parte 5

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di trasferirsi a New York, e Landon sembra davvero felice per lei, nonostante la prospettiva di una relazione a distanza.
Quando Dakota finisce di parlare, Landon guarda il telefono e dice: «Be’, tra poco dobbiamo andare. Il falò non aspetta nessuno».
«Cosa?» esclama Karen. «Almeno portatevi via il dolce!»
Landon la aiuta a preparare un contenitore ermetico.
«Vieni in macchina con me?» chiede Hardin. Mi guardo intorno perché non ho capito con chi stia parlando.
«Parlo con te.»
«Cosa? No, tu non ci vai.»
«Sì che ci vado. E non puoi impedirmelo, perciò tanto vale che vieni con me.» Sorride e cerca di posarmi la mano sulla coscia.
«Ma che ti prende?» bisbiglio.
«Possiamo parlarne fuori?» fa lui, scoccando un’occhiata al padre.
«No», rispondo a bassa voce. Ogni volta che io e Hardin «parliamo», finisco per piangere.
Ma lui scatta in piedi e mi prende per mano facendomi alzare. «Andiamo un attimo fuori», annuncia tirandomi verso la porta di casa.
Quando siamo all’esterno, mi libero con uno strattone. «Smettila di toccarmi!» «Scusa, ma non venivi.» «Perché non volevo.»
«Mi dispiace. Per tutto, okay?» Giocherella con il piercing sul labbro, ma evito di guardargli la bocca. Mi soffermo sui suoi occhi, invece, che mi scrutano.
«Ti dispiace, dici? Non è vero, Hardin: vuoi solo farmi star male. Smettila. Sono esausta, sfinita, non ne posso più di litigare con te. Non hai altre persone da tormentare? Accidenti, te ne trovo qualcuna io: una povera ragazza innocente da torturare. Purché lasci in pace me.»
«Non ti sto torturando. So che cambio idea ogni minuto con te, e non so perché. Ma se mi dai una possibilità, una soltanto, la smetto. Ho cercato di starti lontano, ma non ci riesco. Ho bisogno di te…» Abbassa lo sguardo e strofina la punta di un anfibio contro l’altro.
L’audacia delle sue parole mi aiuta a non piangere, stavolta. Il suo ego ha già visto abbastanza lacrime. «Smettila! Smettila e basta. Ma non ti sei ancora stufato? Se avessi davvero bisogno di me non mi tratteresti in questo modo. Hai detto tu stesso che cercavi il brivido della conquista, no? Non puoi presentarti qui dopo tutto quello che è successo e comportarti come se niente fosse.» «Non dicevo sul serio, lo sai.»
«Perciò ammetti di averlo detto solo per farmi star male?» Lo fulmino con lo sguardo e cerco di tenere alta la guardia.
«Sì…» risponde chinando il capo.
Mi confonde all’inverosimile: dice di volere di più, poi bacia Molly, poi mi dice che mi ama e poi se lo rimangia, e ora chiede di nuovo scusa? «Perché dovrei perdonarti? Hai appena ammesso di aver detto quella cosa solo per farmi soffrire.»
«Un’ultima possibilità… Per favore, Tess. Ti dirò tutto.» Mi guarda e sono tentata di credere al dolore che leggo nei suoi occhi.
«Non posso, devo andare.»
«Perché non posso venire con te?»
«Perché… Perché Zed mi aspetta lì.»
Vedo cambiare la sua espressione, sembra che il mondo gli crolli addosso. Devo sforzarmi per non consolarlo. Ma se l’è cercata. Anche se gli importa davvero di me, ormai è troppo tardi.
«Zed? Perciò voi due ora… state insieme?» chiede in tono disgustato.
«No, non ne abbiamo nemmeno parlato. Stiamo solo… non so, passando del tempo insieme.»
«Non ne avete parlato? Quindi se te lo chiedesse ti metteresti con lui?»
«Non lo so…» gli rispondo, ed è la verità. «È simpatico, beneducato, mi tratta bene.» Perché mi sto giustificando?
«Tessa, non lo conosci neppure, non sai…»
La porta di casa si apre di schianto e un esuberante Landon chiede: «Pronta?»
Scocca un’occhiata a Hardin, che per una volta pare colto alla sprovvista… e persino triste.
Mi costringo a raggiungere la macchina e seguo Landon fuori dal vialetto. Non riesco a non lanciare un’occhiata a Hardin, che è ancora sulla veranda e mi guarda andar via. 
65
PARCHEGGIO accanto a Landon e scrivo un messaggio a Zed per dirgli che sono arrivata.
Risponde subito, dandomi appuntamento nell’angolo del campo in fondo a sinistra.
Spiego a Landon e Dakota dove sto andando.
«Va bene», fa lui, ma non sembra molto convinto.
«Chi è Zed?» chiede Dakota.
«È… un mio amico.»
«Hardin è il tuo ragazzo, giusto?»
Non sembra insinuare niente, pare solo confusa. Benvenuta nel club.
«No, tesoro. Nessuno di loro è il suo ragazzo», spiega Landon ridendo.
Rido anch’io. «La situazione non è brutta come pare.»
Proprio quando raggiungiamo gli altri, la banda dell’università inizia a suonare e il campo si riempie di gente. Finalmente individuo Zed appoggiato alla staccionata. Lo indico agli altri e ci dirigiamo verso di lui.
«Oh!» fa Dakota mentre ci avviciniamo. Non so se è sorpresa dai tatuaggi e dai piercing di Zed o dalla sua bellezza. Forse da entrambe le cose.
«Ciao, bellissima», mi accoglie lui sorridendo, e viene ad abbracciarmi. Rivolge un cenno del capo a Landon e Dakota. So che conosce già Landon, quindi forse sta solo cercando di essere educato.
«Aspetti da molto?» gli chiedo.
«Una decina di minuti. C’è molta più gente di quanto mi aspettassi.»
Ci porta in una zona meno affollata accanto all’enorme catasta di legna e ci sediamo tutti sull’erba. Dakota si mette tra le gambe di Landon e si appoggia al suo petto. Il sole sta calando e si alza la brezza. Dovevo mettermi una maglia a maniche lunghe.
«C’eri mai stato?» chiedo a Zed.
«No, non è il mio genere di festa», ride. «Ma sono contento di esserci venuto stasera.»
In quel momento qualcuno sale sul palco e ci saluta calorosamente a nome dell’università e della banda. Dopo un paio di minuti di chiacchiere inizia il conto alla rovescia per l’accensione del falò: tre, due, uno… le fiamme divampano e avviluppano la catasta. È una scena impressionante, vista da così vicino. Forse non sentirò freddo, dopotutto.
«Allora, quanto ti fermi da queste parti?» chiede Zed a Dakota.
«Solo per il fine settimana. Vorrei poter tornare per il matrimonio, il prossimo weekend.»
«Quale matrimonio?» si incuriosisce Zed.
Guardo Landon, che risponde: «Il matrimonio di mia madre».
«Ah…» Zed abbassa lo sguardo, come se stesse pensando a qualcosa.
«Che c’è?» gli chiedo.
«Niente. Stavo solo cercando di ricordare chi altri mi ha parlato di un matrimonio il prossimo weekend… Ah, sì, Hardin, mi pare. Ci ha chiesto come bisogna vestirsi per un matrimonio.»
Mi si ferma il cuore. Spero che non mi si legga in faccia. Perciò Hardin non ha ancora detto ai suoi amici che suo padre è il rettore, né che sta per sposare la madre di Landon.
«Che strana coincidenza, eh?» dice.
«Ma no, loro…» inizia Dakota, ma la interrompo.
«Sì, stranissima; ma d’altronde, in una città di queste dimensioni ci sono parecchi matrimoni alla settimana.»
Zed annuisce e Landon bisbiglia qualcosa all’orecchio di Dakota.
Hardin sta seriamente pensando di andare al matrimonio?
Zed sghignazza. «Non riesco a immaginarmi Hardin a un matrimonio.» «Perché no?» chiedo, in tono un po’ più acido di quanto volessi.
«Non lo so… perché è Hardin. L’unico modo per convincerlo ad andare a un matrimonio sarebbe promettergli che potrà fare sesso con le damigelle. Tutte.» «Pensavo che tu e Hardin foste amici», gli faccio.
«Lo siamo. Non sto dicendo niente di male, solo che Hardin è fatto così. Si porta a letto una ragazza diversa ogni fine settimana, a volte anche più di una.»
Mi fischiano le orecchie e il calore del fuoco mi brucia la pelle. Mi alzo in piedi senza rendermene conto.
«Dove vai, cosa succede?» chiede Zed.
«Niente, ho solo… bisogno di un po’ d’aria fresca», borbotto. So che sembro stupida, ma non mi importa. «Torno subito.» Scappo via prima che possano seguirmi.
Ma che mi prende? Zed è dolce e gli piaccio, mi trova simpatica… E poi mi basta sentir nominare Hardin e non riesco più a smettere di pensare a lui. Cammino tra le bancarelle facendo alcuni respiri profondi, poi torno dagli altri.
«Scusate, il fuoco era… troppo caldo», mento rimettendomi a sedere.
Zed gira il telefono per non farmi vedere lo schermo e se lo rimette in tasca; ricominciamo a chiacchierare con Landon e Dakota.
Dopo un’ora, Dakota dice a Landon: «Sono un po’ stanca, mi sono alzata presto per prendere l’aereo».
«Sono stanco anch’io. Andiamo», risponde Landon aiutando Dakota ad alzarsi.
«Vuoi che andiamo via anche noi?» mi chiede Zed.
«No, per me va bene restare. A meno che voglia andartene tu.»
«No, sto bene qui.» Salutiamo Landon e Dakota e li vediamo scomparire tra la folla.
«Allora, quali sono le origini di questa tradizione del falò?» domando a Zed.
«Credo sia per festeggiare la fine del campionato di football. O la metà, o qualcosa del genere…» Mi guardo intorno e mi accorgo che molte persone indossano maglie da football.
«Ah. Ora lo vedo», faccio a Zed scoppiando a ridere.
«Già. È Hardin quello?» domanda lui scrutando tra la folla.
Mi volto di scatto. Hardin viene verso di noi con una ragazza bruna e minuta con la gonna.
Mi avvicino a Zed. È esattamente per questo motivo che non ho dato ascolto a Hardin quando eravamo in veranda: ha già trovato una ragazza da portarsi dietro per farmi dispetto.
«Ciao, Zed», trilla lei.
«Ciao, Emma.» Zed mi posa un braccio sulle spalle. Hardin lo guarda storto ma viene a sedersi con noi.
«Come sta andando il falò?» chiede.
«È caldo. Ed è quasi finito, credo», risponde Zed.
C’è tensione tra loro, la percepisco. Non so perché: Hardin ha dimostrato chiaramente ai suoi amici che non gli importa niente di me.
«C’è da mangiare, qui?» domanda la ragazza con la sua vocetta irritante.
«Sì, c’è un chiosco», le dico.
«Hardin, vieni a prendere qualcosa», ordina lei. Hardin sembra indispettito ma si alza.
«Portatemi un pretzel, va bene?» strilla sorridente Zed, e Hardin serra la mascella.
Ma cos’hanno?
Appena Hardin ed Emma scompaiono, mi rivolgo a Zed. «Ehi, possiamo andarcene? Non mi va proprio di stare con Hardin. Ci detestiamo, nel caso te ne fossi dimenticato.» Cerco di ridere, ma non ci riesco.
«Sì, certo», risponde. Ci alziamo e mi prende per mano. Mentre camminiamo mi guardo intorno sperando che Hardin non ci veda mano nella mano.
«Ti va di andare alla festa?» mi chiede Zed quando arriviamo al parcheggio.
«No, non ho voglia di andare neanche lì.» È l’ultimo posto in cui voglio andare.
«Okay, be’, possiamo rivederci…» inizia.
«No, voglio stare con te. Ma non qui né alla confraternita», dico subito.
Sembra sorpreso. «Okay… be’, possiamo andare a casa mia? Se vuoi… Altrimenti andiamo da un’altra parte? Non so cos’altro ci sia da fare in questa città.»
«A casa tua va bene. Ti seguo con la mia macchina.»
Durante il tragitto m’immagino la faccia di Hardin quando scoprirà che ce ne siamo andati. Si è portato una ragazza al falò, quindi non ha il diritto di arrabbiarsi, ma questo non allevia il mio mal di stomaco.
L’appartamento di Zed è poco fuori dal campus, ed è piccolo ma pulito. Mi offre da bere ma rifiuto, perché devo guidare per tornare al dormitorio.
Sprofondo sul divano e Zed mi porge il telecomando, dopodiché va in cucina a prepararsi da bere. «Decidi tu, non so che tipo di programmi ti piacciono.»
«Vivi da solo?» gli chiedo, e lui annuisce. Mi sento un po’ a disagio quando si siede accanto a me e mi cinge in vita, ma dissimulo il nervosismo con un sorriso. Il suo cellulare squilla nella tasca e lui si alza per rispondere. Mi fa un cenno per dirmi che torna subito e va a parlare in cucina.
«Ce ne siamo andati», lo sento dire. «Perciò…» «Va bene.» «Ah, peccato.» I brandelli di conversazione che sento non hanno senso… A parte il fatto che dice che ce ne siamo andati.
Sta parlando con Hardin? Mi alzo e vado in cucina proprio mentre sta riattaccando.
«Chi era?»
«Nessuno di importante.» Mi riaccompagna al divano. «Sono contento che ci stiamo conoscendo meglio; sei diversa dalle altre ragazze di qui», dice dolcemente.
«Anch’io sono contenta. Conosci Emma?» «Sì, la sua ragazza è la cugina di Nate.» «La sua ragazza?» ripeto perplessa.
«Sì, stanno insieme da un po’. Emma è proprio simpatica.»
Perciò Hardin non era lì con lei, non in quel senso almeno. Forse è venuto per parlarmi, non per farmi del male facendosi vedere con un’altra.
Mi giro verso Zed proprio mentre lui si sporge a baciarmi. Ha le labbra fresche e al sapore di vodka come il cocktail che ha bevuto. Fa scorrere le mani lungo le mie braccia, lentamente, poi me le posa intorno alla vita. Mi torna in mente il volto triste di Hardin, la sua supplica di concedergli un’altra possibilità, e io che non gli ho creduto; il modo in cui mi ha guardata andare via, la scenata in classe a proposito di Catherine e Heathcliff, il fatto che mi compare davanti sempre quando non voglio, che non dice mai a sua madre che le vuole bene, che ha detto di amarmi davanti a tutti e poi se l’è rimangiato, che quando è arrabbiato spacca tutto, che stasera è venuto a casa di suo padre anche se odia quel posto, e che ha chiesto agli amici come vestirsi per il matrimonio: tutto si incastra nella mia mente, in una catena dotata di senso logico ma al contempo incomprensibile.
Hardin mi ama. Nel suo modo malato, mi ama. Capirlo è un pugno allo stomaco. «Cosa?» mi chiede Zed, interrompendo il bacio.
«Cosa?» ripeto.
«Hai appena detto ‘Hardin’.»
«No, non l’ho detto.»
«Sì, l’hai detto.» Si alza e si allontana dal divano.
«Devo andare… mi dispiace.» Prendo la borsa e corro fuori senza lasciargli il tempo di dire altro.
66
MI concedo un momento per riflettere su cosa sto facendo. Ho mollato Zed per andare a cercare Hardin, ma devo pensare a ciò che mi aspetta adesso. Hardin potrebbe insultarmi e cacciarmi via, oppure potrebbe ammettere che prova qualcosa per me e che fa tutti questi giochetti solo perché non sa gestire ed esprimere le emozioni come una persona normale. Se si verifica il primo scenario, come mi aspetto, non starò peggio di adesso. Ma se si avvera il secondo, sono pronta a perdonarlo per tutte le cose terribili che mi ha detto e fatto? Se entrambi ammettiamo i nostri sentimenti, cambierà tutto? Lui cambierà? È in grado di prendersi cura di me come ho bisogno che faccia? E, se sì, sono pronta a sopportare i suoi sbalzi d’umore?
Il problema è che non so rispondere a nessuna di queste domande. Detesto il modo in cui Hardin mi annebbia i pensieri e mi fa sentire insicura. Odio l’idea di non sapere cosa farà e cosa dirà.
Arrivo alla maledetta confraternita in cui ho già passato fin troppo tempo. Odio questo posto. Odio un sacco di cose, al momento, e la mia rabbia per Hardin è prossima al punto di ebollizione. Parcheggio lungo il marciapiede, corro su per le scale ed entro nella casa affollata. Vado dritta al malandato divano su cui si siede sempre Hardin, ma poiché non lo individuo mi nascondo dietro un tizio alto e grosso prima che Steph o qualcun altro mi veda.
Corro al piano di sopra e picchio alla porta di camera sua, chiusa a chiave come al solito.
«Hardin! Sono io, apri!» grido disperata continuando a bussare, ma non c’è risposta. Dove cavolo è? Non voglio telefonargli per scoprirlo: sarebbe il modo più semplice, ma sono arrabbiata e ho bisogno di restare arrabbiata per poter dire quello che penso – quello che ho bisogno di dire – senza sentirmi in colpa.
Chiamo Landon per sapere se Hardin è da suo padre, ma non c’è. L’unico altro posto in cui mi viene in mente di cercarlo è il falò; dubito che sia ancora lì, ma al momento non ho altre opzioni.
Perciò torno allo stadio e parcheggio, ripetendo tra me il discorsetto infuriato che mi sono preparata, in modo da non dimenticarlo nel caso lo trovassi. Mi avvicino al campo; sono già andati via praticamente tutti e il fuoco è quasi spento. Mi guardo intorno nella penombra in cerca di Hardin ed Emma, ma non li vedo.
Proprio quando decido di smettere di cercarlo, lo scorgo appoggiato alla recinzione accanto alla porta del campo. È da solo e non mi ha ancora vista. Si siede sull’erba pulendosi la bocca. Quando toglie la mano, vedo del sangue. Sanguina?
Si volta all’improvviso, come se avesse percepito la mia presenza. Sì, ha del sangue all’angolo della bocca e sulla guancia si sta già formando un livido.
«Ma che?…» esclamo, e mi inginocchio davanti a lui. «Cosa ti è successo?»
Mi guarda con una tale angoscia negli occhi che la mia rabbia si dissolve come zucchero sulla lingua.
«Che te ne importa? Dov’è il ragazzo con cui hai appuntamento?» ringhia.
Sposto la sua mano da sopra la bocca per esaminare il labbro gonfio. Lui si ritrae, ma io insisto. «Dimmi cos’è successo.»
Sospira e si passa una mano tra i capelli. Ha le nocche spaccate e insanguinate. Il taglio sull’indice sembra profondo e deve fargli molto male.
«Hai fatto a botte con qualcuno?»
«Cosa te lo fa pensare?»
«Con chi? Stai bene?»
«Sì, sono a posto, adesso lasciami in pace.»
«Sono venuta a cercarti», gli dico. Mi alzo e mi scrollo l’erba secca dai jeans.
«Okay, mi hai trovato, perciò ora vattene.»
«Non devi per forza essere così stronzo. Penso che dovresti andare a casa e darti una ripulita. Forse dovrai farti mettere dei punti su quella mano.»
Non risponde, si alza e mi oltrepassa. Sono venuta a dirgli che è un idiota e a spiegargli cosa provo, ma lui mi sta complicando le cose, come immaginavo.
«Dove vai?» chiedo, seguendolo come un cagnolino.
«A casa. Be’, chiamo Emma e sento se può venire a prendermi.» «Ti ha lasciato qui?» Non mi sta per niente simpatica.
«No. Be’, in effetti sì, ma gliel’ho chiesto io.»
«Ti accompagno io», ribatto, afferrandolo per la giacca. Lui si divincola e io vorrei prenderlo a schiaffi. Mi sta tornando la rabbia, più forte di prima. La situazione si è ribaltata: di solito sono io a scappare da lui.
«Smettila di scappare da me!» grido, e lui si volta con il fuoco negli occhi. «Ho detto che ti porto a casa io!» ripeto in tono perentorio.
Accenna un sorriso ma poi si rabbuia e sospira. «E va bene. Dove hai la macchina?»
Il profumo di Hardin riempie immediatamente l’abitacolo, ma è mescolato a un odore metallico; resta comunque il mio profumo preferito al mondo. Accendo il riscaldamento e mi strofino le braccia per scaldarle.
«Perché sei venuta fin qui?» mi domanda mentre esco dal parcheggio.
«Per cercare te.» Tento di ricordare tutto quello che volevo dirgli, ma ho un vuoto mentale e riesco a pensare solo a baciare la sua bocca ferita.
«Per quale motivo?» chiede lui a bassa voce.
«Per parlarti, perché abbiamo molto di cui parlare.» Ho voglia di piangere e ridere allo stesso tempo, e non so perché.
«Mi pareva avessi detto che non abbiamo niente di cui parlare», ribatte lui, e si gira a guardare fuori con una freddezza che improvvisamente trovo molto irritante.
«Mi ami?» domando, con voce strozzata. Non avevo preventivato di chiederglielo.
Si volta di scatto verso di me, visibilmente scioccato. «Eh?» «Mi ami?» ripeto, temendo che il cuore mi balzi fuori dal petto.
Fissa la strada davanti a sé. «Non mi stai seriamente chiedendo questa cosa mentre siamo in macchina?»
«Che importanza ha dove o quando te lo chiedo, dimmelo e basta.»
«Non… non lo so… No, non ti amo.» Si guarda intorno, come in cerca di una via di fuga. «E non puoi chiedere a una persona se ti ama mentre è intrappolata in una macchina con te! Ma cosa ti passa per la testa?» «Okay», riesco a dire.
«E poi, perché vuoi saperlo?»
«Non importa.» Ora sono confusa, molto confusa; il mio piano di parlare dei nostri problemi mi si è ritorto contro, strappandomi l’ultimo briciolo di dignità.
«Dimmi perché me l’hai chiesto», ordina.
«Non darmi ordini!» strillo.
Mi fermo davanti alla confraternita. Lui guarda il prato pieno di gente. «Portami a casa di mio padre.»
«Eh? Non sono mica un taxi.»
«Portamici e basta, domattina vengo a riprendere la mia macchina.»
Se ha lasciato la macchina qui, perché non ci va da solo, a casa di suo padre? Ma voglio proseguire la conversazione, perciò sbuffo e riparto.
«Pensavo che odiassi quel posto», dico.
«Lo odio. Ma al momento non ho voglia di stare in mezzo alla gente.» Poi, a voce più alta: «Vuoi spiegarmi perché mi hai fatto quella domanda? C’entra qualcosa Zed? Ti ha detto qualcosa?»
Sembra proprio nervoso. Perché chiede sempre se Zed mi ha detto qualcosa?
«No… Zed non c’entra. Te l’ho chiesto perché volevo saperlo.» Non c’entra Zed; c’entra il fatto che amo Hardin e per un secondo ho pensato che mi amasse anche lui. Più tempo passo con lui e più ridicola mi sembra quell’idea.
«Dove siete andati tu e Zed dopo il falò?» mi chiede mentre imbocco il vialetto di casa.
«Nel suo appartamento.»
Si irrigidisce e stringe i pugni insanguinati, squarciandosi ancora di più la pelle sulle nocche. «Sei andata a letto con lui?»
«Eh?» Sono sbigottita. «Ma come ti viene in mente? Ormai dovresti conoscermi meglio di così! E chi ti credi di essere, per fare una domanda così personale? Mi hai fatto capire chiaramente che non ti importa niente di me, quindi che problema ci sarebbe se fossi andata a letto con lui?»
«Perciò non ci sei andata?» insiste, fissandomi.
«Dio, Hardin, no! Mi ha baciata, ma non andrei mai a letto con una persona che conosco appena!»
Si sporge a spegnere il motore. Tira fuori la chiave dal quadro con la mano insanguinata.
«E tu ti sei lasciata baciare?»
«Sì… be’, non lo so, direi di sì.» Non ricordo altro che il viso di Hardin nei miei pensieri. «Come fai a non saperlo? Hai bevuto, per caso?»
«No, è solo…»
«Cosa?!» grida. Non riesco a interpretare l’energia che aleggia tra di noi, e per un attimo resto seduta lì a decidere come comportarmi.
«Io… continuavo a pensare a te!» ammetto alla fine.
I suoi lineamenti tirati si addolciscono di colpo. «Andiamo in casa», dice guardandomi negli occhi, poi apre la portiera. 
67
KAREN e Ken, seduti sul divano, alzano lo sguardo quando entriamo.
«Hardin! Cos’è successo?» chiede suo padre, scattando in piedi con aria allarmata.
«Sto bene», borbotta lui snobbandolo.
«Cosa gli è successo?» mi domanda Ken.
«Ha fatto a botte con qualcuno, ma non mi ha detto con chi né perché.»
«Ehi, ci sono anch’io qui, e ho appena detto che sto bene, cazzo», ringhia Hardin.
«Non parlare così a tuo padre!» lo rimprovero. Lui rimane allibito, ma invece di strillare mi prende per il polso e mi trascina al piano di sopra. Mentre ce ne andiamo, sento Ken e Karen discutere della sua faccia insanguinata, e Ken domandarsi a voce alta come mai ultimamente Hardin venga così spesso in questa casa, mentre prima non ci metteva mai piede.
In camera sua, Hardin mi fa girare, mi addossa alla parete tenendomi ferma per i polsi e si avvicina, fino ad avere la faccia a un millimetro dalla mia.
«Non farlo mai più», sibila.
«Fare cosa? Lasciami andare subito.»
Alza gli occhi al cielo ma fa come dico, e va verso il letto. Io resto vicino alla porta.
«Non dirmi come devo rivolgermi a mio padre. Preoccupati del rapporto con il tuo, di padre, prima di impicciarti del mio.»
Un istante dopo si rende conto di cos’ha detto e sembra pentito. «Scusa… Non volevo… Mi è uscita così.» Fa un passo verso di me allargando le braccia, ma io arretro verso la porta.
«Sì, ti escono sempre così, eh?» Non riesco a trattenere le lacrime. Mettere in mezzo mio padre è un colpo basso, persino per Hardin.
«Tess, io…» inizia, ma si interrompe quando alzo una mano.
Cosa ci faccio qui? Perché continuo a pensare che smetterà di insultarmi per il tempo sufficiente ad avere una conversazione normale con me? Perché sono un’idiota, ecco perché.
«Lascia perdere. Sei fatto così, ti comporti così. Trovi i punti deboli delle persone e li sfrutti. Li usi a tuo vantaggio. Da quanto desideravi tirare in mezzo mio padre? Scommetto che aspettavi un’occasione da quando mi hai conosciuta!» grido.
«No, accidenti! Ho parlato senza riflettere! E tu non sei innocente, mi provochi!» strilla ancora più forte di me.
«Io ti provoco? Io ti provoco! Per favore, illuminami!» So che ci sentono dal piano di sotto, ma stavolta non me ne importa niente.
«Mi stuzzichi in continuazione! Vuoi sempre litigare. Esci con Zed… insomma, cazzo! Secondo te mi piace essere così? Pensi che mi piaccia essere dominato da te? Odio l’effetto che mi fai, odio non riuscire a smettere di pensare a te! Ti odio! Sei una piccola, arrogante…» Si interrompe e mi guarda. Mi costringo a sostenere il suo sguardo, a fingere che ogni sua sillaba non mi abbia squarciato il cuore.
«Ecco di cosa parlo!» Si passa le mani nei capelli e inizia a camminare avanti e indietro per la stanza. «Tu… tu mi fai diventare matto! E poi hai il coraggio di chiedermi se ti amo? Ma perché me lo chiedi? Perché l’ho detto quella volta, per sbaglio? Ti ho già spiegato che non lo pensavo, quindi perché me lo chiedi di nuovo? Ti piace essere rifiutata, vero? È per questo che continui a ronzarmi intorno?»
Vorrei solo scappare, fuggire da questa stanza e non guardarmi mai indietro. Devo andarmene.
Cerco di trattenermi, ma non ci riesco. E strillo le parole che, lo so, riusciranno a spezzare il suo autocontrollo: «No, continuo a ronzarti intorno perché ti amo!»
Mi copro subito la bocca con la mano, vorrei rimangiarmi le parole. Non potrebbe farmi più male di quanto me ne abbia già fatto, neanche se si sforzasse, e d’altro canto non voglio domandarmi, tra qualche anno, cosa avrebbe risposto se gliel’avessi detto. Mi sta bene se dice di non amarmi. Ho sempre saputo con chi mi andavo a impelagare.
Pare sbigottito. «Cosa?» domanda, come se faticasse a comprendere il significato delle mie parole.
«Accomodati, ripetimi pure quanto mi odi. Dimmi quanto sono stupida perché amo una persona che non mi sopporta», piagnucolo con una voce che non sembra la mia. Mi asciugo gli occhi e lo osservo di nuovo. Mi sento sconfitta, ho bisogno di andarmene per leccarmi le ferite da sola. «Ora vado.»
Mentre mi volto, lui fa un passo verso di me. Mi rifiuto di guardarlo mentre posa la mano sulla mia spalla. «Non te ne andare», afferma, con la voce carica di emozione.
Già, ma quale emozione?
«Tu mi ami?» sussurra, posandomi la mano ferita sotto il mento per farmi alzare la testa. Distolgo gli occhi e annuisco piano, aspettando che lui mi rida in faccia.
«Perché?» sussurra di nuovo, e il suo fiato è caldo sul mio viso.
Solo ora incontro i suoi occhi, e lo vedo… impaurito? «Cosa?» chiedo a bassa voce.
«Perché mi… Com’è possibile che mi ami?» Gli si incrina la voce. Mi fissa. Ho l’impressione che le parole che sto per dire decideranno il mio destino.
«Come facevi a non sapere che ti amavo?» domando, anziché rispondergli.
Non pensa che potrei amarlo? Non so spiegare il perché, so solo che lo amo. Mi fa ammattire, mi fa arrabbiare come non sono mai stata arrabbiata in vita mia, eppure mi sono innamorata di lui.
«Mi hai detto che non mi amavi. E poi sei uscita con Zed. Mi pianti sempre in asso: mi hai lasciato lì sulla veranda quando ti ho scongiurato di darmi un’altra possibilità. Ti ho detto che ti amavo e tu mi hai respinto. Hai idea di come ci sono rimasto?»
Mi sembra di vedere le lacrime nei suoi occhi, ma dev’essere solo la mia immaginazione. Le sue dita ruvide e piene di calli sono ancora sotto il mio mento. «Te lo sei rimangiato subito. Mi hai fatto male tante volte, Hardin.»
«Lo so… e mi dispiace. Posso farmi perdonare? So che non ti merito. Non ho neanche il diritto di chiedertelo… ma ti prego, dammi solo una possibilità. Non ti prometto che non litigherò con te, che non mi arrabbierò con te, ma prometto che mi donerò completamente a te. Ti prego, lasciami provare a essere la persona di cui hai bisogno.» Pare così insicuro che mi sento sciogliere dentro.
«Mi piacerebbe pensare che possa funzionare, ma non vedo come. Il danno è già fatto.»
Eppure gli occhi mi tradiscono, le lacrime stanno già sgorgando. Hardin le asciuga con un dito, mentre un’unica lacrima scorre sulla sua guancia.
«Ti ricordi quando mi hai chiesto chi è la persona che amo di più al mondo?» mi domanda, le sue labbra a un millimetro dalle mie.
Annuisco, anche se sembra passato tanto tempo e non pensavo che mi stesse ascoltando.
«Sei tu. Sei tu la persona che amo di più al mondo.»
Le sue parole mi sorprendono e dissolvono il dolore e la rabbia nel mio petto.
Ma prima di consentirmi di credergli, e di abbandonarmi tra le sue braccia, gli chiedo:
«Questo non è uno dei tuoi giochetti, vero?»
«No, Tessa. Ho chiuso con i giochetti. Voglio solo te. Voglio stare con te, in una vera relazione. Dovrai insegnarmi cosa cavolo significa, ovviamente.» Fa un risolino nervoso, e rido anch’io. «Mi è mancato sentirti ridere. Non lo sento abbastanza spesso. Voglio farti ridere, non piangere. So che è difficile stare con me…»
Lo interrompo posando le labbra sulle sue. Mi bacia con trasporto, sento il sapore del sangue. Mi cedono le ginocchia, una scarica elettrica mi attraversa tutto il corpo. Sembra passata una vita dall’ultima volta che le sue labbra si sono posate sulle mie. Lo amo così tanto, questo stronzo prepotente e pieno di disprezzo per se stesso, che ho paura di essere schiacciata dall’amore. Lui mi solleva e io gli avvolgo le gambe intorno ai fianchi e affondo le dita tra i suoi capelli. Passo la lingua sul suo labbro inferiore, e lui si ritrae per il dolore.
«Con chi hai fatto a botte?» Ride. «Lo vuoi sapere adesso?» «Sì.» Sorrido.
«Fai sempre così tante domande. Non posso rispondere dopo?» chiede imbronciato.
«No, dimmelo.»
«Solo se resti qui.» Mi stringe più forte. «Per favore…»
«Okay», gli concedo, e lo bacio di nuovo; mi dimentico completamente la domanda che ho fatto.
68
SMETTIAMO di baciarci, io vado a sedermi ai piedi del letto, Hardin si siede accanto alla testiera.
«Okay, adesso dimmi con chi ti sei preso a pugni: con Zed?» azzardo, temendo la risposta.
«No, dei tizi che non conoscevo.»
È un sollievo che non fosse Zed, ma poi capisco cos’ha detto. «Aspetta: dei tizi?
Quanti?»
«Tre… o quattro. Non so di preciso.» Ride.
«Non c’è niente da ridere. Perché vi siete picchiati?»
«Non lo so… Ero arrabbiato perché te n’eri andata con Zed, e in quel momento mi sembrava una buona idea.»
«Be’, non è una buona idea, e guarda in che stato sei ridotto.» Piega la testa di lato con un’espressione perplessa. «Che c’è?»
«Niente… vieni qui», dice allargando le braccia. Scorro sul letto e mi appoggio a lui.
«Mi dispiace per come ti ho trattata… be’, per come ti tratto», mi bisbiglia all’orecchio.
Mi sento scossa da un brivido. «Non importa. Cioè, importa, ma voglio darti un’altra possibilità.»
Spero che non mi faccia pentire; non penso di poter sopportare altri sbalzi d’umore.
«Grazie, so di non meritarlo ma sono abbastanza egoista da accettare.» Mi abbraccia.
Stare seduta così con lui sembra una novità e una vecchia abitudine allo stesso tempo. Poiché resto in silenzio, mi fa voltare la testa in modo da guardarlo. «Cos’hai?»
«Niente, temo solo che tu cambi idea di nuovo», rispondo. Vorrei gettarmi a capofitto, ma ho una gran paura di dare una testata.
«Non succederà. Non ho mai cambiato idea. Ho solo lottato contro i miei sentimenti per te. So che non puoi fidarti delle mie parole, ma voglio guadagnarmi la tua fiducia.
Non ti farò più soffrire.» Appoggia la fronte sulla mia.
«Ti prego, non farmi soffrire», lo supplico. Non mi importa se sono patetica.
«Ti amo, Tessa», dice. Il cuore mi scoppia di gioia. Quelle parole sono perfette sulle sue labbra e farei qualsiasi cosa per sentirle di nuovo.
«Ti amo, Hardin.» È la prima volta che ce lo diciamo apertamente, e cerco di non pensare alla possibilità che lui se lo rimangi. Ma anche se dovesse succedere conserverò sempre il ricordo del suono di quelle parole, del modo in cui mi hanno fatta sentire.
«Dillo di nuovo», bisbiglia, facendomi voltare verso di lui. Nei suoi occhi vedo una vulnerabilità che non sospettavo. Mi alzo in ginocchio e prendo il suo viso tra le mani, accarezzando i suoi lineamenti perfetti e le guance ruvide di barba. Dalla sua espressione capisco che ha bisogno di sentirmelo ripetere. Glielo dirò tutte le volte necessarie, finché si convincerà di meritare che qualcuno lo ami.
«Ti amo», ripeto, e lo bacio. La sua lingua sfiora la mia. Baciare Hardin è un’esperienza diversa ogni volta, è come una droga da cui non riesco a liberarmi. Mi posa le mani sulla schiena e mi fa premere il petto contro il suo. La mente mi suggerisce di andarci piano, di baciarlo con delicatezza e di godermi ogni istante. Ma il corpo mi impone di prenderlo per i capelli e strappargli la maglietta. Le sue labbra mi scorrono sulla guancia e mi si aggrappano al collo.
Ormai è fatta: non riesco più a controllarmi. Questi siamo noi, tutta rabbia e passione, e adesso anche amore. Mi sfugge un mugolio e Hardin geme sul mio collo, mi cinge in vita e mi fa sdraiare sotto di lui.
«Mi sei… mancata… così tanto…» dice tra un bacio e l’altro sul mio collo. Non riesco a tenere gli occhi aperti, è troppo bello. Mi tira giù la lampo della giacca e mi guarda con avidità. Senza chiedere il permesso inizia a spogliarmi, mi sfila la canotta e io inarco la schiena per farmi slacciare il reggiseno.
«Mi mancava tanto il tuo corpo… è proprio della misura giusta per la mia mano», mormora stringendomi un seno. Mugolo di nuovo e lui spinge i fianchi contro i miei per farmi sentire quant’è eccitato. Ansimiamo entrambi; non l’avevo mai voluto così tanto. A quanto pare, ammettere i nostri sentimenti non ha attenuato la passione che ci travolge. Ne sono felice. Lui mi slaccia il bottone dei jeans e infila le dita nelle mie mutandine. «Mi mancava tanto sentirti così bagnata per me.»
Le sue parole mi scuotono nel profondo. Sollevo di nuovo i fianchi per andargli incontro.
«Cosa vuoi, Tessa?»
«Te», rispondo d’istinto. Ma so che è vero: voglio Hardin nel modo più primordiale e intimo. Il suo dito scivola in me senza attrito, e io mi abbandono con la testa sul cuscino mentre lui lo muove dentro e fuori.
«Mi piace tanto guardarti, vedere quanto ti faccio stare bene», commenta, e io mi lascio sfuggire un mugolio. Gli stringo la maglietta sulla schiena: ha troppi vestiti addosso, ma non riesco a formulare una frase sensata per chiedergli di spogliarsi. Come siamo passati da «ti odio» a «ti amo», a questo? Ma non mi importa saperlo: mi importa solo il modo in cui mi sta facendo sentire, il modo in cui mi fa sentire sempre. Scorre verso il basso e sfila la mano dalle mie mutandine. Mi lamento e lui sorride.
Mentre mi toglie i jeans e la biancheria, gli dico: «Spogliati».
«Sissignora», ribatte ridacchiando. Poi si toglie la maglietta. Voglio far scorrere la lingua su ogni linea di ogni tatuaggio. Adoro il simbolo dell’infinito che ha sopra il polso, così fuori posto tra le fiamme.
«Perché te lo sei fatto, questo?» gli chiedo, passandoci il dito sopra.
«Cosa?» È distratto dal mio seno e non mi ascolta.
«Questo tatuaggio. È così diverso dagli altri. Più… delicato, quasi femminile, no?»
Continua ad accarezzarmi il seno e mi preme la sua erezione sulla coscia. «Femminile, eh?» Mi guarda sorridendo.
Non mi interessa più il tatuaggio e il motivo per cui se l’è fatto. Voglio solo toccarlo, sentire la sua bocca sulla mia.
Prima che uno di noi possa rovinare il momento con altre parole, lo prendo per i capelli e lo tiro a me. Lo bacio sulle labbra per un istante e poi mi sposto sul collo. Dall’esperienza che ho accumulato finora nel dare piacere a Hardin, so che baciarlo in quel punto del collo appena sopra la clavicola lo fa impazzire. Perciò deposito una fila di baci bagnati proprio lì, e sento il suo corpo irrigidirsi quando sollevo di nuovo i fianchi verso di lui. La sensazione del suo corpo nudo sopra il mio è fantastica. Siamo già sudati, basta un altro piccolo movimento e arriveremo a un nuovo livello. Un livello che finora non avevo mai avuto il desiderio di raggiungere. Sento i suoi muscoli guizzare mentre si strofina contro di me, lentamente, e non resisto più.
«Hardin…» mormoro.
«Sì, piccola?» Si ferma. Piego le gambe, poso i talloni sulle sue cosce e lo induco a muoversi ancora. Lui chiude gli occhi e mugola.
«Voglio…» continuo.
«Cosa vuoi?» Il suo fiato è caldo sulla mia pelle sudata.
«Voglio… lo sai…» dico, improvvisamente imbarazzata nonostante quella posizione.
«Ah.» Si ferma di nuovo e mi guarda negli occhi. Sembra che dentro di lui stia infuriando una battaglia. «Non… non so se è una buona idea…» «Perché?» Lo spingo via. Rieccoci di nuovo.
«No… no, piccola. Stasera, voglio dire.» Mi abbraccia e mi fa sdraiare sul fianco. Non riesco a guardarlo, sono troppo umiliata.
«Guardami», mi dice, mettendomi due dita sotto il mento. «Lo voglio anch’io, cazzo se lo voglio. Più di ogni altra cosa, devi credermi. Voglio sentire come si sta dentro di te, fin dal giorno in cui ti ho conosciuta, ma… penso che dopo tutto quello che è successo oggi… insomma, voglio che tu sia pronta. Pronta fino in fondo, perché una volta che l’avremo fatto, l’avremo fatto. Non si torna indietro.»
L’umiliazione si allevia. So che ha ragione, so che devo rifletterci ancora, ma è difficile credere che domani la mia decisione sarebbe diversa. Dovrei pensarci mentre non sono sotto l’influenza del suo corpo nudo che si struscia sul mio. È peggio che essere ubriaca.
«Non arrabbiarti con me, ti prego, ma pensaci per un po’, e se sei sicura che vuoi farlo, ti scoperò con grande piacere. E ripetutamente, dove e quando vuoi. Ti…»
«Okay! Okay!» esclamo tappandogli la bocca. Lui ride sotto la mia mano e fa spallucce come se intendesse: Dicevo tanto per completezza.
Quando tolgo la mano lui me la mordicchia e mi tira a sé. «Dovrò mettermi addosso qualcosa, per non tentarti troppo.»
Arrossisco. Non riesco a decidere quale aspetto di questa faccenda sia più sorprendente: il fatto che io gli abbia appena detto che voglio fare sesso con lui, o il fatto che lui nutra abbastanza rispetto nei miei confronti da respingermi.
«Ma prima lascia che ti faccia stare bene», mormora, e con un movimento rapido mi fa sdraiare sulla schiena. La sua testa scende tra le mie gambe; in pochi minuti inizio a tremare e mi copro la bocca con le mani per non gridare il suo nome.
69
MI sveglio con le labbra di Hardin sull’orecchio. Russa sommessamente. Mi abbraccia da dietro, le gambe intrecciate alle mie. I ricordi di ieri sera mi strappano un sorriso, ma poi l’euforia lascia il posto al panico.
La penserà allo stesso modo alla luce del giorno? Oppure mi torturerà e mi prenderà in giro perché mi sono offerta a lui? Mi giro a guardarlo, a esaminare i suoi lineamenti perfetti: quando dorme non ha la solita espressione accigliata. Passo un polpastrello sul piercing del sopracciglio, poi lungo il livido sulla guancia. Le labbra sono meno gonfie, e anche le nocche, dato che ieri sera mi ha finalmente permesso di aiutarlo a pulire le ferite.
Mentre gli passo il dito sulle labbra apre gli occhi: «Che fai?»
Non riesco a decifrare il suo tono di voce, e questo mi mette a disagio.
«Scusa… stavo solo…» Non so cosa dire. Non so di che umore sia, dopo che ci siamo addormentati l’uno tra le braccia dell’altra.
«Non smettere», bisbiglia, e richiude gli occhi. Mi sento già più serena, sorrido e ricomincio ad accarezzargli le labbra, attenta a non toccare la parte ferita.
«Che programmi hai per oggi?» mi chiede qualche minuto dopo, riaprendo gli occhi.
«Ho promesso a Karen di aiutarla con la serra.»
Si alza a sedere. «Davvero?» Dev’essere arrabbiato. So che la compagna del padre non gli piace, anche se è una delle persone più dolci che io abbia mai conosciuto.
«Sì», borbotto.
«Be’, immagino di non dovermi preoccupare che tu piaccia ai miei parenti. Probabilmente gli stai più simpatica di quanto gli stia io.» Ridacchia e mi accarezza la guancia, e un brivido mi scorre lungo la schiena. «Il problema è che se continuo a frequentare questa casa mio padre si convincerà di andarmi a genio», osserva, in tono leggero ma con gli occhi cupi.
«Magari tu e lui potreste parlare un po’ mentre io e Karen siamo fuori…» suggerisco.
«Assolutamente no. Tornerò a casa mia, la mia vera casa, e ti aspetterò lì.»
«Avrei preferito che tu restassi; la serra è messa piuttosto male, potrebbe volerci parecchio tempo.»
Sembra a corto di risposte, e mi si scalda il cuore al pensiero che non voglia stare lontano da me per troppo tempo. «Io… non lo so, Tessa. Tanto mio padre non vorrà passare del tempo con me», brontola.
«Certo che lo vuole. Quand’è stata l’ultima volta che vi siete ritrovati da soli in una stanza?»
«Non ne ho idea… anni fa. Non so se è una buona idea.»
«Se ti senti a disagio, puoi sempre venire nella serra», lo rassicuro. Ancora non ci credo che stia valutando la possibilità di trascorrere qualche ora con suo padre.
«E va bene… ma lo faccio solo perché il pensiero di lasciarti, anche solo per un po’…» Si interrompe. So che non è bravo a esprimere i sentimenti, quindi resto in silenzio per lasciargli il tempo di riprendersi. «Be’, diciamo che è peggio che parlare con quello stronzo di mio padre.»
Sorrido, nonostante l’insulto. Il padre che Hardin ricorda dalla sua infanzia non è lo stesso uomo che ora si trova al piano di sotto, e spero che lui se ne renda conto. Scendo dal letto, e solo allora ricordo di non avere con me vestiti né spazzolino da denti. «Devo passare in camera mia a prendere alcune cose», gli dico.
Si incupisce. «Perché?»
«Perché non ho niente da mettermi, e devo lavarmi i denti.» Accenna un sorriso che però non gli arriva fino agli occhi. «Che c’è?» gli chiedo.
«Niente… Quanto stai via?»
«Be’, pensavo che saresti venuto con me.» Appena finisco di parlare, vedo che si rilassa.
«Ah.»
«Mi spieghi perché sei così strano?» chiedo, posando le mani sui fianchi.
«Non sono strano… Credevo che volessi andartene. Lasciarmi.» Ha una voce così avvilita, così diversa dal solito, che mi viene voglia di prenderlo tra le braccia e cullarlo.
Invece gli faccio cenno di avvicinarsi. Si alza e viene verso di me.
«Non vado da nessuna parte. Mi servono solo un po’ di vestiti», ripeto.
«Lo so… Ma ci metterò un po’ ad abituarmici: di solito ti vedevo fuggire da me.»
«Be’, e io di solito venivo cacciata da te, quindi dovremo abituarci entrambi.» Sorrido e poso la testa sul suo petto. La sua preoccupazione è stranamente confortante: avevo il terrore di svegliarmi stamattina e scoprire che aveva cambiato idea, mi consola capire che lui aveva paura quanto me.
«Sì, penso di sì. Ti amo», dice. Quelle parole mi colpiscono con la stessa forza della prima volta, e della ventesima, ieri sera.
«Ti amo anch’io», rispondo.
Si rabbuia. «Non dire ‘anch’io’.»
«Perché?» Sono in perenne tensione, temo di essere respinta da un momento all’altro.
«Non lo so… Mi dà l’idea che tu lo dica per farmi piacere e basta.» Abbassa lo sguardo. Ricordo la promessa che ho fatto a me stessa ieri sera: aiutarlo al massimo delle possibilità a sconfiggere i dubbi che nutre su se stesso.
«Ti amo», gli dico. Lui mi guarda, gli occhi gli si addolciscono, mi posa un bacio leggero sulle labbra.
«Grazie», risponde.
È incredibile quanto sia bello con una semplice maglietta bianca e un paio di jeans neri. Non porta mai altro che magliette tinta unita bianche o nere e jeans neri, ogni santo giorno, ma ogni santo giorno è perfetto. Non ha bisogno di seguire le mode: quello stile semplice gli sta a pennello. Prendo i vestiti che indossavo ieri sera e lui mi tiene la borsa mentre scendiamo al piano di sotto.
Troviamo Karen e Ken in salotto. «Ho preparato la colazione», dice Karen in tono allegro.
Mi sento un po’ a disagio all’idea che Karen e Ken sappiano che ho dormito di nuovo in camera di Hardin. Sembra che per loro non sia affatto un problema, d’altronde siamo adulti, ma questo non mi evita di arrossire.
«Grazie.» Le sorrido e lei mi rivolge un’occhiata curiosa; so che quando saremo nella serra mi farà qualche domanda. Entro in cucina, e Hardin mi segue. Ci riempiamo i piatti e andiamo a tavola.
«Landon e Dakota sono qui?» chiedo a Karen quando entra. Dakota sarà stupita di vedermi di nuovo con Hardin, dopo che ieri sera ero con Zed, ma cerco di non pensarci.
«No, sono andati a Seattle a visitare la città, tornano stasera. Vuoi ancora lavorare nella serra, oggi?»
«Certo, devo solo passare in camera a cambiarmi», le dico.
«Ottimo! Chiederò a Ken di portare fuori i sacchi di terra dal capanno, nel frattempo.»
«Se aspetta che torniamo, magari può aiutarlo Hardin…» azzardo, a metà tra una richiesta e una proposta, e guardo Hardin.
«Ah, resti nei paraggi anche tu?» domanda lei, e il suo sorriso si allarga. Come fa Hardin a non rendersi conto che ci sono persone che gli vogliono bene?
«Be’… sì, pensavo di restare qui per oggi… se non è un problema per te», balbetta.
«Nessunissimo problema! Ken, hai sentito? Hardin resta qui tutto il giorno!» Il suo entusiasmo mi strappa un sorriso, mentre Hardin sembra rassegnato.
«Fa’ il bravo», gli dico all’orecchio. Lui sfodera il sorriso più falso che io abbia mai visto.
70
MI spoglio e faccio una rapida doccia, anche se mi sporcherò facendo giardinaggio con Karen. Hardin mi aspetta con pazienza e si tiene occupato frugando nel mio cassetto della biancheria. Quando esco dalla doccia mi dice di portare via abbastanza vestiti per passare un’altra notte con lui. Sorrido. Passerei con lui tutte le notti, se potessi.
«Vuoi che andiamo a prendere la tua macchina, così la porti da tuo padre?» gli chiedo mentre torniamo in auto.
«Non serve. Purché tu la smetta di fare zig zag sulla strada.» «Scusa?! Io guido benissimo», ribatto, sulla difensiva.
Gli scappa da ridere ma tiene la bocca chiusa. «Allora, perché hai deciso di prendere una macchina, alla fine?»
«Be’, farò lo stage e non volevo continuare a prendere l’autobus o a chiedere passaggi.»
Guarda dal finestrino. «Ah… ci sei andata da sola?»
«Sì, perché?»
«Pura curiosità», mente.
«Ero da sola, era stata una brutta giornata», aggiungo.
«Quante volte vi siete visti tu e Zed?»
«Due: una sera siamo stati a cena fuori e al cinema, e poi ieri al falò. Nulla di cui tu debba preoccuparti», lo rassicuro, e non capisco proprio perché voglia parlarne.
«E ti ha baciata una volta sola?»
«Sì, una volta sola. Be’, a parte quando… c’eri anche tu. Ora possiamo cambiare argomento? Io non ti faccio domande su Molly, hai notato?»
«Okay, okay, non litighiamo. Non avevamo mai passato così tanto tempo insieme senza litigare, non roviniamo il record.» Mi prende la mano e con il pollice traccia piccoli cerchi sulla mia pelle.
«D’accordo», acconsento, ancora un po’ irritata. L’immagine di Molly seduta sulle sue gambe mi fa annebbiare la vista.
«Coraggio, Tess. Non mettere il broncio.» Ride e mi dà un pizzicotto sul fianco.
«Non distrarmi, sto guidando!» ridacchio io.
«Sarà l’unica volta che mi dirai di non toccarti.» «Improbabile. Non essere così presuntuoso.» È bello ridere insieme.
Mi accarezza la coscia. «Ne sei sicura?» chiede in un sussurro roco che mi dà un brivido. Il mio corpo ha una reazione istintiva al suo tocco, mi viene la pelle d’oca e ho la gola serrata. Annuisco. Lui sospira e toglie la mano. «So che non è vero… ma preferirei che tu non uscissi di strada. Perciò mi limiterò a farti un ditalino più tardi.»
Divento paonazza. «Hardin!»
«Scusa, piccola.» Alza le mani con aria innocente e torna a guardare dal finestrino. Adoro quando mi chiama piccola: nessuno mi aveva mai chiamata così. Io e Noah abbiamo sempre pensato che i ridicoli nomignoli delle coppie fossero troppo infantili per noi, ma quando li usa Hardin mi fa impazzire.
Quando torniamo a casa di suo padre, troviamo Ken e Karen ad aspettarci in giardino. Ken sembra un pesce fuor d’acqua in jeans e maglietta della WCU. Non l’avevo mai visto con un simile abbigliamento casual, e devo dire che così vestito somiglia un po’ a Hardin. Ci accolgono con un sorriso che Hardin cerca di ricambiare, ma si vede che è a disagio: si dondola sui talloni e affonda le mani nelle tasche.
«Siamo pronti quando lo siete voi», dice Ken a Hardin. Sembra altrettanto imbarazzato, ma il suo è più nervosismo, mentre quella di Hardin è apprensione.
Hardin mi guarda e io gli rivolgo un cenno d’incoraggiamento: è strano essere diventata la persona a cui si rivolge per cercare rassicurazione. A quanto pare le dinamiche tra noi sono molto cambiate. Non me l’aspettavo e ne sono contenta.
«Noi andiamo nella serra, portateci lì il terriccio», chiede Karen, e dà a Ken un rapido bacio sulla guancia. Hardin distoglie lo sguardo da loro, e per un momento penso che forse mi bacerà anche lui, invece non lo fa. Seguo Karen alla serra e quando entriamo resto senza fiato. È enorme, più grande di quanto sembri da fuori, e Karen non scherzava quando ha detto che c’era molto da fare. È praticamente vuota.
Mette le mani sui fianchi con un gesto teatrale. «È un lavoraccio, ma penso che ce la possiamo fare.»
«Lo penso anch’io.»
Hardin e Ken ci raggiungono con due sacchi di terra a testa. In silenzio li posano nel punto indicato da Karen e poi tornano fuori. Venti sacchi e un’infinità di semi, fiori e piante dopo, siamo pronte per cominciare.
Perdo la cognizione del tempo, la luce del sole inizia a calare e mi rendo conto che non vedo Hardin da diverse ore. Spero che lui e Ken siano ancora vivi.
«Penso che per oggi abbiamo fatto abbastanza», dice Karen, asciugandosi il viso.
Siamo entrambe imbrattate di terra.
«Sì, sarà meglio che vada a controllare Hardin», le faccio.
Ride. «È una grande gioia per noi, e soprattutto per Ken, che Hardin venga più spesso a trovarci. E so che dobbiamo ringraziare te per questa novità. Deduco che voi due abbiate appianato le vostre divergenze…»
«Più o meno… direi di sì.» Faccio un risolino. «Siamo ancora molto diversi.» Se solo lei sapesse.
Mi rivolge un sorriso comprensivo. «Be’, a volte è proprio quello che ci vuole. Una persona diversa da noi. È uno stimolo che ci mette in difficoltà, e questo fa bene.»
«Be’, lui mi mette in difficoltà di sicuro.»
Ridiamo entrambe. Karen mi abbraccia. «Cara ragazza, ci hai aiutati più di quanto immagini.»
Sento le lacrime salirmi agli occhi. «Spero non le dispiaccia se ho dormito qui. Hardin mi ha chiesto di fermarmi anche stasera», le dico senza guardarla.
«Certo che non mi dispiace. Siete adulti, e sono sicura che starete attenti.»
Oddio. Avvampo. «Noi… Noi non…» balbetto. Perché sto parlando di questo argomento con la futura matrigna di Hardin? Mi vergogno da morire.
«Oh», fa lei, altrettanto imbarazzata. «Dai, torniamo in casa.»
La seguo, e sulla soglia ci togliamo le scarpe infangate. Vedo Hardin seduto sul bordo del divano e Ken in poltrona. Hardin è visibilmente sollevato.
«Mentre ti lavi preparo la cena», mi dice Karen.
Hardin si alza e viene verso di me. Sembra contento di non essere più da solo con il padre.
«Torniamo subito», e seguo Hardin al piano di sopra.
«Com’è andata?» gli chiedo mentre entriamo nella sua stanza.
Invece di rispondere, mi prende per la coda di cavallo e mi bacia. Barcolliamo all’indietro, ci appoggiamo alla porta e lui si spinge contro di me. «Mi sei mancata.» Mi sento sciogliere. «Davvero?»
«Davvero. Le ultime ore con mio padre le abbiamo passate in un silenzio di tomba, e poi ci siamo scambiati un paio di frasi ancora più imbarazzate. Ho bisogno di distrarmi.» Mi lecca il labbro. Mi si mozza il fiato in gola: è diverso. Piacevole, molto eccitante, ma diverso.
Fa scorrere le mani fino al bottone dei miei jeans.
«Hardin, devo farmi una doccia. Sono coperta di fango», dico ridendo.
Mi passa la lingua sul collo. «Mi piaci così, bella sporca.» Mi sorride e le fossette si disegnano sulle sue guance.
Ma lo spingo via, prendo la borsa e vado in bagno. Ho il fiatone e sono un po’ disorientata, perciò quando tento di chiudere la porta del bagno e non ci riesco, non capisco perché. Poi guardo in basso e vedo lo scarpone di Hardin che la tiene aperta.
«Posso venire con te?» Sorride e si fa strada nel bagno senza aspettare risposta.
71
SI toglie la maglietta e si sporge dietro di me per aprire l’acqua della doccia.
«Non possiamo fare la doccia insieme! Siamo a casa di tuo padre, e Landon e Dakota potrebbero tornare da un momento all’altro», protesto. L’idea di vedere Hardin completamente nudo sotto la doccia mi dà i brividi, ma così è troppo.
«Be’, allora io mi faccio una bella doccia calda mentre tu te ne stai lì a farti le paranoie.» Lascia cadere a terra i pantaloni, insieme ai boxer, e mi oltrepassa per entrare nella doccia. La pelle della schiena si tende sui muscoli. Si gira verso di me, guarda il mio corpo vestito come io guardo il suo, nudo. Sotto l’acqua, i tatuaggi scintillano. Non mi rendo conto che lo sto fissando finché lui chiude la tenda di colpo, nascondendo il suo corpo perfetto.
«Cosa c’è di meglio di una doccia calda dopo una lunga giornata?» Il rumore dell’acqua smorza la sua voce, ma sento ancora il tono compiaciuto con cui lo dice.
«Non saprei; un tizio maleducato e nudo mi ha sottratto la doccia», sbuffo.
Sghignazza. «Un tizio maleducato, nudo e sexy? Vieni dentro, prima che finisca l’acqua calda.»
«Io…» Lo voglio, ma fare la doccia con un’altra persona è così intimo, troppo intimo.
«Coraggio, vivi un po’. È solo una doccia», mi invita aprendo la tenda. «Per favore.» Tira fuori la mano. Guardo il suo torace coperto di disegni e lucente per l’acqua.
«Okay», bisbiglio. Mi spoglio sotto il suo sguardo indagatore. «Smettila di fissarmi», lo rimprovero. Lui si finge offeso, si posa le mani sul cuore.
«Metti in questione la mia nobiltà?» domanda ridendo, e io annuisco cercando di non sorridere. «È un oltraggio!»
Non ci credo ancora: sto per fare la doccia insieme a un’altra persona. Cerco di coprirmi con le braccia mentre aspetto che lui si sposti per lasciarmi passare.
«È strano che mi piaccia questa tua timidezza?» dice, e mi scioglie le braccia, mi toglie lo scudo. Non gli rispondo. Mi tira verso il getto dell’acqua e china la testa, bagnandomi la spalla.
«Credo che mi piaccia così tanto perché sei timida e innocente, però ti lasci fare cose sporche.» Il suo respiro sul mio orecchio è più caldo dell’acqua. Mi accarezza lentamente le braccia. «E so per certo che ti piace sentirti dire cose sporche.» Rabbrividisco.
«Senti come ti accelera il battito del cuore? Mi sembra di vederlo pulsare sotto la pelle.» Mi posa l’indice sulla giugulare. Non so proprio come faccio a stare ancora in piedi: ho le gambe in poltiglia, oltre al cervello.
Le sue carezze bastano a farmi dimenticare che non siamo soli in casa: mi fanno venire voglia di fregarmene della cautela e lasciare che mi faccia tutto quello che vuole. Quando le sue dita mi stringono i fianchi, d’istinto mi appoggio a lui.
«Ti amo, Tessa. Mi credi, vero?»
Mi domando perché me lo chieda proprio adesso, dopo che ce lo siamo detti così tante volte nelle ultime ventiquattr’ore. «Sì, ti credo.» Ho la voce roca, e tossisco per schiarirmela.
«Bene. Non avevo mai amato nessuna.» Passa dal giocoso al seducente al serio a una tale velocità che non riesco a stargli dietro.
«Mai?» Lo sapevo già, credo, ma è molto diverso sentirglielo dire, soprattutto in una situazione del genere. Pensavo che a quest’ora avrebbe infilato la testa tra le mie gambe, non che mi avrebbe confessato i suoi sentimenti.
«No, mai, neppure lontanamente.»
Mi domando se abbia mai avuto una ragazza… No, non voglio saperlo. Mi ha detto che non ha relazioni stabili, quindi mi atterrò a quell’informazione.
«Oh», è tutto ciò che riesco a dire.
«Mi ami come amavi Noah?»
Mi esce un verso a metà tra un singulto e un colpo di tosse. Distolgo lo sguardo e prendo lo shampoo dal ripiano. Non ci siamo ancora lavati e siamo sotto la doccia da diversi minuti.
«Allora?» insiste.
Non so come rispondere. Con Hardin è tutto così diverso da com’era con Noah. Amavo Noah, o almeno credo. Sì, lo amavo, ma non così. Amare Noah era confortevole e sicuro; una calma imperturbabile. Amare Hardin è difficile ed eccitante; mi stimola ogni nervo, non ne ho mai abbastanza. Non voglio mai stare lontana da lui. Anche quando mi faceva ammattire sentivo la sua mancanza e dovevo sforzarmi per non andarlo a cercare.
«Lo prendo come un no», dice, e mi dà le spalle per lasciarmi il getto dell’acqua. La doccia è stretta e non c’è ossigeno, l’aria è satura di vapore caldo.
«Non è la stessa cosa.» Come faccio a spiegarglielo senza risultare pazza? Lo cingo per la vita e gli bacio la schiena. «Non è la stessa cosa, ma non nel senso che pensi tu. Ti amo in modo diverso. Noah… lo conosco così bene che era come uno di famiglia. Mi sentivo tenuta ad amarlo, ma in realtà non lo amavo, o almeno non nel modo in cui amo te. Quando ho capito di amarti mi sono resa conto che l’amore è una cosa molto diversa da quello che pensavo. Non so se mi spiego.» Mi assale il senso di colpa per aver detto che non amavo Noah, ma penso di averlo saputo fin dalla prima volta che ho baciato Hardin.
«Ti spieghi.» Si gira e vedo sul suo volto un’espressione molto più rilassata. Non c’è più l’eccitazione, l’apprensione, ma c’è… amore? O sollievo… Non lo so. Si china a baciarmi la fronte. «Voglio essere l’unica persona che amerai in vita tua: così sarai mia.»
Com’è possibile che fino a poco fa fosse così crudele, e che ora mi dica queste cose romantiche? C’è una nota di possessività nel suo tono di voce, ma le parole sono dolci e sorprendentemente umili per lui.
«Di fatto lo sei già», lo rincuoro. Sembra contento della mia risposta, perché gli torna il sorriso.
«Ora puoi spostarti, per favore, così posso togliermi questo fango di dosso prima che l’acqua diventi fredda?» gli dico, spingendolo delicatamente via.
«Ci penso io.» Versa il bagnoschiuma sulla spugna e me la passa delicatamente sul corpo. Trattengo il respiro per tutto il tempo, e mi viene un brivido quando sfiora i punti più sensibili e vi indugia un po’.
«Ti chiederei di lavare me, ma poi non riuscirei più a fermarmi.» Mi fa l’occhiolino e io arrossisco. Voglio scoprire cosa succederebbe dopo, e vorrei toccare ogni centimetro del suo corpo. Ma probabilmente Karen ha già finito di cucinare e potrebbe venire a cercarci.
So che la cosa responsabile da fare sarebbe uscire dalla doccia, ma è difficile essere responsabili con Hardin nudo davanti a me. Prendo in mano il suo pene eretto e lui si addossa alla parete e resta a fissarmi mentre muovo lentamente la mano su e giù.
«Tess», geme, posando la testa sulle piastrelle.
Continuo il movimento, sperando di strappargli un altro gemito. Adoro i versi che fa. Abbasso lo sguardo per ammirare il modo in cui l’acqua ci schizza e aiuta la mia mano a scorrere sopra di lui.
«Mi fai stare così bene, cazzo.»
Il suo sguardo su di me mi rende un po’ nervosa, ma il modo in cui stringe i denti e fremono le sue palpebre, come se si sforzasse di tenerle aperte, mi fa venire voglia di dargli altro piacere. Faccio scorrere il pollice sulla punta del pene e Hardin impreca sottovoce.
«Sto già per venire.» Chiude gli occhi e il calore dei fiotti si mescola all’acqua; io resto a guardarlo trasognata finché sulla mia mano rimane solo l’acqua. Hardin si china in avanti, con il fiatone, e mi bacia.
«Fantastico», bisbiglia, e mi bacia ancora.
Quando mi sono lavata e mi sento più calma, benché ancora energizzata dalle carezze di Hardin, mi asciugo in fretta e metto i leggings e una maglietta che avevo in borsa. Mi spazzolo i capelli e li raccolgo in una crocchia. Hardin si lega un asciugamano in vita e si piazza dietro di me, fissandomi nello specchio. È così bello, perfetto, divino, ed è mio. «Quei pantaloni mi distrarranno», dice. «Sei sempre stato così pervertito?» Lui fa cenno di sì.
Solo quando entriamo in cucina mi rendo conto che siamo scesi insieme ed entrambi con i capelli bagnati: è palese che abbiamo fatto la doccia insieme. A Hardin la cosa non sembra dar fastidio, ma d’altronde lui non conosce le buone maniere.
«Ci sono dei panini sul bancone», annuncia allegra Karen, indicando un punto vicino a Ken, che è seduto con una pila di raccoglitori davanti. Non sembra sorpresa o infastidita dal nostro aspetto: mia madre andrebbe fuori di testa se sapesse cosa ho appena fatto. Soprattutto con uno come Hardin. «Grazie mille Karen.»
«Mi sono divertita oggi, Tessa», mi fa lei, e iniziamo a parlare della serra mentre prendiamo un panino e ci sediamo a mangiare.
Hardin mangia in silenzio, e di tanto in tanto mi scocca un’occhiata.
«Forse possiamo lavorarci ancora un po’ il prossimo fine settimana», dico, poi mi correggo. «Intendo, il weekend dopo», rido.
«Sì, certo.»
«Ehm… il matrimonio ha un tema, o qualcosa del genere?» ci interrompe Hardin.
Ken alza gli occhi dal lavoro.
«Be’, non è proprio un tema, ma abbiamo scelto il bianco e il nero per le decorazioni», risponde Karen nervosa. Sono sicura che è la prima volta che parlano del matrimonio con Hardin da quando Ken gliel’ha comunicato e lui si è infuriato.
«Ah. Allora come devo vestirmi?» chiede con nonchalance. Vorrei baciarlo, quando vedo la reazione di suo padre.
«Vieni?» chiede Ken, chiaramente sorpreso ma molto felice.
«Sì… verrò», risponde Hardin azzannando il panino.
Karen e Ken si scambiano un sorriso, poi Ken si alza e va da Hardin. «Grazie, figliolo. Mi dai una grande gioia.» Gli dà una pacca sulla spalla. Hardin si irrigidisce ma gli fa un sorrisetto.
«Che bella notizia!» esclama Karen battendo le mani.
«Non è niente di che», borbotta Hardin. Mi siedo accanto a lui e poso la mano sulla sua sotto il tavolo. Non pensavo proprio che sarei riuscita a convincerlo ad andare al matrimonio, e tantomeno a parlarne davanti agli interessati.
«Ti amo», gli sussurro all’orecchio quando Ken e Karen non ci ascoltano.
Sorride e mi stringe la mano. «Ti amo», bisbiglia in risposta. «Allora, Hardin, come vanno le lezioni?» domanda Ken.
«Bene.»
«Ho notato che hai cambiato di nuovo i corsi che segui.»
«Sì, allora?»
«Vuoi ancora laurearti in letteratura inglese, sì?» Ken prosegue con le domande, e sta rischiando grosso perché Hardin si sta irritando.
«Sì.»
«Fantastico! Ricordo che quando avevi dieci anni ci recitavi passi scelti dal Grande
Gatsby tutto il santo giorno. Così ho capito che eri appassionato di letteratura.»
«Ah sì? Te lo ricordi?» chiede Hardin in tono aspro. Gli stringo la mano cercando di calmarlo.
«Sì, certo che me lo ricordo», risponde Ken, calmo.
Hardin dilata le narici e posa sul padre uno sguardo torvo. «Mi sembra difficile, dal momento che eri costantemente ubriaco, e se ricordo bene – e ricordo bene – hai fatto a pezzi quel libro perché ti avevo rovesciato per sbaglio il whisky. Perciò non rivangare i bei momenti passati con me, se non sai di che cazzo parli.» Si alza, e io e Karen sobbalziamo.
«Hardin!» lo chiama Ken, ma lui esce dalla stanza.
Gli corro dietro e sento Karen che grida a Ken: «Non dovevi insistere così, Ken! Ha appena accettato di venire al matrimonio! Mi pareva che fossimo d’accordo di fare un passo alla volta! E invece te ne esci con una cosa del genere. Dovevi lasciar perdere!» Sembra arrabbiata, ma dalla voce incrinata capisco che sta piangendo.
72
HARDIN sbatte la porta della sua camera mentre io arrivo in cima alle scale. Giro la maniglia, aspettandomi che sia chiusa a chiave, invece si apre.
«Hardin, tutto a posto?» chiedo, dato che non mi viene in mente niente di meglio.
Come risposta, lui prende l’abat-jour e la scaglia contro il muro. La base di vetro va in frantumi. Balzo all’indietro e mi scappa un piccolo strillo. Lui va alla scrivania, strappa via la tastiera dal computer e la getta alle sue spalle.
«Hardin, smettila!» grido.
Non mi guarda, butta a terra il monitor e sbraita: «Perché? Perché, Tessa? Non è che non può permettersi un computer nuovo, quello stronzo!»
«Hai ragione», concedo, e pesto la tastiera, schiacciandola ancora di più.
«Cosa? Che stai facendo?» mi chiede. La raccolgo e la lascio ricadere a terra. Non so bene cosa sto facendo, ma la tastiera è già rotta e al momento mi sembra la cosa migliore da fare.
«Ti aiuto», gli dico, e nei suoi occhi la rabbia lascia il posto a un attimo di confusione e poi a uno sguardo divertito. Raccolgo il monitor e lo scaravento a terra. Lui si avvicina con un sorrisetto sulle labbra mentre lo raccolgo di nuovo, mi ferma e me lo toglie dalle mani posandolo sulla scrivania.
«Non sei arrabbiata con me perché ho gridato in quel modo a mio padre?» mi domanda prendendomi il viso tra le mani e accarezzandomi le guance con i pollici. I suoi occhi verdi sono fissi nei miei.
«No, hai tutto il diritto di dire cosa pensi. Non mi arrabbierei mai per una cosa del genere.» Ha appena litigato con suo padre, e ha paura che io ce l’abbia con lui? «A meno che tu dica cattiverie senza motivo, naturalmente, e non è questo il caso.» «Wow…» fa lui.
Ma la breve distanza che separa le nostre labbra mi tenta troppo. Mi faccio avanti e lui schiude la bocca. Lo bacio con trasporto, affondando le dita tra i suoi capelli. Sento la rabbia scivolare via da lui come una marea che si ritrae. Mi fa girare con le spalle alla scrivania, mi prende per i fianchi e mi ci fa sedere sopra. L’idea di essere ciò di cui Hardin ha bisogno mi fa sentire necessaria, più solida: una presenza irrinunciabile nella sua vita. Continuiamo a baciarci e lui si piazza tra le mie gambe.
«Più vicino», mormora sulla mia bocca. Mi prende per il retro delle ginocchia e mi tira sul bordo della scrivania. Ma quando gli poso una mano sui jeans smette di baciarmi.
«Cosa?…» Mi guarda perplesso. Deve credermi pazza: prima vengo qui e lo aiuto a spaccare tutto, e ora cerco di spogliarlo. E forse è vero, sono pazza. Ma in questo momento non importa. L’importante è il chiaro di luna che si riflette sulla curva della sua spalla, la sua mano che mi regge la guancia come se fossi fragile, la stessa mano che pochi minuti fa stava mettendo a soqquadro la stanza.
Gli rispondo senza parole, cingendogli i fianchi con le gambe e tirandolo a me.
«Pensavo che fossi venuta a rimproverarmi», sorride, posando la fronte sulla mia.
«Ti sbagliavi», gli dico con un sorriso soddisfatto.
«Di grosso. Non voglio tornare al piano di sotto, per stasera.»
«Va bene, non sei tenuto a farlo.»
Si rilassa e inizia a baciarmi sul collo. Mi stupisco della facilità con cui sono riuscita a calmarlo: mi aspettavo che mi insultasse, che cercasse di cacciarmi dalla stanza, e invece eccolo, appoggiato a me. È chiaro che si sta sforzando di portare avanti la nostra storia al meglio delle sue possibilità, nonostante gli sbalzi d’umore.
«Ti amo.» Sento muoversi il piercing al labbro sul mio collo: sta sorridendo.
«Ti amo», risponde.
«Vuoi che ne parliamo?» chiedo, e lui scuote la testa. «Vuoi vedere un film, allora?
Qualcosa di comico, magari?»
Dopo una lunga pausa, si gira verso il letto. «Hai portato il tuo computer?» Annuisco.
«Guardiamo di nuovo La memoria del cuore.»
Scoppio a ridere. «Il film che disprezzi?»
«Sì… be’, disprezzare è un po’ eccessivo. Dico solo che è una storia d’amore sdolcinata e mediocre.»
«Allora perché vuoi guardarlo?»
«Perché voglio guardare te che lo guardi», risponde, pensieroso.
Ricordo che l’altra volta mi ha osservata per tutto il tempo, mentre vedevamo il film. Sembra passato un secolo da quella sera. Allora non avevo idea di cosa sarebbe successo tra noi due. Non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo.
Il mio sorriso è la risposta di cui ha bisogno: mi prende in braccio e mi porta al letto.
Si accoccola accanto a me e rimane a fissarmi mentre guardo il film. A metà inizio a sentire le palpebre pesanti, e con uno sbadiglio dico: «Mi sta venendo sonno».
«Non ti perdi granché, muoiono entrambi.»
Gli do una gomitata. «Tu hai dei problemi.»
«E tu sei adorabile quando hai sonno.» Chiude il computer e mi trascina verso il cuscino.
«E tu sei stranamente dolce, quando io ho sonno.» «No, lo sono perché ti amo.» Vado in brodo di giuggiole.
«Dormi, bellissima.» Mi dà un bacio sulla fronte. Sono troppo stanca per chiedergli altro.
La mattina seguente c’è luce, troppa luce. Quando mi giro nel letto per affondare la testa sulla spalla di Hardin, lui sospira nel sonno e mi tira a sé. Mi riappisolo, ma quando apro di nuovo gli occhi lo trovo sveglio e intento a fissare il soffitto, con un’espressione inscrutabile.
«Tutto a posto?» gli chiedo.
«Sì, tutto bene», risponde, ma capisco che mente.
«Hardin, se qualcosa non va…»
«Non c’è niente che non vada, sto bene.» Decido di lasciar perdere. Siamo andati d’accordo per tutto il weekend. È un record, non voglio rovinarlo proprio adesso. Lo bacio sul mento e lui mi abbraccia più stretta.
«Ho un po’ di cose da fare oggi, perciò quando puoi mi accompagni a casa?» mi fa in tono distaccato.
«Certo», borbotto, sciogliendomi dal suo abbraccio. Lui cerca di prendermi per il polso ma io sono più rapida: afferro la borsa e vado in bagno a lavarmi i denti e vestirmi. Per tutto il weekend siamo rimasti chiusi nella nostra piccola bolla, e ho paura che senza la protezione di queste mura lui non sarà più lo stesso.
Sono sollevata di non incontrare Landon o Dakota in corridoio, e ancora più sollevata che al mio ritorno Hardin sia vestito di tutto punto. Voglio chiudere questa faccenda. Ha raccolto i vetri rotti, e la tastiera è nel cestino dei rifiuti; la lampada e il monitor sono ammonticchiati accanto.
Al piano di sotto saluto Ken e Karen, ma Hardin esce di casa senza dire una parola a nessuno dei due. Li rassicuro che parteciperà comunque al matrimonio, nonostante la scenata di ieri sera. Spiego loro del computer e della lampada, ma non sembrano molto preoccupati.
«Sei arrabbiata, per caso?» mi chiede Hardin dopo dieci minuti di silenzio.
«No.» Non sono arrabbiata, sono solo… nervosa, direi. Sento che è cambiato qualcosa tra di noi e non mi aspettavo che accadesse.
«Sembra di sì.»
«Be’, non lo sono.»
«Devi dirmelo se lo sei.»
«È solo che sei scostante, e ora vuoi farti accompagnare a casa, e pensavo che filasse tutto liscio tra noi.»
«Ce l’hai con me perché oggi ho da fare?» Messa così, in effetti sono ridicola e ossessiva. È per questo che sono arrabbiata? Perché oggi non starà con me?
«Forse.» Rido della mia stupidità. «È solo che non voglio saperti lontano da me.»
«Non lo sarò… non di proposito, almeno. Mi dispiace se ti faccio sentire così.» Mi posa la mano sulla coscia. «Non cambierà niente, Tessa.»
Le sue parole mi calmano, ma dietro il mio sorriso c’è ancora un po’ di incertezza.
«Vuoi venire con me?» chiede lui.
«No, non fa niente. Tanto devo studiare.»
«Okay. Tess, devi ricordarti che tutto questo è una novità per me. Non sono abituato a dover tenere in considerazione le esigenze degli altri quando faccio programmi.»
«Lo so.»
«Posso venire in camera tua quando avrò finito, oppure possiamo andare a cena fuori…»
Gli accarezzo la guancia, i capelli spettinati. «Non preoccuparti, Hardin. Basta che mi fai sapere quando hai finito, e allora decideremo.»
Arrivati a casa sua, si sporge a baciarmi prima di scendere dalla macchina.
«Ti scrivo un messaggio», dice, e corre su per le scale di quella maledetta casa. 
73
IL vuoto che provo dopo aver riaccompagnato Hardin è strano, e mi fa sentire un po’ patetica. Dopo il breve tragitto da casa sua al mio dormitorio mi sembrano passate ore. Steph non è in camera, e per me è un sollievo: ho proprio bisogno di studiare e prepararmi per il mio primo giorno alla Vance, domani; devo decidere come vestirmi, cosa portare, cosa dire.
Tiro fuori l’agenda e pianifico ogni ora della settimana. Poi passo ai vestiti. Per il primo giorno scelgo la gonna nera nuova, un top rosso e le scarpe nere con i tacchi, non troppo alti ma più alti di come li avrei messi fino a due mesi fa. È un look molto professionale ma femminile. Senza rendermene conto mi domando se a Hardin piacerà.
Per non pensare a lui mi concentro sullo studio: scrivo tutte le tesine da consegnare la prossima settimana, e anche qualcuna per la successiva. Quando finisco è buio e muoio di fame, ma la mensa è già chiusa. Hardin non mi ha ancora scritto, quindi deduco che non verrà da me stasera.
Prendo la borsa ed esco alla ricerca di qualcosa da mangiare. Ricordo di aver visto un ristorante cinese vicino alla piccola biblioteca, ma quando lo raggiungo scopro che è chiuso. Cerco con il telefono il ristorante più vicino e trovo un locale chiamato Ice House. Ci vado: è piccolo e sembra fatto interamente di alluminio, ma ho fame e l’idea di dover trovare un altro posto mi fa brontolare lo stomaco ancora di più. In realtà è più un bar che un ristorante, ed è piuttosto affollato, ma fortunatamente trovo un tavolino libero in fondo.
Ignoro gli sguardi degli altri clienti, che si staranno domandando cosa ci faccio lì da sola. Io però mangio sempre da sola: non sono una di quelle persone che hanno bisogno di farsi accompagnare da qualcuno ovunque vadano. Faccio shopping da sola, mangio fuori da sola, e qualche volta sono stata persino al cinema da sola, quando Noah non poteva venire. Non mi ha mai dato fastidio… fino a oggi, se devo essere sincera. Hardin mi manca più del dovuto, e mi impensierisce il fatto che non si sia degnato di scrivermi.
Ordino da mangiare e, mentre aspetto, la cameriera mi porta un cocktail rosa con un ombrellino giallo nel bicchiere.
«Ma non l’ho ordinato», le faccio notare. Lei però me lo posa davanti lo stesso.
«L’ha ordinato lui.» La cameriera sorride e accenna con il capo al bancone del bar. Spero che si tratti di Hardin, ma voltandomi vedo che è Zed. Mi saluta con la mano e un sorriso abbagliante. Nate va a sedersi accanto a lui al bancone e mi sorride a sua volta.
«Oh. Grazie», dico alla cameriera. A quanto pare tutti i locali intorno all’università lasciano bere alcol ai minorenni, o forse questi ragazzi frequentano solo i bar che lo permettono. La donna mi avvisa che la mia cena sarà pronta entro pochi minuti e si allontana.
Qualche istante dopo Zed e Nate vengono a sedersi al mio tavolo. Spero che Zed non ce l’abbia con me per ciò che è successo venerdì.
«Sei l’ultima persona che mi aspettavo di vedere in questo posto, tanto più di domenica», esordisce Nate.
«Sì, è stato un caso. Volevo mangiare cinese ma era chiuso.»
«Hai visto Hardin?» mi domanda Zed con un sorriso, e poi scambia con Nate un’occhiata misteriosa e si gira di nuovo verso di me.
«No, è un po’ che non lo vedo. Voi?» Dalla mia voce traspare chiaramente il nervosismo.
«No, non lo vediamo da qualche ora, ma dovrebbe arrivare tra poco», risponde Nate.
«Qui?» faccio con voce stridula. Arriva la mia cena, ma mi è passata la fame. E se c’è anche Molly? Non lo sopporterei, non dopo il weekend che abbiamo passato insieme.
«Sì, ci veniamo spesso. Posso chiamarlo e chiedergli a che ora arriva», suggerisce Zed.
«No, non importa. Anzi, tra poco vado.» Cerco con gli occhi la cameriera per chiederle il conto.
«Non ti è piaciuto il cocktail?» mi domanda Zed.
«No, be’, non l’ho neppure assaggiato. Grazie di avermelo offerto, ma devo andare.» «Voi due avete litigato di nuovo?»
Nate fa per dire qualcosa, ma Zed lo zittisce con un’occhiata. Beve un sorso di birra e guarda di nuovo Nate.
«Cosa volevi dire?» chiedo a Nate.
«Niente, solo che ora andavate più d’accordo», risponde Zed al posto suo. Il piccolo bar mi sembra diventato ancora più angusto, non vedo l’ora di andarmene.
«Ah, eccoli qua!» esclama Nate.
Guardo verso la porta e vedo Hardin, Logan, Tristan, Steph e Molly. Lo sapevo! So che sono amici, e non voglio dare l’impressione di essere una squilibrata, ma non sopporto che Hardin la frequenti.
Vedendomi, lui sembra sorpreso e quasi impaurito. No, pietà, non ricominciamo! La cameriera ci passa accanto mentre loro raggiungono il tavolo.
«Potrei avere il conto, per favore? La cena la porto via», le dico. Mi guarda stupita, poi guarda gli altri che sono appena arrivati, e torna in cucina.
«Perché te ne vai?» mi chiede Steph. I cinque nuovi arrivati si siedono al tavolo accanto al nostro. Mi rifiuto di guardare Hardin. Detesto che sembri una persona diversa quand’è con i suoi amici: perché non può essere lo stesso che è stato con me tutto il fine settimana?
«Devo… devo studiare», mento.
Steph sorride speranzosa. «Tu studi troppo! Rimani con noi.»
Ormai non confido più che Hardin mi prenda tra le braccia e mi dica che gli sono mancata. La cameriera mi porta la cena, le porgo una banconota da venti e mi alzo.
«Be’, buona serata a tutti», saluto. Guardo Hardin e poi abbasso gli occhi a terra.
«Aspetta», dice lui. Mi giro. Prego che non dica qualcosa di scortese e che non baci Molly.
«Non mi dai il bacio della buonanotte?» sorride.
I suoi amici sembrano un po’ sorpresi, ma soprattutto confusi. «Cosa?» balbetto. Drizzo le spalle e torno a guardarlo.
«Non vuoi baciarmi prima di andartene?» Si alza in piedi e viene verso di me. Lo volevo, ma ora mi sento a disagio con tutti che ci osservano.
«Be’…» Non so cosa dire.
«Perché dovrebbe?» ride Molly.
«Perché stanno insieme, chiaramente», le risponde Steph.
«Cosa?» esclama Molly.
«Tieni la bocca chiusa, Molly», dice Zed. Vorrei ringraziarlo, ma c’è qualcosa nel suo tono di voce che mi spinge a interrogarmi sulle parole che ha scelto. L’imbarazzo si taglia con il coltello.
«Ciao, ragazzi», dico, e mi avvio alla porta.
Hardin mi segue e mi prende per il polso. «Perché te ne vai? E cosa ci sei venuta a fare qui, comunque?»
«Be’, avevo fame e sono venuta a mangiare. E ora me ne vado perché tu mi ignoravi e…»
«Non ti stavo ignorando, è solo che non sapevo cosa dire o fare. Non mi aspettavo di trovarti qui. Mi hai colto alla sprovvista.»
«Sì, ci scommetto. Non mi hai scritto per tutto il giorno e adesso vieni qui con Molly?» domando, con voce molto più lamentosa di quanto vorrei.
«E Logan, Tristan e Steph. Non solo Molly», mi fa notare.
«Lo so… Ma voi due avete dei trascorsi, e mi dà fastidio.» Devo aver battuto il record per la scenata di gelosia più prematura della storia.
«Appunto, piccola: sono dei trascorsi. È il passato. E non era così… come tra noi.»
Sospiro. «Lo so, ma non ci posso fare niente.»
«Lo so. Come pensi che mi sia sentito io, quando sono entrato e ti ho vista seduta con
Zed?»
«Non è la stessa cosa. Tu e Molly siete andati a letto insieme.» Fa male dirlo. «Tess…»
«Lo so, è assurdo, ma è più forte di me.» Distolgo lo sguardo.
«Non è assurdo. Ti capisco. Ma non so cosa farci. Molly fa parte del nostro gruppo e probabilmente ne farà parte per sempre.»
Non so cosa mi aspettassi di sentirgli dire, ma non l’equivalente di «devi rassegnarti». «Okay», taglio corto. Dovrei essere contenta che lui abbia praticamente detto a tutti che ora stiamo insieme, ma l’intera scena si è svolta in modo così strano. «Ora vado», gli dico.
«Allora vengo con te.»
«Sei sicuro di voler mollare qui i tuoi amici?»
Mi guarda con sufficienza e mi segue verso la macchina. Cerco di nascondere il sorriso.
Almeno ora so che preferisce stare con me che con Molly.
«Da quanto eri lì prima che arrivassi io?» mi chiede mentre esco dal parcheggio.
«Una ventina di minuti.»
«Ah. Non avevi appuntamento con Zed, vero?»
«No. Era l’unico posto aperto per comprare da mangiare. Non avevo idea che lui fosse lì… o che saresti arrivato tu. Non lo sapevo perché, sai, non mi hai scritto nessun messaggio.»
«Oh», fa lui, e tace per un momento. Ma poi mi guarda di nuovo. «Di cosa avete parlato?»
«Di niente, era al mio tavolo da pochi minuti quando siete arrivati voi. Perché?»
«Pura curiosità.» Tamburella le dita sul ginocchio. «Mi sei mancata oggi.»
«Mi sei mancato anche tu», dico entrando nel campus. «Ho studiato tantissimo e ho preparato tutto per il primo giorno alla Vance.»
«Vuoi che ti accompagni, domani?»
«No, è per questo che ho comprato una macchina, ricordi?» Rido.
«Potrei accompagnarti lo stesso», si offre mentre arriviamo al mio dormitorio.
«No, non serve. Andrò con la mia macchina. Grazie comunque.»
Mentre sto per chiedergli come ha passato la giornata – e perché non mi ha scritto, se gli mancavo tanto – mi si mozza il fiato in gola e mi assale il panico.
Mia madre sta piantata davanti alla porta, a braccia conserte, e punta su di me uno sguardo assassino. 
74
HARDIN segue il mio sguardo e rimane di sasso. Tenta di prendermi per mano, ma io mi scosto e lo oltrepasso. «Ciao, mam…»
«Che accidenti ti passa per la testa!» strepita lei mentre ci avviciniamo.
Vorrei sotterrarmi.
«Cosa?...» Non so cosa sappia, quindi resto in silenzio. In quell’alone di rabbia i suoi capelli biondi sembrano più lucenti, la pettinatura che le incornicia il viso perfettamente truccato pare più spigolosa.
«Cosa ti passa per la testa, Theresa! Noah mi evita da due settimane, poi incontro Mrs Porter dal fruttivendolo e… lo sai cosa mi ha detto? Che vi siete lasciati! Perché non me l’hai detto? L’ho dovuto scoprire nel modo più umiliante!» grida.
«Non è la fine del mondo, mamma. Ci siamo lasciati.» La vedo trasalire. Hardin resta alle mie spalle, ma mi posa una mano sulla schiena.
«Non è la fine del mondo? Come osi… tu e Noah stavate insieme da anni. È il ragazzo perfetto per te, Tessa. Ha un futuro, e viene da un’ottima famiglia!» Si ferma un momento per prendere fiato, ma non la interrompo perché so che non ha finito. Raddrizza la schiena e dice, con tutta la calma di cui è capace: «Per fortuna gli ho appena parlato e ha accettato di riprenderti, nonostante la tua promiscuità».
Sento risalire la rabbia in petto. «Come oso, dici? Se non voglio stare con lui, non sono tenuta a farlo. Che importa da quale famiglia proviene? Se non ero felice con lui, dovrebbe essere questo l’importante. Come osi tu parlargli di questo argomento? Sono un’adulta!»
La spintono per farmi largo e apro la porta. Hardin mi segue a poca distanza e mia madre si precipita nella stanza subito dietro.
«Non hai idea di quanto sei ridicola! E poi ti presenti qui con questo… questo… teppista! Ma guardalo, Tessa! È il tuo modo di ribellarti a me? Ti ho fatto qualcosa, per suscitare tanto odio?»
Hardin è davanti al comò con la mascella serrata e le mani affondate nelle tasche. Se solo mia madre sapesse che il padre di Hardin è il rettore della WCU ed è molto più ricco della famiglia di Noah… Ma non glielo dirò, perché non c’entra niente.
«Non stiamo parlando di te! Perché devi ricondurre sempre tutto a te stessa?!» Ho le lacrime agli occhi, ma mi rifiuto di far vincere mia madre. Detesto il fatto che quando mi arrabbio mi viene da piangere: mi fa sembrare debole. Ma non posso farci niente.
«Hai ragione, la cosa non riguarda me. Riguarda il tuo futuro! Devi pensare al futuro, non a come ti senti adesso. So che questo ragazzo ti pare affascinante e pericoloso», dice indicando Hardin. «Ma qui non c’è futuro! Non con lui… con questo scherzo della natura!»
Prima di rendermene conto avanzo verso mia madre e Hardin mi tiene per i gomiti tentando di tirarmi indietro. «Non parlare così di lui!» grido.
Mia madre è fuori di sé. «Chi sei tu? Mia figlia non mi parlerebbe mai in questo modo!
Non metterebbe mai a repentaglio il suo futuro, e non sarebbe così irrispettosa!»
Inizio a sentirmi in colpa, ma è proprio quello che vuole lei, e devo combattere per difendere quello che voglio io. «Non sto mettendo a repentaglio il mio futuro! Il mio futuro non c’entra niente, ho una media dei voti perfetta e domani inizio uno stage prestigioso! Sei davvero egoista a venire qui e cercare di farmi sentire in colpa perché sono felice. Lui mi rende felice, mamma, e se non puoi accettarlo penso che dovresti andartene.»
«Scusa?!» Sbuffa. In realtà sono stupita quanto lei di ciò che ho appena detto. «Te ne pentirai, Theresa! Non riesco a guardarti, da quanto mi disgusti!»
La stanza comincia a girarmi intorno. Non ero pronta a una guerra con mia madre. Non oggi, almeno; sapevo che prima o poi l’avrebbe scoperto, ma oggi non ci pensavo proprio. «Ho capito che stava succedendo qualcosa la prima volta che l’ho visto in camera tua.
Certo, non pensavo che ci avresti messo così poco ad aprire le gambe per lui!»
Hardin si intromette. «Ora sta esagerando», la avverte con uno sguardo cupo. Penso che Hardin sia l’unica persona al mondo capace di tener testa a mia madre.
«Tu restane fuori!» risponde secca lei, mettendo di nuovo le braccia conserte. «Se continui a frequentarlo non ti rivolgerò più la parola. E di sicuro non puoi pagarti il college da sola. Solo questo dormitorio mi è costato migliaia di dollari!» strepita.
Sono sbigottita, questa non me l’aspettavo. «Stai minacciando di tagliarmi i fondi per lo studio perché non approvi la persona di cui sono innamorata?»
«Innamorata?» ripete lei con un sospiro. «Oh Theresa, la mia ingenua Theresa, tu non hai idea di cos’è l’amore.» Fa una risata che pare più un ghigno demoniaco. «E tu pensi che lui ti ami?»
«Sì che la amo», interviene Hardin.
«Certo, come no!» esclama lei, e ride più forte.
«Mamma.»
«Theresa, ti avverto. Se non smetti di frequentarlo, ci saranno delle conseguenze. Ora me ne vado, ma mi aspetto una telefonata quando ti sarai schiarita i pensieri.» Esce dalla stanza, e io la seguo in corridoio e la guardo andarsene a testa alta. I suoi tacchi risuonano sul pavimento.
«Mi dispiace tanto», dico a Hardin.
«Non hai niente di cui scusarti.» Mi prende il viso tra le mani. «Sono fiero di te per come ti sei fatta valere.» Mi dà un bacio sul naso. Mi guardo intorno nella stanza e mi chiedo come siamo arrivati a questo. Mi appoggio al petto di Hardin e lui mi massaggia i muscoli tesi sul collo.
«È incredibile, non mi capacito che si comporti in questo modo e che minacci di non pagarmi il college. E comunque non lo paga tutto: ho una borsa di studio parziale e alcune sovvenzioni. Lei paga in particolare il dormitorio, che è la spesa principale. Ma se davvero smettesse di pagarlo? Dovrei trovarmi un lavoro oltre allo stage», singhiozzo. Lui mi posa una mano sulla nuca e mi lascia piangere sul suo petto.
«Tranquilla… Va tutto bene, troveremo una soluzione. Intanto puoi venire a stare da me.» Rido e mi asciugo gli occhi, ma lui continua: «Davvero. Oppure troviamo un appartamento fuori dal campus. I soldi non mi mancano».
Lo guardo stupita. «Non dici sul serio.»
«Sì, invece.»
«Non possiamo andare a convivere.» Rido e tiro su con il naso.
«Perché no?»
«Perché ci conosciamo da pochissimo, e per quasi tutto questo tempo abbiamo litigato.»
«Be’, ma questo weekend siamo andati molto d’accordo.» Sorride. Scoppiamo a ridere entrambi.
«Tu sei matto. Non ci vengo, a vivere con te.»
Mi abbraccia di nuovo. «Pensaci un attimo. Tanto voglio andarmene dalla
confraternita. Non è un posto che fa per me, nel caso non te ne fossi accorta.» È vero, i suoi pochi amici sono gli unici a non indossare polo e pantaloni cachi ogni giorno. «Ci sono andato solo per far irritare mio padre, ma non ha funzionato quanto speravo.»
«Potresti prenderti un appartamento per conto tuo, allora», dico. Non ho alcuna intenzione di andare a vivere con lui così presto.
«Sì, ma non sarebbe altrettanto divertente.» Mi guarda con un sorrisone e una faccia da schiaffi.
«Potremmo divertirci lo stesso», insinuo.
Il suo sorriso si allarga. Mi fa scivolare le mani sul sedere e lo strizza.
«Hardin!»
Sento aprirsi la porta e sobbalzo. Ho paura che mia madre sia tornata per il secondo round, perciò sono sollevata quando vedo entrare Steph e Tristan.
«Devo essermi persa una scena clamorosa. Tua madre mi ha appena mostrato il dito medio nel parcheggio», dice Steph. Non riesco a trattenere una risata.
75
HARDIN resta a dormire nella mia stanza, perché Steph passa la notte con Tristan nell’appartamento di lui. Parliamo e ci baciamo per il resto della serata, finché Hardin si addormenta con la testa sulle mie gambe. Sogno un luogo e un tempo in cui potremmo davvero vivere insieme. Mi piacerebbe svegliarmi ogni mattina e trovarlo accanto a me, ma è irrealistico. Sono troppo giovane e le cose stanno andando troppo in fretta.
Il lunedì la sveglia suona con dieci minuti di ritardo, stravolgendomi i programmi dell’intera mattinata. Faccio una doccia e mi trucco in fretta, e sveglio Hardin prima di asciugarmi i capelli.
«Che ore sono?» borbotta.
«Le sei e mezzo. Devo farmi la piega.»
«Le sei e mezzo? Devi essere lì alle nove, torna a letto.»
«No, devo sistemarmi i capelli e bere il caffè. Devo uscire di qui alle sette e mezzo; in macchina sono tre quarti d’ora.»
«E arriveresti tre quarti d’ora in anticipo. Devi uscire alle otto.» Chiude gli occhi e si gira dall’altra parte.
Lo ignoro e accendo il phon; lui si copre la testa con un cuscino. Una volta asciugati i capelli, controllo l’agenda per assicurarmi di non aver dimenticato niente.
«Vai direttamente a lezione da qui?» chiedo a Hardin mentre mi vesto.
«Sì, probabilmente sì.» Sorride e scende dal letto. «Posso usare il tuo spazzolino?»
«Be’, se vuoi… ne compro un altro prima di tornare a casa.» Nessuno mi aveva mai chiesto il permesso di usare il mio spazzolino. Mi figuro di infilarmelo in bocca dopo che lui l’ha usato, ma non è una bella immagine.
«Ti ripeto che non c’è bisogno di uscire prima delle otto: pensa a tutte le cose che potremmo fare con mezz’ora in più a disposizione», dice. Mi giro a osservare le sue fossette tentatrici e vedo che mi sta squadrando. Poso lo sguardo sul rigonfiamento dei suoi boxer e immediatamente vengo pervasa dal calore in tutto il corpo. Le mie dita si fermano sul bottone centrale della camicetta quando lui attraversa pigramente la piccola stanza e si ferma dietro di me. Gli chiedo a gesti di allacciarmi la gonna e lui lo fa, ma sfiorandomi la pelle nuda con le dita.
«Devo avere il tempo di prendere un caffè», dico trafelata. «E se c’è traffico? Un incidente? Potrei forare una gomma o finire la benzina. Potrei sbagliare strada, o non trovare parcheggio. E se devo parcheggiare lontano e camminare? Resterò senza fiato, e avrò bisogno di qualche minuto per…»
«Devi calmarti, piccola. Sei un fascio di nervi.» Mi soffia sull’orecchio. Lo guardo nello specchio: è così perfetto quand’è appena sveglio… la faccia assonnata gli dà un’aria più serena.
«Non so cosa farci: questo stage è importantissimo per me. Non posso rischiare di combinare guai.» I pensieri mi frullano in testa. Da domani in poi starò meglio, appena avrò capito cosa aspettarmi e avrò pianificato la settimana di conseguenza.
«Non ti conviene presentarti così nervosa; ti mangeranno viva.» Mi posa una fila di baci sul collo.
«Me la caverò», rispondo, ma più che una certezza è una speranza. Il suo fiato caldo sul collo mi fa venire la pelle d’oca.
«Prima lascia che ti faccia rilassare.» La sua voce è bassa e seducente, ancora assonnata.
Mi fa scorrere le dita sulla clavicola e scende sul petto. I nostri sguardi si incontrano allo specchio e io mi arrendo con un sospiro: «Cinque minuti?» Una domanda che è quasi una supplica.
«Mi basteranno.»
Inizio a girarmi, ma lui mi ferma. «No, voglio che guardi», mi bisbiglia sornione all’orecchio. Avverto tra le gambe una pulsazione che ormai conosco bene. Lui mi scosta i capelli sopra la spalla e si spinge contro di me. Fa scorrere la mano fino all’orlo della gonna.
«Almeno oggi non hai messo i collant. Devo ammettere che mi piace questa gonna.»
Me la tira su fino alla vita. «Soprattutto quand’è in questa posizione.»
Tengo gli occhi incollati alle sue mani nello specchio e mi viene il batticuore. Le sue dita un po’ fredde si infilano nelle mie mutandine: il contatto mi fa sobbalzare e lui mi ridacchia sul collo. Con l’altra mano mi cinge il torace per tenermi ferma. Mi sento così esposta, ma così eccitata allo stesso tempo. Osservarlo mentre mi tocca mi porta la mente in posti che non credevo esistessero. Continua a muovere le dita lentamente dentro di me e mi bacia piano sul collo.
«Guarda quanto sei bella», mi sussurra sulla pelle. Mi vedo allo specchio e quasi non mi riconosco. Ho le guance rosse, lo sguardo perso. Con la gonna tirata sui fianchi e le dita di Hardin che si muovono dentro di me, ho un aspetto diverso… sexy.
Mi si chiudono gli occhi e sento una stretta nella pancia. Hardin continua il suo assalto lento e meraviglioso. Mi mordo il labbro per soffocare un gemito.
«Apri gli occhi», mi dice. Lo guardo di nuovo e basta quello a farmi oltrepassare il limite: Hardin dietro di me, che mi abbraccia, che mi osserva sciogliermi sotto il suo tocco. Poso la testa sulla sua spalla e iniziano a tremarmi le gambe.
«Ecco, così, piccola», mormora lui, e mi stringe più forte mentre mi si annebbia la vista e mugolo il suo nome.
Quando riapro gli occhi Hardin mi bacia sulla tempia e mi rimette una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Mi sistema la gonna, io mi giro verso di lui e controllo l’orologio. Sono solo le sette e trentacinque.
Gli sono bastati davvero cinque minuti, penso sorridendo.
«Vedi, ora sei molto più rilassata e pronta ad affrontare di petto la grande imprenditoria americana, giusto?» sorride, fiero di sé. Non lo biasimo.
«Sì, a dire il vero sì. Ma tu sei un pessimo americano.» Prendo la borsa.
«Non pretendo di essere un buon americano. Ti chiedo per l’ultima volta se vuoi che ti accompagni. Be’, dato che la mia macchina non è qui potrei guidare la tua…»
«No, ma grazie lo stesso.»
«In bocca al lupo. Li stenderai.»
Mi bacia di nuovo. Lo ringrazio, prendo le mie cose e lo lascio da solo nella stanza. La mattinata promette bene, nonostante i dieci minuti di ritardo della sveglia. Il tragitto in macchina è rapido e senza intoppi, perciò quando entro nel parcheggio sono solo le otto e mezzo. Decido di chiamare Hardin per ingannare il tempo.
«Tutto bene?» mi chiede.
«Sì, sono già arrivata.» Immagino la sua espressione compiaciuta.
«Te l’avevo detto. Potevi fermarti qui altri dieci minuti e farmi un pompino.»
Ridacchio. «Sei sempre il solito pervertito, anche di mattina presto.»
«Sì, se non altro sono coerente.»
«Bisogna dartene atto.» Continuiamo a parlare della sua perversione finché arriva l’ora di entrare. Raggiungo l’ultimo piano, dove si trova l’ufficio di Christian Vance, e mi presento alla receptionist.
La donna fa una telefonata e dopo qualche istante mi rivolge un largo sorriso. «Mr
Vance uscirà personalmente. Arriva fra un secondo.»
La porta dell’ufficio in cui ho fatto il colloquio si apre e ne esce Mr Vance. «Miss Young!» mi saluta. Ha indosso un completo così elegante che mi sento un po’ in soggezione, ma ringrazio il cielo di essermi vestita in modo professionale. Tiene sottobraccio un grosso raccoglitore.
«Buongiorno, Mr Vance», gli sorrido porgendogli la mano. «Mi chiami pure Christian. Le mostro il suo ufficio.» «Ufficio?!» esclamo.
«Sì, avrà bisogno di uno spazio tutto per sé. Non è enorme, ma sarà suo. Andiamo lì a compilare i suoi moduli.» Sorride e si incammina a una velocità tale che fatico a stargli dietro sui tacchi. Svolta a sinistra in un corridoio su cui si aprono vari piccoli uffici.
«Eccoci arrivati», annuncia. L’ufficio è grande come la mia stanza al dormitorio. Io e Mr Vance abbiamo idee diverse di «non enorme». C’è una scrivania di ciliegio di medie dimensioni, due schedari, due sedie, uno scaffale, un computer… e una finestra! Lui si siede davanti alla scrivania, perciò io vado a sedermi dietro. Ci vorrà un po’ per abituarmi all’idea che questo sia davvero il mio ufficio.
«Allora, Miss Young, vediamo in cosa consistono le sue mansioni. Dovrà valutare almeno due manoscritti alla settimana; se sono di ottima qualità e rispecchiano la nostra linea editoriale, allora li invierà a me. Se non vale la pena che io li guardi, può buttarli via.»
Sono esterrefatta. Questo stage è un sogno che si avvera. Mi pagano per leggere libri, e mi assegnano anche dei crediti formativi!
«Inizierà a duecento la settimana, e se dopo tre mesi se la cava bene riceverà un aumento.»
Duecento alla settimana! Dovrebbe bastare per pagarmi un appartamento, anche se piccolo.
«Grazie mille. È molto più di quanto mi aspettassi.» Non vedo l’ora di raccontarlo a Hardin.
«Di nulla. Ho sentito dire che lei è una gran lavoratrice. Forse può parlar bene di questo posto a Hardin, così magari deciderà di tornare a lavorare per me», scherza.
«Cosa?»
«Hardin. Lavorava per noi, prima che la Bolthouse ce lo soffiasse. Ha cominciato come stagista l’anno scorso, se l’è cavata molto bene e l’ho assunto poco tempo dopo. Ma l’altro editore gli ha offerto uno stipendio più alto, e gli permette di lavorare da casa. Lui sostiene che non gli piace stare in ufficio, perciò se n’è andato. Pensi un po’.» Sorride e si sistema l’orologio.
Rido nervosamente. «Gli ricorderò quant’è bello questo posto.» Non avevo idea che lavorasse, non me l’ha mai detto.
Mr Vance mi passa il foglio da compilare. «Togliamoci il pensiero di questi moduli.»
Dopo trenta minuti di «firmi qui» e «sigli qua», Mr Vance mi lascia da sola a «prendere confidenza» con il computer e l’ufficio.
Ma appena esce e si richiude la porta alle spalle, vorrei urlare di gioia e piroettare sulla sedia girevole: la mia sedia, alla mia scrivania, nel mio nuovo ufficio! 
76
QUANDO torno alla macchina dopo un primo giorno perfetto, chiamo Hardin ma non risponde. Voglio raccontargli quant’è stata bella la mattinata e chiedergli perché non mi ha detto che ha un lavoro, né che prima lavorava alla Vance.
Arrivo al campus che è soltanto l’una: mi hanno permesso di uscire prima, perché c’era una riunione della dirigenza o qualcosa del genere. In pratica non ho niente da fare per il resto della giornata, quindi decido di andare al centro commerciale. Dopo essere entrata in quasi tutti i negozi, vado da Nordstrom in cerca di qualcos’altro da mettermi per l’ufficio. Il ricordo di me e Hardin allo specchio stamattina mi rammenta che ho bisogno anche di un po’ di biancheria intima. Quella che ho è ordinaria e non tanto nuova. A Hardin non sembra dispiacere, ma muoio dalla voglia di vedere la sua faccia quando mi toglierò la maglietta e gli mostrerò un reggiseno diverso dal solito bianco o nero. Mi guardo intorno e trovo dei completini interessanti. Me ne piace uno rosa e quasi interamente in pizzo. Arrossisco già solo a tenerlo in mano. Una commessa riccia e con troppo rossetto rosso viene ad aiutarmi.
«Ah sì, quello è grazioso, ma cosa ne dice di questo?» domanda mostrandomi una gruccia a cui è appeso un groviglio di nastri fucsia.
«Ehm… non è proprio il mio genere», le dico abbassando lo sguardo. «Vedo che preferisce qualcosa di più… coprente?» Muoio di imbarazzo...
«Dovrebbe provare le culotte: sono sexy senza essere troppo sexy», dice lei facendomi vedere un completino uguale a quello che ho in mano, tranne che per le mutandine. Non mi sono mai interessata più di tanto alle mutande perché nessuno le vedeva mai; non immaginavo che fosse una faccenda così imbarazzante e complicata.
«Okay.» Mi arrendo, e la commessa tira fuori altri completi: uno bianco, uno nero e uno rosso. Quello rosso mi sconcerta un po’, ma devo ammettere che ha il suo fascino. Anche quello bianco e quello nero hanno un’aria più esotica della biancheria che indosso di solito, perché sono di pizzo.
Il sorriso della commessa è una voragine spaventosa. «Li provi: sono lo stesso modello in colori diversi.» Annuisco educatamente e li prendo, sperando che non mi segua. Sollevata nel constatare che non lo fa, prendo anche qualche abito e un paio di décolletée dall’aria comoda. Devo chiedere alla cassiera di ripetermi il totale tre volte, prima di pagare. La biancheria di lusso è molto più costosa di quanto pensassi. Hardin farà meglio a farsela piacere.
Quando torno in stanza Steph non c’è e non ho notizie di Hardin, quindi decido di fare
un sonnellino. Metto via i vestiti nuovi e spengo la luce.
Mi sveglia una suoneria che non riconosco. Mi giro nel letto e apro gli occhi. Come prevedevo, Hardin è seduto con i piedi appoggiati sul comò di Steph.
«Il sonnellino è stato riposante?» chiede con un sorriso.
«A dire il vero sì. Come sei entrato?» Mi stropiccio gli occhi.
«Mi sono fatto ridare la chiave da Steph.»
«Ah. Da quanto sei qui?»
«Una mezz’ora. Com’è andata alla Vance? Non pensavo che fossi già tornata, sono solo le sei. E invece ti trovo svenuta, quindi dev’essere stata una giornata lunga.» Ride.
Mi alzo sui gomiti e lo guardo. «È stato splendido. Mi hanno dato un ufficio tutto per me, con il mio nome scritto fuori… Non ci posso credere, è fantastico! Guadagnerò molto più di quanto credessi, e mi fanno leggere veri manoscritti inediti. Non è perfetto? Ho solo paura che sia troppo perfetto e che combinerò qualche danno. Capisci?» vaneggio. «Accidenti, devi stargli simpatica. Te la caverai benissimo, non preoccuparti.» «Il tizio ha detto che tu lavoravi da loro», gli faccio, per vedere come reagisce.
«Certo.»
«Perché non me l’hai detto? E perché non mi hai detto che anche adesso lavori? Ma dove lo trovi il tempo per lavorare?»
«Fai sempre tante domande.» Si passa le mani tra i capelli. «Ma risponderò. Non te l’ho detto perché… be’, non lo so, a essere sinceri. E il tempo di lavorare lo trovo. Ogni volta che non sono con te, lo trovo.»
Mi siedo a gambe incrociate. «Piaci molto a Mr Vance, ha detto che vorrebbe che tu tornassi a lavorare per lui.»
«Ci scommetto, ma no, grazie. Ora guadagno di più e lavoro di meno», millanta.
Lo guardo con sufficienza. «Parlami del tuo lavoro. Cosa fai di preciso?»
«Leggo dattiloscritti, faccio editing. Le stesse cose che farai tu, ma più approfondite», risponde con noncuranza.
«Ah. E ti piace?»
«Sì, Tessa, mi piace.» Il suo tono è un po’ brusco.
«Bene. Vuoi lavorare in una casa editrice dopo la laurea?»
«Non lo so, cosa voglio fare.»
«Ho detto qualcosa di male?» chiedo.
«No, è solo che fai domande in continuazione.» Parla sul serio o scherza?
«Non c’è bisogno che tu conosca ogni dettaglio della mia vita», continua in tono secco.
«Sto solo facendo conversazione», mi giustifico. «Lo fanno tutti. Scusa se mi interessa la tua vita quotidiana.»
Non risponde. Ma che problema ha? Ho passato una giornata bellissima e l’ultima cosa che voglio è litigare con lui. Fisso il soffitto e resto in silenzio. Alla fine scopro che ci sono novantacinque pannelli sorretti da quaranta viti.
«Devo fare una doccia», dico infine.
«Falla, allora», sbuffa lui.
Lo guardo storto e prendo il beauty. «Sai, pensavo che avessimo superato questa fase,
in cui tu fai lo stronzo senza motivo.» Esco dalla stanza.
Faccio una lunga doccia e mi depilo accuratamente le gambe perché domani voglio mettermi il vestito nuovo per la prima vera giornata di lavoro alla Vance. Sono nervosissima, ma soprattutto entusiasta. Vorrei solo che Hardin non fosse così maleducato. Gli ho soltanto chiesto di un impiego del quale non mi aveva parlato. Dovrei potergli fare questo tipo di domande, ma ci sono tante cose che non so di lui e questo mi mette molto a disagio.
Cerco di capire come spiegarglielo, ma quando torno in camera lui non c’è più. 
77
SONO profondamente irritata dalla strafottenza di Hardin, ma tento di non pensarci mentre mi spazzolo i capelli e indosso la biancheria rosa che ho comprato oggi. Infilo una maglietta e controllo la roba per domani. Non riesco a smettere di chiedermi dove sia andato; so di essere ossessionata, ma ho il terrore che sia con Molly.
Mentre cerco di decidere se telefonargli, ricevo un messaggio da Steph: stasera non torna a dormire. Tanto vale che si trasferisca a vivere con Tristan e Nate, visto che dorme lì cinque sere alla settimana e Tristan la adora. Probabilmente le avrà parlato del suo lavoro al secondo appuntamento, e probabilmente non le strilla mai in faccia e non se ne va senza motivo.
Beata lei, dico tra me. Prendo il telecomando e inizio a fare zapping distrattamente. Trovo una replica di Friends, una puntata che ho visto un centinaio di volte. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho guardato la televisione, ma è piacevole starsene a letto a guardare un telefilm, per non pensare all’ultimo e insensato litigio con Hardin.
Dopo alcuni episodi di diverse serie tv, mi si chiudono gli occhi. Nella sonnolenza la rabbia scompare momentaneamente e scrivo a Hardin un messaggio per dargli la buonanotte. Mi addormento senza che lui abbia risposto.
«Merda.» Mi sveglio di soprassalto sentendo un gran tonfo. Scatto a sedere sul letto e accendo la lampada. Trovo Hardin che barcolla cercando di orientarsi nella stanza buia.
«Che stai facendo?»
Mi guarda: ha gli occhi rossi e lucidi. È ubriaco.
«Sono venuto a cercarti», dice, e si lascia cadere in poltrona.
«Perché?» piagnucolo. Lo voglio con me, ma non ubriaco alle due di notte. «Perché mi mancavi.»
«Allora perché te ne sei andato?» «Perché mi stavi irritando.»
«Okay, adesso torno a dormire. Sei ubriaco e stai sicuramente per dirmi qualche altra cattiveria.»
«Non dico cattiverie, Tessa. E non sono ubriaco… okay, sì, ma allora?»
«Non mi importa se sei ubriaco, ma domani c’è lo stage e io ho bisogno di dormire.» Passerei la notte in bianco con lui, se sapessi che non mi insulterà per tutto il tempo.
«Domani c’è lo stage», mi scimmiotta. «Si può essere più santarellina di così?»
«È meglio se te ne vai», dico, e mi sdraio sul fianco rivolta verso la parete. Non mi piace questo Hardin. Rivoglio indietro il mio Hardin più o meno dolce, non questo stronzo ubriaco.
«Aaah, piccola, non arrabbiarti», replica, ma lo ignoro. «Davvero mi cacci via? Lo sai cosa succede quando dormo senza di te.»
Lo so cosa succede, ma è ingiusto che lo usi come scusa quando è ubriaco e mi sta già prendendo in giro.
«E va bene, puoi restare. Ma io dormo.»
«Perché? Non vuoi chiacchierare con me?»
«Sei ubriaco e cattivo.» Mi giro verso di lui.
«Non sono cattivo», ribatte con un’espressione neutra. «Ho detto solo che tu mi stavi irritando.»
«È una cosa cattiva da dire a una persona. Soprattutto visto che ti ho solo chiesto del tuo lavoro.»
«Oddio, non ricominciamo. Dai, Tessa, lascia stare. Non mi va di parlarne adesso.» Ha la voce impastata e un tono lamentoso.
«Perché hai bevuto stasera?» Non è un problema se beve, è un adulto e io non sono sua madre. Quello che mi dà fastidio è che ogni volta che beve c’è un motivo. Non beve solo per divertirsi.
Guarda la porta come se pianificasse la fuga. «Non… non lo so… mi andava di bere qualcosa… be’, parecchio. Puoi smettere di essere arrabbiata con me, per favore? Ti amo.» Mi guarda negli occhi.
Quelle semplici parole dissolvono la rabbia dentro di me. All’improvviso vorrei che mi abbracciasse.
«Non sono arrabbiata, ma non voglio fare un passo indietro nella nostra storia. Non mi piace quando mi aggredisci senza motivo e poi te ne vai. Se qualcosa non ti sta bene, voglio che me ne parli.»
«È solo che detesti non poter esercitare il controllo su ogni minima cosa», dice barcollando leggermente.
«Scusa?»
«Sei una maniaca del controllo.»
«Non è vero. Mi piace che le cose stiano in un certo modo, tutto qui.»
«Sì, nel modo che dici tu.»
«Perciò a quanto pare non abbiamo finito di litigare. C’è altro che vuoi aggiungere, già che ci sei?»
«No, solo che sei una maniaca del controllo e che ci tengo davvero che tu venga a vivere con me.»
Quando salta di palo in frasca in questo modo mi gira la testa.
«Devi venire a vivere con me, oggi ho trovato un appartamento. Non ho ancora firmato niente, ma è carino.»
«Quando?» È difficile tenersi al passo con le cinque personalità di Hardin Scott.
«Dopo che me ne sono andato da qui.»
«E prima di ubriacarti?»
Mi guarda male. Il metallo del piercing sul sopracciglio riflette la luce dell’abat-jour, e io mi sforzo di non pensare a quanto è bello.
«Sì, prima di ubriacarmi. Allora, che ne dici? Vieni a vivere con me?»
«So che per te l’idea di una relazione è nuova, ma di solito la gente non insulta la propria fidanzata per poi chiederle di andare a vivere insieme nella stessa frase», lo informo, mordendomi il labbro per non sorridere.
«Be’, a volte la fidanzata in questione deve anche farsi una risata.» Sorride. Perfino da ubriaco è molto affascinante.
«Be’, e il fidanzato deve piantarla di fare lo stronzo.»
Ride e si sposta dalla poltrona al mio letto. «Ci sto provando, credimi. A volte non ce la faccio. È che fare lo stronzo mi riesce così bene…»
«Lo so», sospiro. A parte l’episodio di oggi pomeriggio, si è davvero sforzato di essere più gentile. Non voglio trovare giustificazioni per il suo comportamento, ma se l’è cavata molto meglio di quanto sperassi.
«Allora, vieni a vivere con me?»
«Facciamo un passo alla volta! Per ora smetto di essere arrabbiata con te», gli dico alzandomi a sedere. «Ora vieni a letto.» Mi guarda perplesso come a dire: Vedi, sei una maniaca del controllo, ma si alza e si toglie i jeans. Si sfila anche la maglietta e me la posa davanti. Sono contenta che vedermi con la sua maglietta gli piaccia quanto piace a me.
Sto per infilarmela quando lui mi ferma.
«Merda», esclama. «Ma cos’hai sotto?»
«Io… ho comprato della biancheria, oggi.» Arrossisco e abbasso gli occhi.
«Questo lo vedo… Merda.»
«L’hai già detto.» Gli brillano gli occhi quando mi guarda, e vederlo mi dà la pelle d’oca.
«Sei spettacolare. Sei sempre bella, ma così…» Deglutisce.
Con la gola serrata vedo tendersi il tessuto dei suoi boxer. L’atmosfera è cambiata, per la quinta volta stasera.
«Volevo fartelo vedere prima, ma eri troppo impegnato a fare il cretino.»
«Mmm.» È chiaro che non mi sta ascoltando. Posa un ginocchio sul letto e mi squadra di nuovo da capo a piedi prima di sdraiarsi sopra di me.
Le sue labbra sanno di whisky e menta, una combinazione squisita. Ci baciamo lentamente, stuzzicandoci, sfiorandoci con la lingua. Sento le sue mani tra i capelli e la sua erezione premuta sulla mia pancia. Si appoggia sul gomito e mi tocca. Le sue dita si infilano sotto il pizzo del reggiseno, poi escono di nuovo. Si lecca le labbra e mi stringe i seni, facendoli muovere su e giù.
«Non riesco a decidere se lasciartelo addosso…» dice.
Per me non fa la minima differenza: sono ipnotizzata dalle sue dita che si muovono sapienti sulla mia pelle.
«No, lo togliamo», fa poi, e mi slaccia il reggiseno. Inarco la schiena per farglielo sfilare e lui dà in un gemito quando i miei fianchi si sollevano per andargli incontro.
«Cosa vuoi fare, Tess?» Gli trema la voce.
«Te l’ho già detto», rispondo mentre mi scosta le mutandine. Preferirei che non avesse bevuto, ma forse nello stato in cui è gli sembrerò meno goffa.
Lancio un grido quando le sue dita mi penetrano e gli metto un braccio intorno al collo, cercando di aggrapparmi a qualcosa, qualsiasi cosa. Con l’altra mano stringo la sua erezione e la accarezzo delicatamente.
«Sei sicura?» ansima. Leggo l’incertezza nei suoi occhi.
«Sì, sono sicura. Smettila di scervellarti, segui l’istinto.» Dio, la situazione si è proprio rovesciata se ora sono io a rassicurare lui.
«Ti amo, lo sai vero?»
«Sì.» Lo bacio. «Ti amo, Hardin», gli dico, le mie labbra sulle sue.
Le sue dita continuano a entrare e uscire lentamente e la sua bocca scende sul mio collo. Succhia la pelle con forza e poi ci passa la lingua per lenire il dolore. Ripete questi gesti all’infinito, finché tutto il mio corpo avvampa.
«Hardin… sto…» cerco di parlare, e lui sfila subito la mano e mi bacia. Mi tira giù le mutandine, mi posa le mani sulle cosce e le preme delicatamente, poi mi bacia la pancia e mi soffia tra le gambe, dove sono più bagnata. D’istinto sollevo i fianchi e lui mi allarga le gambe tenendole ferme con le braccia mentre muove la lingua su e giù. In pochi secondi iniziano a tremarmi le gambe, stringo le lenzuola nei pugni.
«Dimmi quanto ti piace», dice senza staccarsi da me.
Emetto gemiti strozzati, non riesco a parlare. Hardin continua a dirmi cose sporche, e a leccarmi. Il mio corpo è scosso dagli spasmi. Quando riacquisto la lucidità lui torna a baciarmi sulla bocca, con un sapore strano sulle labbra. Ho il respiro pesante.
«Sei…» inizia a chiedermi.
«Ssst. Sì, sono sicura.» Lo bacio con passione. Affondo le unghie nella sua schiena, poi gli tiro giù i boxer. Lui sospira di sollievo e a entrambi sfugge un gemito quando ci ritroviamo di nuovo pelle contro pelle. «Tessa…»
«Ssst…» Lo voglio più di ogni altra cosa, e lui deve smettere di parlare.
«Ma Tessa… devo dirti una cosa…»
«Ssst. Hardin, per favore, non parlare più.» Lo bacio di nuovo, afferro la sua erezione e faccio scivolare la mano su e giù. Lui chiude gli occhi e inspira di colpo. L’istinto prende il sopravvento: passo il polpastrello del pollice sopra la punta, asciugandola, e lo sento pulsare nella mano.
«Verrò se lo fai di nuovo», boccheggia. D’un tratto si tira su e scende dal letto. Prima che io possa chiedergli dove sta andando, tira fuori un pacchetto dai jeans.
Sta succedendo davvero.
Dovrei avere paura, dovrei essere nervosa, ma non sento altro che l’amore per lui, e il suo amore per me.
L’attesa mi riempie di meraviglia, il tempo sembra rallentare mentre aspetto di vederlo tornare a letto. Avevo sempre pensato che la mia prima volta sarebbe stata con Noah, la prima notte di nozze. Un letto enorme in un lussuoso villaggio turistico su un’isola tropicale. E invece eccomi qui, nella mia stanzetta nel dormitorio, su un letto singolo con Hardin, e non cambierei una virgola.
78
IN vita mia ho visto un preservativo solo nell’ora di educazione sessuale a scuola. E mi ha fatto parecchio senso. Ma qui, ora, voglio strapparlo dalle mani di Hardin e metterglielo addosso più in fretta possibile. È un sollievo che lui non possa sentire i miei pensieri indecenti, anche se le sue parole sono molto più sporche di ogni mio pensiero.
«Sei…» inizia, a voce bassa.
«Se mi chiedi un’altra volta se sono sicura, ti ammazzo.»
Sghignazza, mostrandomi il preservativo. «Stavo dicendo: sei disposta ad aiutarmi o me lo metto da solo?»
Mi mordo il labbro. «Ah. Sì, voglio aiutarti… ma devi farmi vedere come si fa.» Mi rendo conto che le lezioni di educazione sessuale non mi hanno preparata alle emozioni di questo momento, e non voglio rovinare tutto.
«Okay.» Ci sediamo sul letto, io a gambe incrociate. Strappa l’incarto, io gli porgo la mano, ma lui scuote la testa. «Ti faccio vedere.» Mi prende la mano, tira fuori il dischetto e usa le nostre mani intrecciate per infilarselo. È scivoloso. «Ora devi farlo scendere», dice. Ha le guance arrossate. Le nostre mani si muovono insieme per srotolare il preservativo.
«Ce la siamo cavata, per essere una vergine e un ubriaco», scherzo.
Lui sorride: sono contenta che stiamo prendendo la cosa con ironia, così sono meno nervosa all’idea di ciò che sta per succedere.
«Non sono ubriaco, piccola. Ho bevuto un po’, ma discutere con te mi ha fatto passare la sbornia, come al solito.»
Mi sento sollevata. Preferirei che non si addormentasse a metà dell’opera e che non mi vomitasse addosso. Lo guardo: ha gli occhi limpidi, non più velati come un’ora fa.
«E adesso cosa succede?» domando.
Scoppia a ridere, mi prende la mano e se la posa sull’erezione. «Impaziente?» chiede, e io annuisco. «Anch’io», ammette. Adoro sentire la sua carne soda nella mano. Si sposta sopra di me e con il ginocchio mi allarga le gambe.
Chissà se sarà delicato… lo spero.
«Sei molto bagnata, questo semplifica le cose.» Inspira. Mi bacia lentamente, stuzzicandomi la lingua con la sua. Le sue labbra si adattano perfettamente alle mie, sembrano fatte apposta. Mi posa altri piccoli baci sull’angolo della bocca e poi sul naso, e poi di nuovo sulle labbra. Appoggio le mani sulla sua schiena nel tentativo disperato di avvicinarlo ancora di più a me.
«Piano, piccola, dobbiamo andarci piano», mi bisbiglia all’orecchio. «All’inizio ti farà male, perciò dimmi quando vuoi che mi fermi. Sul serio, okay?» Mi guarda dritta negli occhi, aspettando una risposta.
«Okay.» Ho la gola serrata. Ho sentito dire che perdere la verginità fa male, ma non sarà poi così insopportabile. Almeno spero.
Mi bacia di nuovo. Con un brivido, percepisco la superficie levigata del preservativo strofinarsi contro di me. Pochi istanti dopo, Hardin si spinge dentro di me… È una sensazione così strana… Chiudo gli occhi e mi sento ansimare. «Tutto bene?»
Annuisco e lui entra più a fondo. Avverto un forte bruciore, in profondità. È doloroso come dicono tutti, se non di più.
«Cazzo», geme Hardin. Non muove un muscolo, ma il dolore è ancora intenso.
«Posso muovermi?» Ha la voce tirata, rauca.
«Sì», rispondo. Il dolore continua, ma Hardin mi bacia ovunque, le labbra, le guance, il naso, il collo, e le lacrime agli angoli degli occhi. Mi concentro su altre sensazioni: le mie dita che gli stringono le braccia, la sua lingua calda sul mio collo.
«Oddio», mormora. «Ti amo, Tess, ti amo così tanto.» Il conforto della sua voce allevia un po’ il dolore, ma non lo fa svanire del tutto.
Voglio dirgli quanto lo amo, ma ho paura che se parlo mi verrà da piangere.
«Vuoi… oh, cazzo… vuoi che mi fermi?» balbetta. Nella sua voce sento darsi battaglia il piacere e la preoccupazione.
Faccio cenno di no e lo guardo ammirata: chiude di nuovo gli occhi e serra la mascella in un’espressione concentrata; i muscoli sodi guizzano sotto i tatuaggi. Il dolore sparisce quasi completamente quando lo vedo raggiungere il culmine. Mi accarezza lo zigomo e mi bacia di nuovo, poi affonda la testa tra il mio collo e la spalla. Il suo respiro è affannoso e caldo sulla mia pelle. Alza la testa e riapre gli occhi. Sopporterei in eterno questo dolore pur di potermi sentire così, poter sentire questo legame profondo con Hardin che mi conduce in mondi di cui ignoravo l’esistenza. L’emozione nei suoi occhi verdi, fissi nei miei, mi porta alle lacrime; mi trascina nell’incoscienza e poi mi riconduce a lui. Lo amo, e so senza il minimo dubbio che lui ama me. Anche se non staremo insieme per sempre, anche se non ci rivolgeremo più la parola, saprò sempre che in questo momento lui era tutto per me.
So che si sforza con tutto se stesso di mantenere il controllo, di tenere un ritmo lento per il mio bene, e per questo lo amo ancora di più. Il tempo rallenta e si ferma, accelera e si ferma di nuovo, mentre lui entra ed esce da me. Il gusto salato del sudore è sulle sue labbra quando mi bacia, e io ne voglio sempre di più. Lo bacio sul collo e sotto l’orecchio, dove so che lo fa impazzire.
Rabbrividisce e mormora il mio nome. «Sei così brava, piccola. Ti amo così tanto.»
Non fa più male, ma dà ancora fastidio; ogni volta che spinge in me sento un bruciore leggero. Gli appoggio le labbra sul collo e affondo le dita tra i suoi capelli.
«Ti amo, Hardin», riesco a dire.
«Oh, piccola, sto per venire. Okay?» dice tra i denti.
Annuisco e ricomincio a baciarlo sul collo. Mentre viene non smette un attimo di guardarmi negli occhi: il suo sguardo promette eternità e amore incondizionato. Quando si irrigidisce e ricade su di me, sento battere forte il suo cuore e lo bacio sulla testa sudata. Smette di ansimare e si solleva, uscendo da me. Rabbrividisco, mi sento improvvisamente svuotata. Lui si sfila il preservativo, lo ripiega e lo appoggia a terra sopra l’incarto.
«Tutto bene? Com’è stato? Come ti senti?» con i suoi occhi nei miei mi sento più vulnerabile di quanto credessi possibile.
«Sto bene», lo rassicuro. Stringo le cosce per alleviare il dolore. Vedo il sangue sulle lenzuola, ma non voglio muovermi.
Si scosta i capelli dalla fronte. «È stato… come te l’aspettavi?»
«Meglio», rispondo sinceramente. Nonostante il dolore, è stata un’esperienza meravigliosa. Sto già fantasticando sulla prossima volta.
«Davvero?» Sorride e posa la fronte alla mia.
«Com’è stato per te? Andrà meglio quando avrò più… esperienza», lo rassicuro.
Il sorriso gli muore sulle labbra. Mi posa due dita sotto il mento e lo solleva per farsi guardare negli occhi. «Non dire così: è stato fantastico, piccola. Anzi, più che fantastico, è stato… il massimo.»
Gli rivolgo un’occhiata contrariata. Sono sicura che è stato con ragazze molto più brave di me, che sapevano cosa fare e quando farlo.
Come se mi avesse letto nel pensiero, dice: «Non le amavo. È un’esperienza completamente diversa quando ami la persona con cui stai. Davvero, Tessa. Non c’è paragone. Ti prego, non dubitare di te stessa e non minimizzare quello che abbiamo appena fatto». La sua voce è così pacata e sincera che mi scalda il cuore. Gli do un bacio sul naso.
Sorride, mi cinge in vita e mi attira al petto. Profuma di buono: anche quand’è sudato, Hardin è il mio profumo preferito.
«Ti ho fatto male?» chiede, arrotolando intorno all’indice una ciocca dei miei capelli.
«Un po’», rido. «Ho paura di alzarmi in piedi.»
Mi stringe più forte e mi bacia la spalla. «Non ero mai stato con una vergine», sussurra.
Lo guardo: non c’è traccia di ironia nei suoi occhi. «Oh.» La mia mente sforna mille domande sulla sua prima volta. Dove, quando, con chi e perché. Ma le scaccio via: lui non la amava. Non ha mai amato nessun’altra che me. Non mi importa più niente delle ragazze del suo passato. Sono lì, nel passato. Mi importa solo di quest’uomo bellissimo e tormentato che ha appena fatto l’amore per la prima volta in vita sua.
79
UN’ORA dopo, Hardin mi chiede: «Sei pronta per alzarti?»
«Dovrei, ma non voglio.» Resto appoggiata con la guancia sul suo petto.
«Non vorrei metterti fretta, ma devo proprio pisciare.»
Scoppio a ridere e scendo dal letto. Mi sfugge un gemito di dolore.
«Tutto bene?» mi domanda per la millesima volta. Tende una mano per sostenermi.
«Sì, solo un po’ indolenzita.» Guardo le lenzuola e rabbrividisco.
«Le butto via io», dice iniziando a toglierle dal materasso.
«Non qui, Steph le vedrà.»
«E dove, allora?» Si dondola sui talloni: deve proprio correre in bagno.
«Non lo so… puoi buttarle in un cassonetto quando te ne vai?»
«E chi ha detto che me ne vado? Vieni a letto con me e poi pensi di potermi cacciare?» esclama divertito. Raccoglie da terra i boxer e i jeans e se li infila.
Gli do una sculacciata. «Va’ a fare pipì, e per sicurezza portati via le lenzuola.» Non voglio certo che Steph cominci a farmi domande su come ho perso la verginità.
«Certo. Non sembrerò per niente un serial killer, se porto in macchina lenzuola sporche di sangue in piena notte.»
Lo guardo storto. Lui appallottola le lenzuola e va alla porta. «Ti amo», dice prima di uscire.
Adesso ho un po’ di tempo per calmarmi. Mi domando se il mio aspetto fisico rifletta il benessere che provo: mi sento stranamente in pace. Il ricordo di Hardin sopra di me, che entra in me, mi turba. Ora so perché la gente non parla d’altro che del sesso. Mi stavo perdendo una cosa molto bella; ma sono certa che se la mia prima volta non fosse stata con Hardin non sarebbe stata altrettanto piacevole. Quando mi guardo allo specchio, resto a bocca aperta. Ho le guance arrossate, le labbra gonfie. Mi prendo a pizzicotti: sembro diversa da prima. È un cambiamento molto lieve, e non saprei dire in cosa consista di preciso: però mi piaccio di più così. Osservo per un momento le piccole chiazze rosse che ho sul seno. Non ricordo neppure che me le abbia fatte. Torno a pensare alla sua bocca calda e bagnata sul mio corpo.
La porta si apre di colpo, riscuotendomi dai pensieri e facendomi sobbalzare.
«Ti ammiri?» ghigna Hardin richiudendo la porta.
«No, io…» Non so cosa rispondere, dato che mi sto guardando allo specchio, completamente nuda, fantasticando sulle sue labbra sulla mia pelle.
«Non c’è problema, piccola. Se avessi un corpo come il tuo starei davanti allo specchio tutto il giorno.»
Arrossisco. «Penso che farò una doccia.» Cerco di coprirmi con le mani. Non voglio lavar via il suo profumo, ma devo lavar via tutto il resto.
«La faccio anch’io», dice. Lo guardo storto e lui alza le mani. «Non insieme, lo so. D’altronde… se vivessimo soli io e te potremmo.»
Qualcosa è cambiato anche in lui, lo vedo. Sorride un po’ di più, ha gli occhi più luminosi. Nessun altro se ne accorgerebbe, credo, ma io lo conosco meglio di chiunque altro, malgrado i tanti segreti che devo ancora scoprire.

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