio prestissimo per avere il tempo di fare una doccia senza fretta e senza ragazzi in giro. La camicia bianca e la gonna a pieghe marrone sono perfettamente stirate e pronte da indossare. Sto per uscire – con un quarto d’ora di anticipo, perché non si sa mai – quando sento suonare la sveglia di Steph. Lei preme il pulsante per posporre l’allarme, ma valuto se non sia il caso di controllare che si alzi. Forse i suoi corsi iniziano più tardi dei miei, o forse ha deciso di non andarci. L’idea di perdere il primo giorno di lezione è impensabile per me: ma lei è al secondo anno, quindi forse ha tutto sotto controllo.
Mi guardo un’ultima volta allo specchio ed esco. Ho fatto bene a studiare la mappa del campus: trovo l’edificio giusto nel giro di venti minuti. Entro nell’aula in cui si tiene il corso di storia per le matricole, ma è deserta. C’è soltanto una persona.
Dato che questa persona ci tiene quanto me ad arrivare in orario, mi siedo accanto a lui. Chissà, forse sarà il mio primo nuovo amico. «Dove sono tutti?» domando, e il suo sorriso mi mette subito a mio agio.
«Si staranno scapicollando per arrivare in orario», scherza. Già mi sta simpatico. È proprio quello che stavo pensando anch’io.
«Mi chiamo Tessa Young.»
«Landon Gibson», dice lui con un sorriso adorabile. Ci mettiamo a chiacchierare aspettando che inizi la lezione. Scopro che è iscritto al corso di laurea in letteratura inglese, come me, e ha una ragazza che si chiama Dakota. Non mi prende in giro quando gli dico che Noah ha un anno meno di me. Mentre l’aula inizia a riempirsi, decidiamo di presentarci al professore.
Con il passare delle ore inizio a pentirmi di essermi iscritta a cinque corsi anziché a quattro. Corro nell’aula di letteratura britannica, che per fortuna è l’ultima lezione della giornata, e per un pelo non arrivo in ritardo. Con grande sollievo vedo Landon seduto in prima fila accanto a un posto vuoto.
«Ciao di nuovo», mi sorride quando mi siedo.
Il professore comincia la lezione, distribuisce il programma del semestre e si presenta: racconta come ha deciso di fare questo lavoro e ci parla della sua passione per la letteratura. Sta ancora spiegando quali libri dovremo leggere per l’esame quando la porta si apre cigolando e, purtroppo, entra Hardin.
«Fantastico», borbotto.
«Conosci Hardin?» mi chiede Landon. Hardin deve avere una pessima reputazione nel campus, se un ragazzo dolce come Landon sa chi è.
«Vagamente, è amico della mia compagna di stanza. Non è la mia persona preferita, diciamo.»
In quel momento gli occhi verdi di Hardin puntano sui miei e temo che mi abbia sentito. Cosa farebbe in quel caso? Sinceramente non m’importa: sa benissimo che l’antipatia è reciproca.
Però sono curiosa di scoprire cosa sa di lui Landon, quindi non riesco a trattenermi dal chiedere: «E tu lo conosci?»
«Sì… è…» Si interrompe e si gira a guardare dietro di noi. Hardin sta prendendo posto al banco accanto al mio. Landon resta in silenzio per il resto della lezione e tiene gli occhi fissi sul professore per tutto il tempo.
«Per oggi abbiamo finito. A mercoledì», ci saluta il professor Hill.
«Penso che questo sarà il mio corso preferito», dico a Landon mentre usciamo. Lui si dichiara d’accordo, ma si rabbuia quando vede che Hardin sta uscendo con noi.
«Cosa vuoi, Hardin?» chiedo. Ho deciso di trattarlo come lui tratta me. Ma forse ho sbagliato tono, perché lui è palesemente divertito.
«Niente, niente. Sono solo molto contento che abbiamo un corso in comune», sghignazza. Si passa una mano tra i capelli e per un attimo intravedo uno strano tatuaggio appena sopra il polso, simile al simbolo dell’infinito.
«Ci vediamo dopo, Tessa», mi saluta Landon, andandosene.
«Solo tu potevi fare amicizia con il più sfigato della classe», afferma Hardin guardandolo allontanarsi.
«Non dire così, è un ragazzo molto dolce. Non si può dire lo stesso di te.» Sono scioccata dalla durezza delle mie parole: Hardin tira fuori il peggio di me.
«Ogni volta che parliamo ti si scioglie di più la lingua, Theresa.»
«Se mi chiami Theresa un’altra volta…» lo minaccio, e lui scoppia a ridere. Cerco di immaginare che aspetto avrebbe senza i tatuaggi e i piercing. È comunque molto attraente… peccato per quel carattere.
Ci avviamo al mio dormitorio, e dopo venti passi lui grida: «Smettila di fissarmi!» poi svolta l’angolo e imbocca un vialetto, piantandomi in asso.
14
DOPO una settimana faticosa ma interessante, finalmente è venerdì. Soddisfatta, nel complesso, della mia prima settimana di college, mi riprometto di passare il weekend a guardare film, perché Steph andrà a qualcuna delle sue feste e mi lascerà in pace. Avere sott’occhio il programma di tutti i corsi mi semplifica la vita, perché posso portarmi avanti. Afferro la borsa ed esco in anticipo. Vado a prendere un caffè per una sferzata di energia in vista del fine settimana.
«Tessa, giusto?» chiede una voce alle mie spalle mentre aspetto in fila. Mi giro e vedo la ragazza della festa, quella con i capelli rosa. Mi pare che Steph abbia detto che si chiama Molly.
«Sì, giusto», rispondo e mi volto verso la cassa per non prolungare la conversazione.
«Vieni alla festa, stasera?» È chiaro che mi prende in giro, perciò sospiro, ma lei prosegue: «Dovresti venire, sarà bellissima». Si passa le dita sull’avambraccio, dov’è tatuata una grande fata.
Esito per un momento, e poi scuoto la testa. «Scusa ma ho altri programmi.»
«Peccato, Zed ci teneva a vederti.» Mi viene da ridere, e lei insiste: «Che c’è? Ieri mi parlava di te».
«Ne dubito… in ogni caso sono fidanzata.»
«Peccato, potevamo uscire in doppia coppia», dice in tono misterioso.
Per fortuna è il mio turno di ordinare. Nella fretta mi verso qualche goccia di caffè bollente sulla mano. Impreco, sperando che non sia un cattivo presagio per il weekend. Molly mi saluta con un cenno; io le sorrido ed esco dal bar. Le sue parole mi rimbombano in testa: doppia coppia con chi? Lei e Hardin? Davvero escono insieme? Per quanto Zed sia carino e simpatico, Noah è il mio ragazzo e non gli farei mai una cosa del genere. Questa settimana non ci siamo parlati molto, ma è solo perché siamo entrambi parecchio impegnati. Mi riprometto di telefonargli stasera e scoprire come se la passa senza di me.
Dopo il caffè rovesciato e l’imbarazzante incontro con Miss Capelli Rosa, la giornata migliora. Vedo Landon appoggiato con la schiena al muro: avevamo progettato di incontrarci in caffetteria prima delle lezioni che frequentiamo insieme. Mi avvicino e lui mi saluta con un gran sorriso.
«Oggi devo uscire dopo la prima mezz’ora, ho dimenticato di dirti che torno a casa per il fine settimana», esordisce. Sono contenta che vada a trovare Dakota, ma odio l’idea di andare a lezione di letteratura senza di lui, e con Hardin, se verrà. Mercoledì era assente, non che abbia prestato attenzione.
«Così presto? Il semestre è appena iniziato.»
«È il suo compleanno, e le ho promesso mesi fa che ci sarei andato.»
A lezione Hardin si siede accanto a me ma non dice una parola; neppure quando, come annunciato, Landon esce dall’aula in anticipo. Quel silenzio mi rende ancora più consapevole della sua presenza.
«Lunedì inizieremo la settimana dedicata a Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen», annuncia il professor Hill alla fine della lezione. Non nascondo il mio entusiasmo, e mi lascio sfuggire un piccolo strillo. Ho letto quel romanzo almeno dieci volte ed è uno dei miei preferiti.
Hardin, che non mi ha rivolto la parola per tutta la lezione, mi si avvicina. Giurerei di sapere cosa sta per dirmi, a giudicare dal suo sguardo serissimo.
«Lasciami indovinare, sei follemente innamorata di Mr Darcy.»
«Lo è ogni donna che abbia letto quel romanzo», rispondo senza guardarlo negli occhi.
Arriviamo all’incrocio e guardo a destra e a sinistra prima di attraversare.
«Ci avrei scommesso», ride lui, e continua a seguirmi sul marciapiede affollato.
«Mi sembra logico che tu non capisca il fascino di Mr Darcy.» Ripenso alla vasta collezione di romanzi nella sua stanza. È impossibile che siano suoi…
«Un uomo sgarbato e insopportabile, trasformato in un eroe romantico? È ridicolo. Se
Elizabeth avesse un minimo di buonsenso lo avrebbe mandato affanculo dall’inizio.»
Mi viene da ridere, ma mi tappo la bocca. Questo scambio di battute mi ha divertita, e anche la sua presenza non mi dà più fastidio, ma è solo questione di tempo – tre minuti al massimo – prima che mi dica qualcosa di offensivo. Alzo gli occhi: lui sorride, e io non riesco a non ammirare le sue fossette. È proprio bello, nonostante i piercing.
«Quindi sei d’accordo con me che Elizabeth è un’idiota?»
«No, è uno dei personaggi più forti e complessi che siano mai stati scritti», intervengo in sua difesa, citando uno dei miei film preferiti.
Lui ride di nuovo, e stavolta mi unisco a lui. Quando si rende conto che sta ridendo con me, smette di colpo. Una strana scintilla attraversa i suoi occhi. «Ci vediamo in giro, Theresa», dice, gira sui tacchi e torna da dov’era venuto.
Ma che problema ha? Non ho tempo di rifletterci perché mi squilla il telefono. È Noah, e mentre premo il tasto mi sento stranamente in colpa.
«Ciao Tess, volevo rispondere al tuo messaggio ma faccio prima a chiamarti.» La sua voce trasuda distacco e freddezza.
«Cosa stai facendo? Sembri indaffarato.»
«No, sto solo andando all’appuntamento con alcuni amici al grill.»
«Okay, allora non ti trattengo. Sono così contenta che sia venerdì. Aspettavo con ansia il weekend!»
«Vai a un’altra festa? Tua madre è ancora delusa.»
Ehi, ma perché l’ha spifferato a mia madre? Sono felice che siano in buoni rapporti, ma a volte mi sembra di avere un fratellino rompiscatole e spione anziché un fidanzato. Mi dispiace pensarlo, ma è la verità.
Tuttavia mi limito a dirgli: «No, questo weekend non esco. Mi manchi».
«Mi manchi anche tu, Tess, mi manchi tanto. Chiamami più tardi, va bene?»
Glielo prometto e ci diciamo «ti amo» prima di riagganciare.
Torno in camera e trovo Steph che si sta preparando per un’altra festa. Immagino sia quella di cui parlava Molly. Mi collego a Netflix per consultare i film disponibili.
«Mi piacerebbe tanto che venissi anche tu. Ti giuro che stavolta non rimarremo tutta la notte. Facciamo solo un salto. Ti annoierai a morte da sola in questa stanzetta!» piagnucola, e continua a pregarmi mentre si cotona i capelli e si infila tre vestiti diversi prima di sceglierne uno verde che lascia pochissimo all’immaginazione. Ma devo ammettere che il colore acceso si intona bene ai suoi capelli rossi. Ammiro la sua sicurezza. La mia autostima non è proprio a zero, ma so di avere i fianchi più larghi e il seno più prosperoso di tante mie coetanee. Preferisco indossare abiti che mi nascondano il seno, mentre lei cerca di attirare il più possibile l’attenzione sul suo.
«Lo so…» dico, per darle corda. Ma poi lo schermo del mio computer diventa nero. Premo il pulsante di accensione e aspetto… e aspetto. Non si riaccende.
«Vedi? È un segno che devi venire! Il mio computer è a casa di Nate, quindi non posso prestartelo.» Fa un sorrisetto e ricomincia a cotonarsi i capelli.
Mi rendo conto che non ho voglia di starmene da sola nel dormitorio senza niente da fare.
«E va bene», concedo, e lei si mette a saltellare e applaudire. «Ma ce ne andiamo entro mezzanotte», puntualizzo. 
15
MI tolgo il pigiama e infilo un paio di jeans appena comprati. Sono un po’ più stretti di come li porto di solito, ma gli altri sono sporchi, quindi non ho scelta. Sopra ci metto una semplice camicetta nera senza maniche con le spalline bordate di pizzo.
«Wow, mi piace come sei vestita», commenta Steph. Riprova a offrirmi l’eyeliner.
«Stavolta no», le dico, ricordando che è colato e mi ha sporcato tutta la faccia quando ho pianto. Perché ho accettato di tornare in quella confraternita?
«Okay. Viene a prenderci Molly al posto di Nate; mi ha appena scritto, sarà qui a momenti.»
«Non penso di starle simpatica», ammetto guardandomi allo specchio.
«Eh? Ma sì che le stai simpatica. Solo che a volte è dispettosa, e dice tutto quello che le passa per la testa. Credo che tu la metta in soggezione.»
«Io? Chi mai al mondo si farebbe mettere in soggezione da me?» rido. Il contrario, al limite.
«Forse è solo perché sei così diversa da noi», spiega Steph sorridendomi. Per me sono loro quelli diversi… «Ma non preoccuparti, stasera avrà altro da fare.»
«Con Hardin?» domando, sovrappensiero. Continuo a guardarmi allo specchio, ma mi accorgo che Steph mi rivolge un’occhiata perplessa.
«No, con Zed, probabilmente. Cambia ragazzo ogni settimana.»
È una cosa cattiva da dire di un’amica. «Non sta con Hardin?» chiedo, ripensando a quando li ho visti baciarsi sul letto.
«Per carità! Hardin non sta con nessuna. Se ne scopa tante, ma non vuole relazioni.» «Ah», è tutto ciò che riesco a rispondere.
La festa è uguale a quella della settimana scorsa: il prato e la casa sono gremiti di ragazzi ubriachi. Perché non sono rimasta in camera a guardare il soffitto?
Appena arriviamo Molly sparisce e io mi ritrovo seduta sul divano. Sono lì da almeno un’ora quando vedo passare Hardin.
«Sei… diversa», commenta. Mi squadra dalla testa ai piedi, poi alza di nuovo lo sguardo sul mio viso. Non cerca minimamente di nascondere il fatto che mi sta fissando. Resto in silenzio finché i suoi occhi incontrano i miei. «Stasera hai i vestiti della taglia giusta.»
Mi sistemo la camicetta, rammaricandomi per non aver indossato i soliti abiti larghi.
«Mi stupisco di vederti qui.»
«E io mi stupisco di essere tornata», dico, e mi allontano da lui. Non mi segue, e la cosa mi dispiace.
Qualche ora dopo Steph è ubriaca… come tutti gli altri.
«Giochiamo a Obbligo o verità», biascica Zed, e il suo gruppetto di amici si raduna intorno al divano. Molly passa una bottiglia di liquore a Nate, che beve un sorso. Un’altra ragazza dall’aria punk si unisce al gioco: ora sono Hardin, Zed, Nate e il suo compagno di stanza Tristan, Molly, Steph e la nuova arrivata.
Sto pensando che una partita a Obbligo o verità tra ubriachi non può andare a finire bene, quando Molly mi rivolge un sorriso perfido. «Devi giocare anche tu, Tessa.» «Preferirei di no», ribatto, fissando una macchia marrone sulla moquette.
«Per giocare dovrebbe prima smettere di essere bigotta per cinque minuti», si intromette Hardin; tutti ridono tranne Steph. Le sue parole mi fanno arrabbiare. Non sono una bigotta. Sì, ammetto che non vado a tante feste, ma non sono neppure una suora di clausura. Fulmino Hardin e mi siedo a gambe incrociate nel circolo, tra Nate e una ragazza. Hardin ride e bisbiglia qualcosa a Zed prima che inizi il gioco.
Al primo turno, Zed viene obbligato a bere un’intera lattina di birra, Molly a mostrare il seno nudo (e lo fa), e Steph a rivelare che ha un piercing sui capezzoli.
«Obbligo o verità, Theresa?» mi chiede Hardin.
Rabbrividisco. «Verità?»
Lui ride e borbotta: «Ci avrei scommesso», ma fingo di non averlo sentito. Nate si frega le mani.
«Okay. Sei… vergine?» mi domanda Zed, lasciandomi sbigottita. Nessuno degli altri sembra trovare indiscreta la domanda, anzi si divertono un mondo. Mi sento avvampare.
«Allora?» insiste Hardin. Vorrei sotterrarmi, invece annuisco. Certo che sono vergine: io e Noah ci siamo solo toccati un po’, naturalmente con i vestiti addosso.
Nessuno pare stupirsi della mia risposta, ma tutti si mostrano molto interessati alla questione.
«Cioè, stai con Noah da due anni e non avete ancora fatto sesso?» mi chiede Steph, mettendomi ancora più a disagio.
Scuoto la testa. «Tocca a Hardin», ribatto subito, sperando di distogliere l’attenzione da me.
16
«OBBLIGO», risponde Hardin prima che io glielo domandi. I suoi occhi verdi mi fissano con una tale intensità che mi sembra di essere io quella obbligata a fare qualcosa.
Esito, perché non ho ancora pensato a cosa chiedergli e non mi aspettavo una reazione del genere. So che farà qualsiasi cosa pur di non darmela vinta.
«Ti obbligo… mmm, ti obbligo a…»
«A fare cosa?» mi incalza lui. Sono tentata di obbligarlo a dire qualcosa di carino su ogni persona del gruppo: sarebbe divertente. Ma decido di no.
«Togliti la maglietta e resta a torso nudo fino alla fine del gioco!» strilla Molly. Sono contenta: non perché Hardin si toglierà la maglietta, naturalmente, ma perché non mi veniva in mente nulla da chiedergli.
«Come sei infantile», commenta lui, ma si toglie la maglietta. Non riesco a non guardare il suo torace snello e i tatuaggi neri sulla pelle abbronzata. Ci sono degli uccelli sul petto, e sull’addome un grande albero dai rami nudi e spettrali. Sulle braccia ha molti più tatuaggi di quanti me ne aspettassi, e piccoli disegni sparpagliati apparentemente a caso anche sui fianchi. Steph mi dà di gomito e io distolgo lo sguardo. Spero che nessun altro si sia accorto che lo fissavo.
Il gioco continua. Molly bacia Tristan e Zed. Steph ci racconta della prima volta che ha fatto sesso. Nate bacia l’altra ragazza.
Come ho fatto a ritrovarmi con questi scalmanati in preda agli ormoni?
«Tessa, obbligo o verità?» mi domanda Tristan.
«Cosa glielo chiedi a fare? Lo sappiamo tutti che sceglierà verità…» interviene Hardin.
Stupisco anche me stessa: «Obbligo».
«Mmm… Tessa, ti obbligo a… bere uno shot di vodka», dice Tristan sorridendo.
«Non bevo.»
«Per questo ti sto obbligando.»
«Senti, se non vuoi…» inizia Nate. Mi giro e vedo che Hardin e Molly ridono di me.
«E va bene, ma un solo shot», concedo. Immagino di vedere un’espressione sprezzante sul volto di Hardin, ma quando alzo gli occhi noto che è perplesso.
Qualcuno mi porge la bottiglia di vodka. Commetto l’errore di portarmela al naso, e il tanfo mi brucia le narici. Tento di ignorare quelli che sghignazzano alle mie spalle. Bevo un sorso, cercando di non pensare a tutte le bocche che hanno bevuto da quella bottiglia prima di me. Il liquore è disgustoso e mi brucia lo stomaco, ma riesco a deglutirlo. Tutti applaudono e ridono, tutti tranne Hardin. Se non lo conoscessi, direi che sembra arrabbiato, o deluso. Ma è così difficile capire cosa pensa…
Sento il calore risalirmi nelle guance e poi accumularsi nelle vene man mano che, a ogni turno di gioco, vengo costretta a bere un altro sorso. Obbedisco, e devo ammettere che per una volta mi sento rilassata. Mi sento bene. Tutto mi pare un po’ più facile. Le persone intorno a me sembrano un po’ più simpatiche.
«Ti obbligo a… il solito», ride Zed bevendo un sorso prima di porgermi la bottiglia per la quinta volta. Non ricordo neppure gli obblighi e le verità che si sono succeduti. Stavolta butto giù due lunghi sorsi prima che qualcuno mi strappi la bottiglia di mano.
«Hai bevuto abbastanza, direi», dice Hardin passando la bottiglia a Nate.
Chi cavolo è Hardin Scott per dirmi quando ho bevuto abbastanza? Tutti gli altri stanno ancora bevendo, quindi non vedo perché non posso farlo anch’io. Gli scocco un’occhiataccia, riprendo la bottiglia dalle mani di Nate e giù un altro sorso.
«Non ci posso credere che non ti eri mai ubriacata, Tessa. È divertente, vero?» fa Zed. Mi viene da ridere e mi tornano in mente le prediche di mia madre sulla responsabilità, ma decido di non pensarci. È soltanto una sera.
«Hardin, obbligo o verità?» chiede Molly. Naturalmente lui sceglie obbligo.
«Ti obbligo a baciare Tessa», ribatte lei con un sorriso falso.
Hardin è attonito. Nonostante l’alcol che mi scorre in corpo, vorrei solo scappare il più lontano possibile.
«No, ho il ragazzo», dico, e per la centesima volta tutti ridono di me. Perché esco con questi, se ridono sempre di me?
«E allora? È solo un gioco. Baciatevi, non fate tante storie», insiste Molly.
«No, io non bacio nessuno», sbotto, e mi alzo. Senza guardarmi, Hardin beve un sorso dal suo bicchiere. Spero di averlo offeso. Anzi, non me ne importa niente. Ne ho abbastanza di lui: mi detesta ed è troppo maleducato.
Quando mi alzo mi rendo conto di quanto ho bevuto. Barcollo, ma riesco a restare in piedi e mi allontano dal gruppo. Raggiungo faticosamente il portone di casa, chiudo gli occhi e respiro la fresca brezza autunnale. Vado a sedermi sul muretto dell’altra volta, e prima di rendermene conto ho il telefono in mano e sto digitando il numero di Noah.
«Pronto?» sento all’altro capo. Quella voce che conosco così bene e la vodka che ho in corpo mi fanno sentire ancora di più la sua mancanza.
«Ehi… tesoro», dico, e mi tiro le ginocchia al petto.
Passa un istante di silenzio. «Tessa, sei ubriaca?» Il suo tono è carico di rimprovero. Non avrei dovuto chiamarlo.
«No… certo che no», mento, e riaggancio. Spengo il telefono per evitare che mi richiami.
Torno in casa, ignorando i fischi e i richiami volgari dei ragazzi ubriachi. Trovo una bottiglia di liquore sul bancone della cucina e bevo un sorso, un sorso troppo lungo. È ancora più disgustoso della vodka, ho la gola in fiamme. Cerco qualcos’altro per togliermi quel sapore di bocca. Alla fine trovo un bicchiere di vetro in un pensile e lo riempio con un po’ d’acqua del rubinetto. Il bruciore in gola si allevia appena, ma non del tutto. Mi giro e vedo che i miei «amici» sono ancora seduti in circolo a fare quello stupido gioco.
Sono miei amici? Non credo. Mi vogliono con loro solo perché la mia ingenuità li diverte. Come osa Molly imporre a Hardin di baciarmi? Sa benissimo che sono fidanzata.
Diversamente da lei, io non vado in giro a baciare chiunque. In vita mia ho baciato solo due ragazzi: Noah e Johnny, un bambino con le lentiggini in terza elementare, che subito dopo mi ha tirato un calcio sugli stinchi. Hardin avrebbe accettato l’obbligo? Ne dubito. Le sue labbra sono così carnose… quando le immagino posarsi sulle mie mi viene il batticuore.
Cosa mi prende? Perché penso a lui in questo modo? Non toccherò mai più un goccio d’alcol in vita mia.
Pochi minuti dopo mi viene la nausea. Corro nel bagno al piano di sopra e mi siedo davanti alla tazza, ma non succede niente. Mi rialzo con un lamento. Non vedo l’ora di tornare ai dormitori, ma so che Steph vorrà restare qui per chissà quanto. Ho sbagliato a venire; come l’altra volta.
Senza rendermene conto, mi ritrovo a girare la maniglia dell’unica stanza che conosco in questa grande casa: la camera di Hardin. La porta si apre: Hardin sostiene di chiuderla sempre a chiave, ma a quanto pare non è vero. La stanza è uguale alla volta precedente, solo che adesso ho l’impressione che mi giri intorno. Cime tempestose non è al suo posto sullo scaffale, ma sul comodino, accanto a Orgoglio e pregiudizio. Mi tornano in mente i commenti di Hardin su quel romanzo. È chiaro che l’ha letto e compreso, il che è raro per uno della nostra età, tanto più per un maschio. Probabilmente ha dovuto leggerlo per la scuola. Ma come mai ha sul comodino anche Cime tempestose? Lo prendo e mi siedo sul letto, lo apro a metà, inizio a leggere. Mi passa subito il capogiro.
Sono così smarrita nel mondo di Catherine e Heathcliff che non sento aprirsi la porta.
«Quale parte di ‘Nessuno può entrare nella mia stanza’ non ti è chiara?» tuona Hardin. La sua espressione inferocita mi spaventa, ma allo stesso tempo la trovo buffa.
«Scusa… Io…» balbetto.
«Fuori di qui», dice con disprezzo.
Lo guardo storto. Ho troppa vodka in corpo per lasciarmi trattare in quel modo. «Non devi per forza essere così cafone!» esclamo, a voce molto più alta di quanto volessi.
«Sei di nuovo nella mia stanza, dopo che ti ho proibito di entrarci. Quindi vattene!» grida lui, avvicinandosi.
E vedendomelo davanti – furioso, sprezzante, con l’aria di considerarmi la persona più insopportabile della Terra – qualcosa scatta dentro di me. Perdo completamente la pazienza e gli rivolgo la domanda che faccio a me stessa da un po’, anche se non lo voglio ammettere.
«Perché non ti piaccio?»
È una domanda legittima, ma francamente non credo che il mio ego già ferito possa tollerare la risposta.
17
HARDIN mi fulmina con lo sguardo. Ma c’è una nota di incertezza nella sua voce. «Per quale motivo me lo chiedi?»
«Non lo so… perché sono sempre stata gentile con te, e tu mi hai sempre trattata malissimo. E pensare che a un certo punto credevo che potessimo essere amici.» È una tale stupidaggine che mi vergogno subito di averla detta.
«Amici? Noi?» Scoppia a ridere, poi continua: «Non ti sembra evidente il motivo per cui non possiamo essere amici?» «Sinceramente no.»
«Be’, tanto per cominciare sei una santarellina del cazzo. Scommetto che sei cresciuta in un impeccabile quartiere residenziale, i tuoi genitori ti compravano tutto quello che chiedevi e non ti è mai mancato nulla. Con le tue stupide gonne a pieghe, poi! Chi cavolo si veste così a diciott’anni?»
Sono esterrefatta. «Tu non sai niente di me, e ti credi superiore!» grido. «Ma non è vero niente! Mio padre è alcolizzato e ci ha abbandonate quando avevo dieci anni, e mia madre ha sgobbato per pagarmi l’università. A sedici anni ho iniziato a lavorare per aiutarla a pagare le bollette, e i miei vestiti mi piacciono: scusami tanto se non vado in giro vestita da spogliarellista come tutte le altre! Per essere uno che ci tiene a essere originale, di sicuro non ci pensi due volte a giudicare le persone diverse da te!»
Ho le lacrime agli occhi, e gli volto le spalle per non farmi vedere in questo stato, ma mi accorgo che stringe i pugni. Come se si ritenesse in diritto di essere arrabbiato.
«Sai una cosa, Hardin? Non voglio essere tua amica», gli dico, e vado ad aprire la porta. La vodka mi ha dato il coraggio di parlargli in quel modo, ma ora mi fa percepire tutta la tristezza della situazione.
«Dove vai?» fa lui. Così imprevedibile. Così volubile.
«Alla fermata dell’autobus, per tornare in dormitorio e non mettere mai più piede qui.
Non mi interessa diventare amica di nessuno di voi.»
«È troppo tardi per prendere l’autobus da sola.»
Mi giro a guardarlo. «Non penserai di farmi credere che t’importa qualcosa della mia incolumità?»
«Non sto dicendo che mi importa qualcosa… Ti sto solo avvertendo che è una pessima idea.»
«Be’, Hardin, non ho altra scelta. Sono tutti ubriachi, me compresa.»
E poi arrivano le lacrime. Sono profondamente umiliata che Hardin, proprio lui, mi veda piangere. Di nuovo.
«Piangi sempre, alle feste?» chiede, con un sorrisetto.
«Ogni volta che ci sei anche tu, a quanto pare. E dato che sono le uniche feste a cui vado…» Faccio per uscire.
«Theresa», dice, così piano che quasi non lo sento. La sua espressione è inscrutabile. La stanza ricomincia a girarmi intorno e mi aggrappo alla cassettiera accanto alla porta. «Ti senti bene?» mi chiede. Annuisco, anche se ho la nausea. «Siediti due minuti, poi andrai alla fermata dell’autobus.»
«Pensavo che nella tua stanza non potesse entrare nessuno», osservo sedendomi per terra.
Mi viene il singhiozzo, e lui mi avverte: «Se vomiti nella mia stanza…» «Ho solo bisogno di un po’ d’acqua.» Tento di alzarmi.
«Ecco», fa lui, mettendomi una mano sulla spalla per tenermi giù e porgendomi il suo bicchiere.
Lo spingo via, irritata. «Ho detto acqua, non birra.»
«È acqua. Io non bevo.»
Mi sfugge un verso a metà tra un sussulto e una risata. È impossibile che Hardin non beva. «Esilarante! Non vorrai sederti qui e farmi da babysitter, vero?» Nello stato in cui sono preferirei stare da sola, e la sbronza mi sta passando, perciò inizio a sentirmi in colpa per averlo trattato male. «Tiri fuori il peggio di me», ammetto, ma a voce troppo alta.
«È una cosa cattiva questa», ribatte lui in tono serio. «E sì, mi siederò qui e ti farò da babysitter. Sei ubriaca per la prima volta in vita tua, e hai l’abitudine di toccare le mie cose mentre io non ci sono.» Va a sedersi sul letto. Io mi alzo e prendo il bicchiere d’acqua. Bevo un lungo sorso e sento un leggero sapore di menta sul bordo, e non riesco a non chiedermi che sapore avrebbe la bocca di Hardin. Ma poi l’acqua si scontra con l’alcol nel mio stomaco e non mi sento più tanto in vena di pensieri romantici.
Dio, non berrò mai più, ripeto a me stessa tornando a sedermi sul pavimento.
Dopo qualche minuto di silenzio Hardin dice: «Posso farti una domanda?»
Dalla sua espressione so che dovrei rispondere di no, ma mi gira ancora la testa e forse parlare mi aiuterà. «Certo.»
«Cosa vuoi fare dopo il college?»
Lo guardo con occhi nuovi. È l’ultima cosa che pensavo mi avrebbe chiesto.
Immaginavo di sentirmi domandare perché sono vergine, o perché non bevo.
«Be’, vorrei fare la scrittrice o lavorare in una casa editrice, la prima delle due che mi riesce.» Probabilmente faccio male a essere sincera con lui: mi prenderà in giro e basta. Ma quando vedo che non reagisce, prendo coraggio e gli faccio la stessa domanda. Mi risponde solo con uno sguardo indispettito.
Alla fine gli chiedo: «Sono tuoi quei libri?» anche se probabilmente è una domanda inutile.
«Sì», borbotta.
«Qual è il tuo preferito?»
«Non ne ho di preferiti. Ma il tuo ragazzo lo sa che sei di nuovo a una festa? Che coglione, poveretto.»
«Non parlare così di lui, è… lui è… carino», balbetto, offesa. «E di sicuro è più educato di te.»
«Carino? È questa la prima parola che ti viene in mente quando parli del tuo ragazzo? Carino è il tuo modo ‘carino’ per dire che è noioso.»
«Non lo conosci.»
«Be’, so che è noioso. Si intuisce dal cardigan e dai mocassini.» Fa una gran risata e io, malgrado tutto, non riesco a evitare di guardare le sue fossette.
«Non porta i mocassini!» ribatto, ma devo tapparmi la bocca per non ridere. Bevo un altro sorso d’acqua.
«Be’, sta con te da due anni e non ti ha ancora scopata, perciò direi che è uno sfigato.»
Risputo l’acqua nel bicchiere. «Cos’hai detto, scusa?!» Proprio quando pensavo che potessimo andare d’accordo, se ne esce con una cosa del genere?
«Mi hai sentito, Theresa», sogghigna.
«Sei uno stronzo, Hardin», ringhio, e gli lancio la poca acqua rimasta nel bicchiere. La sua reazione è proprio quella che speravo: totale sconcerto. Mentre si asciuga il viso, mi alzo in piedi appoggiandomi allo scaffale. Rovescio un paio di libri, ma li lascio dove sono ed esco dalla stanza. Scendo al piano di sotto e sgomito tra la gente per raggiungere la cucina. Ormai provo più rabbia che nausea, e voglio solo togliermi dalla testa quel suo ghigno perfido. Intravedo Zed nella stanza accanto e lo trovo seduto con un bel ragazzo vestito in stile preppy.
Me lo presenta: «Ciao, Tessa, questo è il mio amico Logan».
Logan mi sorride e mi offre la bottiglia che ha in mano. «Ne vuoi?» Il bruciore in gola mi ridà un po’ di energie, e per un momento riesco a non pensare a Hardin.
«Hai visto Steph?» chiedo a Zed.
Scuote la testa. «Penso che lei e Tristan se ne siano andati.»
È andata via? Ma cosa?… Dovrei arrabbiarmi più di così, ma la vodka me lo impedisce; e mi ritrovo a pensare che lei e Tristan sarebbero una bella coppia. Un paio di bicchieri dopo, non ho più un pensiero al mondo.
Dev’essere per questo che la gente beve. Ricordo vagamente di aver giurato che non avrei più bevuto, ma tutto sommato non è poi così male.
Un quarto d’ora più tardi, Zed e Logan mi stanno facendo ridere così tanto che mi fa male lo stomaco. Sono molto più simpatici di Hardin. «Hardin è un cretino», sentenzio.
«Sì, a volte», sorride Zed, circondandomi con il suo braccio. Mi mette a disagio, ma non voglio offenderlo perché so che quel gesto non significa niente. La gente inizia ad andar via. Sono molto stanca, e mi rendo conto che non so come tornare in dormitorio.
«Gli autobus passano per tutta la notte?» farfuglio. Zed fa spallucce, e in quel momento mi appaiono davanti i riccioli di Hardin.
«Tu e Zed, quindi?» La sua voce trasuda un’emozione a cui non so dare un nome.
Mi alzo e lo spintono per passare, ma lui mi prende per un braccio.
«Lasciami andare, Hardin», gli dico. Cerco un altro bicchiere pieno da tirargli in faccia.
«Sto solo tentando di capire come fare con l’autobus.»
«Ehi, ehi, frena: sono le tre di notte. Non passano gli autobus. Grazie al tuo nuovo stile
di vita alcolico, anche stavolta sei bloccata qui.» Lo dice in un tono così impertinente che lo prenderei a schiaffi. «A meno che tu non voglia andare a casa con Zed…»
Quando mi lascia il braccio torno a sedermi sul divano con Zed e Logan, perché so che questo lo irriterà. Lui resta lì impalato per un momento, poi si volta con aria offesa. Chiedo a Zed di accompagnarmi di sopra a cercare la stanza in cui sono stata la settimana scorsa, sperando che sia libera. 
18
TROVIAMO la stanza. Purtroppo uno dei letti è occupato da un tizio che russa.
«Almeno c’è un letto libero!» ride Zed. «Io me ne torno a casa, se vuoi posso ospitarti sul divano.»
Cerco di pensare lucidamente per un secondo e giungo alla conclusione che anche Zed, come Hardin, esce con un mucchio di ragazze. Se gli dico di sì, penserà che mi sto offrendo di baciarlo… be’… per lui, bello com’è, non dev’essere difficile convincere le ragazze ad andare oltre i baci.
«Credo che resterò qui, nel caso torni Steph.»
Sembra un po’ deluso, ma mi dice di stare attenta e mi saluta con un abbraccio. Quando se ne va chiudo la porta a chiave, perché non si sa mai chi potrebbe entrare. Guardo il ragazzo che russa e mi convinco che non si sveglierà tanto presto. Ripenso alle parole di Hardin sul fatto che io e Noah non siamo ancora andati a letto insieme. Potrà suonare strano a Hardin, che cambia ragazza ogni fine settimana, ma Noah è un gentiluomo. Non abbiamo bisogno di fare sesso: ci divertiamo in altri modi, per esempio… be’… andiamo al cinema, o a fare passeggiate.
Con quei pensieri che mi frullano in testa mi sdraio sul letto, ma resto a guardare il soffitto cercando invano di addormentarmi. Ogni tanto sento muoversi il ragazzo ubriaco sull’altro letto. Ma alla fine mi si chiudono gli occhi e mi appisolo.
«Non ti avevo mai vista… da queste parti», mi biascica all’orecchio una voce profonda. Scatto a sedere sul letto e gli colpisco la testa con il mento, mordendomi la lingua. La sua mano è posata sul letto a pochi centimetri dalla mia coscia. Ha il respiro affannoso e puzza di vomito e alcol. «Come ti chiami, bellezza?» ansima. Tento di spingerlo via, ma non ho abbastanza forza nelle braccia.
Lui ride. «Non ti farò del male, ci divertiremo solo un po’», dice leccandosi le labbra, e un rivolo di saliva gli cola sul mento.
Mi si rivolta lo stomaco, e d’istinto gli sferro una ginocchiata. Forte. E proprio dove fa più male. Lui barcolla all’indietro, lasciandomi una possibilità di fuga. Mi tremano le mani, ma quando finalmente riesco ad aprire la porta mi tuffo in corridoio, dove diverse persone mi guardano strano.
«Dai, torna qui!» Mi sta alle calcagna. Stranamente, nessuno sembra turbato alla vista di una ragazza che viene inseguita in corridoio. Per fortuna è così ubriaco che non riesce a correre diritto. Come un automa vado nell’unico posto che conosco, in quella maledetta confraternita.
«Hardin! Hardin! Per favore, apri!» grido, picchiando sulla porta.
«Hardin!» strillo di nuovo, e la porta si apre di schianto. Non so perché sono venuta proprio in camera sua, ma preferisco di gran lunga essere giudicata da lui che molestata da un ubriaco.
«Tess?» chiede, confuso. Si stropiccia gli occhi. Indossa solo dei boxer neri ed è tutto spettinato. Curiosamente sono sorpresa più dalla sua bellezza che dal fatto che mi abbia chiamata Tess anziché Theresa.
«Hardin, per favore, mi fai entrare? C’è un tizio…» e nel parlare mi guardo alle spalle. Lui mi oltrepassa per controllare in corridoio. I suoi occhi incontrano quelli del mio inseguitore, che da minacciosi diventano spaventati. Mi scocca un’ultima occhiata, poi si volta e torna indietro.
«Lo conosci?» mormoro.
«Sì, entra», dice, e mi tira nella stanza per un braccio. Non riesco a non fissare i muscoli che gli guizzano sotto la pelle tatuata mentre cammina verso il letto. Sulla schiena non ha tatuaggi: è un po’ strano, dato che il petto, le braccia e lo stomaco sono tappezzati. Si stropiccia di nuovo gli occhi. «Stai bene?» domanda, con la voce arrochita dal sonno.
«Sì… sì. Scusa se ti ho svegliato, ma non sapevo cosa…»
«Non preoccuparti. Ti ha messo le mani addosso?» chiede, senza traccia di sarcasmo o ironia.
«Ci ha provato. Sono stata tanto stupida da chiudermi a chiave in una stanza con un estraneo ubriaco, quindi me la sono cercata.» L’idea che quello potesse toccarmi mi fa venire da piangere, di nuovo.
«Non è colpa tua. Non sei abituata a questo tipo di… situazioni.» Il suo tono è gentile, l’esatto opposto del solito. Mi avvicino al letto, domandando silenziosamente il permesso. Lui batte una mano sul materasso e io mi siedo con le mani in grembo.
«Non ho intenzione di abituarmici. È davvero l’ultima volta che vengo qui, o a qualsiasi festa. Non so neppure perché ci ho provato. E quello… era così…» «Non piangere, Tess», sussurra.
La cosa buffa è che non mi ero accorta che stavo piangendo. Hardin alza una mano e io accenno a ritrarmi, ma non prima che il suo pollice mi abbia asciugato la lacrima sulla guancia. Schiudo le labbra per la sorpresa di quel tocco delicato. Chi è questo ragazzo, e dov’è l’Hardin che conosco, scorbutico e perfido? Guardo nei suoi occhi verdi e vedo le pupille dilatarsi.
«Non avevo notato quanto fossero grigi i tuoi occhi.» Ha parlato a voce così bassa che mi sporgo in avanti per sentirlo meglio. Mi tiene ancora la mano sulla guancia. Si morde il labbro, prendendo tra i denti il piercing. I nostri occhi si incontrano e io abbasso lo sguardo: non so bene cosa stia succedendo. Ma quando lui toglie la mano, osservo di nuovo le sue labbra e sento infuriare una battaglia tra la mia coscienza e i miei ormoni.
Vincono gli ormoni: mi avvento su di lui e lo bacio, cogliendolo totalmente alla sprovvista.
19
NON ho la minima idea di cosa sto facendo, ma non riesco a fermarmi. Quando le mie labbra toccano le sue, Hardin inspira di scatto. La sua bocca ha proprio il sapore che immaginavo, sa di menta. Schiude le labbra e ricambia il bacio: la sua lingua calda scorre sulla mia e sento il metallo del piercing. Mi sento avvampare dentro, una sensazione che non avevo mai provato. Lui fa scivolare le mani lungo i miei fianchi.
«Tess», sospira, poi ricomincia a baciarmi. Il mio cervello va in tilt, mi abbandono alle sensazioni. Mi attira a sé prendendomi per i fianchi e si sdraia sul letto, senza smettere di baciarmi. Non sapendo cosa fare con le mani, gliele appoggio sul petto. Mi ritrovo sdraiata sopra di lui. La sua pelle è calda, i respiri affannosi. Hardin allontana le labbra dalle mie e io soffro la perdita di contatto, ma prima che possa lamentarmene le sento sul collo. Il suo respiro si muove con me. Mi afferra per i capelli per farmi sollevare il mento e continua a baciarmi sul collo, sulla gola. Sfiora la clavicola con i denti e inizia a succhiare delicatamente la pelle. Mi lascio sfuggire un gemito, e me ne vergognerei se non fossi così ubriaca, di alcol e di lui. Non avevo mai baciato nessuno così, neppure Noah.
Noah!
«Hardin, fermati…» dico, ma non riconosco la mia voce. È cavernosa, rauca. Ho la bocca secca.
Lui non si ferma.
«Hardin!» scandisco, a voce più alta, e lui mi lascia i capelli. Quando lo guardo negli occhi, noto che sono più duri, meno dolci, e le sue labbra di un rosa più scuro e gonfie dopo il nostro bacio. «Non possiamo», dico. Vorrei davvero continuare, ma sarebbe sbagliato.
Si tira su a sedere, facendomi rotolare sull’altro lato del letto. Ma cos’è successo?
«Mi dispiace, scusami», farfuglio: non mi viene in mente altro da dire. Ho paura che il cuore mi esploda.
«Di cosa?» chiede lui. Va a prendere una maglietta nera da un cassetto e se la infila. Poso di nuovo gli occhi sui suoi boxer, che ora sono più tirati sul davanti.
Arrossisco e distolgo lo sguardo. «Di averti baciato…» rispondo, anche se una parte di me non è affatto dispiaciuta. «Non so perché l’ho fatto.»
«È stato solo un bacio; la gente si bacia in continuazione.»
Le sue parole mi feriscono. Non m’importa se non ha provato ciò che ho provato io – Ma cos’ho provato? – perché so che non mi piace davvero. Sono ubriaca, e lui è un bel ragazzo; è stata una serata lunga e l’alcol mi ha dato alla testa. Cerco di non pensare a quanto vorrei baciarlo di nuovo. È successo solo perché è stato gentile con me.
«Possiamo non farne una questione di Stato, allora?» Mi sentirei umiliata se lui ne parlasse con qualcuno. Io non sono così: non mi ubriaco e non tradisco il mio ragazzo alle feste.
«Credimi, neanch’io ci tengo a farlo sapere a tutti. E ora smetti di parlarne», sbotta.
Ecco tornata l’arroganza. «Vedo che sei di nuovo quello di prima.»
«Non sono mai stato un altro: non pensare che solo perché mi hai baciato, praticamente contro la mia volontà, ci sia qualche legame tra noi.»
Contro la sua volontà? Sento ancora la sua mano che mi afferra i capelli, il modo in cui mi ha tirata sopra di sé, le sue labbra che mormoravano il mio nome prima di baciarmi ancora.
Scatto in piedi. «Avresti potuto fermarmi.»
«Difficile», ridacchia, e a me viene di nuovo da piangere. Questo ragazzo mi rende troppo emotiva. Non può venirmi a raccontare che l’ho costretto a baciarmi: è troppo umiliante. Nascondo il viso tra le mani per un momento, poi mi avvio verso la porta.
«Puoi restare qui per stanotte, dato che non hai un altro posto dove andare», dice a bassa voce. Scuoto la testa: non voglio restare. Fa tutto parte del suo giochetto: si offre di lasciarmi dormire in camera con lui così penserò che sia una brava persona, e poi probabilmente mi disegnerà qualcosa di volgare sulla fronte mentre dormo.
«No, grazie.» Esco dalla stanza e quando arrivo alle scale mi sembra di sentirlo chiamarmi per nome, ma proseguo. Fuori, la brezza fresca sulla pelle è un gran sollievo. Mi siedo sul solito muretto e riaccendo il telefono. Sono le quattro del mattino: tra un’ora dovrei svegliarmi per fare la doccia e iniziare a studiare. Invece sono seduta su un muretto scalcinato, da sola e al buio.
Qualche invitato si aggira ancora da quelle parti, e non sapendo cos’altro fare tiro fuori il telefono e rileggo i messaggi di Noah e di mia madre. Dovevo immaginarlo che avrebbe spifferato tutto. È proprio il suo stile…
Ma non riesco ad avercela con lui. L’ho appena tradito, che diritto avrei di arrabbiarmi?
20
A UN isolato di distanza, le strade sono immerse nel buio e nel silenzio. Le sedi delle altre confraternite sono più piccole. Dopo aver scarpinato per un’ora e mezza, guidata dall’app delle mappe sul telefono, finalmente arrivo al campus. Dato che ormai ho smaltito la sbornia, calcolo che tanto vale restare sveglia, e vado a prendere un caffè.
Mentre la caffeina entra in circolo, realizzo che ci sono molte cose che non capisco di Hardin. Cosa ci fa in una confraternita con un mucchio di ragazzi ricchi, se si veste come un punk? Perché cambia umore in maniera così repentina? Non so proprio perché perdo tempo a pensare a lui: dopo la nottata che ho passato, non ho intenzione di riprovare a instaurare un’amicizia. Non mi capacito di averlo baciato. Era l’errore più grave che potessi commettere: appena ho abbassato la guardia lui mi ha azzannata alla giugulare con più ferocia del solito. Non sono così stupida da credere che non lo dirà a nessuno, ma spero che l’imbarazzo per aver baciato «la verginella» basti a indurlo al silenzio. Se qualcuno chiede qualcosa a me, negherò fino alla morte.
Devo trovare una spiegazione valida da dare a Noah e a mia madre per il mio comportamento di stanotte. Non per il bacio – di quello non verranno mai a sapere nulla – ma per il fatto che sono andata a una festa. Un’altra. Comunque devo dirne quattro a Noah: non può raccontare i fatti miei a mia madre. Ormai sono adulta.
Quando arrivo in dormitorio mi fanno malissimo i piedi, e girando la maniglia faccio un sospiro di sollievo.
Ma per poco non mi viene un infarto, perché trovo Hardin seduto sul mio letto.
«Tu mi prendi in giro!» strepito, quando finalmente ritrovo la voce.
«Dove sei stata?» mi chiede in tono calmo. «Ti ho cercata per quasi due ore.»
Cosa? «Cosa? Perché?» Nel senso: allora perché non si è offerto di riaccompagnarmi? E soprattutto, perché non gliel’ho chiesto io, quando ho scoperto che non aveva bevuto?
«Non mi sembra saggio andarsene in giro da sola di notte.»
E mi viene da ridere, perché Steph è chissà dove, e io sono da sola nella stanza con lui, la persona che sembra rappresentare il vero pericolo per me. Rido non perché la situazione sia divertente, ma perché sono troppo stanca per fare altro.
Hardin mi guarda perplesso, riuscendo solo a farmi ridere di più.
«Vattene, Hardin… vattene e basta!»
Continua a fissarmi e poi si passa le mani tra i capelli. Lo conosco da poco, ma ho imparato che fa quel gesto quand’è stressato o imbarazzato. Spero che sia entrambe le cose, in questo momento.
«Theresa, io…» inizia, ma viene interrotto da qualcuno che bussa alla porta e strilla: «Theresa! Theresa Young, apri questa porta!»
Mia madre. È mia madre. Sono le sei del mattino e c’è un ragazzo nella mia stanza.
Passo subito all’azione, come faccio sempre quando devo reagire alla sua ira. «Hardin, nasconditi nell’armadio», bisbiglio, prendendolo per un braccio e facendolo alzare dal letto. La mia forza ci sorprende entrambi.
Non stacca gli occhi di dosso, divertito. «Non ho la minima intenzione di nascondermi nell’armadio. Hai diciotto anni.»
In teoria ha ragione, ma non conosce mia madre. Che intanto continua a bussare. Hardin se ne sta a braccia conserte in atteggiamento di sfida, e capisco che non riuscirò a farlo muovere; perciò mi guardo allo specchio, constatando che ho le occhiaie, e mi poso sulla lingua un po’ di dentifricio per coprire la puzza di alcol, anche se nel frattempo ho bevuto un caffè. Forse il mix di aromi manderà in tilt il suo olfatto.
Apro la porta con un sorriso e faccio per salutare mia madre, ma vedo che non è venuta da sola. Al suo fianco c’è Noah. Certo, dovevo immaginarlo! Sembra infuriata, ma anche… preoccupata? Ferita?
«Ciao! Cosa ci fate qui?» dico, ma la mamma mi spintona e va dritta da Hardin. Noah entra in silenzio nella stanza e si tiene in disparte.
«Dunque è per questo che non rispondi al telefono? Perché hai questo… questo…» Agita le braccia in direzione di Hardin. «Questo teppista tatuato in camera tua alle sei del mattino!»
Mi ribolle il sangue. Di solito mia madre mi incute soggezione. Non mi ha mai picchiata, ma mi fa sempre un sacco di menate: Non vorrai uscire vestita così, Tessa?
Potevi anche pettinarti meglio, Tessa. Avresti potuto prendere voti più alti, Tessa.
Pretende che io sia sempre perfetta. È faticoso.
Noah se ne sta in un angolo a guardare male Hardin, e io vorrei insultarli entrambi… anzi, tutti e tre. Mia madre, perché mi tratta come una bambina. Noah, perché ha fatto la spia. E Hardin, semplicemente perché è Hardin.
«È così che passi il tempo al college? Stai fuori tutta la notte e ti porti i ragazzi in camera? Il povero Noah era preoccupatissimo, e dopo essere venuti fin qui ti troviamo a spassartela con chissà chi.» Io e Noah restiamo a bocca aperta.
«A dire il vero sono appena arrivato, e lei non stava facendo niente di male», interviene Hardin, che non ha idea di che avversaria temibile abbia di fronte. Tuttavia… lui è granitico, lei è inarrestabile: forse sarebbe un bello scontro. Dovrei preparare i popcorn e sedermi a bordo ring.
Mia madre si inacidisce ulteriormente. «Scusa? Di sicuro non parlavo con te. Non so neppure cosa ci faccia uno come te in compagnia di mia figlia.» Hardin incassa il colpo e continua a fissarla.
«Mamma», sibilo.
Non so perché lo sto difendendo. Forse perché il tono con cui mia madre gli parla somiglia un po’ troppo al modo in cui lo trattavo io appena l’ho conosciuto. Noah guarda me, poi Hardin, poi di nuovo me. Avrà capito che ci siamo appena baciati? Il ricordo è ancora fresco nella mia mente, e a ripensarci mi viene la pelle d’oca.
«Tessa, hai perso il lume della ragione. Sento puzza di alcol fin da qui, e immagino sia colpa della tua adorabile compagna di stanza… e di questo qui», sentenzia, puntando un dito su Hardin.
«Ho diciotto anni, mamma. Non avevo mai bevuto, e non ho fatto niente di male. Faccio solo le cose che fanno tutti gli studenti universitari. Mi dispiace che mi si sia scaricata la batteria del telefono, e che tu abbia dovuto prendere la macchina e venire quaggiù, ma sto bene.» Improvvisamente esausta dopo gli eventi delle ultime ore, al termine del mio discorsetto mi siedo alla scrivania.
Mia madre sospira, e vedendomi così rassegnata si calma un po’; non è un mostro, dopotutto. Si rivolge a Hardin: «Giovanotto, potresti lasciarci sole per un momento?»
Hardin mi guarda con aria interrogativa. Annuisco, e lui esce dalla stanza. Noah chiude subito la porta alle sue spalle. È una strana sensazione, io e Hardin schierati insieme contro mia madre e il mio ragazzo. So che aspetterà lì fuori finché loro se ne andranno.
Per i successivi venti minuti, mia madre resta seduta sul mio letto a spiegarmi che ha solo paura che io sprechi la mia occasione di laurearmi a pieni voti, e che non vuole più che io beva. Inoltre mi dice che non approva la mia amicizia con Steph, Hardin e il resto del gruppo. Mi fa promettere che non uscirò più con loro. Lo prometto: dopo stanotte non voglio più rivedere Hardin, e non andrò ad altre feste con Steph.
Alla fine si alza e dice in tono risoluto: «Dato che ormai siamo qui, andiamo a fare colazione e magari un po’ di shopping».
Noah sorride, appoggiato alla mia porta. Mi sembra effettivamente una buona idea, e ho molta fame. Ho i pensieri ancora un po’ confusi per l’alcol e la stanchezza, ma la camminata per tornare a casa, il caffè e la predica di mia madre mi hanno restituito lucidità. Mi dirigo verso la porta, ma mi blocco sentendo la mamma tossicchiare.
«Dovrai prima darti una sistemata e cambiarti, ovviamente», mi informa con uno dei suoi sorrisi condiscendenti. Vado a prendere dei vestiti puliti e mi cambio. Mi sistemo il trucco di ieri sera e sono pronta. Noah ci apre la porta e tutti e tre guardiamo Hardin, che è seduto a terra con la schiena appoggiata alla porta dirimpetto alla mia. Quando alza lo sguardo, Noah mi stringe la mano con fare protettivo.
Eppure vorrei sciogliermi dalla stretta. Cos’ho che non va?
«Andiamo in centro», dico a Hardin.
Lui fa cenno di sì con la testa, come se avesse trovato risposta a qualche domanda interiore. E per la prima volta mi pare vulnerabile, e forse anche un po’ ferito.
Ti ha umiliata, mi rammenta il mio subconscio. Ed è vero, ma non riesco a non sentirmi in colpa mentre Noah mi tira con sé e mia madre rivolge a Hardin un sorriso trionfante, inducendolo a distogliere lo sguardo.
«Non mi piace proprio, quello lì», dice Noah.
«Neppure a me», sussurro.
Ma so che è una bugia.
21
LA colazione con Noah e mia madre si trascina con dolorosa lentezza. La mamma continua a parlare della mia notte brava e mi chiede ripetutamente se sono stanca e se ho mal di testa. È vero che ieri sera ho fatto cose molto insolite per me, ma non ho bisogno di sentirmelo ripetere all’infinito. So che lei vuole solo il meglio per me, ma da quando sono all’università mi sembra peggiorata.
«Dove andiamo a fare shopping?» chiede Noah tra un boccone e l’altro di pancake. Vorrei tanto che fosse venuto da solo: mi sarebbe piaciuto passare del tempo con lui. Dobbiamo parlare, devo spiegargli che non può raccontare a mia madre ogni dettaglio della mia vita, soprattutto quelli brutti.
«Potremmo andare al centro commerciale qui vicino. Non conosco ancora bene la zona», dico, tagliando a pezzetti il pane tostato.
«Hai già pensato a dove vuoi lavorare?» mi chiede Noah.
«Non lo so ancora. In una libreria, forse. Mi piacerebbe fare anche uno stage nel mondo dell’editoria.»
Mia madre sfodera un sorriso orgoglioso. «Sarebbe splendido: potresti lavorare lì finché ti laurei, poi ti assumerebbero a tempo pieno.»
«Sì, sarebbe l’ideale», ribatto in tono incolore, ma Noah coglie il sarcasmo delle mie parole e mi stringe forte la mano sotto il tavolo per farmi capire che è dalla mia parte.
Il metallo della forchetta in bocca mi ricorda il piercing di Hardin: resto spaesata per un momento. Noah se ne accorge e mi guarda con aria interrogativa.
Devo smetterla di pensare a Hardin. Immediatamente. Sorrido a Noah e gli bacio la mano.
Dopo colazione mia madre ci porta in un grande centro commerciale, pieno di gente. «Vado da Nordstrom, vi chiamo quando ho finito», dice, con mio grande sollievo. Noah mi prende di nuovo per mano e giriamo per negozi. Mi racconta della partita di calcio di venerdì, in cui ha segnato il gol della vittoria. Lo ascolto con attenzione, mi complimento con lui.
«Sei molto carino oggi», gli dico, e lui sorride mostrando i denti bianchissimi. Oggi indossa un cardigan rosso scuro, pantaloni cachi e mocassini. Sì, è proprio vero che li porta: ma sono simpatici e si intonano alla sua personalità.
«Anche tu, Tessa.» Rabbrividisco: so di avere una pessima cera, ma lui è gentile come sempre. Hardin invece mi direbbe la verità. Per togliermelo dalla testa, prendo Noah per il bavero del cardigan e tento di baciarlo.
Sorride ma si ritrae. «Che fai, Tessa? Ci guardano tutti», e indica un gruppo di persone che si stanno provando degli occhiali da sole.
«No che non ci guardano. E poi che problema c’è?» Di solito ci farei caso, ma in questo momento ho proprio bisogno che lui mi baci. «Baciami, ti prego!»
Deve avermi letto la disperazione negli occhi, perché mi posa due dita sotto il mento e mi bacia. È un bacio lento e dolce, senza passione. La sua lingua sfiora appena la mia, ma è bello. Familiare e caldo. Aspetto di sentire divampare un fuoco dentro di me, ma non succede.
Non posso paragonare Noah e Hardin. Noah è il mio ragazzo, e lo amo, mentre Hardin è uno stronzo e va con tutte.
«Ma cosa ti è preso?» ridacchia Noah quando provo ad attrarlo a me.
Arrossisco. «Niente, è solo che mi sei mancato, tutto qui.» Ah… e ieri sera ti ho tradito, precisa il mio subconscio, ma non gli do retta. «Però, Noah, potresti per favore smetterla di raccontare a mia madre le cose che faccio? Mi mette molto a disagio. Sono contenta che andiate d’accordo, ma mi sento una bambina quando fai la spia.» Subito dopo mi sento meglio.
«Tessa, mi dispiace tanto. Ero solo preoccupato per te. Ti prometto che non lo farò più. Giuro.» Mi posa un braccio sulle spalle e mi bacia sulla fronte. Io gli credo.
Il resto della giornata va meglio, soprattutto perché mia madre mi porta dal parrucchiere per farmi un taglio scalato. Ho ancora i capelli lunghi sulla schiena, ma ora hanno più volume e sono molto più belli. Noah mi riempie di complimenti per l’intero viaggio di ritorno al dormitorio, e tutto sembra filare liscio. Li saluto al portone, promettendo di nuovo che starò lontana da chiunque abbia un tatuaggio. Quando entro nella mia stanza, sono un po’ delusa di trovarla vuota; ma non so se sperassi di vedere Steph o qualcun altro.
Mi sdraio sul letto senza neppure togliermi le scarpe. Sono troppo stanca, ho bisogno di dormire. Mi sveglio a mezzogiorno, e trovo Steph addormentata sul suo letto. Passo il resto della domenica a studiare, e al mio ritorno lei se n’è andata. Il lunedì mattina non è ancora tornata, e muoio dalla voglia di sapere come ha passato il weekend.
22
PRIMA di andare a lezione mi fermo a prendere il solito caffè con Landon, che mi aspetta al bar. Veniamo interrotti da una ragazza che ci chiede complicate indicazioni stradali, quindi non riusciamo a raccontarci le novità fin quando arriviamo in classe per l’ultima lezione della giornata: quella che aspetto con terrore, ma anche con impazienza, fin da stamattina.
«Com’è andato il fine settimana?» si informa Landon. Sbuffo. «Uno schifo. Sono stata a un’altra festa con Steph.» Lui fa una smorfia e ride.
«Scommetto che il tuo è andato molto meglio», gli faccio. «Come sta Dakota?»
A sentire quel nome il suo sorriso diventa radioso. Mi rendo conto di non avergli raccontato che sabato ho visto Noah. Mi spiega che Dakota ha fatto domanda di iscrizione a una compagnia di danza classica a New York, e dice di essere felicissimo per lei. Mi domando se gli occhi di Noah si illuminino in quel modo quando parla di me.
Mentre entriamo nell’aula mi sta raccontando che suo padre e la matrigna sono stati felicissimi di vederlo, ma io lo ascolto a malapena perché ho notato che il banco di Hardin è vuoto.
«Non sarà difficile, se Dakota va così lontano?» riesco a chiedere mentre ci sediamo.
«Be’, stiamo lontani già adesso, però funziona. Voglio il meglio per lei, e se il meglio è a New York allora voglio che ci vada.»
Il professore entra in aula, e io mi domando dove sia Hardin; non credo che salterebbe una lezione solo per evitare me…
Ci tuffiamo in Orgoglio e pregiudizio – un libro straordinario, che vorrei far leggere a tutto il mondo – e l’ora di lezione passa in un soffio.
«Ti sei tagliata i capelli, Theresa.» Mi giro e vedo Hardin che mi sorride. Lui e Landon si scambiano sguardi ostili. Non parlerà del nostro bacio davanti a Landon, vero? Quelle fossette mi suggeriscono che lo farebbe eccome.
«Ciao, Hardin», rispondo.
«Come hai passato il fine settimana?» Ha un’espressione parecchio compiaciuta.
Tiro Landon per un braccio. «Bene. Be’, ci vediamo in giro!» lancio uno strilletto nervoso, e Hardin ride.
«Ma che ti prende?» mi chiede Landon quando usciamo dall’aula.
«Niente, è solo che Hardin non mi piace.»
«Almeno tu non sei costretta a frequentarlo.»
Mi domando il perché di quella affermazione, e di quel suo tono strano. Spero proprio non sappia del bacio…
«Ehm… già. Grazie al cielo», balbetto.
Lui esita. «Non volevo dirtelo, perché non voglio che tu mi associ a lui, ma…» fa un sorriso nervoso, «il padre di Hardin è il compagno di mia madre.» «Cosa?» Sono esterrefatta. «Il padre di Hardin…»
«Sì, sì, ho capito, ma il padre di Hardin vive qui? Cosa ci fa qui Hardin? Pensavo fosse inglese… Se suo padre vive qui, perché non abitano insieme?» Landon è spiazzato dal fuoco di fila di domande, ma sembra anche meno nervoso di un momento fa.
«È di Londra; suo padre e mia madre vivono vicino all’università, ma Hardin non va d’accordo con il padre. Quindi per favore non dirgli niente. Già non ci stiamo simpatici.»
«Okay, certo.» Avrei altre mille domande, ma resto in silenzio mentre il mio amico ricomincia a parlare di Dakota, estasiato.
Quando torno in dormitorio Steph non c’è ancora, perché le sue lezioni finiscono due ore dopo le mie. Inizio a predisporre libri e quaderni per studiare, ma decido di telefonare a Noah. Non risponde. Vorrei tanto che fosse qui con me all’università: sarebbe tutto molto più facile. In questo momento staremmo studiando insieme o guardando un film.
Ma so che penso a lui perché mi sento in colpa per aver baciato Hardin: Noah è un ragazzo tanto dolce, non merita di essere tradito. Sono fortunata ad averlo: è sempre pronto ad ascoltarmi e mi capisce meglio di chiunque altro. Quando i suoi si sono trasferiti nella nostra strada ero felicissima di avere un coetaneo con cui giocare, e conoscendolo meglio ho capito che avevamo tante cose in comune. Passavamo il tempo a leggere, a guardare film e a coltivare le piante nella serra di mia madre. Quella serra è sempre stata il mio rifugio: quando mio padre beveva mi nascondevo lì, e solo Noah sapeva dove trovarmi. La sera in cui mio padre se n’è andato è stata terribile: mi ero nascosta nella serra, e dopo gli strilli e il baccano dei vetri rotti in cucina avevo sentito un rumore di passi. Temevo fosse lui, invece era Noah. Non avevo mai provato tanto sollievo. Da quel giorno siamo inseparabili, e con gli anni la nostra amicizia si è trasformata in qualcos’altro, e non siamo usciti con nessun altro.
Gli scrivo un messaggio per dirgli che lo amo, e decido di fare un sonnellino prima di cominciare a studiare. Tiro fuori l’agenda e controllo il programma: posso farci stare un pisolino di venti minuti.
Dopo nemmeno dieci minuti bussano alla porta. Immagino che Steph abbia dimenticato le chiavi e vado ad aprire, ancora assonnata.
Ovviamente non è lei. È Hardin.
«Steph non è ancora rientrata», dico, lasciando la porta aperta e tornando a letto. Mi stupisco che abbia bussato, perché so che Steph gli ha dato una chiave. Dovremo fare due chiacchiere su questa storia.
«Posso aspettare», risponde, e si siede sul letto di Steph.
«Fa’ come ti pare.» Lo sento sghignazzare ma lo ignoro e mi tiro le coperte fin sopra la testa. O almeno provo a ignorarlo: non riuscirò mai a riposare sapendo che Hardin è nella stanza, ma preferisco fingere di dormire che affrontare l’imbarazzo e la sua maleducazione. Cerco di non far caso alle sue dita che tamburellano sulla testiera dell’altro letto. Poi sento suonare la sveglia.
«Devi andare da qualche parte?»
«No, stavo facendo un sonnellino di venti minuti», gli dico brusca, alzandomi a sedere.
«Hai messo la sveglia per assicurarti di dormire solo venti minuti?» chiede divertito.
«Sì, e a te cosa importa?» Prendo i libri e li dispongo nell’ordine in cui devo studiare le varie materie, e sopra ciascuno poso gli appunti delle relative lezioni.
«Soffri di disturbo ossessivo-compulsivo?»
«No, Hardin. Solo perché a una persona piace che le cose stiano in un certo modo non vuol dire che sia pazza. Non c’è niente di male a essere organizzati», sbotto.
E lui ride, ovviamente. Mi rifiuto di guardarlo, ma con la coda dell’occhio vedo che si sta alzando dal letto.
Ti prego, non venire qui. Ti prego, non…
E me lo ritrovo davanti, lui in piedi e io seduta sul letto. Agguanta i miei appunti di letteratura e se li rigira in mano come se fossero un manufatto antico. Cerco di riprendermeli, ma lui li solleva più in alto. Mi alzo, e lui li lancia in aria.
«Raccoglili!» gli ordino.
Ostenta un ghigno e dice: «Okay, okay», ma poi prende gli appunti di sociologia e butta per terra anche quelli. Mi affretto a raccoglierli prima che li calpesti.
«Hardin, smettila!» grido, mentre lui lancia in aria un’altra pila di fogli. Infuriata, lo spintono via dal letto.
«Insomma, non ti piace che tocchino la tua roba?» mi chiede, ancora ridendo. Perché deve sempre ridere di me?
«No che non mi piace!» urlo, e faccio per spintonarlo di nuovo. Ma lui fa un passo avanti, mi afferra per i polsi e mi spinge all’indietro contro la parete. Il suo viso è a un millimetro dal mio, e all’improvviso mi rendo conto che sto ansimando. Voglio gridargli di togliersi di dosso, di lasciarmi andare e di rimettere a posto la mia roba. Voglio prenderlo a schiaffi, cacciarlo da camera mia. Ma non ci riesco. Resto paralizzata contro la parete, ipnotizzata dai suoi occhi verdi. «Hardin, per favore», riesco a parlare, ma in un sussurro. E non so bene se lo sto pregando di lasciarmi andare o di baciarmi. Ho ancora il fiato corto, e i suoi respiri si fanno più affannosi. Passano alcuni secondi, che sembrano ore, e poi lui mi toglie una mano dai polsi. Ma l’altra è abbastanza grande per immobilizzarli entrambi.
Per un attimo ho paura che voglia darmi uno schiaffo. Invece mi posa la mano sulla guancia e mi ravvia delicatamente i capelli dietro l’orecchio. Posso sentire il suo battito quando posa le labbra sulle mie, e sotto la pelle sento sprigionarsi le fiamme.
Era quello che desideravo fin da sabato sera. Se potessi provare una sola sensazione per il resto della vita, vorrei questa.
Non mi concedo di chiedermi perché lo sto baciando di nuovo, e quali cose orribili mi dirà dopo. Voglio concentrarmi solo sul modo in cui si spinge contro di me, sul sapore di menta della sua bocca. E sulla mia lingua che si muove con la sua, e sulle mie mani che gli accarezzano le spalle larghe. Mi agguanta per il retro delle cosce e mi solleva da terra, e d’istinto gli avvolgo le gambe intorno ai fianchi: è incredibile come il mio corpo sappia da solo cosa fare. Affondo le dita tra i suoi capelli mentre lui cammina all’indietro verso il mio letto, senza staccare le labbra da me.
Una voce nella testa mi fa notare che è una pessima idea, ma non le do retta. Stavolta non ho intenzione di fermarmi. Gli strattono più forte i capelli, strappandogli un gemito al quale rispondo con un altro, in perfetta consonanza. È il suono più eccitante che abbia mai sentito, e farei qualsiasi cosa per riascoltarlo. Lui si siede sul mio letto posandomi sulle sue ginocchia. Le sue lunghe dita mi premono con forza sulla pelle, ma è un dolore molto piacevole. Inizio a dondolarmi lentamente sopra di lui.
Mi stringe più forte. «Merda», mi sussurra sulle labbra. Lo sento indurirsi, un’esperienza nuova per me.
Fin dove mi spingerò? mi chiedo, ma non conosco la risposta.
Mi tira su l’orlo della maglietta. Non mi capacito del fatto che lo sto lasciando fare, ma non voglio smettere. Interrompe il nostro bacio appassionato per sfilarmi la maglietta dalla testa. Mi guarda negli occhi e poi il suo sguardo scende sul mio seno. Si morde il labbro.
«Sei così sexy, Tess.»
Non ho mai trovato eccitanti le volgarità, ma quelle parole in bocca a Hardin sono la cosa più sensuale che abbia mai ascoltato. Non compro mai biancheria sexy perché nessuno la vedrebbe; ma al momento vorrei avere indosso qualcosa di più interessante di un semplice reggiseno nero. Probabilmente avrà già visto ogni tipo di reggiseno che esiste, mi rammenta la vocetta antipatica nella testa. Per togliermi quel pensiero mi struscio con più forza contro di lui…
La maniglia della porta si muove. Scatto in piedi e mi rimetto la maglietta.
Steph entra nella stanza e rimane sbigottita.
So di avere le guance rosse, non per l’imbarazzo ma per le sensazioni che Hardin mi ha fatto provare.
«Cosa mi sono persa?» domanda con un sorriso malizioso.
«Niente di che», dice Hardin. Si alza dal letto ed esce dalla stanza senza guardarsi indietro. Io sto ancora ansimando.
Steph ride. «Ma che cavolo è successo?!» mi chiede, e poi si copre il viso con le mani fingendosi inorridita. Ma è troppo emozionata e ricomincia subito a parlare. «Tu e
Hardin… Tu e Hardin ve la spassate?»
Mi giro e fingo di cercare qualcosa sulla scrivania. «No! Certo che no! Non facciamo niente!» Facciamo qualcosa? No, ci siamo solo baciati un paio di volte. E lui mi ha tolto la maglietta, e mi sono strusciata addosso a lui… ma è stato un episodio isolato. «Ho il ragazzo, ricordi?»
Mi si piazza davanti. «E allora? Non significa che non puoi divertirti un po’… Non ci posso credere! Pensavo che voi due vi odiaste. Be’, Hardin odia tutti, ma ero convinta che odiasse te ancora più del normale.» Scoppia a ridere. «Ma quando… com’è successo?»
Mi siedo sul suo letto e mi passo le mani tra i capelli. «Non lo so. Be’, sabato, quando tu sei andata via dalla festa, un maniaco ci ha provato con me, e così sono finita in camera di Hardin e ci siamo baciati. Ci siamo ripromessi di non parlarne più, ma poi oggi è venuto qui e ha iniziato a stuzzicarmi… Non in quel senso!» puntualizzo, e lei sghignazza ancora di più. «Ha messo in disordine la mia roba, e io l’ho spintonato, e poi non so come siamo finiti sul letto.»
Raccontata così suona davvero male. Non mi riconosco più, proprio come ha detto mia madre. Mi nascondo il viso tra le mani. Come ho potuto fare una cosa del genere a Noah… di nuovo?
«Wow, sembra molto eccitante», commenta Steph.
«Per niente, anzi è gravissimo. Sono innamorata di Noah, e Hardin è un bastardo. Non voglio essere una delle sue tante conquiste.»
«Potresti imparare molto da lui, sai… sessualmente, intendo.»
Sono attonita. Ma dice sul serio? Lei lo farebbe…? Ehi, aspetta, l’ha già fatto? Lei e Hardin?
«Non ci tengo a imparare niente da Hardin. E da nessun altro, a parte Noah», ribatto. Non riesco a immaginare di baciare Noah in quel modo. Mi tornano in mente le parole di Hardin: Sei così sexy, Tess. Noah non mi direbbe mai una cosa del genere: nessuno mi aveva mai detto che sono sexy. Mi sento arrossire al solo pensiero. «Tu ci sei stata?» le chiedo, un po’ imbarazzata.
«Con Hardin? No.» Mi sento subito meglio. Ma poi Steph continua: «Be’… non ho fatto sesso con lui, ma quando ci siamo conosciuti devo ammettere che qualcosina è successo. Ma niente di serio; siamo stati… un po’ più che amici, per circa una settimana». Ne parla come se fosse una cosa da niente, ma non riesco a non essere gelosa.
«Un po’… più che amici?» ripeto.
«Sì, niente di che. Ci siamo baciati, palpati un po’… Tutto qui.»
Sento un dolore al petto. Non mi stupisce che le cose stiano così, ma sono pentita di aver indagato. «Hardin ne ha parecchie, di queste… più che amiche?» continuo, anche se non voglio sapere la risposta.
Lei fa uno sbuffo divertito e si siede sul suo letto. «Sì. Insomma, non a centinaia, ma è un ragazzo piuttosto… attivo.»
Capisco che ha notato la mia reazione e sta cercando di indorare la pillola. Per l’ennesima volta mi riprometto di stare lontana da lui. Non sarò «più che amica» con nessuno. Mai più.
«Non lo fa per cattiveria, o perché vuole usare le ragazze; sono loro che si gettano ai suoi piedi, e lui spiega a tutte fin dall’inizio che non vuole relazioni.» Ricordo che Steph me l’aveva già accennato. Ma lui non mi ha detto niente del genere quando…
«Perché non vuole relazioni?» Perché non riesco a smettere di fare queste domande?
«Non lo so… Senti», fa poi in tono preoccupato, «penso che potresti divertirti un mondo con Hardin, ma potrebbe essere pericoloso. Fossi in te gli starei lontana, se non sei sicurissima che non proverai mai nulla per lui. Ho visto molte ragazze innamorarsi di lui, e non va mai a finire bene.»
«Oh, credimi, non provo niente per Hardin. Non so cosa mi sia passato per la testa», rido, e spero di sembrare sincera.
«Bene», taglia corto Steph. «Allora, quanto ti sei cacciata nei guai con tua madre e Noah?»
Le riferisco la predica di mia madre, tranne la parte in cui le prometto di non esserle più amica. Per il resto della serata parliamo dell’università, di Tristan, e di qualsiasi argomento mi venga in mente tranne Hardin. 
23
IL giorno seguente, io e Landon ci incontriamo in caffetteria prima della lezione per confrontare gli appunti di sociologia. Ci ho messo un’ora a rimettere tutto a posto dopo lo scherzetto di Hardin. Mi andrebbe di raccontare l’episodio a Landon, ma non voglio che pensi male di me, soprattutto adesso che so di sua madre e del padre di Hardin. Scommetto che sa un mucchio di cose sul suo conto, ma mi rifiuto di fare domande. D’altronde me ne importa molto poco.
La giornata passa in un lampo e finalmente arriva l’ora della lezione di letteratura. Come al solito Hardin si siede accanto a me, ma sembra che non abbia intenzione di guardarmi.
«Oggi concludiamo il discorso su Orgoglio e pregiudizio», ci informa il professore. «Spero che abbiate trovato interessanti queste lezioni. Dato che ormai sapete tutti come va a finire il romanzo, mi sembra giusto incentrare la discussione sull’uso che Jane Austen fa degli indizi premonitori. Vi chiedo: vi aspettavate che Elizabeth e Darcy sarebbero finiti insieme?»
Vari studenti mormorano o sfogliano il libro a caso quasi fossero in cerca della risposta, ma solo io e Landon alziamo la mano, come sempre.
«Miss Young», fa il professore.
«Be’, la prima volta che ho letto il romanzo ero impaziente di scoprire come sarebbe andato a finire. Ancora oggi – e l’ho letto almeno dieci volte – mi sento ansiosa all’inizio della loro relazione. Mr Darcy è così crudele con Elizabeth, dice cose talmente cattive su di lei e sulla sua famiglia che non sono mai sicura che lei riuscirà a perdonarlo, e tantomeno a innamorarsi di lui.»
«Che stupidaggine», interviene una voce. È la voce di Hardin.
«Mr Scott? Vuole aggiungere qualcosa?» chiede il professore, palesemente sorpreso.
«Certo. Ho detto che è una stupidaggine. Le donne vogliono sempre ciò che non possono avere. È proprio l’arroganza di Mr Darcy a renderlo attraente agli occhi di Elizabeth, perciò è ovvio che debbano finire insieme», conclude Hardin, e poi si guarda le unghie come se fosse completamente disinteressato alla discussione.
«Non è vero che le donne vogliono ciò che non possono avere. Mr Darcy era scortese con lei solo perché era troppo orgoglioso per ammettere che la amava. Quando lui smette di comportarsi in quel modo, Elizabeth capisce che in realtà è innamorato», replico a voce più alta di quanto volessi.
Molto più alta. Mi guardo intorno e mi accorgo che tutta la classe ci sta fissando.
Hardin sospira. «Non so che genere di ragazzi frequenti tu, ma penso che se lui la amasse non la tratterebbe così male. Chiede la sua mano solo perché lei non la smetteva più di buttarglisi addosso», dice con enfasi.
Sono furiosa, ma finalmente stiamo arrivando a capire come la pensa davvero. «Non gli si butta addosso! Lui la illude fingendosi gentile e poi si approfitta della sua debolezza!» grido, e a questo punto nell’aula cala un silenzio di tomba. Hardin è paonazzo per la rabbia, e immagino di esserlo anch’io.
«Si approfitta… Ma per favore! Lei si annoia così tanto che deve andare in cerca di emozioni, e quindi gli si butta addosso!» ribatte a voce altrettanto alta, stringendo i bordi del banco.
«Be’, se lui non fosse un maniaco sessuale, forse chiuderebbe la questione dopo la prima volta, invece di presentarsi in camera di lei!» Appena finisco la frase capisco che ci siamo esposti, e qualcuno sghignazza.
«Okay, una discussione accesa. Penso che per oggi possa bastare…» interviene il professore.
Agguanto lo zaino e mi precipito fuori dall’aula. In corridoio sento la voce alterata di Hardin alle mie spalle: «Stavolta non ti lascio scappare, Theresa!»
Sto attraversando il prato quando lui mi raggiunge e mi afferra per un braccio. Mi divincolo.
«Perché mi metti sempre le mani addosso? Prendimi di nuovo per un braccio e ti do uno schiaffo!» grido. Mi stupisco della violenza delle mie parole, ma non ne posso più.
Mi agguanta di nuovo il braccio, ma io non riesco a reagire. «Cosa vuoi, Hardin? Dirmi quanto sono disperata? Ridere di me perché ti ho permesso di ferirmi un’altra volta? Sono stufa di questi giochetti… basta, non voglio più darti retta. Ho un ragazzo che mi ama, e tu sei una persona orribile. Dovresti farti visitare, per quegli sbalzi d’umore. Un attimo prima sei simpatico, un attimo dopo diventi odioso. Non voglio avere niente a che fare con te, perciò fatti un favore e trovati un’altra ragazza con cui giocare, perché con me hai chiuso!»
«È proprio vero che tiro fuori il peggio di te, eh?»
Gli do le spalle. Il marciapiede è affollato e alcuni studenti ci guardano incuriositi. Quando mi giro di nuovo verso di lui, sta giocherellando con l’orlo sdrucito della maglietta nera.
Mi aspetto che sorrida o che si metta a ridere, invece non lo fa. Se non sapessi come stanno le cose, penserei che… ci sia rimasto male. Invece so perfettamente come stanno le cose: non potrebbe importargliene di meno. «Non sto facendo nessun gioco, con te», dice, e si passa una mano tra i capelli.
«Allora cosa stai facendo? I tuoi sbalzi d’umore mi fanno venire il mal di testa», sbotto. Intorno a noi si è radunato un capannello di persone, e io vorrei sotterrarmi. Ma ho bisogno di sapere cosa mi risponderà.
Perché non riesco a stare lontana da lui? So che è pericoloso, che mi fa male. Non ero mai stata così perfida con qualcuno come lo sono con lui. Se lo merita, certo, ma non mi piace essere cattiva con le persone.

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