parte 4

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DOPO un lungo bacio, Hardin si siede sul mio letto e io lo raggiungo.
Restiamo in silenzio per qualche minuto. Inizio a sentirmi nervosa: so che dovrei comportarmi diversamente ora che siamo… qualcosa di più, ma non ho idea di cosa fare. «Che progetti hai per il resto della giornata?» mi chiede.
«Nessuno, devo solo studiare.»
«Bene.» Sembra nervoso anche lui, e questo mi consola un po’.
«Vieni qui», mi dice allargando le braccia.
Appena mi siedo sulle sue gambe, si apre la porta. Steph, Tristan e Nate varcano la soglia e restano a fissarci, mentre io mi alzo e vado a sedermi dall’altra parte del letto.
«Quindi adesso siete trombamici, voi due?» chiede Nate.
«No!» esclamo con voce stridula. Non so cosa ribattere, quindi aspetto che parli Hardin. Lui però rimane in silenzio, e Tristan e Nate cominciano a raccontargli della festa di ieri sera.
«A quanto pare non mi sono perso granché», commenta lui.
Nate fa spallucce. «Finché Molly non si è messa a fare lo spogliarello: alla fine era completamente nuda, dovevi esserci!» Rabbrividisco e guardo Steph, che sta fissando Tristan forse sperando che non commenti la nudità di Molly.
Hardin sorride. «Niente che non abbia già visto.»
Tossisco per mascherare la sorpresa. Non è vero, non l’ha detto.
Mi accorgo che si acciglia: ha capito di aver fatto una gaffe.
Forse abbiamo sbagliato: già quando siamo soli c’è un certo imbarazzo, e ora che ci sono anche gli altri il disagio si amplifica. Perché Hardin non ha detto agli altri che stava con me? Ma stiamo davvero insieme? Non lo so bene neppure io. Pensavo di sì, dopo quella confessione, ma non ce lo siamo mai detti chiaro e tondo. Forse non ce n’è bisogno? Quest’incertezza mi sta già facendo impazzire; in tutti gli anni che ho passato con Noah non ho mai dovuto preoccuparmi dei suoi sentimenti per me. Non ho mai dovuto vedermela con «ex trombamiche», perché Noah non ha mai baciato nessun’altra che me, e a sinceramente preferisco così. Vorrei che Hardin non avesse mai fatto niente con altre ragazze, o almeno che quelle con cui ha fatto qualcosa fossero di meno.
«Vado a cambiarmi e poi andiamo a giocare a bowling. Vuoi venire?» mi chiede Steph.
«No, devo rimettermi in pari con lo studio. Non ho praticamente aperto libro questo weekend.» Distolgo lo sguardo, assalita dai ricordi degli ultimi due giorni.
«Devi venire, ci divertiremo», tenta di convincermi Hardin. Faccio cenno di no: devo proprio starmene a casa, e francamente speravo che lui restasse con me.
«Pronti, ragazzi? Sei sicura di non voler venire?» dice Steph dopo essersi cambiata.
«Sicura.»
Tutti si alzano per andarsene, e Hardin mi saluta con la mano e con un sorriso. Resto delusa, e spero che il bowling fosse un impegno preso prima del nostro weekend insieme e della sceneggiata di oggi.
Ma cosa mi aspettavo? Che corresse a baciarmi, a dirmi che gli sarei mancata? Rido al solo pensiero. Non so se qualcosa cambierà mai tra me e lui, a parte il fatto che smetteremo di evitarci. Sono troppo abituata a stare con Noah, perciò non so cosa mi attenda: detesto l’idea di non avere il controllo della situazione.
Dopo un’ora passata a tentare di studiare, e poi a tentare di fare un pisolino, prendo il telefono per scrivere a Hardin. Ehi, non ho neppure il suo numero. Non ci avevo mai pensato: non abbiamo mai parlato al telefono, non ci siamo mai scritti messaggi. Non ce n’è mai stato bisogno: non ci sopportavamo. Questa faccenda si sta rivelando più complicata del previsto.
Chiamo mia madre per sentire le ultime novità, ma soprattutto per scoprire se Noah le ha già riferito l’accaduto. Sono due ore di macchina, tra poco sarà a casa, e scommetto che andrà subito a spifferare tutto. Ma dal semplice «ciao» con cui lei mi saluta capisco che non sa ancora niente. Le racconto del mio tentativo vano di procurarmi un’auto e del possibile stage alla Vance. Ovviamente lei mi ricorda che sono al college da più di un mese e non ho ancora trovato una macchina. Alzo gli occhi al cielo esasperata, ma la lascio continuare. Mentre mi racconta come ha passato la settimana, vedo accendersi il display del telefono. Attivo il vivavoce e leggo il messaggio: Dovevi venire con noi, con me. Ho un tuffo al cuore: è Hardin.
Fingendo di ascoltare mia madre, borbotto: «Mmm… ah, sì…» e intanto rispondo al messaggio.
Dovevi restare con me, scrivo. Invio il messaggio e fisso lo schermo aspettando una risposta.
Vengo a prenderti, ribatte lui dopo un’eternità, o così mi sembra.
Cosa? No, non ho voglia di giocare a bowling, tu sei già lì. Resta dove sei.
Sono già partito. Tieniti pronta. Accidenti, com’è prepotente, anche via sms.
Mia madre sta ancora parlando e non ho idea di cosa. Ho smesso di ascoltare dopo il primo messaggio di Hardin. «Mamma, ti richiamo», la interrompo.
«Perché?» chiede, sorpresa e indispettita.
«Be’… mi si è rovesciato il caffè sugli appunti. Devo andare.»
Chiudo la comunicazione e vado subito all’armadio, mi tolgo il pigiama di Hardin e mi infilo i jeans nuovi e un semplice top viola. Mi spazzolo i capelli, che non sono messi troppo male anche se oggi non li ho lavati. Controllo l’ora e vado a lavarmi i denti. Quando torno dal bagno, lui mi aspetta seduto sul letto.
«Dov’eri?»
«A lavarmi i denti.»
«Pronta?» Si alza e viene verso di me. Mi aspetto che mi abbracci, ma non lo fa. Va dritto alla porta.
Prendo la borsa e il telefono.
In macchina, tiene la radio a basso volume. Non mi va proprio di andare al bowling, ma ho voglia di passare del tempo con lui. Non mi piace sentirmi già così dipendente da lui.
«Quanto pensi che staremo lì?» chiedo dopo qualche minuto di silenzio.
«Non lo so… perché?» domanda con aria diffidente.
«Così… non mi piace tanto il bowling.»
«Non sarà male, ci sono tutti.»
Non Molly, spero. «Vabbe’…»
«Non vuoi andarci?»
«Preferirei di no, motivo per cui ho rifiutato la proposta la prima volta.»
«Allora andiamo da qualche altra parte?»
«E dove?» Sono irritata con lui, ma non so bene perché.
«A casa mia.»
Sorrido; lo fa anche lui, e sulle guance compaiono quelle fossette che adoro.
«Vada per casa mia, allora.» Posa una mano sulla mia coscia. Sento scaldarsi la pelle, e appoggio la mano sopra la sua.
Un quarto d’ora dopo ci fermiamo davanti alla grande casa della confraternita. Non ci tornavo da quella volta che ho litigato con Hardin e sono rientrata in dormitorio a piedi. Mentre saliamo le scale, nessuno ci degna di un’occhiata: evidentemente sono abituati a vedere Hardin che si porta in camera una ragazza. Devo smetterla di ragionare in questi termini altrimenti impazzirò: è così che stanno le cose, e io non posso cambiarle.
«Eccoci arrivati», esclama aprendo la porta. Lo seguo nella stanza e lui accende la luce, si toglie gli anfibi e li getta a terra. Si siede sul letto e batte la mano sul materasso per dirmi di raggiungerlo.
Mentre mi avvicino, la curiosità prende il sopravvento. «C’era anche Molly al bowling?» chiedo guardando fuori dalla finestra. «Sì, certo che c’era. Perché?»
Mi siedo e lui mi tira per le caviglie verso di sé. Rido e mi lascio scivolare sul letto, piegando le gambe sopra di lui e posando i piedi dall’altra parte.
«Solo per curiosità…»
Sorride. «Ovunque andiamo viene anche lei, fa parte del gruppo.»
È stupido essere così gelosa, ma quella ragazza mi irrita terribilmente. Si comporta come se le stessi simpatica, ma so che non è vero; e so che le piace Hardin. Ora che siamo… qualsiasi cosa siamo… non voglio che gli stia vicino.
«Non avrai mica paura che io me la scopi, vero?»
Gli do una pacca sul braccio. Mi piace sentirgli dire le parolacce, ma non quando c’è di mezzo Molly. «No, be’… sì, forse. So che è già successo, e non voglio che succeda di nuovo», ammetto. Sono sicura che ora mi prenderà in giro perché sono gelosa, quindi giro la testa dall’altra parte.
Posa una mano sul mio ginocchio. «Non lo farei… non più. Non preoccuparti di lei, va bene?» Decido di credergli.
«Perché non hai detto a nessuno… di noi?» Faccio male a chiederlo, ma ho bisogno di sapere.
«Non lo so… pensavo che forse tu non volevi che lo sapessero. E poi, quello che facciamo o non facciamo sono affari nostri.» È una risposta molto migliore di quella che temevo.
«Sì, forse hai ragione. Pensavo che… tu ti vergognassi…»
«Perché mai dovrei vergognarmi di te?» domanda ridendo. «Ma guardati.» Infila una mano sotto il top e traccia cerchi sul petto, facendomi venire la pelle d’oca.
«È bello come il tuo corpo reagisce al mio», mormora con un sorriso.
So cosa sta per succedere, e non vedo l’ora. 
53
LE dita di Hardin si fanno strada sotto la maglietta e il mio respiro accelera. Lui se ne accorge, e il suo bel volto si schiude in un sorriso.
«Basta toccarti e già ansimi», bisbiglia. Si china a leccarmi il collo, dandomi un brivido. Affondo le dita tra i suoi capelli mentre continua a baciarmi sulla gola. Ma quando mi fa scivolare una mano tra le gambe, lo afferro per il polso.
«Cosa succede?» mi chiede.
«Niente… Pensavo di fare qualcosa io per te, stavolta.»
Cerco di distogliere gli occhi, ma lui mi costringe a guardarlo. Tenta inutilmente di nascondere un sorrisetto compiaciuto. «E cos’è che vorresti farmi?»
«Be’… pensavo che potrei… be’, insomma… quello di cui parlavamo l’altro giorno…» Non so perché sono così timida, mentre lui dice tutto quello che gli passa per la testa. Ma la parola «pompino» non fa parte del mio vocabolario.
«Vuoi succhiarmi il cazzo?» domanda, sorpreso.
Sono proprio inorridita, però mi eccito anche. «Ehm… sì. Insomma, se lo vuoi anche tu…» Spero che con il progredire della nostra storia riuscirò a dirgli queste cose. Mi piacerebbe sentirmi così a mio agio con lui da trovare il coraggio di spiegargli esattamente cosa voglio.
«Sì che lo voglio. Fin dalla prima volta che ti ho visto sogno le tue labbra intorno a me.» Mi sento stranamente lusingata da tanta volgarità. Ma poi mi chiede: «Sei sicura, però? Hai mai… hai mai visto un cazzo?»
Sono certa che conosco già la risposta: forse vuole solo farmelo dire chiaro e tondo?
«Naturalmente. Be’, non dal vivo, ma in foto. E una volta sono entrata a casa del vicino mentre vedeva un film spinto», gli dico. Soffoca una risata. «Non ridere di me, Hardin.»
«Non sto ridendo, piccola, scusa. È solo che non avevo mai conosciuto una ragazza con così poca esperienza. È bello, però, te lo giuro. A volte la tua innocenza mi spiazza, tutto qui. Ma è molto eccitante sapere di essere il primo che ti ha fatta venire, compresa te stessa.» Stavolta non ride, per fortuna.
«Okay… allora cominciamo.»
Sorride e mi accarezza la guancia. «Come sei determinata, così mi piaci!» Si alza.
«Dove vai?»
«Da nessuna parte, mi tolgo i pantaloni.» «Volevo toglierteli io», protesto.
Sghignazza e se li rimette. «Accomodati, piccola», mi invita mettendosi le mani sui fianchi.
Sorrido e gli abbasso i pantaloni. Devo tirare giù anche i boxer? Hardin fa un passo indietro e si siede sul letto. Mi inginocchio davanti a lui.
Fa un respiro profondo. «Più vicina, piccola.»
Scorro in avanti e gli poso le mani sulle ginocchia piegate.
«Tutto a posto?» chiede in tono premuroso.
Annuisco e lui mi tira su per i gomiti.
«Prima baciamoci un po’, va bene?» e mi fa sdraiare sopra di lui.
Devo ammettere che mi sento sollevata. Voglio ancora farlo, ma ho bisogno di un minuto per abituarmi all’idea, e un bacio mi metterà più a mio agio. All’inizio mi bacia lentamente, ma in pochi secondi si fa più appassionato. Mi dondolo sopra di lui, e il rigonfiamento nei suoi boxer non fa che aumentare. Vorrei essermi messa una gonna, così ora la tirerei su e lo sentirei… Sono scioccata dai miei stessi pensieri. Poso una mano sui suoi boxer.
«Cazzo, Tessa. Se continui così mi farai venire di nuovo nelle mutande», mormora. Mi fermo, scendo da sopra di lui e faccio per rimettermi in ginocchio.
«Togliti i jeans», mi dice. Me li sfilo e, siccome mi sento coraggiosa, tolgo anche la maglietta. Hardin si morde il labbro quando mi piazzo davanti a lui e afferro l’elastico dei boxer. Solleva il sedere dal letto per aiutarmi a tirarli giù.
Mi lascio sfuggire un gemito quando mi ritrovo davanti l’erezione di Hardin. Accidenti, è bello grosso. Molto più di quanto mi aspettassi. Come faccio a farmelo entrare in bocca?
Resto a fissarlo per qualche secondo, poi lo sfioro con l’indice. Dondola leggermente e poi torna nella posizione di prima. Hardin ridacchia.
«Come… voglio dire… da dove comincio?» balbetto. Ho un po’ paura, ma voglio farlo. «Ti faccio vedere. Ecco… stringilo in mano, come l’altra volta…»
Lo prendo tra le dita. La pelle è molto più liscia di quanto mi aspettassi. So che lo sto esaminando come un campione da laboratorio, ma è tutto così nuovo per me che mi sembra di condurre un esperimento scientifico.
Lo stringo un po’ e muovo lentamente la mano su e giù. «Così?» domando. Hardin fa lunghi respiri.
«Ora… prendilo in bocca. Non tutto… be’, se ci riesci… ma il più possibile.»
Prendo fiato e chino la testa. Apro le labbra e lo prendo in bocca, più o meno fino a metà. Hardin emette un sibilo e mi posa le mani sulle spalle. Mi tiro leggermente indietro e sento un sapore salato. È già venuto? Ma poi non lo sento più, allora inizio a muovere la testa su e giù. Un istinto che non sapevo di avere mi dice di accompagnare quel movimento con la lingua.
«Cazzo. Sì, così», geme Hardin, perciò ripeto il gesto. Mi stringe più forte le spalle e solleva i fianchi per venirmi incontro. Riesco a infilarlo quasi tutto in bocca e alzo lo sguardo sul suo viso. Ha gli occhi rivolti al soffitto. È bellissimo; i muscoli guizzano sotto i tatuaggi, facendo muovere lentamente le parole scritte sulle costole. Torno a concentrarmi e succhio un po’ più forte.
«Usa la mano sul… sul resto…» boccheggia. Obbedisco. Muovo la mano su e giù sulla metà inferiore mentre continuo a lavorare con la bocca su quella superiore. Gli strappo un altro gemito quando mi risucchio le guance.
«Cazzo… cazzo. Tessa. Sono… Sto per…» Boccheggia. «Se non lo vuoi in bocca… ti devi… fermare.»
Lo guardo negli occhi e continuo. È bellissimo riuscire a fargli perdere il controllo.
«Tessa… guardami…» Lo sento irrigidirsi. Batto le palpebre in modo seducente, e lui ripete il mio nome più volte, con passione; poi sento una vibrazione in bocca e un liquido caldo e salato mi finisce in gola. Mi viene un conato, mi ritraggo. Il sapore non è disgustoso come temevo, ma non è neppure buono. Le sue mani si spostano dalle mie spalle alle guance.
È senza fiato, intorpidito. «Come… com’è stato?»
Mi alzo e vado a sedermi sul letto con lui. Mi abbraccia e mi posa la testa sulla spalla. «Carino», rispondo.
Scoppia a ridere. «Carino?!»
«Divertente, diciamo. Vederti in quello stato. E il sapore era meglio del previsto», confesso. Dovrei sentirmi in imbarazzo, ma non è così. «E per te com’è stato?» chiedo, nervosa.
«Una sorpresa molto piacevole: non mi era mai piaciuto così tanto.»
Arrossisco. «Ci scommetto.» Scoppio a ridere. Gli sono grata perché cerca di non farmi sentire in imbarazzo per la mia inesperienza.
«Dico davvero. Il fatto che tu sia così… pura mi fa uno strano effetto. E poi, cazzo, quando mi hai guardato in quel modo…»
«Okay! Okay!» lo interrompo agitando le mani. Non voglio rivivere ogni dettaglio della mia prima volta. Lui ridacchia e mi fa sdraiare.
«Ora ricambio il favore», mi mormora all’orecchio. Mi tira giù le mutandine. «Vuoi il mio dito o la mia lingua?» bisbiglia in tono seducente.
«Entrambi», rispondo.
«Come desideri», sorride, e china la testa. Mugolo e lo prendo per i capelli: lo faccio spesso, ma a quanto pare gli piace. Inarco la schiena sul materasso, e in pochi minuti vengo travolta dalle sensazioni e raggiungo il culmine gridando il suo nome.
Quando i respiri si placano, mi alzo a sedere e traccio con le dita i contorni dei tatuaggi sul suo petto. Mi osserva attentamente ma non mi ferma. Resta sdraiato in silenzio accanto a me, lasciandomi godere quel momento di pace.
«Nessuna mi aveva mai toccato così», mi dice. Vorrei fargli tante domande, ma mi limito a sorridergli e a baciarlo sul petto.
«Resti con me stanotte?» mi chiede.
«Non posso: domani è lunedì e abbiamo lezione.» Voglio restare con lui, ma non di domenica.
Mi guarda implorante. «Per favore.»
«Non ho niente da mettermi domattina.»
«Rimettiti i vestiti di oggi. Ti prego, rimani con me. Solo una notte. Ti prometto che arriverai a lezione in tempo.»
«Non lo so…»
«Anzi, ti farò arrivare con un quarto d’ora di anticipo, così avrai il tempo di passare in caffetteria e vedere Landon.»
«Come fai a sapere che lo faccio sempre?» domando sbigottita.
«Ti tengo d’occhio… Insomma, non di continuo. Ma noto più cose di quante pensi.» Il mio cuore manca un battito. Mi sto innamorando troppo in fretta.
«Allora rimango», gli dico. Poi però alzo la mano per zittirlo e aggiungo: «A una condizione».
«Quale?»
«Che tu torni al corso di letteratura.»
«Va bene.»
Sorrido e lui mi stringe al petto. 
54
DOPO essere rimasta sdraiata per qualche minuto tra le braccia di Hardin, inizio a dubitare della mia decisione di passare la notte con lui.
«E domattina come faccio con la doccia?» gli chiedo.
«Puoi farla qui, in fondo al corridoio.» Mi posa una fila di baci sul mento. Le sue labbra sulla pelle mi privano di ogni capacità razionale: sa esattamente cosa sta facendo.
«In una confraternita? Chissà chi potrebbe entrare!»
«Uno, la porta si chiude a chiave; due, ti accompagnerei io, ovviamente», dice tra un bacio e l’altro.
Il tono che usa mi irrita, ma lascio correre. «E va bene. Ma vorrei fare la doccia adesso, prima che diventi troppo tardi.»
Si alza e va a prendere i suoi jeans. Io scendo dal letto e lo imito, rimettendoli direttamente sulla pelle.
«Senza mutande?» ammicca lui.
Non rispondo. «Hai lo shampoo? Non ho neppure la spazzola.» Mi viene l’ansia al pensiero di tutte le cose che mi mancano. «I cotton fioc? Il filo interdentale?»
«Rilassati, c’è tutto. Probabilmente c’è anche uno spazzolino di riserva, e ho visto in giro un paio di spazzole. Scommetto che ci sono mutandine di tutte le taglie, da qualche parte, se ti servono.»
«Mutandine?» ripeto, ma poi capisco e mi affretto a dire: «Lascia stare». Hardin scoppia a ridere. Spero vivamente che non collezioni la biancheria delle ragazze con cui è stato.
Mi accompagna in bagno. Mi sento più a mio agio di quanto pensassi, ma solo perché sono già stata altre volte in quel bagno.
Hardin apre il rubinetto della doccia e si toglie la maglietta.
«Che stai facendo?» gli chiedo.
«Ehm… una doccia?»
«Ah, pensavo di farla prima io.»
«Facciamola insieme.»
«Ma… no! Non voglio!» rido. Non posso fare la doccia con lui!
«Perché no? Ti ho già vista, e tu hai visto me. Che problema c’è?»
«Non lo so… è solo che non voglio.» Sì, mi ha già vista nuda, ma una doccia insieme mi sembra una situazione così intima… Ancora più intima della cosa che abbiamo appena fatto.
«E va bene. Va’ prima tu», concede, ma con un po’ di irritazione nella voce.
Gli sorrido dolcemente, fingendo di non notare il suo tono scocciato, e mi spoglio. Mi squadra da capo a piedi, poi distoglie lo sguardo. Controllo la temperatura dell’acqua e mi infilo nella doccia.
Resta in silenzio mentre mi bagno i capelli. Troppo silenzio. «Hardin?» lo chiamo. È uscito dal bagno?
«Sì?»
«Pensavo fossi uscito.»
Scosta la tenda e infila la testa riccioluta nella doccia. «No, sono ancora qui.» «Qualcosa non va?»
Fa cenno di no ma non dice niente. Fa il broncio come un bambino perché ho rifiutato di fare la doccia con lui? Sto quasi per dirgli di entrare, ma voglio che capisca che non può averla sempre vinta. Riaccosta la tenda e sento che va a sedersi sulla tazza.
Lo shampoo e il docciaschiuma hanno un intenso profumo muschiato. Mi manca il mio shampoo alla vaniglia, ma per stasera posso cavarmela anche senza. Sarebbe stato più logico che Hardin fosse venuto a dormire in camera mia, ma ci sarebbe stata anche Steph: sarebbe stato imbarazzante dover spiegare tutto, e non penso che Hardin sarebbe così affettuoso in sua presenza. Quest’idea mi preoccupa, ma cerco di non pensarci.
«Puoi passarmi un asciugamano?» gli chiedo chiudendo l’acqua. «O anche due, se ci sono.» Preferisco usarne uno per i capelli e uno per il corpo.
Infila un braccio dietro la tenda per porgermi i due asciugamani. Lo ringrazio e lui borbotta qualcosa che non capisco.
Mentre mi asciugo si toglie i jeans e riapre il rubinetto. Non riesco a non fissare il suo corpo nudo mentre scosta la tenda. Più lo vedo così e più mi sembrano belli i suoi tatuaggi. Continuo a fissarlo mentre entra nella doccia e finché richiude la tenda. Ho sbagliato a non fare la doccia con lui: non perché ora fa l’offeso, ma perché mi sarebbe piaciuto.
«Torno in camera tua», gli dico. Tanto mi ignora già.
Apre la tenda di schianto, facendo cigolare gli anelli sul bastone. «No che non ci torni.» «Ehi, che problema hai?»
«Nessuno, ma non puoi tornare certo in camera da sola. In questa casa abitano trenta ragazzi, perciò non puoi gironzolare in corridoio quando ti pare.»
«No, c’è un altro motivo: mi tieni il muso da quando ti ho detto che non volevo fare la doccia insieme.»
«Non è vero.»
«Dimmi perché, oppure esco dal bagno vestita solo con questo asciugamano», lo minaccio, ben sapendo che non lo farei mai. Lui stringe gli occhi e tende un braccio per fermarmi, gocciolando acqua sul pavimento.
«Non mi piace sentirmi dire di no.» Parla a voce bassa, ma in tono molto meno irritato rispetto a pochi istanti fa.
Immagino che Hardin non senta quasi mai la parola «no» dalle labbra di una ragazza. Dovrei rispondergli che farà meglio ad abituarcisi, ma per la verità finora neanch’io gli ho mai detto di no. Appena mi sfiora con un dito faccio tutto quello che vuole.
«Be’, io non sono come le altre ragazze, Hardin.» Riecco la gelosia.
Fa un sorrisetto. L’acqua gli scorre sul viso. «Lo so, Tess, lo so.» Richiude la tenda e finisce di fare la doccia mentre io mi rivesto.
«Puoi usare i miei vestiti come pigiama», mi dice. Lo sento a malapena perché sono troppo concentrata a guardare il suo corpo bagnato. Si asciuga i capelli con un telo bianco, lasciandoli sparati in tutte le direzioni, poi si avvolge l’asciugamano intorno ai fianchi. Gli sta così basso in vita, è davvero sexy. Mi sembra che la temperatura nel bagno si sia alzata di dieci gradi. Si china ad aprire uno sportello, tira fuori una spazzola e me la mette in mano.
«Andiamo», fa poi. Mi sforzo di scacciare i pensieri spinti ed esco con lui in corridoio. Girando l’angolo, per poco vado a sbattere contro un ragazzo. Alzo gli occhi sul suo viso e rimango raggelata.
«Ehi, non ti vedevo da un po’», fa lui, e a me viene la nausea.
«Hardin», chiamo con voce stridula, e lui si gira: ci mette solo un istante a ricordare che è lo stesso tipo che ci aveva provato con me l’altra volta.
«Sta’ lontano da lei, Neil», sbotta. Neil impallidisce: evidentemente non aveva visto che c’era Hardin dietro di me. Peggio per lui.
«Scusa, Scott», dice, e se ne va.
«Grazie», sussurro a Hardin.
Lui mi prende per mano e apre la porta della sua stanza. «Dovrei prenderlo a calci in culo, vero?» chiede mentre mi siedo sul letto.
«No!» rispondo subito. Non capisco se dice sul serio, ma non ci tengo a scoprirlo. Lui accende la televisione, apre un cassetto e mi lancia una t-shirt e un paio di boxer.
Mi tolgo i jeans e infilo i boxer. Sono così grandi che devo risvoltarli in vita un paio di volte.
«Posso mettermi la maglietta che avevi addosso prima?» Solo dopo averlo detto mi rendo conto di quanto suoni strano.
«Eh?» fa lui sorridendo.
«Io… be’… lascia stare. Non so cosa mi sia passato per la testa», mento. Voglio mettermi la tua maglietta sporca perché profuma di buono? È una cosa da pervertiti, però è sexy.
Lui raccoglie la maglietta dal pavimento e me la porge. «Ecco, piccola.» Sono contenta che non mi abbia messa ulteriormente in imbarazzo, ma mi sento comunque un po’ scema.
«Grazie», trillo. Mi tolgo maglia e reggiseno e mi metto la sua t-shirt. La annuso e scopro che odora di buono, proprio come immaginavo.
Lui se ne accorge e mi guarda divertito. «Sei bellissima», osserva, e poi distoglie lo sguardo. Ho come l’impressione che non volesse dirlo a voce alta, e questo mi rende ancora più felice.
Gli sorrido e faccio un passo verso di lui. «Anche tu.»
«Basta così», ride, e arrossisce. «A che ora devi svegliarti domattina?» chiede sedendosi sul letto con il telecomando in mano.
«Alle cinque, ma metto la sveglia sul mio telefono.»
«Le cinque? Le cinque del mattino? La prima lezione quand’è, alle nove, vero? Perché ti alzi così presto?»
«Non lo so, per tenermi pronta…» Mi spazzolo i capelli.
«Be’, alziamoci alle sette: il mio corpo non risponde ai comandi prima delle sette.»
Sospiro: io e Hardin siamo così diversi. Cerco un compromesso: «Sei e mezzo?» «E va bene, sei e mezzo.»
Passiamo il resto della serata a fare zapping, e Hardin si addormenta con la testa sulle mie gambe e le mie dita tra i capelli. Mi divincolo per stendermi accanto a lui, facendo attenzione a non svegliarlo.
«Tess?» mormora cercandomi a tentoni.
«Sono qui», bisbiglio alle sue spalle. Si gira sull’altro fianco e mi abbraccia prima di riaddormentarsi. Sostiene di dormire meglio quand’è con me, e penso che per me sia lo stesso.
Alle sei e mezzo suona la sveglia. Mi affretto a rimettermi i vestiti del giorno prima e sveglio Hardin. Mi sento ansiosa e impreparata, ma arriviamo in camera mia alle sette e un quarto: ho tutto il tempo di cambiarmi, pettinarmi e lavarmi di nuovo i denti. Steph non si sveglia, e impedisco a Hardin di farlo con un bicchiere d’acqua in testa. Con mio grande sollievo si astiene anche dal fare commenti sgarbati sulla gonna lunga e la camicetta azzurra che indosso.
«Vedi, sono solo le otto: abbiamo venti minuti prima di uscire per andare alla caffetteria», mi fa notare orgoglioso.
«Abbiamo?»
«Già, pensavo di accompagnarti… Se non vuoi non fa niente…» dice abbassando lo sguardo.
«Ma sì, certo che puoi venire.» Non sono abituata a questa nuova… situazione tra di noi. Sono felice di non doverlo più evitare, di non dover temere di incontrarlo per caso.
Cosa ne penserà Landon? Sempre che glielo diciamo. Glielo diremo?
«Cosa possiamo fare in questi venti minuti?» Sorrido.
«Qualche idea ce l’avrei», ghigna, e mi tira a sé.
«C’è Steph», gli ricordo mentre mi bacia dietro l’orecchio.
«Lo so, ci stiamo solo baciando.»
Ce ne andiamo prima che Steph si svegli, e Hardin si offre di portarmi la borsa. Una gentilezza inaspettata.
«Dove sono i tuoi libri?» gli chiedo.
«Non me li porto. Ne prendo uno in prestito ogni giorno, a ogni lezione. Così non devo portarmi dietro una di queste», dice indicando la mia borsa sulla sua spalla. Scoppio a ridere.
Alla caffetteria troviamo Landon appoggiato alla parete: sembra sorpreso di vederci insieme. Lo guardo come per dire: Ti spiego dopo, e lui mi sorride.
«Be’, ora devo andare, mi aspettano varie ore di lezione da trascorrere dormendo», fa Hardin. Cosa dovrei fare, abbracciarlo?
Ma prima che possa decidere, lui lascia cadere la mia borsa, mi cinge in vita, mi tira a sé e mi bacia. Non me l’aspettavo. Ricambio il bacio.
«Ci vediamo dopo», sorride e lancia un’occhiata a Landon. La situazione non potrebbe essere più imbarazzante. Landon è esterrefatto.
«Ehm… scusa.» Non mi piacciono le smancerie in pubblico. Io e Noah non abbiamo mai fatto niente del genere, tranne quella volta che ho provato a baciarlo al centro commerciale perché volevo togliermi dalla testa Hardin.
«Ho un sacco di cose da raccontarti», dico a Landon mentre raccoglie la mia borsa. 
55
LANDON ascolta in silenzio il mio resoconto della rottura con Noah e i miei dubbi su come definire la relazione con Hardin, ovvero il fatto che secondo me stiamo insieme ma non ce lo siamo detto esplicitamente.
«Ti ho già messa in guardia, quindi non mi ripeterò. Ma per favore, sta’ attenta con lui. Ammetto che sembra cotto di te, nella misura in cui può esserlo uno come lui», dice mentre andiamo a sederci.
Apprezzo molto che Landon faccia del suo meglio per capirmi e sostenermi, benché Hardin non gli stia affatto simpatico.
Mentre entro nell’aula per la terza ora, il professore di sociologia mi fa cenno di raggiungerlo alla cattedra.
«Mi hanno appena avvertito che devi andare nell’ufficio del rettore», mi comunica.
Mi vengono in mente un milione di scenari orribili, ma quando mi ricordo che il rettore è il padre di Hardin mi rilasso un po’. Poi però mi assale il nervosismo per un altro motivo: cosa vorrà? So che il college non funziona come il liceo, ma mi sembra di essere stata convocata nell’ufficio del preside, solo che il preside è il padre del mio… ragazzo?
Metto in spalla la borsa e attraverso il campus diretta all’edificio dell’amministrazione. È una camminata di oltre mezz’ora. Mi presento alla segretaria, che prende subito il telefono. Non sento niente di quello che dice, a parte «dottor Scott».
«Può riceverla ora», mi risponde lei con un sorriso professionale, indicando la porta in fondo all’atrio.
La raggiungo, ma prima che possa bussare la porta si apre cigolando e Ken mi accoglie con un sorriso. «Tessa, grazie di essere venuta.» Mi fa entrare e mi fa cenno di sedermi. Si accomoda su una grossa sedia girevole dietro un’enorme scrivania di ciliegio. Mi mette molto più in soggezione in quest’ufficio che a casa sua.
«Scusa se ti ho fatta uscire dall’aula. Non sapevo in quale altro modo trovarti, e sai bene che contattare Hardin è… complicato.»
«Nessun problema. Qualcosa non va?» chiedo, nervosa.
«No, al contrario. Devo parlarti di alcune cose. Cominciamo dallo stage.» Si sporge sul tavolo e ci posa le mani sopra. «Sono felice di poterti comunicare che ho parlato con il mio amico alla Vance, e vuole vederti il prima possibile. Se sei libera domani sarebbe perfetto.»
«Davvero?!» strillo, e mi alzo in piedi per l’entusiasmo. Poi mi vergogno di averlo fatto e mi risiedo subito. «È fantastico, grazie mille! Non ha idea di quanto lo apprezzi!» gli dico. È una notizia meravigliosa, non ci credo ancora che quest’uomo abbia fatto una cosa del genere per me.
«Il piacere è mio, Tessa. Allora, gli dico che ci vai domani?»
Non voglio saltare le lezioni, ma in questo caso ne vale la pena, e comunque mi sono già portata avanti con lo studio. «Sì, domani va benissimo. Grazie ancora. Wow», faccio, e lui ride.
«Ora, la seconda cosa di cui volevo parlarti. E se rifiuti, non c’è problema. È più che altro una richiesta personale, un favore, diciamo. Il tuo stage alla Vance non ne sarà minimamente influenzato, se rifiuti.» Sono nervosa, ma annuisco e lui continua: «Non so se Hardin ti ha parlato del fatto che io e Karen ci sposiamo fra due weekend».
«Sapevo che stavate per sposarvi. Congratulazioni», rispondo. Ripenso a quando Hardin è piombato in casa loro e si è scolato quasi un’intera bottiglia di whisky.
Mi rivolge un sorriso affabile. «Grazie mille. Mi chiedevo… se per caso tu… non potresti, in qualche modo,… convincere Hardin a venire.» Distoglie lo sguardo. «So che è una richiesta inappropriata, ma mi dispiacerebbe molto se lui non venisse. E secondo me tu sei l’unica che riuscirebbe a fargli cambiare idea. Gliel’ho chiesto diverse volte ma ha sempre detto subito di no.» Fa un sospiro.
Non so proprio cosa rispondergli. Mi piacerebbe molto convincere Hardin ad andare al matrimonio di suo padre, ma dubito che mi darà retta. Perché pensano tutti che lui mi presti ascolto? Mi ritorna in mente quando Ken ha detto di essere contento che Hardin fosse innamorato di me: un’idea assurda, oltre che sbagliata.
«Gli parlerò senz’altro. Sarei felice che ci andasse», gli dico in tutta sincerità.
«Davvero? Grazie mille, Tessa. Spero che tu non ti senta tenuta a dirmi di sì, ma spero di vedervi entrambi al matrimonio.»
A un matrimonio, con Hardin? L’idea mi entusiasma, ma sarà difficile persuaderlo.
«Karen si è già affezionata a te, è stata contenta di averti avuta a casa con noi lo scorso fine settimana. Sei la benvenuta, sempre.»
«Sono stata bene. Magari posso sentirla per quelle lezioni di cucina che mi ha offerto», gli dico ridendo. Quando sorride somiglia moltissimo a Hardin. Desidera così tanto riallacciare i rapporti con il figlio: mi piange il cuore per lui. Se posso aiutarlo lo farò senz’altro.
«Ne sarebbe felicissima! Passa quando vuoi», esclama.
«Grazie ancora per avermi aiutata con lo stage. Significa molto per me.»
«Ho visto la tua domanda di ammissione e i voti degli esami, e sono molto buoni. Hardin potrebbe imparare tanto da te», confessa, con una scintilla di speranza negli occhi.
Mi sento arrossire mentre gli sorrido e lo saluto. Attraverso di nuovo il campus ed entro nell’edificio di letteratura solo cinque minuti prima che inizi la lezione. Trovo Hardin seduto al suo vecchio posto e non riesco a trattenere un sorriso.
«Hai mantenuto la tua promessa, e io la mia», mi fa notare ricambiando il sorriso.
Saluto Landon e mi siedo tra di loro.
«Perché sei arrivata così tardi?» bisbiglia Hardin mentre il professore inizia la lezione.
«Te lo dico dopo.» Se gliene parlassi adesso farebbe una scenata davanti a tutti.
«Dimmelo.»
«Ho detto che te lo dico dopo. Non è niente di importante», lo rassicuro. Lui sospira ma si arrende.
Al termine della lezione Hardin e Landon si alzano insieme, e io non so da chi dei due andare. Di solito parlo con Landon e usciamo dall’aula insieme, ma ora che è tornato Hardin non so se mantenere questa abitudine.
«Sei ancora dell’idea di venire al falò con me e Dakota, venerdì? Pensavo che prima potresti cenare da noi. A mia madre farebbe molto piacere», mi propone Landon prima che Hardin possa aprir bocca.
«Sì, certo che vengo. Va bene anche per la cena: fammi sapere a che ora devo essere da voi.» Non vedo l’ora di conoscere Dakota. Rende felice Landon, e per questo mi sta già simpatica.
«Ti mando un messaggio», dice e se ne va.
«Ti mando un messaggio», lo scimmiotta Hardin.
«Non prenderlo in giro», ribatto irritata.
«Ah già, dimenticavo che ti arrabbi. Sei quasi saltata alla gola di Molly quando l’ha preso in giro.»
Gli do uno spintone. «Dico sul serio, Hardin, lascialo stare.» Poi, per alleggerire la richiesta, aggiungo: «Per favore».
«Abita con mio padre. Ho il diritto di prenderlo in giro.» Rido, ma mentre usciamo dall’edificio decido di passare all’attacco: adesso o mai più.
«A proposito di tuo padre…» Mi giro a guardarlo e vedo che è già teso. Mi lancia un’occhiata sospettosa, è sulle spine. «È da lui che sono andata, prima. Nel suo ufficio. Mi ha organizzato un colloquio alla Vance per domani. Non è fantastico?» «Cos’ha fatto?» sbotta.
«Mi ha organizzato un colloquio. È un’ottima occasione per me, Hardin.» Cerco di farlo ragionare.
«E va bene», sospira.
«E c’è dell’altro.»
«Certo, figuriamoci se non c’era dell’altro.»
«Mi ha invitato al matrimonio… be’, ci ha invitati. Ha invitato noi al matrimonio.»
«No, non ci vado», dichiara guardandomi malissimo. «Fine della discussione.» Si gira e si allontana.
«Aspetta, stammi a sentire, almeno. Per favore…» Cerco di prenderlo per il polso ma mi schiva.
«No. Devi starne fuori, Tessa. Non scherzo. Fatti gli affari tuoi, per una volta.» «Hardin…»
Lui mi ignora e prosegue verso il parcheggio. Io resto impietrita, non riesco a seguirlo. Vedo la sua macchina bianca che se ne va. Ha avuto una reazione eccessiva, e io non intendo alimentare la sua rabbia. Devo aspettare che si calmi prima di rivolgergli di nuovo la parola. Sapevo che avrebbe detto di no, ma speravo che saremmo almeno riusciti a parlarne.
Ma chi voglio prendere in giro? Siamo «più che amici» da appena due giorni. Non so perché continuo ad aspettarmi che le cose siano tanto diverse da prima. Per certi versi lo sono: Hardin tende a comportarsi meglio con me, e mi ha baciata in pubblico, cosa che mi ha molto stupita. Ma è sempre l’Hardin di prima, cocciuto e prepotente. Sospiro, mi rimetto la borsa in spalla e torno in dormitorio.
Steph è seduta per terra a gambe incrociate a guardare la televisione. «Dove sei stata ieri sera? Non è da te tirare tardi quando il giorno dopo c’è lezione, signorinella», scherza.
«Ero… in giro.» Non so se dirle che ho dormito da Hardin.
«Con Hardin», aggiunge lei al posto mio. Abbasso lo sguardo. «Lo so, perché mi ha chiesto il tuo numero e poi se n’è andato dal bowling e non è più tornato.» Sfodera un sorrisone: è proprio contenta per me.
«Non dirlo a nessuno. Non so neppure io come stiano le cose di preciso», le confido.
Promette di tenere la bocca cucita. Per il resto del pomeriggio parliamo di lei e Tristan, finché lui arriva a prenderla per andare a cena fuori. La bacia appena lei gli apre la porta, la tiene per mano mentre lei prende le sue cose e le sorride per tutto il tempo. Perché anche Hardin non si comporta così con me?
Non lo sento da qualche ora, ma non voglio essere io a chiamarlo per prima. È infantile, lo so, ma non me ne importa niente. Una volta che Steph e Tristan se ne sono andati, finisco di studiare e sto per andare a fare la doccia quando sento vibrare il telefono. Mi balza il cuore in gola vedendo il nome di Hardin.
Stai da me stasera? dice il messaggio. Non mi parla da ore, e vuole che dorma da lui?
Di nuovo?
Perché? Così puoi trattarmi male di nuovo? rispondo. Voglio vederlo, ma ce l’ho ancora con lui.
Sto arrivando, piccola, tieniti pronta. Quel tono prepotente mi irrita, ma non riesco a non rallegrarmi all’idea che sto per rivederlo.
Corro a fare la doccia per non doverla fare di nuovo alla confraternita. Mi resta appena il tempo di preparare i vestiti per domani. Non ho proprio voglia di andare alla Vance in autobus, quando in macchina ci vorrebbe solo mezz’ora, quindi mi dico che è proprio ora di ricominciare a cercarmi un’auto. Sto sistemando i vestiti ben piegati nel borsone quando Hardin apre la porta… senza bussare, ovviamente.
«Pronta?» chiede, e prende la mia borsetta dal comò. Annuisco, metto il borsone in spalla e lo seguo. Andiamo alla sua macchina in silenzio, e mi trovo a pregare che la serata non prosegua così.
56
GUARDO fuori dal finestrino, non voglio essere io a parlare per prima. Dopo un paio di isolati, Hardin accende la radio a volume troppo alto. Sono indispettita, ma cerco di non farci caso; poi però non resisto più. Odio la musica che ascolta, mi è già venuto il mal di testa. Senza chiedere il permesso, abbasso il volume.
Hardin si gira verso di me.
«Cosa c’è?» scatto.
«Ehi, qualcuno ce l’ha con il mondo…» commenta lui.
«No, è solo che non volevo ascoltare quella roba. E se c’è qualcuno di malumore, qui dentro, quello sei tu. Prima mi hai trattata male, poi mi hai scritto per chiedermi di dormire da te: non capisco.»
«Ero incazzato per quel discorso sul matrimonio. Ora che il discorso è chiuso, e abbiamo appurato che non ci andremo, non ho più motivo di essere incazzato.» Parla in tono calmo e sicuro di sé.
«Il discorso non è affatto chiuso: non ne abbiamo neppure parlato.»
«Sì, invece. Ti ho detto che non ci vado, perciò lascia perdere, Theresa.»
«Be’, tu non ci andrai, ma io sì. E questa settimana vado a casa di tuo padre perché
Karen vuole insegnarmi a fare le torte.»
Si irrigidisce e mi guarda male. «Tu non ci vai, al matrimonio. E cos’è successo, tu e Karen siete amiche del cuore, adesso? La conosci appena.» «E allora? Conosco appena anche te.» Si rabbuia. Mi sento in colpa, ma è la verità.
«Perché fai tanto la difficile?» dice tra i denti.
«Perché tu non puoi dirmi cosa devo fare, Hardin. Non credere di potermi comandare a bacchetta. Se voglio andare al matrimonio ci andrò, e mi piacerebbe molto che tu venissi con me. Potresti divertirti, chissà. Faresti felici tuo padre e Karen, sempre che te ne importi qualcosa.»
Sospira e non risponde, e io torno a vedere il panorama fuori dal finestrino. Cala il silenzio. Quando arriviamo alla confraternita, Hardin prende il mio borsone dal sedile posteriore e se lo mette in spalla.
«Che ci fai in una confraternita, comunque?» gli chiedo. Muoio dalla voglia di saperlo fin da quando l’ho scoperto.
Fa un respiro profondo mentre saliamo le scale. «Perché quando ho accettato di venire qui i dormitori erano già al completo, e di sicuro non volevo abitare con mio padre, perciò era una delle poche possibilità che mi restavano.»
«Ma perché ci abiti?»
«Perché non voglio abitare con mio padre, Tessa. E poi guarda com’è bella questa casa, e mi hanno dato la stanza più grande», sogghigna. Sono felice di vedere che gli sta passando la rabbia.
«Quello che intendo è perché non vivi fuori dal campus?» Non risponde e mi dico che forse non vuole cercarsi un lavoro.
Lo seguo in silenzio fino alla sua stanza e aspetto che apra la porta. Chissà per quale motivo la chiude sempre a chiave…
«Perché non lasci entrare nessuno in camera tua?»
Alza gli occhi al cielo e posa la mia borsa a terra. «Perché fai sempre tutte queste domande?» Va a sedersi sulla sedia.
«Non lo so, e tu perché non rispondi?» Ovviamente mi ignora. «Posso appendere i miei vestiti nell’armadio? Altrimenti si spiegazzano.»
Sembra rifletterci, ma poi va a prendere un appendiabiti. Ci sistemo sopra la gonna e la camicetta, senza badare all’espressione disgustata con cui lui le guarda.
«Devo alzarmi prima del solito, domattina, perché devo essere alla fermata dell’autobus alle nove meno un quarto. La fermata è a tre traverse da qui e mi porta a due isolati dalla Vance», gli spiego.
«Cosa? Ci vai domani? Perché non me l’hai detto?»
«Te l’ho detto, ma eri troppo impegnato a tenermi il muso e non mi ascoltavi», ribatto.
«Ti accompagno io: non c’è bisogno che tu ti faccia un’ora in autobus.»
Vorrei rifiutare per fargli dispetto, ma poi decido che non è il caso. Molto meglio la macchina di Hardin che un autobus affollato.
«Comprerò una macchina al più presto, non resisto più senza. Se mi prendono per lo stage dovrei andare fin lì in autobus più di un giorno a settimana.» «Ti accompagnerei», sussurra.
«Mi procurerò una macchina. Ci manca solo che non vieni a prendermi perché sei arrabbiato con me.»
«Non farei mai una cosa del genere», risponde serissimo.
«Sì che la faresti. E allora mi toccherebbe prendere l’autobus. No, grazie.» Non penso sul serio di non poter fare affidamento su di lui, ma non voglio correre rischi. È troppo volubile.
Accende la televisione e si alza per cambiarsi. Per quanto sia arrabbiata con lui, non direi mai di no a un’occasione di vederlo seminudo. Si toglie la maglietta e si tira giù i jeans neri attillati. Mi aspetto i soliti boxer, invece tira fuori dal comò un paio di slip di cotone leggero, e li infila. Resta a torso nudo, per mia fortuna.
«Ecco», borbotta porgendomi la maglietta che si è appena tolto. La prendo e non riesco a trattenere un sorriso. Ormai va così, tra noi: gli piace che io dorma con la sua maglietta, e a me piace sentire il suo profumo sul tessuto. Mentre la indosso e infilo i pantaloni del pigiama lui continua a guardare la televisione. I pantaloni sono dei leggings elasticizzati, ma sono comodi. Piego il reggiseno e gli abiti, e solo allora Hardin si gira verso di me. Si schiarisce la voce e mi squadra dalla testa ai piedi.
«Quelli lì sono… ehm… molto sexy.»
«Grazie», dico arrossendo.
«Molto meglio del pigiama di flanella», ridacchia. Rido anch’io e mi siedo per terra. Mi sento stranamente a mio agio in camera sua. Forse sono i libri, o forse è Hardin.
«Parlavi sul serio, in macchina, quando hai detto che mi conosci appena?» mi chiede a bassa voce.
La domanda mi coglie alla sprovvista. «Più o meno. Non è facile conoscerti.» «A me pare di conoscerti», ribatte guardandomi negli occhi.
«Sì, perché io te lo permetto. Ti racconto qualcosa di me.»
«Anch’io ti racconto cose. Potrà sembrarti di no, ma mi conosci meglio di chiunque altro.» Sposta lo sguardo a terra, poi di nuovo verso di me. Ha un’aria triste e vulnerabile, molto diversa dalla solita faccia stizzita ma altrettanto affascinante.
Non so cosa rispondere alla sua confessione: ho l’impressione di conoscerlo a un livello molto personale, come se tra noi ci fosse un legame più profondo rispetto alla somma delle informazioni che sappiamo l’uno sul conto dell’altra; ma non credo sia ancora abbastanza. Devo saperne di più.
«Anche tu mi conosci meglio di chiunque altro», ammetto. Conosce me, la vera Tessa. Non la Tessa che devo fingere di essere quando parlo con mia madre, e persino con Noah. Ho raccontato a Hardin di quando mio padre se n’è andato, delle critiche di mia madre, delle mie paure: tutte cose che non avevo mai confidato a nessuno. Lui sembra contento di sentirle: sorride, si alza e viene da me, mi prende per le mani e mi fa alzare in piedi.
«Cosa vuoi sapere, Tessa?»
Mi si scalda il cuore: Hardin è finalmente pronto a parlarmi di sé. Sto per scoprire chi è davvero questo ragazzo complicato e rabbioso, ma a volte adorabile.
Ci sdraiamo sul letto e guardiamo il soffitto. Gli faccio almeno cento domande. Parla del posto in cui è cresciuto, Hampstead, e dice che si stava molto bene lì. Parla della cicatrice che ha sul ginocchio, che si è fatto imparando ad andare in bicicletta senza rotelle e quando sua madre ha visto il sangue è svenuta. Suo padre era al bar quel giorno – per tutto il giorno – quindi è stata la madre a insegnarglielo. Mi racconta delle elementari e delle medie, quando passava quasi tutto il tempo a leggere. Non è mai stato molto socievole, e con gli anni suo padre beveva sempre di più e i suoi genitori litigavano sempre più spesso. Racconta che l’hanno espulso dal liceo dopo una rissa, ma sua madre li ha scongiurati di riammetterlo. Ha iniziato a tatuarsi a sedici anni; un suo amico li faceva nel seminterrato di casa. Il primo è stato una stella, dopodiché non si è più fermato. Mi dice che non c’è un motivo preciso per cui non si è tatuato la schiena: semplicemente non ci è ancora arrivato. Odia gli uccelli, anche se ne ha due disegnati sopra le clavicole, e gli piacciono le auto d’epoca. Il giorno più bello della sua vita è stato quando ha imparato a guidare, e il peggiore quando i suoi genitori hanno divorziato. Suo padre ha smesso di bere quando lui aveva quattordici anni e da allora tenta di farsi perdonare, ma Hardin non ne vuole sapere.
Mi gira la testa per tutte queste nuove informazioni, e finalmente mi sembra di capirlo. Ci sono tante altre cose che vorrei sapere, ma lui si addormenta mentre mi racconta che a otto anni ha costruito una casetta con delle scatole di cartone, aiutato dalla madre e da un’amica di lei. Mentre lo guardo dormire mi sembra molto più giovane, ora che riesco a immaginarmelo da bambino. Un’infanzia tutto sommato felice finché l’alcolismo del padre l’ha avvelenata, generando l’Hardin che conosco oggi: arrabbiato con il mondo, fiero e ribelle. Mi chino a baciarlo sulla guancia, poi mi metto a dormire anch’io.
Per non svegliarlo lo lascio sopra le coperte. Quella notte, sogno un bambino riccioluto che cade dalla bici.
«Basta!»
Mi sveglio di soprassalto sentendo gridare Hardin. Mi guardo intorno e lo vedo sul pavimento: si sta dimenando nel sonno. Corro da lui e lo scuoto delicatamente per le spalle. Ricordo quant’è stato difficile svegliarlo la volta prima, quindi lo cingo con le mie braccia magre per farlo stare fermo. Dalle sue labbra perfette sfugge un lamento. Poi apre gli occhi di scatto.
«Tess», ansima, e mi abbraccia. Boccheggia, è sudato. Avrei dovuto chiedergli degli incubi, ma non volevo esagerare; mi ha già detto molto più di quanto mi aspettassi.
«Sono qui, sono qui», rispondo per confortarlo. Lo tiro per un braccio, gli faccio capire che deve rimettersi a letto. Quando i suoi occhi incontrano i miei, la confusione e la paura si dissipano lentamente.
«Pensavo che te ne fossi andata», bisbiglia. Ci sdraiamo e lui mi tira a sé, più vicina possibile. Gli passo le dita tra i capelli umidi e spettinati. Chiude gli occhi.
Non dico niente. Continuo a massaggiargli la testa perché si rilassi.
«Non lasciarmi mai, Tess», sussurra, e si riaddormenta. Il cuore mi scoppia di gioia:
finché Hardin mi vorrà con sé, io ci sarò.
57
LA mattina seguente mi sveglio prima di lui e riesco a farlo rotolare giù da me e a sciogliere le gambe dalle sue senza svegliarlo. Il ricordo del sollievo con cui ha pronunciato il mio nome, e di tutti i segreti che mi ha rivelato, mi rende felice. Era così sincero e schietto, ieri sera, che sento di amarlo ancora di più. La forza dei sentimenti che provo per lui mi spaventa: non sono ancora pronta ad affrontarli. Prendo il ferro arricciacapelli e i cosmetici che mi ha prestato Steph e vado in bagno.
Il corridoio è deserto, e nessuno bussa alla porta mentre mi preparo. Non sono altrettanto fortunata sulla strada del ritorno: tre ragazzi vengono verso di me in corridoio, e uno di loro è Logan.
«Ciao, Tessa!» trilla, sfoderando il suo sorriso perfetto.
«Ciao, come stai?» Mi sento a disagio: mi fissano tutti e tre.
«Bene, stavamo giusto uscendo. Ti trasferisci a vivere qui?» mi chiede, e scoppia a ridere.
«No, certo che no. Sono solo… ehm, in visita.» Non so proprio cosa dire. Il ragazzo alto si china a sussurrare qualcosa all’orecchio di Logan. Non capisco le parole, ma abbasso gli occhi. «Be’, ci si vede dopo», taglio corto.
«Sì, ci vediamo stasera alla festa», dice Logan prima di andarsene con gli altri.
Quale festa? Perché Hardin non me ne ha parlato? Forse non pensa di andarci? O forse non vuole che tu ci venga, aggiunge il mio subconscio. Chi è che dà una festa in un giorno della settimana, comunque?
La porta di Hardin si socchiude prima che le mie dita tocchino la maniglia.
«Dov’eri?» mi chiede, aprendo di più la porta per lasciarmi passare.
«A pettinarmi. Volevo lasciarti dormire.»
«Ti ho detto di non girare da sola in corridoio, Tessa.»
«E io ti ho detto di non darmi ordini, Hardin.»
«Touché.» Mi posa una mano sulla schiena e l’altra sulla pancia, sotto la maglietta. Ha le dita ruvide, piene di calli, ma scivolano delicatamente sulla mia pelle, risalgono sempre più in su.
«Dovresti proprio metterti un reggiseno, quando giri per i corridoi di una confraternita.» Mi posa le labbra sull’orecchio nell’esatto istante in cui le sue dita trovano il mio seno. Accarezza i capezzoli con i pollici, facendoli indurire. Inspira profondamente. Ho i muscoli paralizzati, ma il cuore mi batte a mille. «Non si sa mai che genere di pervertiti si aggirano nei corridoi», mi bisbiglia all’orecchio.
Mi disegna un circolo intorno ai capezzoli con i pollici e poi li pizzica delicatamente.
Poso la testa sul suo petto e non riesco a trattenere un mugolio.
«Scommetto che riuscirei a farti venire anche così», dice, e applica più pressione.
Non immaginavo che potesse essere tanto… bello. Annuisco. Hardin ridacchia, le labbra ancora sul mio orecchio. «Lo vuoi? Vuoi che ti faccia venire?» domanda, e io annuisco ancora. C’è bisogno che me lo chieda? I miei sospiri e le ginocchia tremanti dovrebbero avermi già tradita.
«Brava, allora andiamo…» inizia, ma in quel momento suona la sveglia sul mio cellulare.
«Oddio!» esclamo scattando sull’attenti. «Dobbiamo partire tra dieci minuti, Hardin, e tu non sei neppure vestito, e neanch’io!»
Cerco di staccarmi da lui ma mi avvicina di nuovo a sé, e stavolta mi tira giù i pantaloni e le mutandine. Dopodiché spegne l’allarme del telefono.
«Mi bastano due minuti: ne restano otto per vestirci.» Mi prende in braccio e mi porta sul letto. Mi ci fa sedere, si inginocchia davanti a me, mi tira per le caviglie per farmi scorrere fino al bordo e mormora: «Allarga le gambe, piccola». Obbedisco.
Questa attività non era nei miei programmi per stamattina, ma non mi viene in mente un modo migliore di iniziare la giornata. Mi tiene ferma con una mano e china la testa. Fa scorrere la lingua verso l’alto e poi verso il basso, dopo inizia a succhiare. Oddio, ha trovato di nuovo quel punto magico… Inarco la schiena ma lui mi spinge giù e continua a tenermi ferma. Infila dentro di me un dito dell’altra mano e lo muove più velocemente di quanto abbia mai fatto. Non so se sia più bello ciò che mi sta facendo con le mani o con la bocca, ma la combinazione è mozzafiato. Nel giro di pochi secondi avverto quella familiare sensazione di calore, e il movimento del dito accelera.
«Adesso provo con due, va bene?» dice. Rispondo con un mugolio. È una sensazione strana e un po’ fastidiosa, come la prima volta che ha infilato un dito, ma quando ricomincia a succhiare dimentico il dolore. Piagnucolo quando lui alza di nuovo la testa.
«Oh, piccola, sei così stretta.» Bastano quelle parole a farmi perdere il controllo. «Tutto bene?» mi chiede.
Lo afferro per i ricci e gli tiro giù la testa. Lui sghignazza e ricomincia a succhiare. Mormoro il suo nome e gli tiro i capelli mentre vengo travolta dall’orgasmo più intenso della mia vita. Non che ne abbia avuti molti, ma questo è stato sicuramente il più rapido e il più forte. Hardin mi posa un bacio leggero sul fianco e poi si alza e va all’armadio. Sollevo la testa e cerco di riprendere fiato. Lui torna da me e mi asciuga con una maglietta. Sarei imbarazzata, se fossi abbastanza lucida per rendermi conto della situazione.
«Torno subito, vado a lavarmi i denti.» Sorride ed esce dalla stanza. Mi tiro su, mi vesto e controllo l’ora. Dobbiamo uscire fra tre minuti. Hardin rientra, si veste rapidamente e ce ne andiamo.
«Sai la strada?» gli chiedo mentre lasciamo il parcheggio.
«Sì, Christian Vance è il migliore amico di mio padre dai tempi dell’università», mi spiega. «Ci sono stato un paio di volte.»
«Oh… accidenti.» Sapevo che Ken conosceva qualcuno nella casa editrice, ma non immaginavo che l’amministratore delegato fosse il suo migliore amico.
«Non preoccuparti, è un tipo tranquillo. Un po’ inquadrato, ma simpatico: ti troverai bene.» Il suo sorriso è contagioso. «Sei molto carina oggi, a proposito.» «Grazie. Stamattina mi sembri di buonumore», ironizzo.
«Sì, infilare la testa tra le tue gambe così di buon’ora fa cominciare bene la giornata.» Ride e mi prende la mano.
«Hardin!» esclamo con tono di rimprovero, ma lui continua a ridere.
Dopo un breve tragitto raggiungiamo un palazzo di sei piani in vetro specchiato con una grande V sulla facciata.
«Sono nervosa», ammetto, controllandomi il trucco allo specchio.
«Non devi: te la caverai benissimo. Sei intelligente, e lui se ne accorgerà.»
Dio, lo adoro quando è così gentile. «Grazie», gli dico, e mi sporgo a baciarlo. È un bacio dolce e semplice.
«Ti aspetto in macchina.» Mi dà un altro bacio.
L’interno del palazzo è elegante quanto l’esterno. Alla reception mi consegnano un pass giornaliero e mi dicono di andare al sesto piano.
Mi presento al giovane segretario, che sfodera un sorriso bianchissimo e mi accompagna in un grande ufficio. «Mr Vance, c’è Theresa Young per lei», annuncia a un uomo di mezz’età con la barba corta che intravedo dalla soglia.
Mr Vance mi fa cenno di entrare e si alza per venirmi incontro. I suoi occhi verdi si vedono anche da lontano; il suo sorriso è cordiale e mi mette subito a mio agio. Mi stringe la mano e mi invita a sedermi.
«È un piacere conoscerti, Theresa. Grazie di essere venuta.» «Tessa, mi chiami Tessa. Grazie di avermi invitata», sorrido.
«Allora, Tessa, sei al primo anno di università e studi letteratura?» «Sì, esatto.»
«Ken Scott mi ha parlato molto bene di te, mi ha detto che non sapevo cosa mi sarei perso se non ti avessi presa per uno stage.»
«Ken è una persona molto gentile», rispondo, e lui annuisce, accarezzandosi la barba.
Mi chiede cos’ho letto ultimamente, chi sono i miei scrittori preferiti e quelli che non amo, e perché. Ascolta con attenzione, e alla fine sorride.
«Be’, Tessa, quando puoi iniziare? Ken dice che si può condensare l’orario delle tue lezioni, in modo da conciliare gli impegni universitari con lo stage», spiega.
«Davvero?» balbetto. È più di quanto mi aspettassi. Immaginavo di dover frequentare le lezioni serali e venire al lavoro di giorno, sempre che mi avessero presa.
«Sì, inoltre riceverai dei crediti formativi per il tempo che trascorri qui.»
«Grazie infinite. È un’occasione fantastica! Grazie, grazie ancora.» Non credo alla mia fortuna.
«Parleremo dello stipendio lunedì, quando inizi.»
«Stipendio?» Davo per scontato che fosse uno stage gratuito.
«Certo, naturalmente sarai retribuita per il tuo tempo», conferma sorridendo.
Annuisco, temendo che se aprissi la bocca lo ringrazierei per la millesima volta.
Torno alla macchina praticamente correndo. Vedendomi avvicinare, Hardin apre la portiera e scende.
«Allora?»
Faccio un gridolino eccitato. «Ce l’ho fatta! E mi pagano anche! E mi danno i crediti formativi… e lui è stato così gentile… e tuo padre è un angelo a fare questo per me… e anche tu, ovviamente. Sono così emozionata, e… be’… basta, direi.» Scoppio a ridere. Lui mi abbraccia stretta e mi solleva in aria.
«Sono tanto felice per te.»
«Grazie», gli dico mentre mi posa a terra. «Davvero, grazie di avermi accompagnata e di aver aspettato in macchina.»
Mi assicura che l’ha fatto volentieri, e una volta risaliti in auto mi chiede cosa voglio fare nel resto del pomeriggio.
«Tornare all’università, naturalmente; facciamo ancora in tempo ad andare a letteratura.»
«Veramente? Scommetto che potremmo trovare cose molto più divertenti da fare.»
«Ho già saltato troppe lezioni per oggi; non voglio perderne altre. Io vado a letteratura, e dovresti venirci anche tu», lo informo sorridendo.
Mi guarda indispettito ma poi fa cenno di sì.
Arriviamo appena in tempo per l’inizio della lezione. Racconto tutte le novità a Landon, che si congratula con me e mi abbraccia.
Hardin ridacchia sgarbatamente dietro di noi e io gli tiro un calcio sotto la sedia.
Dopo la lezione, esce con me e Landon, che stiamo parlando del falò di venerdì. Ci accordiamo per vederci a casa sua alle cinque, per cena, e alle sette andremo al falò. Hardin resta in silenzio per tutto il tempo, e io mi domando se verrà. A un certo punto ha detto di voler venire, ma sono convinta che fosse solo per competere con Zed. Arrivati al parcheggio, Landon ci saluta e se ne va fischiettando.
«Scott!» chiama qualcuno. Ci giriamo e vediamo Nate e Molly venire verso di noi. Fantastico, ci mancava giusto lei! Indossa una canotta e una gonna di pelle rossa: siamo solo a inizio settimana e ha già quasi esaurito il bonus di puttanaggine. Dovrebbe risparmiarselo per il weekend.
«Ciao», dice Hardin, e fa un passo di lato per allontanarsi da me.
«Ciao, Tessa», mi saluta Molly.
Ricambio il ciao e resto lì impalata mentre Hardin e Nate si salutano.
«Sei pronto?» gli chiede Nate, e a quel punto capisco che Hardin ha dato loro appuntamento per vederci qui. Non so perché pensassi che saremmo rimasti insieme per il resto della giornata: non possiamo stare appiccicati ogni minuto. Però poteva anche informarmi.
«Sì, sono pronto», risponde, poi si gira verso di me e con aria disinvolta dice: «Ci vediamo, Tessa». E se ne va con loro. Molly si volta a guardarmi con un ghigno sul viso truccatissimo e sale sulla macchina di Hardin davanti, mentre Nate va sul sedile posteriore.
E io resto sul marciapiede a domandarmi cosa cavolo sia successo.
58
MENTRE torno in camera capisco quanto sono stata stupida ad aspettarmi che Hardin fosse cambiato. Avrei dovuto sapere che era impossibile. Dovevo immaginare che era troppo bello per essere vero. Hardin che mi bacia davanti a Landon, Hardin che è buono e gentile e vuole «di più». Hardin che mi parla della sua infanzia. Avrei dovuto sapere che in presenza dei suoi amici sarebbe diventato di nuovo l’Hardin che disprezzavo fino a poche settimane fa.
«Ciao, bellezza! Vieni anche tu stasera?» mi chiede Steph quando entro nella nostra stanza. Tristan è seduto sul suo letto e la fissa adorante, proprio nel modo in cui vorrei che Hardin guardasse me.
«No, devo studiare», rispondo. È bello sapere che sono invitati tutti, ma che Hardin non ha ritenuto opportuno informarmi che c’era una festa in programma. Probabilmente vuole starsene con Molly senza distrazioni.
«Oh, ma dai! Ci divertiremo! Hardin viene!» dice sorridendo.
Mi costringo a sorriderle a mia volta. «Davvero, non importa. Devo chiamare mia madre e organizzare lo studio per la prossima settimana.»
«Secchioooona!» mi canzona lei. «Senti, fa’ come ti pare», continua poi prendendo la borsa. «Io starò fuori tutta la notte, se hai bisogno di qualcosa chiama pure.» Mi saluta con un abbraccio.
Telefono a mia madre e le racconto dello stage; naturalmente è felicissima. Ometto Hardin dal racconto, ma le parlo di Ken, dicendo che è il quasi-patrigno di Landon, il che è la verità. La mamma mi chiede di me e Noah, ma evito di risponderle. Sono felicemente sorpresa di scoprire che Noah non le ha raccontato la verità. Non era tenuto a farmi questo favore, ma gliene sono grata. Dopo aver ascoltato a lungo mia madre parlare di una nuova collega che secondo lei è l’amante del capo, le dico che devo proprio mettermi a studiare e la saluto. Come sempre, il mio pensiero va immediatamente a Hardin. La mia vita era molto più semplice prima che lo conoscessi, invece adesso… è complicata e stressante: oscillo dalla felicità estrema a un dolore bruciante nel petto quando immagino Hardin insieme a Molly.
Se me ne sto seduta qui finirò per impazzire. Sono soltanto le sei del pomeriggio quando mi arrendo e smetto di studiare. Forse potrei fare una passeggiata… Devo farmi qualche nuovo amico. Prendo il telefono e chiamo Landon.
«Ciao, Tessa!» La sua voce allegra placa un po’ la mia ansia.
«Ciao, Landon, hai da fare?»
«No, stavo vedendo la partita. Perché, qualcosa non va?»
«No, mi chiedevo solo se posso venire da te… Se tua madre ha tempo potremmo iniziare le lezioni di cucina», ridacchio.
«Certo, sarebbe felice. L’avviso che stai arrivando.»
«Okay, il prossimo autobus è tra mezz’ora, ma sarà da voi prima che posso.»
«Autobus? Ah già, dimenticavo che non hai ancora la macchina. Vengo a prenderti.»
«Non ce n’è bisogno, grazie. Non voglio disturbarti.»
«Tessa, sono meno di quindici chilometri. Parto subito.»
Prendo la borsa e controllo un’ultima volta il telefono. Ovviamente Hardin non ha scritto né chiamato. Detesto sentirmi in balìa dei suoi capricci, anche perché non è una persona su cui si possa fare affidamento.
Decisa a rivendicare la mia indipendenza, spengo il telefono. Se lo tenessi acceso lo controllerei ogni due minuti. Anzi, faccio di meglio: lo lascio direttamente in camera. Lo metto nel primo cassetto del comò ed esco ad aspettare Landon.
Pochi minuti dopo arriva e dà un colpetto di clacson. Sobbalzo per la sorpresa e ridiamo entrambi.
«Mia madre si sta proprio dando da fare in cucina, quindi preparati a una lezione molto approfondita», mi avvisa.
«Davvero? Adoro le lezioni approfondite!»
«Lo so, in questo siamo uguali», dice accendendo la radio. C’è una delle mie canzoni preferite. «Posso alzare il volume?» «Ti piacciono i Fray?» chiede sorpreso.
«Sono il mio gruppo preferito, li adoro! A te piacciono?»
«Sì! C’è qualcuno a cui non piacciono?» Sto per rispondergli che non piacciono a Hardin, ma decido di tacere.
Quando arriviamo, Ken ci accoglie sulla porta con un gran sorriso. Spero che non si aspettasse di vedere anche Hardin, ma non mi sembra deluso.
«Karen è in cucina, entrate a vostro rischio e pericolo», scherza.
Anzi, non scherzava affatto. Tutti i banconi della cucina sono ingombri di pentole, scodelle e un mucchio di strani utensili che non riconosco.
«Tessa! Sto preparando tutto!» esclama sorridendo, e indica le misteriose attrezzature.
«Posso aiutarti?»
«Al momento no. Ho quasi finito… Ecco, è tutto pronto.»
«Mi dispiace di essere venuta con così poco preavviso», mi scuso.
«Oh, cara, sei sempre la benvenuta qui», mi rassicura, e capisco che è sincera.
Mi porge un grembiule, e io mi lego i capelli in una crocchia. Landon si siede sulla panca e resta a chiacchierare con noi per qualche minuto mentre Karen mi mostra gli ingredienti per i cupcake. Verso tutto nel mixer e lo accendo a bassa velocità.
«Mi sento già una pasticcera professionista», rido.
Landon si sporge a guardare e mi passa due dita sulla guancia. «Scusa, avevi un po’ di farina in faccia», dice arrossendo, e io gli sorrido.
Inizio a versare l’impasto negli stampi. Quando inforniamo i cupcake e ci mettiamo a parlare dell’università e delle rispettive famiglie, Landon ci lascia ai nostri «discorsi da donne» e va in salotto a finire di vedere una partita di football che ha registrato.
Continuiamo a chiacchierare mentre i dolci si cuociono e si raffreddano; e quando Karen annuncia che è ora di applicare la glassa, guardo i cupcake e mi sento molto soddisfatta di come sono venuti. Karen mi spiega come usare la sacca per la glassa per disegnare una L su uno dei cupcake, che metto da parte per Landon. Lei decora i suoi con fiorellini e fili d’erba, mentre io faccio del mio meglio sui miei.
«Penso che la prossima volta faremo i biscotti», mi dice con un sorriso mentre sistema i cupcake su un piatto da portata.
«Mi sembra una buona idea», le rispondo, addentandone uno.
«E dov’è Hardin stasera?»
Mastico lentamente, cercando di indovinare perché me l’abbia chiesto. «È a casa sua», mi viene spontaneo replicare. Lei pare perplessa ma non insiste.
Landon rientra in cucina e Karen va a portare qualche cupcake a Ken.
«Questo è per me?» mi chiede Landon, mostrandomi quello con la L tutta storta.
«Sì, devo imparare ad avere la mano più ferma con la glassa.»
Lui stacca un bel morso e con la bocca piena sentenzia: «L’importante è il sapore».
Mangio un altro cupcake mentre Landon mi racconta della partita: mi interessa ben poco, ma per gentilezza fingo di ascoltare. Ricomincio a pensare a Hardin e guardo fuori dalla finestra.
«Tutto bene?» chiede Landon, interrompendo le mie fantasticherie.
«Sì, scusa, ti stavo ascoltando… all’inizio.» Gli rivolgo un sorriso di scuse.
«Non fa niente. È Hardin?»
«Sì… come fai a saperlo?»
«Dov’è?»
«Alla confraternita. C’è una festa stasera…» inizio, poi decido di confidarmi con lui. «E non me l’ha detto. Si è messo d’accordo con i suoi amici e mi ha liquidata con un: ‘Ci vediamo, Tessa’. Mi sento un’idiota a ripeterlo, so che sembro cretina, ma mi sta facendo ammattire, te lo giuro. Quella ragazza, Molly, quella con cui faceva cose prima… stasera è con lui, e lui non ha raccontato agli altri che io e lui… be’, insomma, la situazione.» Faccio un gran sospiro.
«Ma non state insieme, voi due?» chiede Landon.
«Sì… be’, pensavo di sì, ma ora non lo so più.»
«Perché non provi a parlargli? O ad andare alla festa?»
Lo guardo inebetita. «Non posso andare alla festa!»
«Perché no? Sei stata ad altre loro feste, e tu e Hardin state più o meno insieme, o quello che è, e ci sarà anche la tua compagna di stanza. Fossi in te ci andrei.»
«Davvero? In effetti Steph mi ha invitata… Non lo so.» Voglio andarci solo per vedere se Hardin è con Molly, ma mi sento stupida a piombare lì.
«Secondo me dovresti andarci.»
«Ci verresti con me?»
«Oh no, no. Scusa, Tessa: siamo amici, ma neanche morto.»
Sapevo che mi avrebbe detto di no, ma valeva la pena provarci. «Penso che ci andrò. Almeno per parlargli.»
«Bene. Però prima togliti la farina dalla faccia.»
Ride e io gli do una pacca sul braccio. Resto ancora un po’ a chiacchierare con Landon: non voglio che creda che lo sto usando per rimediare un passaggio alla festa, anche se so che non lo pensa.
«In bocca al lupo: chiamami se hai bisogno», dice quando scendo dalla macchina davanti alla confraternita. Solo dopo che se n’è andato mi rendo conto del paradosso: ho lasciato il telefono in camera per non dovermi preoccupare di Hardin, e invece ora sono venuta a casa sua.
In giardino c’è un gruppetto di ragazze molto poco vestite, mentre io sono in jeans e cardigan, praticamente struccata e con i capelli legati in una crocchia in cima alla testa. Ma come mi è saltato in mente di venire qui?
Cerco di calmarmi ed entro in casa. Non vedo volti familiari a parte Logan, che sta bevendo tequila con il sale e il limone spalmati su varie parti del corpo di una ragazza in mutande e reggiseno. Passo in cucina e qualcuno mi porge un bicchiere di plastica pieno di qualcosa di alcolico. Me lo porto alle labbra: ho bisogno di alcol, se devo parlare con Hardin. Mi faccio largo nel salotto affollato e raggiungo il divano dove si mettono di solito Hardin e i suoi amici. Intravedo i capelli rosa di Molly…
E mi viene da vomitare. Non è seduta sul divano, ma sulle gambe di Hardin. Lui le posa la mano sulla coscia e lei gli sta appoggiata addosso, e ride con i suoi amici come se fosse la cosa più normale del mondo.
Come ho potuto ritrovarmi in questa situazione? Dovevo stargli lontana, lo sapevo, invece non l’ho fatto ed ecco il risultato. Dovrei andarmene e basta. Questo posto non è per me, e non voglio piangere di nuovo davanti a questa gente. Ne ho abbastanza di piangere per Hardin, e ne ho abbastanza di impegnarmi per trasformarlo in una persona che non è. Ogni volta che penso di aver toccato il fondo, lui me ne fa un’altra e mi rendo conto che non c’è limite al dolore di un amore non corrisposto. Vedo Molly posare la mano su quella di Hardin: lui toglie la sua, però poi gliela mette su un fianco e lo strizza. Lei fa un risolino. Cerco di strapparmi via da lì, a costo di andarmene correndo o strisciando, ma non riesco a staccare gli occhi dal ragazzo di cui mi stavo innamorando. Lui invece ha occhi solo per Molly.
«Tessa!» mi chiama qualcuno. Hardin gira la testa di scatto e i suoi occhi verdi incrociano i miei; è sbigottito. Molly si gira nella mia direzione e si appoggia ancora di più a Hardin. Lui schiude le labbra come per dire qualcosa, ma poi resta in silenzio.
Zed mi si avvicina, e finalmente riesco a distogliere lo sguardo da Hardin. Cerco di sorridere a Zed, ma sto già usando tutte le energie per non scoppiare a piangere.
«Vuoi qualcosa da bere?» mi chiede. Abbasso la testa: Non avevo in mano un bicchiere di birra?
Il bicchiere è a terra, la birra si è rovesciata sul tappeto. Faccio un passo indietro: in condizioni normali asciugherei la macchia e chiederei scusa, ma al momento preferisco far finta di non essere stata io. C’è tanta di quella gente, qui dentro, che nessuno ci farà caso.
Ho due possibilità: fuggire in lacrime, e concedere così la vittoria a Hardin, oppure farmi coraggio e fingere che non me ne importi nulla se Molly è in braccio a lui. Decido per la seconda opzione.
«Sì, grazie, mi andrebbe proprio di bere qualcosa», rispondo con voce tirata. 
59
SEGUO Zed in cucina, preparandomi psicologicamente ad affrontare questa festa. Vorrei tanto andare da Hardin e insultarlo, dirgli che non deve più rivolgermi la parola, prenderlo a schiaffi, strappare i capelli rosa dalla testa di Molly. Ma lui ghignerebbe per tutto il tempo e non otterrei nulla. Perciò decido di scolarmi la vodka alla ciliegia che mi ha preparato Zed e gliene chiedo subito un’altra. Hardin mi ha gà rovinato troppe serate, mi rifiuto di essere una di quelle ragazze che si lasciano distruggere da lui.
Zed mi prepara un altro drink, ma quando gli porgo il bicchiere una terza volta, pochi minuti dopo, prova a rifiutarsi: «Ehi, rallenta. Ne hai già bevuti due!» «Ma è buonissimo», insisto io.
«Be’, bevilo piano, d’accordo?»
Mi prepara il terzo bicchiere e poi mi dice: «Penso che stia per iniziare un’altra partita di Obbligo o verità».
Credevo che le persone smettessero di fare certi giochi stupidi dopo il liceo. Ho di nuovo quel dolore nel petto quando ripenso a tutti gli obblighi a cui Hardin e Molly potrebbero già essere stati condannati stasera, prima del mio arrivo.
«Cosa mi sono persa finora?» gli chiedo, sfoderando il sorriso più affascinante di cui sono capace. Devo sembrargli pazza, ma sorride anche lui.
«Solo un po’ di gente ubriaca che si scambiava saliva, come al solito», risponde con noncuranza. Mi viene un groppo in gola ma lo mando giù insieme alla vodka. Mi sforzo di ridere e continuo a bere mentre torniamo dagli altri. Zed si siede a terra davanti a Hardin e Molly, che sono ancora sul divano, e io mi sistemo accanto a lui, più vicina di quanto mi verrebbe spontaneo: ma è proprio questo il punto. Speravo che nel frattempo Hardin avesse costretto Molly a staccarglisi di dosso, invece non è successo. Quindi mi avvicino ancora di più a Zed.
Hardin serra gli occhi in due fessure, e io lo ignoro. Molly è ancora appollaiata su di lui da puttana quale è, e Steph mi sorride comprensiva. La vodka inizia a farmi effetto. È il turno di Nate. «Obbligo o verità?» gli chiede Steph.
«Verità», risponde.
Steph sembra indispettita. «Codardo del cazzo.» Il suo linguaggio colorito non smette mai di sorprendermi. «E va bene… Allora, è vero che hai pisciato nell’armadio di Tristan, lo scorso fine settimana?» Tutti scoppiano a ridere tranne me. Non ho idea di cosa stiano parlando.
«No! Ve l’ho già detto, non sono stato io!» si lamenta lui, e tutti ridono più di prima. Zed mi fa l’occhiolino.
Non ci avevo mai fatto caso, ma accidenti, è carino. Anzi, è proprio bello.
«Tessa, giochi?» mi domanda Steph.
Io annuisco, e alzo gli occhi su Hardin, che mi sta guardando. Gli sorrido, poi torno a guardare Zed. Vedere Hardin accigliato mi alleggerisce un po’ la pressione nel petto: sono contenta se soffre quanto me.
«Okay, Obbligo o verità?» mi fa Molly.
Certo, chi altri poteva chiedermelo?
«Obbligo», rispondo, perché mi sento coraggiosa. Dio sa cosa mi toccherà fare adesso.
«Ti obbligo a baciare Zed.» Qualcuno ridacchia.
«Sappiamo già come la pensa sul tema. Scegli un altro obbligo», interviene Hardin a denti stretti.
«Invece ci sto.» Se vuole giocare, gioco anch’io.
«Non penso che…» inizia.
«Chiudi il becco, Hardin», si intromette Steph, e mi rivolge un sorriso di incoraggiamento.
Non mi capacito di aver accettato di baciare Zed, anche se è uno dei ragazzi più belli che abbia mai visto. In vita mia ho baciato solo Noah e Hardin: penso che Johnny alle elementari non conti, soprattutto perché la sua bocca sapeva di colla.
«Sicura?» fa l’interessato. Cerca di apparire premuroso, ma leggo l’eccitazione sui suoi lineamenti perfetti.
«Sì, sono sicura.» Bevo un altro sorso e mi proibisco di alzare gli occhi su Hardin, per non rischiare di cambiare idea. Tutti ci guardano. Zed si sporge verso di me. Ha le labbra fredde, e la lingua ha il sapore dolce del succo di ciliegia. Le sue labbra sono morbide ma sode contro le mie, e le nostre lingue si muovono all’unisono. Comincio a scaldarmi: non come quando sono con Hardin, ma è comunque piacevole. Zed mi cinge in vita, entrambi ci alziamo in ginocchio…
«Okay, piantatela. Ha detto di baciarvi, non di scopare davanti a tutti», fa Hardin.
Molly lo zittisce.
Sposto lo sguardo su Hardin: è inferocito, ma se l’è cercata.
Mi stacco da Zed e mi sento arrossire perché hanno tutti gli occhi puntati su di noi. Steph mi mostra i pollici alzati, ma io fisso il pavimento. Zed sembra molto compiaciuto, e la reazione di Hardin mi lascia imbarazzata ma anche soddisfatta.
«Tessa, tocca a te, devi chiedere a Tristan», dice Zed. Tristan sceglie l’obbligo, perciò gli affibbio quello meno fantasioso che ci sia: bere uno shot di liquore.
«Zed, Obbligo o verità?» domanda Tristan dopo aver bevuto.
Finisco il drink. Più bevo, più mi si intorpidiscono le emozioni.
«Obbligo», risponde Zed. Steph sussurra qualcosa all’orecchio di Tristan e lui sorride.
«Ti obbligo a portare Tessa al piano di sopra per dieci minuti», proclama Tristan. Mi si mozza il fiato: così si esagera.
«Bella, questa!» commenta Molly, e ride di me.
Zed mi guarda come a chiedermi il permesso. Senza riflettere, mi alzo e lo prendo per mano. Sembra sorpreso quanto gli altri, ma si alza anche lui.
«Questo non è Obbligo o verità, questo è… be’… è una stronzata», protesta Hardin.
«Che ti importa? Sono entrambi single e si fa per divertirsi», ribatte Molly.
«Non… non me ne importa niente, solo che secondo me è stupido», replica Hardin. Sento un’altra fitta al cuore. È chiaro che non aveva intenzione di dire ai suoi amici che io e lui siamo… eravamo… non lo so, qualsiasi cosa fossimo. Mi ha usata per tutto questo tempo: per lui sono una delle tante. Sono stata stupida, più che stupida, a illudermi del contrario.
«Be’, meno male che non sono affari tuoi, Hardin», sbotto. Tiro Zed per la mano.
«Ah però, gliele ha cantate!» commenta qualcuno, e Hardin insulta quel qualcuno mentre io e Zed ci allontaniamo. Troviamo una stanza vuota in cima alle scale e Zed apre la porta e accende la luce.
Ora che sono lontana da Hardin inizio a sentirmi molto più nervosa, da sola con Zed. Per quanto sia arrabbiata, non voglio fare niente con lui. Be’, non è che non voglia, ma so che non dovrei. Non sono quel tipo di ragazza.
«Allora, cosa vuoi fare?» chiedo con voce stridula.
Lui sghignazza e mi conduce al letto.
«Parliamo e basta, okay?» Annuisco e guardo a terra. «Certo, mi piacerebbe fare un mucchio di altre cose con te, ma hai bevuto e non voglio approfittarne.» Rimango attonita, e lui se ne accorge.
«Ti stupisci?»
Rido. «Un po’», ammetto.
«E perché? Non sono mica uno stronzo, come Hardin. Lo sai, per un po’ mi era sembrato che tra voi due ci fosse qualcosa.»
«No… siamo solo… be’, eravamo amici, ma non lo siamo più.» Non voglio ammettere di essere stata così stupida da credere alle bugie di Hardin.
«Allora esci ancora con il tuo ragazzo del liceo?»
Sollevata di non dover più parlare di Hardin, mi rilasso e rispondo: «No, ci siamo lasciati».
«Ah, peccato. Era un ragazzo fortunato», commenta lui con un sorriso dolce.
È così affascinante. Mi ritrovo a fissare i suoi occhi color caramello: ha ciglia più lunghe delle mie. «Grazie.»
«Magari una sera possiamo uscire insieme? Un appuntamento in piena regola. Insomma, non in una camera da letto in una confraternita.» Ridacchia nervosamente.
«Be’…» Non so cosa replicare.
«Che ne dici se te lo chiedo di nuovo domani, quando sei sobria?» È molto più gentile di quanto pensassi. Di solito i ragazzi belli come lui sono bastardi… come Hardin.
«Ci sto.»
Mi prende la mano. «Bene, allora! Torniamo di sotto.»
Quando scendiamo Hardin e Molly sono ancora sul divano, ma ora Hardin ha un bicchiere in mano e Molly è seduta accanto a lui con le gambe di traverso sopra le sue. Quando lo sguardo di Hardin si posa sulla mia mano intrecciata a quella di Zed la tiro via d’istinto, ma poi la rimetto dov’era. Hardin serra la mascella e io abbasso gli occhi.
«Com’è andata?» ghigna Molly.
«È stato divertente», rispondo. Zed resta in silenzio. Più tardi lo ringrazierò per non avermi contraddetta.
«Tocca a Molly», annuncia Nate quando ci sediamo di nuovo per terra.
«Obbligo o verità?» chiede Hardin.
«Obbligo, che domande.»
E Hardin mi guarda negli occhi mentre dice: «Ti obbligo a baciarmi».
Il cuore mi si ferma. Hardin è molto più stronzo di quanto avessi immaginato. Mi fischiano le orecchie e mi sento svenire quando Molly mi scocca un’occhiata trionfante e si tuffa addosso a Hardin. Tutta la rabbia che provo per lui svanisce, rimpiazzata da un dolore lancinante e dalle lacrime che scendono sulle guance.
Mi alzo e mi faccio strada tra la gente ubriaca. Sento Zed e Steph che mi chiamano, ma ho l’impressione che la stanza mi giri intorno e quando chiudo gli occhi vedo solo Molly e Hardin. Senza voltarmi indietro, andando a sbattere contro la gente, finalmente arrivo alla porta e l’aria fresca mi riempie i polmoni e mi riporta alla realtà.
Come ha potuto essere così spietato? Corro giù per le scale fino al marciapiede. Devo andarmene di qui. Vorrei non averlo mai conosciuto, vorrei che mi fosse capitata un’altra compagna di stanza. Vorrei persino aver scelto un’altra università.
«Tessa!» mi sento chiamare; mi volto, convinta di averlo sognato. Invece è Hardin, e mi corre dietro. 
60
NON sono mai stata molto atletica, ma ho l’adrenalina a mille e mi metto a correre più veloce che posso. Arrivo in fondo alla strada, poi inizio a stancarmi. Dove posso andare? Non ricordo il tragitto che ho fatto l’altra volta per tornare in dormitorio, e non ho il telefono con me. Come una stupida l’ho lasciato in camera. E l’ho fatto per dimostrare la mia indipendenza da Hardin. Hardin, che ora mi insegue e grida: «Tessa, fermati!»
E io mi fermo. Mi fermo di colpo. È lui a dovermi spiegare perché continua a fare questi giochetti con me.
«Cosa ti ha detto Zed?»
Quando mi giro me lo ritrovo a pochi metri di distanza, con un’espressione stupefatta: non si aspettava che mi fermassi davvero.
«Cosa, Hardin?! Cosa puoi mai volere da me?» grido. Il cuore mi batte all’impazzata, per la corsa e perché lui me l’ha spezzato.
«Io…» Sembra a corto di parole, per una volta. «Zed ti ha detto qualcosa?» «No… Cosa avrebbe dovuto dirmi?» Faccio un altro passo verso di lui, infuriata.
«Mi dispiace, va bene?» dice a bassa voce. Mi guarda negli occhi e tende la mano per prendere la mia, ma io me la scrollo di dosso in malo modo. Lui non risponde alla mia domanda su Zed ma sono troppo arrabbiata per farci caso.
«Ti dispiace? Ti dispiace?» ripeto, ridendo.
«Sì, mi dispiace.»
«Va’ al diavolo, Hardin.» Mi incammino di nuovo, ma lui mi prende per un braccio. La rabbia ha il sopravvento: gli mollo un ceffone. Forte. Sono sorpresa quanto lui dalla mia violenza, e sto per chiedergli scusa, ma il dolore che mi ha inferto è molto più intenso di quello di uno schiaffo.
Si porta la mano sulla guancia e si massaggia lentamente la pelle arrossata. Mi guarda con un misto di rabbia e confusione. «Che cavolo di problema hai? Sei stata tu a baciare Zed!» strilla. Passa una macchina e il conducente ci fissa. Io lo ignoro, non mi importa se diamo spettacolo.
«Non starai cercando di scaricare la colpa su di me! Mi hai mentito e mi hai preso per scema, Hardin! Proprio quando pensavo di potermi fidare di te, mi hai umiliata! Se volevi stare con Molly, perché non dirmi di lasciarti in pace? No, invece mi hai propinato tutte quelle stronzate sul fatto che ‘volevi di più’ e mi hai scongiurata di dormire da te, e tutto questo solo per usarmi! A quale scopo? Cosa ci hai guadagnato… a parte un pompino?» grido. Quella parola mi suona strana, uscita dalla mia bocca. «Cosa? È questo che pensi? Pensi che ti stia usando?»
«No, non è quello che penso, Hardin: è quello che so. Ma vuoi sapere una cosa? Mi sono rotta. Basta. Cambierò dormitorio, se necessario, pur di non rivederti più!» Lo penso davvero. Non ho bisogno di lui né di quelle altre persone.
«Stai esagerando», replica in tono secco. Devo fare uno sforzo per non tirargli un altro ceffone.
«Ah, io esagero? Non hai detto di noi ai tuoi amici… Non mi hai detto che c’era questa festa, e poi mi hai piantata in asso in mezzo al parcheggio come una cretina, e per andartene con Molly, per giunta! Poi arrivo qui e ti trovo con lei in braccio, e poi la baci. Davanti a me, Hardin. Direi che la mia reazione è pienamente giustificata», finisco in un sussurro, esausta. Mi asciugo altre lacrime e alzo gli occhi verso il cielo stellato.
«Hai baciato Zed proprio davanti a me! E non ti ho detto della festa perché non ero tenuto a farlo! Tanto non saresti voluta venire: mi avresti risposto che avevi troppo da studiare, o che dovevi fare qualcos’altro di noioso!» esplode.
Guardo la sua sagoma indistinta da dietro un velo di lacrime e gli chiedo, semplicemente: «Allora perché perdi tempo con me? Perché mi hai seguita qui fuori, Hardin?» Non parla, e quindi ho la mia risposta. «Proprio come pensavo. Credevi di poter venire qui fuori e chiedere scusa e che io ti avrei perdonato e sarei rimasta un segreto, la tua noiosa fidanzata nascosta. Hai scambiato la mia gentilezza per debolezza, ma ti sbagli di grosso.»
«Fidanzata? Tu credevi di essere la mia fidanzata?» ulula.
Il dolore che ho nel petto si moltiplica per mille. Faccio fatica a stare in piedi. «No… io…» inizio a dire. Non so come continuare.
«Lo pensavi, vero?» ride.
«Lo sai che… lo pensavo», ammetto. Sono già umiliata, non ho più niente da perdere. «Mi hai fatto credere a tutte quelle stronzate, che volevi di più eccetera. E io ci ho creduto… a tutte quelle storie che dicevi di non aver mai raccontato a nessuno, ma scommetto che erano cazzate anche quelle. Scommetto che niente è successo davvero.» Ormai mi sono arresa. «Ma sai una cosa? Non sono neppure arrabbiata con te. Ce l’ho con me stessa, per averci creduto. Sapevo com’eri fatto prima di innamorarmi di te. Sapevo che mi avresti fatta soffrire. Com’è che hai detto, che mi avresti distrutta? No, rovinata, mi avresti rovinata. Be’, congratulazioni, Hardin, hai vinto», singhiozzo.
Negli occhi gli passa uno sguardo triste… o almeno così mi sembra. Probabilmente si sta divertendo.
Non me ne importa più niente di vincere o perdere in questi giochetti. Sono sfinita. Gli volto di nuovo le spalle e mi incammino verso la casa, pensando di chiedere in prestito un cellulare e chiamare Landon, o di farmi dare un passaggio al dormitorio.
«Dove vai?» mi chiede. È doloroso constatare che non ha niente da dirmi, che non mi ha offerto una spiegazione. Ha solo confermato quello che già sapevo, cioè che è un bastardo senza cuore.
Accelero il passo e non gli rispondo. Mi segue, mi chiama un altro paio di volte, ma mi rifiuto di lasciarmi incantare ancora dalla sua voce.
Quando raggiungo le scale che conducono al portone della confraternita, vedo i capelli rosa di Molly. «Aaah, ma guarda, ti stava aspettando. Siete fatti l’uno per l’altra», dico a Hardin senza voltarmi.
«Non è così, e tu lo sai», borbotta.
«Io non so un bel niente, a quanto pare», ribatto, salendo due gradini per volta.
Vedo Zed sulla soglia e gli corro incontro. «Mi presti un attimo il telefono, per favore?»
«Tutto bene?» mi domanda consegnandomelo. «Ho cercato di seguirti, ma non ti ho trovata.»
Hardin resta davanti a me e Zed mentre telefono a Landon e gli chiedo di venirmi a prendere. Zed e Hardin si fissano per un momento quando mi sentono pronunciare il nome di Landon, poi Zed torna a guardare me. «Viene a prenderti?» domanda preoccupato.
«Sì, arriva tra pochi minuti. Grazie del telefono», gli dico, ignorando Hardin.
«Figurati. Vuoi che aspetti con te?»
«No, aspetto io con lei», interviene Hardin con voce velenosa.
«Mi piacerebbe molto che tu aspettassi con me, Zed», rispondo, e ridiscendo le scale con lui. Hardin, essendo lo stronzo che è, ci segue e resta impalato dietro di noi. Steph, Tristan e Molly ci raggiungono.
«Stai bene?» mi chiede Steph.
«Sì. Però me ne vado. Non sarei dovuta venire.»
Steph mi abbraccia. Molly mormora sottovoce: «Esatto».
Mi volto di scatto. Di solito non mi piacciono gli scontri diretti, ma Molly mi piace ancora meno. «Hai ragione! Non dovrei essere qui. Non sono brava come te a ubriacarmi e buttarmi addosso a tutti i ragazzi.»
«Scusa?»
«Mi hai sentita.»
«Che problema hai? Ce l’hai con me perché ho baciato Hardin? Perché indovina un po’, tesoro, io Hardin lo bacio in continuazione», si bulla.
Mi sento sbiancare. Guardo lui, che tace. Quindi se la fa con Molly da sempre? La cosa mi stupisce meno di quanto dovrebbe. Non so neppure cosa ribattere, a questo punto. Sono sicura che appena me ne vado mi verranno in mente un mucchio di risposte sarcastiche, ma al momento ho il vuoto nella testa.
«Torniamo in casa…» dice Tristan, e prende Molly e Steph per le braccia. Cerco di ringraziarlo con un sorriso mentre si avviano.
«Anche tu, Hardin. Sta’ lontano da me», aggiungo, e fisso la strada. «Non l’ho baciata, insomma, non di recente. A parte stasera. Lo giuro.» Perché lo sta dicendo davanti a tutti?
Molly si gira.
«Non me ne frega niente di chi baci. Adesso va’ via», ripeto.
Con grande sollievo vedo arrivare la macchina di Landon. «Grazie ancora, Zed.»
«Di niente. Non dimenticarti le cose che ci siamo detti», mi ricorda speranzoso riferendosi al nostro ipotetico «appuntamento».
«Tessa…» mi chiama Hardin mentre raggiungo la macchina. Lo ignoro, e lui alza la voce. «Tessa!»
«Ti ho detto tutto quello che avevo da dirti, Hardin. Non ho più intenzione di stare a sentire le tue stronzate. Lasciami in pace, cazzo!» grido girandomi verso di lui. So che tutti ci fissano, ma sono al limite.
«Io… Tessa, io…»
«Tu cosa? Tu cosa, Hardin?» grido ancora più forte.
«Io… ti amo!» strilla.
E l’aria mi si mozza nei polmoni.
E Molly sembra in procinto di strozzarsi.
E Steph pare aver visto un fantasma.
E per qualche istante tutti restiamo lì immobili come statue di sale, come se una forza aliena ci avesse travolti e congelati. Quando ritrovo la voce, mormoro: «Sei malato, Hardin. Sei malato, cazzo».
Lo so che fa tutto parte del suo giochetto, ma sentire quelle parole uscire dalle sue labbra risveglia qualcosa dentro di me. Vado ad aprire la portiera della macchina di Landon, ma Hardin mi raggiunge e mi tira via.
«È vero, Tessa. So che non mi credi, ma è così. Ti amo.» Ha le lacrime agli occhi, serra le labbra e si copre il viso con le mani. Fa un passo indietro e poi uno in avanti e, quando tira via le mani, il terrore nei suoi occhi verdi mi sembra autentico.
Hardin… è un attore più bravo di quanto pensassi. Non riesco a credere che stia facendo questa sceneggiata davanti a tutti.
Lo spintono via e salgo in macchina prima che lui ritrovi l’equilibrio. Mentre Landon dà gas, Hardin batte sul finestrino e io mi copro la faccia per nascondere le lacrime. 
61
QUANDO finalmente smetto di piangere, Landon mi chiede: «Ho capito male o ti ha detto che ti ama?»
«Sì… Non lo so… L’ha detto solo per farsi sentire dagli altri…» Mi sforzo di evitare di rimettermi a singhiozzare.
«Non pensi che… E non arrabbiarti se te lo domando, ma… non è possibile che magari… lui ti ami davvero?»
«Eh? Certo che no! Non sono neppure sicura di piacergli. Insomma, quando siamo io e lui da soli è così diverso, e penso che forse tiene davvero a me. Ma so che non mi ama. È capace di amare soltanto se stesso.»
«Io sono dalla tua parte, Tessa, davvero. Ma la faccia che aveva quando ci ha visti andar via… sembrava che avesse il cuore spezzato. E non puoi avere il cuore spezzato se non sei innamorato.»
Non può essere vero. Quando Hardin ha baciato Molly mi sono sentita il cuore in frantumi, ma non lo amo.
«Lo ami?» mi chiede Landon.
Rispondo con voce tirata e troppo in fretta. «No… lui… be’… è un idiota. Lo conosco da neanche due mesi, e per metà di questo tempo… anzi, per tutto il tempo abbiamo soltanto litigato. Non puoi amare una persona che conosci da due mesi. E poi è un idiota.»
«Questo l’hai già detto.» Landon accenna un sorriso ma cerca di nasconderlo.
La pressione che sento nel petto mi dà la nausea, e l’abitacolo della macchina mi sembra soffocante. Abbasso leggermente il finestrino e ci appoggio la testa, prendo l’aria sulla faccia.
«Vuoi che andiamo a casa mia o al tuo dormitorio?»
Voglio andare in dormitorio e seppellirmi sotto le coperte, ma ho paura che vengano Steph o Hardin. Che invece Hardin vada a casa di suo padre è un’eventualità così improbabile che la ritengo l’opzione più sicura.
«A casa tua, ma possiamo passare dal dormitorio così prendo qualche vestito? Scusa se ti faccio fare tutti questi giri.»
«Tessa, la strada è poca e tu sei mia amica: smettila di ringraziarmi e di chiedermi scusa», dice in tono severo, ma con un sorriso dolce che mi fa venire da ridere.
È la persona migliore che abbia conosciuto da queste parti; sono molto fortunata ad averlo dalla mia parte.
«Be’, lasciati ringraziare un’ultima volta per essere un così buon amico.»
«Prego, ma ora basta.»
Corro in camera a prendere vestiti e libri. Mi sembra di passare pochissimo tempo in questa stanza, ultimamente. Sarà la prima sera da parecchi giorni che dormirò senza Hardin. Iniziavo ad abituarmici, stupida che non sono altro. Tiro fuori dal cassetto il telefono e torno alla macchina di Landon.
Quando arriviamo a casa sua sono le undici passate. Sono esausta, ed è un sollievo che Ken e Karen siano già andati a letto. Landon inforna una pizza, e io mangio un altro dei cupcake che ho preparato. Mi sembrano passate settimane, anziché poche ore, da quando ho cucinato con Karen. È stata una giornata molto lunga, ed era iniziata così bene, con Hardin e lo stage, ma poi lui l’ha rovinata, come sempre. Dopo aver mangiato la pizza, io e Landon andiamo di sopra e lui mi conduce nella stanza degli ospiti dove ho dormito la volta scorsa. Be’, non ci ho dormito granché, dato che mi hanno svegliata le grida di Hardin. Da quando lo conosco il tempo non scorre più allo stesso modo: è successo tutto così in fretta, e mi gira la testa al pensiero dei momenti belli che abbiamo vissuto, e del modo in cui si sono alternati a un mucchio di litigi. Ringrazio per l’ennesima volta Landon, che alza gli occhi al cielo e poi se ne va nella sua stanza. Accendo il telefono e trovo molti messaggi di Hardin, Steph e mia madre. Li cancello tutti tranne quelli di mia madre, senza leggerli. So già cosa dicono, e per oggi ne ho abbastanza. Lo metto silenzioso, mi infilo il pigiama e vado a letto.
È l’una del mattino, e tra poche ore devo svegliarmi. Domani sarà una giornata lunga. Se non avessi perso le lezioni di stamattina rimarrei a casa… be’, starei qui. O tornerei al dormitorio. Perché ho convinto Hardin a iscriversi di nuovo a letteratura? Non riesco a prendere sonno; guardo la sveglia, e sono quasi le tre. Benché sia stata una delle giornate più belle, e poi una delle più brutte della mia vita, sono troppo stanca per dormire.
Prima di rendermene conto mi ritrovo davanti alla porta della stanza di Hardin. Entro. Non c’è nessuno a vedermi, a giudicarmi, perciò apro il secondo cassetto e tiro fuori una maglietta bianca. È evidente che non è mai stata indossata, ma non mi importa. Tolgo la maglia che ho addosso e metto quella. Mi sdraio sul letto. Il profumo alla menta di Hardin sul guanciale mi riempie le narici, e finalmente mi addormento.
62
AL risveglio ci metto un po’ a ricordare che non sono a letto con Hardin. Fuori splende il sole, ma guardando verso la finestra noto una sagoma. Mi alzo a sedere di scatto, e mentre i miei occhi si abituano alla luce mi convinco di essere impazzita.
«Hardin?» mormoro, stropicciandomi gli occhi.
«Ciao», fa lui, seduto in poltrona con i gomiti sulle ginocchia.
«Che cavolo ci fai qui?»
«Tessa, dobbiamo parlare.» Ha le borse sotto gli occhi.
«Mi guardavi dormire?»
«No, certo che no, sono arrivato pochi minuti fa.» Mi chiedo se abbia avuto gli incubi senza di me. Se non l’avessi visto io stessa, penserei che si sia inventato anche quelli, ma ricordo di aver tenuto tra le mani le sue guance sudate e di aver visto il terrore nei suoi occhi verdi.
Resto in silenzio. Non voglio litigare con lui. Voglio solo che se ne vada. Cioè, non voglio che se ne vada, ma so che deve andarsene.
«Dobbiamo parlare», ripete. Fa un respiro profondo.
«Devo andare a lezione», ribatto io scuotendo la testa.
«Landon è già uscito. Ho spento la tua sveglia. Sono le undici.»
«Cos’hai fatto?!»
«Sei rimasta sveglia fino a tardi, e ho pensato che…»
«Come osi… Vattene.» Il dolore che mi ha inferto ieri è ancora fresco, più forte della rabbia per le lezioni perdute, ma non posso mostrarmi debole, altrimenti se ne approfitterà. Lo fa sempre.
«Sei nella mia stanza», mi fa notare.
Scendo dal letto, anche se indosso solo una maglietta, la sua maglietta. «Hai ragione, me ne vado io.» Ho un groppo in gola.
«No, voglio dire… volevo… Sei nella mia stanza: perché?» chiede, con voce tetra.
«Non lo so… non riuscivo a dormire…» ammetto. Devo smettere di parlare. «Comunque non è davvero camera tua. Ho dormito qui tante notti quanto te. Anzi, ormai di più.»
«La tua maglietta non ti stava bene?» chiede. Ecco, ci mancava solo che facesse lo spiritoso.
«Continua pure, prendimi in giro», gli dico, con le lacrime agli occhi.
«Non ti stavo prendendo in giro.» Si alza e fa un passo verso di me. Arretro e alzo le mani per fermarlo.
Lui si ferma, poi riprende: «Stammi a sentire, va bene?»
«Cos’altro puoi avere da dirmi, Hardin? Facciamo sempre così. È sempre lo stesso litigio ripetuto all’infinito, ma ogni volta è peggio. Non ce la faccio più.»
«Ho detto che mi dispiace di averla baciata.»
«Non è questo il punto. Be’, in parte sì, ma c’è molto altro. E il fatto che tu non lo capisca dimostra che stiamo perdendo tempo. Non sarai mai la persona di cui ho bisogno, e io non sono chi vuoi che io sia.» Mi asciugo gli occhi, lui guarda fuori dalla finestra.
«Sì che lo sei.»
Vorrei potergli credere. Vorrei che non fosse così incapace di provare sentimenti.
«Ma tu no.» Non volevo piangere davanti a lui, ma è impossibile fermarmi. Ho pianto così tante volte da quando lo conosco, e se mi lascio catturare di nuovo nella sua rete andrà sempre così. «Io no, cosa?»
«Tu non sei la persona che voglio; non fai altro che farmi soffrire.» Lo oltrepasso ed esco in corridoio, diretta alla camera degli ospiti. Mi infilo rapidamente i pantaloni e raduno le mie cose. Gli occhi di Hardin seguono ogni mia mossa.
«Non hai sentito cosa ti ho detto ieri?» chiede infine.
Speravo che non ne parlasse.
«Rispondimi», insiste.
«Sì… ti ho sentito», ribatto senza guardarlo.
Il suo tono di voce diventa ostile. «E non hai niente da dirmi?» «No», mento. Mi si pianta davanti. «Spostati», lo prego.
È pericolosamente vicino, e so cosa sta per fare: vuole baciarmi. Cerco di indietreggiare, ma le sue mani forti mi tengono ferma. Le sue labbra toccano le mie e la sua lingua cerca di schiudere le mie labbra, ma mi oppongo.
Tira un po’ indietro la testa. «Baciami, Tess», ordina.
«No.» Lo spintono.
«Dimmi che non provi ciò che provo io e me ne andrò.» È a un millimetro da me, il suo fiato è caldo sul mio viso.
«Non provo ciò che provi tu.» Fa male dirlo, ma deve andarsene.
«Sì, invece», ribatte, in tono disperato. «So che è così.»
«Non è vero, Hardin, e neanche tu provi quelle cose. Non penserai che io ci abbia creduto?»
Mi lascia andare. «Non credi che ti amo?»
«Certo che no! Quanto mi reputi stupida?»
Mi fissa per un secondo, apre la bocca, la richiude. «Hai ragione.» «Cosa?»
«Hai ragione, non ti amo. L’ho detto solo per fare scena.» Ridacchia. Sapevo già che non era vero, ma fa male lo stesso. Una parte di me, una parte troppo grossa, sperava che dicesse sul serio.
Hardin si appoggia al muro mentre io esco dalla sua stanza con la borsa in mano.
Quando arrivo alle scale vedo Karen che mi sorride. «Tessa, cara, non sapevo che fossi qui!» Il sorriso le muore sulle labbra quando si accorge dello stato in cui sono. «Ti senti bene? È successo qualcosa?»
«No, è tutto a posto. Ieri sera sono rimasta chiusa fuori dalla mia stanza e…» «Karen», fa Hardin alle mie spalle.
«Hardin!» Le ritorna un po’ il sorriso. «Volete fare colazione? Be’, pranzo: è mezzogiorno.»
«No grazie, stavo tornando in dormitorio», dico scendendo le scale.
«Io mangerei volentieri», risponde Hardin dietro di me.
Karen sembra sorpresa. Guarda me e poi Hardin. «Okay, fantastico! Mi trovi in cucina!» Io mi avvio verso la porta.
«Dove vai?» Mi prende per il polso. Mi divincolo e lui mi lascia andare.
«In dormitorio, come ho appena detto.»
«E ci vai a piedi?»
«Ma che problema hai? Ti comporti come se non fosse successo niente. Come se non avessimo appena litigato, come se avessi la coscienza pulita. Sei completamente pazzo, Hardin, sul serio, da manicomio. Mi dici cose orribili e poi mi offri un passaggio?» Non ci capisco più niente.
«Non ho detto nulla di orribile, mi sembra: ho detto solo che non ti amo, e tu sostieni che lo sapevi già. E non ti stavo offrendo un passaggio: ti chiedevo solo se pensavi di andare a piedi.»
La sua espressione tracotante mi fa imbestialire. Perché è venuto a cercarmi se non gli importa di me? Non ha niente di meglio da fare che torturarmi?
«Cos’ho fatto?» domando infine. Glielo volevo chiedere da un po’, ma ho sempre avuto paura della risposta. «Eh?»
«Cosa ti ho fatto, perché tu debba odiarmi così?» Cerco di parlare a bassa voce per non farmi sentire da Karen. «Puoi avere tutte le ragazze che vuoi, ma continui a perdere tempo – e a farne perdere a me – per trovare nuovi modi di farmi soffrire. Perché? Ti sto così antipatica?»
«No, non mi stai antipatica, Tessa. È solo che eri un bersaglio facile… è il brivido della conquista, no?» esclama tronfio. Prima che possa aggiungere altro, Karen lo chiama dalla cucina per sapere se vuole i cetriolini nel panino.
Va a risponderle, e io approfitto per uscire di casa.
Mentre raggiungo la fermata dell’autobus, mi dico che ormai ho perso così tante lezioni che posso anche perdere il resto della giornata per andare a comprare una macchina. Per fortuna l’autobus arriva dopo pochi minuti e trovo posto in fondo.
Mentre mi lascio cadere sul sedile, ripenso alle parole di Landon: non puoi avere il cuore spezzato se non sei innamorato. Hardin mi spezza il cuore in continuazione, anche quando credo che non ci sia rimasto più niente da spezzare.
E io lo amo. Amo Hardin.
63
IL venditore ha la faccia da maniaco e puzza di sigarette, ma non posso più permettermi di fare la schizzinosa. Dopo un’ora di trattative gli stacco un assegno per l’anticipo e lui mi dà le chiavi di una Corolla del 2010 in condizioni accettabili. La vernice bianca è scrostata in alcuni punti, ma sono riuscita a strappare uno sconto. Chiamo mia madre per darle la notizia, prima ancora di uscire dal parcheggio: e ovviamente lei dice che avrei dovuto comprare una macchina più grande, e mi elenca i motivi. Le riattacco il telefono in faccia fingendo che sia caduta la linea.
È bellissimo guidare un’auto tutta mia. Non devo più prendere gli autobus e posso andare da sola al lavoro. Spero che la mia rottura con Hardin non pregiudichi lo stage. Penso di no, ma se decidesse che farmi piangere non gli basta più e mi mette i bastoni tra le ruote al lavoro? Forse dovrei parlare con Ken, spiegargli che io e Hardin non stiamo più… insieme? Dovrò inventarmi una scusa, non posso dirgli che suo figlio è la persona più crudele del mondo, che mi avvelena l’anima, e che non posso più frequentarlo per questo.
Accendo la radio a un volume più alto del solito, e ottengo il risultato sperato: la musica scaccia i pensieri. Mi concentro sui testi e cerco di non pensare al fatto che ogni canzone mi ricorda Hardin.
Prima di tornare al campus decido di andare a comprare qualche vestito. Si sta facendo freddo, quindi mi servono altri jeans, e poi sono stufa di tutte quelle gonne lunghe. Compro qualcosa per andare alla Vance, alcune magliette e cardigan in tinta unita, due paia di jeans. Sono più stretti di come li prendo di solito, ma mi stanno bene.
Quando arrivo in camera non trovo Steph, ed è meglio così. Sono ormai convinta che dovrei informarmi per capire se posso cambiare stanza. Steph è simpatica, ma non possiamo continuare a vivere insieme se c’è in giro Hardin. A seconda di quanto guadagnerò con lo stage, potrei trovarmi un appartamento e vivere fuori dal campus. Mia madre andrebbe fuori di testa, ma la cosa non la riguarda.
Ripiego i vestiti nuovi, poi prendo il beauty e vado a fare la doccia. Al ritorno trovo Steph e Zed seduti sul letto di lei, che guardano il computer.
Steph alza gli occhi con aria assonnata. «Ciao, Tessa. Hardin ti ha poi trovata ieri sera?» Annuisco. «Allora, vi siete chiariti?»
«No. Be’, diciamo di sì. Ho chiuso con lui.» La sua espressione stupefatta mi dice che era convinta che Hardin avrebbe affondato di nuovo i suoi artigli in me.
«Per quanto mi riguarda è una bella notizia», sorride Zed. Steph gli dà uno schiaffetto sul braccio. Poi il suo telefono squilla.
«È arrivato Tristan, dobbiamo andare. Vieni?» mi chiede.
«No, grazie. Resto qui… Ma oggi ho comprato una macchina!»
Lei fa uno strilletto. «Davvero?! È fantastico! Devi farmela vedere appena torno», dice, e si avviano alla porta. Steph esce dalla stanza, ma Zed si ferma sulla soglia.
«Tessa?» La sua voce è morbida come il velluto. Mi sorride. «Hai riflettuto sul nostro appuntamento?» mi domanda, guardandomi negli occhi.
«Io…» Sto per respingerlo, ma perché? È molto carino e sembra un ragazzo dolce. Non si è approfittato di me quando ne ha avuto la possibilità. So che con lui mi troverei meglio che con Hardin; con chiunque starei meglio che con Hardin, in realtà. «Certo.» Sorrido. «Certo nel senso che accetti?» Il suo sorriso si allarga.
«Sì, perché no?»
«Stasera, allora?»
«Sì, stasera va bene.» Non mi sembra una buona idea, visto che devo studiare, ma mi ero portata così avanti con il lavoro che pur avendo perso qualche lezione non sono ancora rimasta indietro.
«Ottimo. Vengo a prenderti alle sette, va bene?»
«Okay.»
Si morde il labbro con i denti perfetti. «A stasera, bellissima.» Arrossisco e lo saluto con la mano mentre esce dalla stanza.
Sono le quattro, perciò ho tre ore. Mi faccio la piega e arriccio le punte, e con mia sorpresa il risultato non è niente male. Mi trucco un po’ e indosso alcuni dei vestiti che ho comprato: un paio di jeans scuri, una canotta bianca e un lungo cardigan marrone. Mi guardo allo specchio e mi assale il nervosismo. Non ci credo ancora che ho un appuntamento con Zed. Ho avuto un solo ragazzo in vita mia, e ora esco con Zed dopo tutto il casino con Hardin. Forse i ragazzi con i tatuaggi e i piercing sono diventati il mio tipo?
Tiro fuori la mia vecchia copia di Orgoglio e pregiudizio e mi metto a leggere per passare il tempo. Ma mi distraggo, continuo a pensare a Noah. Dovrei chiamarlo? Prendo il telefono, apro la rubrica e trovo il suo nome. Fisso lo schermo: il senso di colpa si dà battaglia con la razionalità, finché mi arrendo e poso il telefono sul letto.
Pochi minuti dopo – o almeno mi sembra che siano passati pochi minuti – bussano alla porta. Dev’essere Zed, perché Hardin non busserebbe: piomberebbe in camera senza chiedere permesso e metterebbe in disordine tutta la mia roba.
Quando apro la porta, resto sbigottita. Zed indossa jeans neri stretti, scarpe da ginnastica bianche e una maglietta con sopra un giubbotto di jeans tagliato corto. Uno schianto.
«Sei bellissima Tessa», osserva porgendomi un fiore.
Che pensiero gentile, sono sorpresa e lusingata.
«Grazie.» Sorrido e annuso il giglio bianco.
«Sei pronta?»
«Sì, dove mi porti?»
«Pensavo di andare a cena e poi al cinema: una cosa tranquilla, niente di troppo ingessato.» Sorride.
Quando arriviamo alla macchina faccio per aprire la portiera, ma lui mi ferma. «Permettimi», dice, in tono divertito.
«Ah, grazie.»
Sono ancora nervosa, ma Zed è così gentile che mi rilasso quasi subito. Tiene la radio spenta e fa conversazione: mi chiede della mia famiglia e dei progetti per dopo il college. Mi dice che vuole studiare scienze ambientali alla WCU: la cosa mi stupisce ma la trovo interessante.
Arriviamo a un ristorante-caffetteria dall’aria informale e ci sediamo fuori. Ordiniamo e continuiamo a chiacchierare finché ci portano i nostri piatti. Zed mangia tutto quello che ha nel suo e poi comincia a rubarmi le patatine.
Alzo la forchetta e lo minaccio: «Se mi prendi un’altra patatina dovrò ammazzarti».
Mi guarda con fare innocente e ride con la lingua tra i denti. Rido anch’io, per un tempo che mi sembra lunghissimo. È una sensazione fantastica.
«Hai una risata adorabile», mi dice, e io lo guardo storto.
Al cinema vediamo una commedia piuttosto banale, che non piace a nessuno dei due. Ma va bene così, perché ci divertiamo lo stesso, facendo battute durante il film; verso la fine lui posa la mano sulla mia. Non è imbarazzante quanto pensavo, ma non mi dà la stessa sensazione di quando lo fa Hardin. E in quel momento mi accorgo che non pensavo a lui da ore: una piacevole novità.
Quando Zed mi riaccompagna al campus sono quasi le undici. Sono felice che sia mercoledì: mancano solo due giorni al weekend, quando potrò recuperare il sonno perduto.
Scende dalla macchina e mi raggiunge mentre mi sistemo la tracolla. «Mi sono divertito molto, grazie di aver accettato il mio invito.»
Gli sorrido. «Anch’io mi sono divertita.»
«Stavo pensando… Ti ricordi quando mi hai chiesto se andavo al falò? Ti scoccia se ci vengo?»
«No, anzi, mi farebbe piacere. Io ci vado con Landon e la sua ragazza, però.» Non ricordo se Zed aveva preso in giro Landon insieme agli altri, ma voglio che capisca che non tollero queste cose.
«Nessun problema, sembra simpatico.»
«Bene, allora siamo d’accordo», dico sorridendo. «Ci vediamo direttamente lì?» Di sicuro non lo porto a cena a casa di Landon.
«Va bene. Grazie ancora per stasera.» Fa un passo verso di me.
Penso che voglia baciarmi, e mi assale il panico. Invece mi prende la mano, se la porta alla bocca e ci posa un bacio.
«Buonanotte, Tessa.» Poi risale in macchina.
Faccio un gran sospiro di sollievo. È carino, e bacia bene – come ho appurato durante Obbligo o verità – ma non è proprio il momento giusto.
La mattina seguente Landon mi aspetta in caffetteria. Gli racconto di Zed. Purtroppo, le sue prime parole sono: «Hardin lo sa?»
«No, e non c’è bisogno che lo sappia. Non sono affari suoi.» Mi rendo conto di parlare in tono un po’ acido, perciò aggiungo: «Scusa, ma è un argomento delicato».
«Capisco. Sta’ attenta, però.» Gli prometto che lo farò.
Il resto della giornata vola, e Landon non parla più né di Hardin né di Zed. Finalmente arriva l’ora di letteratura, ed entro nell’aula con il fiato sospeso. Hardin è seduto al solito posto; vederlo mi fa male al cuore. Lui mi lancia un’occhiata poi torna a guardare davanti a sé.
«Quindi ieri sera sei uscita con Zed?» mi chiede quando mi siedo. Speravo tanto che non mi rivolgesse la parola.
«Non ti riguarda», rispondo a bassa voce.
Si gira sulla sedia e si sporge verso di me. «Le voci si spargono in fretta nel nostro gruppo, Tessa. Ricordatelo.»
Mi sta forse minacciando di raccontare ai suoi amici tutte le cose che abbiamo fatto insieme? Il solo pensiero mi fa imbestialire.
Rivolgo l’attenzione al professore, che si schiarisce la voce e dice: «Bene, ragazzi, ricominciamo da dove ci siamo interrotti ieri. Parlavamo di Cime tempestose».
Mi si contorce lo stomaco. Non dovevamo studiare Cime tempestose prima della settimana prossima: ecco cosa succede a saltare le lezioni. Sento lo sguardo di Hardin su di me. Forse anche lui sta ripensando alla prima volta che sono stata in camera sua, quando mi ha sorpresa a leggere la sua copia di quel romanzo.
Il professore ci passa davanti, camminando con le mani dietro la schiena. «Dunque, come sappiamo, Catherine e Heathcliff hanno una relazione molto appassionata: il loro amore è una forza così travolgente da rovinare la vita a quasi tutti gli altri personaggi. C’è chi sostiene che fosse una coppia destinata all’infelicità, altri pensano che avrebbero dovuto sposarsi anziché opporsi all’amore che li univa fin dal principio.» Fa una pausa, ci guarda. «E voi cosa ne pensate?»
Di solito alzerei subito la mano, fiera di mettere in luce la mia competenza sui romanzi classici, ma stavolta mi sento punta sul vivo.
Una voce si leva dal fondo dell’aula: «Secondo me sono una pessima coppia: litigano in continuazione, e Catherine rifiuta di ammettere a se stessa che ama Heathcliff. Sposa Edgar pur essendo innamorata di Heathcliff. Se solo si fossero messi insieme all’inizio, avrebbero risparmiato molte sofferenze a un mucchio di persone».
Hardin mi guarda e io mi sento arrossire. «Secondo me Catherine è una stronza egoista e presuntuosa.» Vari studenti sussultano e il professore gli scocca un’occhiataccia, ma Hardin continua. «Scusi, ma Catherine è convinta che Heathcliff non sia alla sua altezza… e forse è vero, ma sapeva che Edgar non avrebbe mai potuto reggere il confronto con lui, eppure l’ha sposato lo stesso. Catherine e Heathcliff si somigliano così tanto che faticano ad andare d’accordo, ma se Catherine fosse meno testarda potrebbero vivere insieme felici.»
Mi sento stupida, perché anch’io inizio a paragonare Hardin e me ai protagonisti del romanzo. La differenza è che Heathcliff ama profondamente Catherine, tanto da restare solo a lungo dopo che lei sposa un altro. Hardin non mi ama in quel modo – o non mi ama affatto – quindi non ha il diritto di paragonarsi a Heathcliff.
Ho l’impressione che tutta la classe mi stia guardando in attesa della mia risposta. Probabilmente sperano in un litigio come quello dell’altra volta. Ma resto in silenzio: so che Hardin vuole provocarmi, e stavolta non ci cascherò. 
64
DOPO la lezione saluto Landon e vado dritta dal professore, per giustificare le mie assenze. Lui si congratula con me per lo stage e mi informa che ha cambiato un po’ l’ordine degli argomenti nel programma del corso. Prolungo la conversazione finché vedo che Hardin è uscito dall’aula.
Torno in camera e dispongo sul letto, in bell’ordine, tutti gli appunti e i libri. Cerco di studiare, ma sono nervosa perché ho paura che da un momento all’altro arrivino Steph, Hardin o una delle tante altre persone che frequentano la nostra stanza. Rimetto i libri in borsa e mi dirigo alla macchina. Troverò un posto per studiare fuori dal campus, magari una caffetteria.
Mentre guido verso la città, scorgo una piccola biblioteca all’angolo di una strada trafficata. Ci sono poche auto nel parcheggio, quindi mi fermo. Entro e vado a sedermi in fondo, vicino a una finestra, e tiro fuori i libri. Per la prima volta posso studiare in pace, senza distrazioni. Questo posto sarà il mio nuovo rifugio.
«Signorina, chiudiamo tra cinque minuti», mi informa un’anziana bibliotecaria.
Chiudono già? Guardo dalla finestra e vedo che si è fatto buio. Ero così concentrata sui libri che sono passate ore e non me ne sono neppure accorta. Dovrò venire qui più spesso.
«Ah, va bene, grazie.» Metto via i libri, controllo il telefono e vedo un nuovo messaggio da Zed.
Volevo solo darti la buonanotte, non vedo l’ora che sia venerdì.
È davvero dolce. Rispondo: Che gentile, grazie. Anch’io non vedo l’ora.
Torno in camera e Steph non c’è ancora, quindi mi metto in pigiama e prendo Cime tempestose. Mi addormento in fretta, sognando Heathcliff e la brughiera.
Il venerdì mattina al mio risveglio trovo un messaggio di Landon: non viene all’università perché Dakota arriva prima del previsto. Per un momento mi sfiora l’idea di saltare la lezione di letteratura, ma decido di no: non posso permettere che Hardin rovini tutte le cose che mi piacciono.
Dedico un po’ più tempo del solito a prepararmi: faccio una treccia con la parte superiore dei capelli e poi arriccio le punte. Dicono che farà caldo, quindi scelgo una felpa viola senza maniche e un paio di jeans. Quando arrivo alla caffetteria prima della lezione scorgo Logan in fila alla cassa davanti a me. Si gira e mi vede.
«Ciao, Tessa.»
«Ciao, Logan, come stai?»
«Bene, vieni stasera?»
«Al falò?»
«No, alla festa. Il falò sarà noioso, come sempre.» «Be’, io ci vado.» Ridacchiamo entrambi.
«Se non ti diverti puoi sempre fare un salto alla festa», dice mentre gli consegnano il caffè.
Lo ringrazio: sono contenta che il gruppo di Hardin non sembri interessato al falò, perché significa che stasera non dovrò vedere nessuno di loro.
A letteratura vado dritta a sedermi senza lanciare un solo sguardo in direzione di Hardin. Continuiamo a parlare di Cime tempestose, ma Hardin non interviene. Appena finisce la lezione raduno le mie cose e mi affretto verso l’uscita.
«Tessa!» mi chiama Hardin, ma io aumento il passo. Senza Landon mi sento più vulnerabile. Arrivata sul marciapiede, mi raggiunge e mi tocca un braccio; mi viene un brivido.
«Che c’è?» strillo.
Lui fa un passo indietro e mi porge un quaderno. «Ti è caduto questo.»
Sono combattuta tra il sollievo e la delusione. Vorrei che questo dolore nel petto se ne andasse, invece non fa che aumentare, ogni momento di ogni giorno. Non avrei dovuto ammettere a me stessa che lo amo: se avessi continuato a ignorare la verità, forse ora soffrirei di meno.
«Ah, grazie», borbotto, prendendo il quaderno. I nostri occhi si incontrano e restiamo a fissarci; finché, dopo qualche secondo, ricordo che siamo su un marciapiede affollato e mi guardo intorno. Hardin si scrolla i capelli e li spinge all’indietro, poi si gira e se ne va.
Torno alla macchina e vado dritta a casa di Landon. Non dovevo andarci prima delle cinque, e sono solo le tre, ma non ce la faccio a starmene in camera da sola. Ho proprio perso la testa da quando Hardin è entrato nella mia vita.
Karen mi accoglie con un largo sorriso e mi invita a entrare.
«Ci sono solo io. Dakota e Landon sono fuori, ho chiesto loro di comprarmi alcune cose», dice accompagnandomi in cucina.
«Non c’è problema, mi spiace di essere arrivata così presto.»
«Non scusarti, puoi darmi una mano in cucina!» Mi porge un tagliere, patate e cipolle.
Parliamo del meteo e dell’inverno che sta per arrivare.
«Tessa, vuoi ancora aiutarmi a sistemare la serra? È climatizzata, quindi non dobbiamo preoccuparci del freddo.»
«Sì, certo! Mi piacerebbe molto.»
«Bene, allora domani, che ne dici? Il prossimo fine settimana sarò un po’ indaffarata…»
Il matrimonio. Me n’ero quasi dimenticata. Cerco di sorriderle. «Sì, immagino proprio di sì.» Vorrei essere riuscita a convincere Hardin ad andarci, ma era impossibile allora e adesso lo è più che mai.
Karen inforna il pollo e tira fuori piatti e posate per apparecchiare. «Hardin viene a cena stasera?» mi chiede, fingendo nonchalance ma chiaramente nervosa.
«No, non viene», le rispondo con gli occhi bassi.
Lei si ferma e domanda: «Va tutto bene tra voi due? Non voglio impicciarmi, ma…»
«Figurati.» Tanto vale che glielo dica. «Non credo che vada tutto bene.»
«Oh, tesoro, mi dispiace. Pensavo proprio che ci fosse qualcosa tra di voi. Ma so che è difficile stare con una persona che ha paura di mostrare le emozioni.»
La conversazione mi mette un po’ a disagio. Non riesco a parlare neppure con mia madre di cose del genere, ma Karen è così schietta che sento di poterne discutere con lei, perciò le chiedo: «In che senso?»
«Be’, non conosco Hardin bene quanto vorrei, ma so che è molto chiuso emotivamente. Ken passava le notti in bianco a preoccuparsi per lui. È sempre stato un bambino infelice.» Le vengono gli occhi lucidi. «Non diceva mai a sua madre che le voleva bene.»
«Cosa?»
«Tuttora non lo dice. Non so perché. Ken non ricorda di averglielo sentito dire neppure una volta, né a lui né alla madre. È una cosa molto triste, non solo per Ken ma anche per Hardin.» Si asciuga gli occhi.
Ancora più strano, perciò, che Hardin abbia usato contro di me le parole «ti amo», in quel modo orribile. «È… è una persona molto difficile da capire», commento, perché non mi viene in mente altro.
«Sì. Ma Tessa, spero che verrai comunque a trovarci, anche se le cose tra voi non dovessero funzionare.» «Certo, lo farò.»
Forse perché mi vede turbata, Karen cambia argomento, e torniamo a parlare della serra in attesa che la cena finisca di cuocere e portiamo tutto in tavola. A metà di una frase si interrompe e fa un largo sorriso. Mi giro e vedo Landon che entra in cucina seguito da una bella ragazza riccia. Sapevo che era carina, ma non fino a questo punto.
«Ciao, tu devi essere Tessa», dice, prima ancora che Landon possa presentarci. Viene subito ad abbracciarmi. Già mi sta simpatica.
«Dakota, ho sentito tanto parlare di te: che piacere conoscerti, finalmente!» esclamo. Mi sorride. Landon la segue con gli occhi mentre va ad abbracciare Karen e poi si siede al bancone.
«Venendo qui abbiamo visto Ken che faceva benzina, quindi dovrebbe arrivare da un momento all’altro», dice Landon alla madre.
«Ottimo. Io e Tessa abbiamo già apparecchiato.»
Landon cinge in vita Dakota e la accompagna a tavola. Mi siedo davanti a loro e guardo il posto vuoto accanto al mio, che Karen ha predisposto «per motivi di simmetria», ma che mi dà un po’ di tristezza. In un’altra vita Hardin sarebbe seduto vicino a me e mi terrebbe per mano come Landon sta facendo con Dakota, e potrei appoggiarmi a lui senza paura di essere rifiutata. Inizio a pentirmi di non avere invitato Zed, anche se sarebbe stato molto imbarazzante; cenare con due coppie profondamente innamorate rischia di essere ancora peggio.
L’arrivo di Ken mi riscuote dai pensieri. Viene a tavola e bacia Karen sulla guancia prima di sedersi.
«Che buon profumino, tesoro», commenta mettendosi il tovagliolo sulle gambe. «Dakota, diventi più bella ogni volta che ti vedo.» Le sorride, poi si rivolge a me. «E Tessa, congratulazioni per lo stage alla Vance. Christian mi ha telefonato per dirmelo. Gli hai fatto un’ottima impressione.»
«Grazie ancora di averlo chiamato: è un’opportunità eccezionale.» Sorrido e per un momento cala il silenzio mentre tutti assaggiamo il pollo di Karen, che è squisito.
«Scusate il ritardo», dice una voce dietro di me. La forchetta mi cade sul piatto.
«Hardin! Non sapevo che venissi anche tu!» esclama Karen, e poi mi guarda. Tengo gli occhi sul piatto, e ho già il batticuore.
«Sì, ricordi che ne abbiamo parlato la settimana scorsa, Tessa?» Hardin mi rivolge uno dei suoi sorrisi minacciosi e viene a sedersi accanto a me.
Ma che problema ha? Perché non mi lascia in pace? So che è anche colpa mia, perché gli permetto di ferirmi, ma gli piace davvero giocare al gatto e al topo. Tutti mi guardano, quindi annuisco e riprendo la forchetta. Dakota sembra confusa e Landon preoccupato.
«Tu devi essere Delilah, giusto?» la saluta Hardin.
«Dakota, a dire il vero», lo corregge lei sorridendo.
«Delilah, Dakota, stessa roba.»
Gli sferro un calcio sotto il tavolo. Landon lo guarda male, ma Hardin non sembra farci caso. Ken e Karen si mettono a parlare tra di loro, e Dakota e Landon fanno lo stesso. Io mi concentro sul cibo e cerco di farmi venire in mente una via di fuga.
«Allora, come sta andando la vostra serata?» mi chiede Hardin in tono disinvolto. Sa che non voglio fare una scenata davanti agli altri, quindi cerca di stuzzicarmi.
«Bene», rispondo a bassa voce.
«Non ti interessa come sta andando la mia?» ghigna.
«No», mormoro, e mangio un’altra forchettata.
«Tessa, è tua la macchina parcheggiata qui fuori?» mi domanda Ken.
«Ah sì, finalmente me ne sono comprata una!» esclamo con un po’ più entusiasmo del dovuto perché spero di avviare una conversazione, così da non essere costretta a parlare con Hardin da sola.
Hardin mi guarda perplesso. «Quando?»
«L’altro giorno», rispondo. Sai, il giorno in cui mi hai parlato del brivido della conquista?
«Ah. Dove l’hai presa?»
«In una rivendita di macchine usate.» Dakota e Karen cercano di nascondere un sorriso. Colgo l’occasione per distogliere l’attenzione da me: «Dakota, Landon mi ha detto che pensavi di andare a New York per studiare danza classica…» Lei ci racconta dei suoi progetti

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