parte 7

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«Hardin, svegliati», gli dico, scrollandolo per la spalla e scostandogli una ciocca bagnata dalla fronte.
Apre gli occhi di colpo: sono pieni di terrore.
«Va tutto bene… ssst… era solo un brutto sogno.» Faccio del mio meglio per calmarlo. Gli accarezzo i capelli e poi la guancia. È scosso dai brividi. Mi sdraio accanto a lui e lo abbraccio, gli poso la guancia sulla pelle sudata e sento che si rilassa.
«Resta con me, per favore», mi scongiura. Sospiro e lo stringo più forte, senza dire niente. «Grazie», bisbiglia.
«Il fatto che sia venuta a calmarti non significa che ti abbia perdonato. Devi ancora spiegarmi tutto: tutti i segreti, tutte le risse… e gli incubi… altrimenti me ne vado.»
Sospira e si passa le mani tra i capelli. «Tessa… Non è così semplice.»
«Sì, invece. Mi sono fidata di te, ho litigato con mia madre e ho accettato di venire a vivere con te così presto; tu dovresti fidarti di me e raccontarmi cosa succede.»
«Non capiresti.»
«Mettimi alla prova.»
«Non… non posso.»
«E allora io non posso stare con te. Mi dispiace, ma ti ho dato molte possibilità e tu continui…»
«Non dire così. Non ti azzardare a lasciarmi», dice in tono duro, ma nei suoi occhi c’è solo dolore.
«Allora tu dammi qualche risposta. Cos’è che non capirei, secondo te? Qualcosa che riguarda i tuoi incubi?»
«Dimmi che non mi lascerai.»
Tenergli testa si sta rivelando molto più difficile del previsto, tanto più vedendolo così sofferente.
Perché è convinto che non capirei? Che genere di segreti può mai avere? Non lo giudicherei per qualcosa che gli provoca quei terribili incubi. Sempre che parli di quelli, ma non riesco a non pensare che sotto ci sia qualcosa di molto più grosso che mi sfugge.
Per alleviare la tensione che sento nei muscoli decido di andare a farmi una doccia. Mi alzo e vado in bagno.
Quando finisco, Hardin è in cucina, sta camminando avanti e indietro. Si gira a guardarmi.
«Ti… ti ho preparato la cena», dice.
«Oh… Perché?»
«Perché sono uno stronzo.»
«Sì, in effetti lo sei.» La cena sembra molto più appetitosa di quanto pensassi, anche se non capisco bene di cosa si tratti: pollo, forse.
«È pollo alla fiorentina», spiega lui.
«Mmm.»
«Non devi per forza…» inizia a dire, quasi con timidezza. Non l’avevo mai visto così: per la prima volta ho l’impressione di avere il coltello dalla parte del manico.
«No, sembra buono. È solo che mi stupisci», gli rispondo. Prendo una forchettata: il sapore è ancora meglio dell’aspetto.
«Mi piace questa pettinatura», dice. Ripenso all’ultima volta che mi ero tagliata i capelli, e solo Hardin l’aveva notato.
«Ho bisogno di risposte», gli ricordo.
Sospira. «Lo so, e te le darò.»
Mangio ancora, per nascondere la soddisfazione che provo.
«Anzitutto voglio che tu sappia che nessuno… nessuno, tranne mia madre e mio padre… sa quello che sto per dirti.» Si stuzzica le crosticine sulle nocche delle dita.
In attesa che parli, prendo un’altra forchettata.
«Okay… be’, ecco come stanno le cose. Una sera, quando avevo sette anni, mio padre era al bar davanti a casa nostra. Ci andava quasi ogni sera e lo conoscevano tutti. Motivo per cui era una pessima idea far arrabbiare qualcuno lì dentro. E invece è proprio quello che ha fatto. Quella sera ha attaccato briga con alcuni militari, ubriachi quanto lui, e ha spaccato una bottiglia di birra sulla testa di uno di loro.»
Non ho idea di come andrà a finire la storia; non bene, questo è sicuro.
«Continua a mangiare, per favore…» Obbedisco e mi sforzo di non guardarlo mentre ricomincia a parlare.
«È uscito dal bar. Gli altri hanno attraversato la strada e sono venuti a cercarlo a casa, probabilmente perché volevano vendicare il loro amico. Il problema è che lui non era rientrato, ma loro non lo sapevano. Mia madre dormiva sul divano, aspettandolo.» I suoi occhi verdi incontrano i miei. «Un po’ come te ieri sera.»
«Hardin…» bisbiglio, e gli prendo la mano sopra il tavolo.
«Perciò, quando hanno trovato mia madre…» Si interrompe e fissa a lungo la parete. «Quando l’ho sentita gridare, sono sceso al piano terra e ho cercato di fermarli. Le avevano strappato la camicia da notte e lei continuava a gridarmi di scappare… non voleva che vedessi quello che le stavano facendo. Ma non potevo andarmene, capisci?»
Batte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Provo un dolore straziante per quel bambino di sette anni che ha dovuto assistere a quell’orrore. Vado a sedermi sulle sue gambe e poso la testa sul suo collo.
«Insomma, per farla breve, ho cercato di fermarli ma non ci sono riuscito. Quando mio padre è entrato barcollando dalla porta, avevo ricoperto mia madre di cerotti per… non lo so, per tentare di guarirla, credo. Ero proprio stupido…»
Lo guardo. «Non piangere», mi dice, ma non riesco a trattenere le lacrime. Non avrei mai immaginato che i suoi incubi avessero origine da qualcosa di così terribile.
«Mi dispiace di averti costretto a dirmelo», singhiozzo.
«No… piccola, non preoccuparti. Anzi, è un sollievo potermi sfogare con qualcuno. Il massimo sollievo che posso sperare di ottenere.»
Mi accarezza i capelli, smarrito nei pensieri. «Da quel giorno ho iniziato a dormire sul divano, così se qualcuno entrava in casa… avrebbe trovato me per primo. Poi sono cominciati gli incubi… e non se ne sono più andati. Dopo che mio padre ci ha abbandonati sono stato da alcuni psicologi, ma nessuno è riuscito ad aiutarmi, finché sei arrivata tu.» Abbozza un sorriso. «Mi dispiace di essere rimasto fuori tutta la notte. Non voglio essere quel tipo d’uomo. Non voglio essere come lui.» Mi abbraccia.
Ora che ho qualche altro pezzo del puzzle capisco un po’ meglio Hardin. E allo stesso tempo la mia opinione su Ken si è rovesciata in modo altrettanto drastico. So che le persone possono cambiare, ed è chiaro che Ken non è più l’uomo che era, ma non posso evitare di provare rabbia nei suoi confronti. Hardin ha così tanti problemi per colpa del padre che l’ha trascurato, per colpa dell’alcol, per colpa di quella notte orribile in cui Ken ha provocato un’aggressione a sua moglie e suo figlio, e poi non era lì per proteggerli. Non ho ottenuto tutte le risposte che volevo, ma molte più di quante mi aspettassi.
«Non lo farò mai più… te lo giuro… ma per favore, dimmi che non vuoi lasciarmi…» mormora.
Non provo più la rabbia di prima, non mi sento più in diritto di chiedergli niente. «Non ti lascerò, Hardin. Non ti lascerò.» E glielo ripeto diverse volte, perché da come mi guarda capisco che ha bisogno di sentirselo dire.
«Ti amo, Tessa, più di ogni altra cosa.» E mi asciuga le lacrime.
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NON ci muoviamo da quella posizione, lui seduto sulla sedia e io sulle sue gambe, per almeno mezz’ora. Poi Hardin alza la testa dal mio petto e dice: «Ora posso mangiare?» «Sì.» Gli sorrido debolmente e faccio per alzarmi, ma lui mi tiene ferma.
«Non ho detto che devi alzarti. Passami il piatto.» Sorride.
Gli porgo il suo e poi mi sporgo a prendere il mio. Sono ancora sconvolta dalle nuove informazioni e non so se me la sento di andare al matrimonio domani.
Ho l’impressione che Hardin non abbia voglia di raccontarmi altro, perciò inizio a mangiare e dico: «Sei un cuoco molto migliore di quanto immaginassi. Ora che l’ho scoperto, mi aspetto che tu cucini più spesso».
«Vedremo», risponde con la bocca piena. Finiamo di mangiare in silenzio.
Più tardi, mentre sto caricando la lavastoviglie, mi chiede: «Sei ancora arrabbiata?»
«Non proprio. Ma non mi sta bene che tu sia rimasto fuori tutta la notte, e voglio sapere con chi hai fatto a botte e perché.» Apre la bocca per rispondere, ma lo fermo. «Non stasera, però.» Penso che per oggi nessuno dei due potrebbe sopportare altre confessioni.
«Okay», mi concede a bassa voce. Lo vedo preoccupato, ma decido di non indagare oltre.
«Ah, e non mi è piaciuto che tu mi abbia rinfacciato la questione dello stage. Mi hai ferita.»
«Lo so, è per questo che l’ho detto», risponde, un po’ troppo sinceramente. «Lo so, è per questo che non mi è piaciuto.»
«Scusami.»
«Non farlo più, va bene?» Lui annuisce. «Sono distrutta», dico sbadigliando, per cambiare argomento.
«Anch’io. Andiamo a sdraiarci. Ho fatto l’abbonamento alla tv via cavo.» «Ma quello toccava a me.» Lo guardo storto.
Viene a sedersi sul letto accanto a me. «Basta che mi dai i soldi…»
Fisso la parete. «A che ora dobbiamo uscire domani, per andare al matrimonio?» «Quando ci pare.»
«Inizia alle tre, quindi penso che dovremmo essere lì entro le due», dico.
«Un’ora prima?! Non so perché insisti a…» Viene interrotto dallo squillo del mio telefono.
Lo prende, e dalla sua faccia capisco subito chi è. «Cosa vuole?» sbuffa.
«Non lo so, Hardin, ma penso che dovrei rispondere.» Gli strappo il telefono di mano. «Noah?» Mi trema la voce, lo sguardo di Hardin mi trapassa.
«Ciao Tessa, scusa se ti chiamo di venerdì sera, ma… be’…» Sembra ansioso.
«Che c’è?» lo esorto, perché ci mette sempre più del dovuto a spiegarsi quando c’è un problema.
Guardo Hardin, che mima con la bocca la parola «vivavoce».
Lo incenerisco con gli occhi, ma poi attivo comunque il vivavoce.
«Tua madre ha ricevuto una telefonata dal supervisore del dormitorio, riguardo al conto da saldare per la stanza, quindi ora sa che sei andata a vivere da un’altra parte. Le ho detto che non so dove abiti adesso, ed è la verità, ma non vuole credermi. Quindi sta venendo lì.»
«Qui? All’università?»
«Sì. Non lo so, ma ha detto che ti troverà, ed è così arrabbiata che non ci sta con la testa. Volevo avvertirti che, be’, insomma… sta arrivando.»
«Non ci posso credere!» grido, ma poi ringrazio Noah e riaggancio.
Mi sdraio sul letto. «Fantastico… Che splendido modo di passare la serata.»
Hardin si alza a sedere sul letto e si appoggia su un gomito. «Non ti troverà. Nessuno sa dove abitiamo.»
«Forse non mi troverà, ma di sicuro tartasserà Steph e chiederà informazioni a tutti gli studenti del dormitorio, e farà una scenata colossale.» Nascondo il viso tra le mani. «È meglio se vado lì.»
«Oppure puoi telefonarle e darle il nostro indirizzo, per farla venire qui. Sul tuo territorio, dove saresti in vantaggio.»
«E a te sta bene?» Tolgo le mani dal viso per guardarlo.
«Ma certo. È tua madre, Tessa.»
Lo osservo perplessa, pensando alla rottura tra lui e suo padre. Ma poi capisco che dice sul serio, e ricordo che ha deciso di provare a riconciliarsi con la sua famiglia, e che quindi anch’io devo trovare il coraggio di farlo. «La chiamo», rispondo.
Resto a fissare il telefono per un po’, poi faccio un gran respiro e la chiamo. Parla molto in fretta ed è incredibilmente concisa. Capisco che sta conservando le energie e il disprezzo per quando mi vedrà di persona. Non le dico niente dell’appartamento, non le rivelo che ci abito; le do solo l’indirizzo e chiudo la conversazione il prima possibile.
Istintivamente salto giù dal letto e inizio a mettere ordine in casa.
«È già pulito, non abbiamo toccato quasi niente», osserva Hardin.
«Lo so, ma pulire mi tranquillizza.»
Dopo aver messo via i pochi vestiti che erano sparsi per terra, accendo una candela in salotto e mi siedo a tavola con Hardin ad aspettare mia madre. Non dovrei essere così nervosa – sono un’adulta e posso vivere come mi pare – ma la conosco e so quanto la prenderà male. Sono già scossa dopo la confessione di Hardin di un’ora fa, e non sono sicura di avere le forze per litigare con mia madre, proprio stasera.
«Preferisci che resti qui con te, o che vi lasci parlare da sole?» mi chiede Hardin dopo un momento di silenzio.
«Penso che dovremmo stare un po’ a quattr’occhi», rispondo. Vorrei averlo al mio fianco, ma so che la sua presenza farebbe infuriare ancora di più mia madre.
«Aspetta…» dico. «Mi è appena tornata in mente una cosa che ha detto Noah. Che l’ultimo conto del mio dormitorio era stato saldato.» Lo guardo con aria interrogativa.
«Sì… e allora?»
«L’hai pagato tu, vero?!» esclamo. Non arrabbiata, ma sorpresa e irritata.
«E quindi?…»
«Hardin! Devi smetterla di spendere soldi per me. Mi metti in imbarazzo.»
«Non vedo il problema, non era una cifra consistente.»
«Hai un patrimonio milionario nascosto da qualche parte, per caso? Spacci droga?»
«No, ho solo risparmiato un bel po’ di soldi e non spendo quasi niente. L’anno scorso non ho avuto spese e lavoravo, perciò gli stipendi si sono accumulati in banca. Non avevo niente per cui mi andasse di spendere soldi, ma ora… ora ce l’ho.» Mi fa un gran sorriso. «E mi piace spenderli per te, quindi non ti opporre, per favore.»
«Ritieniti fortunato che mia madre stia per venire qui, e che io abbia le forze per litigare con uno solo di voi due.» Ridacchiamo, ci prendiamo per mano e restiamo seduti ad aspettare.
Qualche minuto dopo bussano… anzi, picchiano alla porta.
Hardin si alza. «Vado nell’altra stanza. Ti amo.» Mi bacia in fretta e se ne va.
Faccio il respiro più profondo di cui sono capace e apro la porta. Mia madre è perfetta in modo inquietante, come al solito. Non c’è uno sbaffo sui suoi occhi impeccabilmente truccati, il rossetto rosso è ben steso e setoso, i capelli biondi sono raccolti in una specie di aureola intorno alla testa.
«Cosa cavolo credi di fare?! Andartene in quel modo dal dormitorio senza dirmi niente!» grida senza neppure salutarmi ed entra nell’appartamento.
«Non mi hai lasciato molta scelta», ribatto. Cerco di respirare e di mantenere la calma.
Si gira di scatto a guardarmi. «Scusa?! Come sarebbe, non ti ho lasciato scelta?»
«Hai minacciato di non pagarmi più il dormitorio», le ricordo, incrociando le braccia sul petto.
«Quindi ti ho lasciato una scelta, ma tu hai fatto quella sbagliata.»
«No, sei tu quella che si sbaglia.»
«Ma sentila! Ma guardati. Non sei più la Tessa che ho accompagnato al college.» Mi addita. «Ti ribelli, alzi la voce con tua madre! Che faccia tosta! Ti ho dato tutto quello che ho potuto, e tu… lo butti via.»
«Non sto buttando via niente! Faccio uno stage in un’azienda prestigiosa che mi paga molto bene; ho una macchina e una media altissima agli esami. Cos’altro puoi volere da me?»
Una scintilla le attraversa gli occhi. Risponde in tono velenoso: «Be’, tanto per cominciare potevi almeno cambiarti per accogliermi. Sei inguardabile, francamente». Abbasso gli occhi sulla mia tuta, e intanto lei ricomincia con le critiche. «E cos’è questa roba… adesso ti trucchi? Ma chi sei? Non sei la mia Theresa, questo è certo. La mia
Theresa non passerebbe il venerdì sera in pigiama a casa di una specie di satanista.»
«Non parlare così di lui», dico a denti stretti. «Ti ho già avvertita.»
Socchiude gli occhi e scoppia a ridere. Resisto alla tentazione di prenderla a schiaffi su quella faccia così ben dipinta. Rabbrividisco alla sola idea di averlo pensato, ma lei mi ha provocata troppo.
«Ah, e un’altra cosa», continuo lentamente, in tono calmo, attenta a comunicarle la notizia con la solennità che merita. «Questa non è solo casa sua. È casa nostra.» Ecco, sono riuscita a farla smettere di ridere. 
92
QUESTA donna va così fiera del suo autocontrollo che poche volte in vita mia sono riuscita a sorprenderla, e tantomeno a lasciarla senza parole. Ma stavolta ce l’ho fatta. Mi guarda sbigottita.
«Cos’hai detto?» chiede lentamente.
«Mi hai sentita. Questa è casa nostra, nel senso che ci abitiamo insieme.» Mi poso le mani sui fianchi per esaltare la teatralità dell’annuncio.
«Non è possibile! Tu non puoi permetterti una casa del genere!»
«Vuoi vedere il contratto d’affitto? Perché ne ho giusto qui una copia.»
«La situazione è ancora più grave di quanto…» inizia a dire, poi guarda nel vuoto e sembra riflettere sulla piega che ha preso la mia vita. «Eri già avventata a frequentare quel… quel ragazzo. Ma sei proprio stupida, se sei andata a viverci insieme! Non lo conosci nemmeno! Non hai conosciuto i suoi genitori… E non ti vergogni di farti vedere in pubblico con lui?»
La rabbia mi ribolle dentro. Tengo gli occhi fissi sulla parete e cerco di restare calma, ma non ce la faccio più. Comincio a gridare. «Come osi venire a casa mia e insultarlo! Lo conosco meglio di chiunque altro, e lui mi conosce meglio di come mi conoscerai mai tu! E ho conosciuto anche la sua famiglia, o quantomeno suo padre. Lo vuoi sapere chi è suo padre? È il rettore della WCU, porca miseria! Scommetto che adesso lo giudicherai un po’ diversamente.»
Detesto tirare in ballo il padre di Hardin, ma è proprio il genere di informazione che può far presa su mia madre.
Hardin esce dalla camera da letto con un’espressione preoccupata, forse perché ha sentito che mi si spezzava la voce. Si ferma accanto a me e cerca di tirarmi indietro da mia madre, proprio come l’altra volta.
«Ah, splendido! Ecco qui l’uomo dell’anno», ironizza lei, puntandogli un dito addosso. «Suo padre non è il rettore.» Sbotta in un risolino.
Ho la faccia rossa e rigata di lacrime, ma non me ne importa niente. «Sì che lo è. Scioccata? Se tu non stessi tutto il giorno a giudicare le persone, avresti potuto parlargli e scoprirlo da sola. Ma tanto non meriti di conoscerlo. È rimasto al mio fianco come tu non hai fatto mai, e non c’è niente – ripeto, niente – che tu possa fare per tenermi lontana da lui!»
«Non parlarmi in questo modo!» sbraita, e mi si avvicina. «Solo perché ti sei trovata un bell’appartamentino e ti sei messa un po’ di eyeliner, credi di essere diventata una donna? Tesoro, mi spiace dovertelo dire, ma a me sembri piuttosto una puttana. Andare a convivere a diciotto anni!»
Hardin socchiude gli occhi con aria minacciosa, ma lei lo ignora. «Farai meglio a smetterla, Tessa, prima di perdere la dignità. Guardati allo specchio, e poi guarda lui! Siete ridicoli insieme; avevi Noah, che era perfetto per te, e l’hai buttato via per prenderti… questo qui!» Indica Hardin.
«Noah non c’entra niente», le dico.
Hardin serra la mascella e io prego in silenzio che non apra bocca.
«Noah ti ama, e so che tu ami lui. Ora smettila con questa sceneggiata della ribellione e vieni con me. Ti riporto in dormitorio, e Noah ti perdonerà sicuramente.» Mi porge la mano con fare autoritario, come se fosse convinta che la prenderò e mi lascerò portare via di qui.
Stringo nei pugni l’orlo della maglietta. «Tu sei pazza. Sul serio, mamma, ti rendi conto di quello che dici? Non voglio venire con te. Abito qui con Hardin e amo lui. Non Noah. Voglio bene a Noah, ma è stata solo la tua influenza a farmi credere che lo amavo, perché mi sentivo tenuta ad amarlo. Mi dispiace, ma amo Hardin e lui ama me.»
«Tessa! Non ti ama, vuole solo infilarsi nelle tue mutande! Apri gli occhi, ragazzina!»
Il tono con cui mi dà della ragazzina è la goccia che fa traboccare il vaso. «Ci si è già infilato, nelle mie mutande, e guarda qua: non se n’è ancora andato!» grido. Hardin e mia madre assumono la stessa espressione scioccata, ma quella di mia madre si tramuta in disgusto, mentre quella di Hardin diventa accigliata e comprensiva.
«Ti dirò una cosa, Theresa. Quando ti spezzerà il cuore e non avrai un posto dove andare… farai meglio a non venire da me.»
«Oh, credimi, non ci verrei. È per questo che resterai sempre da sola. Non puoi più darmi ordini, sono adulta ormai. Soltanto perché non sei riuscita a tenerti stretto mio padre, non per questo puoi provare a comandare a bacchetta me!» Appena pronuncio la frase me ne pento. So che tirare in mezzo mio padre è stato un colpo basso. Ma prima di poter chiedere scusa, sento la sua mano sulla guancia. Lo shock fa più male dello schiaffo in sé.
Hardin si piazza tra me e lei e le posa una mano sulla spalla. «Se non si toglie immediatamente dai coglioni chiamo la polizia.» Il tono calmo con cui lo dice mi dà un brivido, e vedo fremere anche mia madre.
«Non lo faresti.»
«Le ha appena messo le mani addosso, sotto i miei occhi, e pensa che non chiamerei la polizia? Se lei non fosse sua madre, farei molto di peggio. Ora ha cinque secondi per uscire da casa mia.»
Fisso mia madre con gli occhi sbarrati e mi porto una mano sulla guancia dolorante. Non mi piace il modo in cui Hardin l’ha minacciata, ma voglio anch’io che se ne vada. Continuano a guardarsi in cagnesco, poi Hardin ringhia: «Due secondi».
Mia madre sbuffa e si avvia alla porta.
«Spero che tu sia soddisfatta della tua decisione, Theresa», dice. E se ne va sbattendo la porta.
Hardin viene subito a stringermi in un abbraccio confortante e rassicurante, proprio quello di cui ho bisogno. «Mi dispiace tanto, piccola.»
«A me dispiace che abbia detto quelle cose orribili di te.» Il bisogno di difenderlo è più forte di ogni apprensione per me stessa o per mia madre.
«Ssst. Non preoccuparti per me, adesso. Cosa posso fare per te?» «Un po’ di ghiaccio, forse?» propongo, con la voce rotta.
«Certo, piccola.» Mi bacia sulla fronte e va al frigorifero.
Sapevo che non sarebbe finita bene, ma non mi aspettavo una scenata del genere. Da un lato sono molto orgogliosa di me stessa per averle tenuto testa, ma allo stesso tempo mi sento terribilmente in colpa per le cose che ho detto su mio padre. Non è colpa della mamma se lui se n’è andato, e so bene che in questi otto anni si è sentita molto sola. Non è più uscita con nessuno; ha dedicato tutto il suo tempo a me, mi ha trasformata nella donna che voleva diventassi, una donna identica a lei; ma io non voglio essere così. La rispetto e le sono grata per il suo duro lavoro, ma devo scegliere da sola la mia strada, e lei deve capire che non può rimediare ai suoi errori attraverso me. In ogni caso non funzionerebbe, perché faccio già fin troppi errori per conto mio. Vorrei che potesse essere felice per me, e che capisse quanto amo Hardin. So che il suo aspetto fisico la sconcerta, ma se solo provasse a conoscerlo meglio lo amerebbe quanto me, ne sono sicura.
Sempre che lui riuscisse a tenere a freno la maleducazione… ed è improbabile, anche se ho notato qualche piccolo cambiamento in lui. Per esempio ora mi tiene per mano in pubblico, si china a baciarmi quasi ogni volta che gli passo davanti in casa. Forse sono l’unica persona che lascerà mai entrare, l’unica alla quale rivela i suoi segreti, e l’unica che ama. Ma mi sta bene anche così; anzi, se devo essere sincera, la parte egoista di me ne è quasi contenta.
Hardin si siede accanto a me e mi posa il ghiaccio sulla guancia, avvolto in uno strofinaccio. Il sollievo è immediato.
«Non riesco a credere che mi abbia dato uno schiaffo», rifletto.
«Neanch’io. Ho avuto paura di perdere completamente il controllo delle mie reazioni.» Mi guarda negli occhi.
«Lo temevo anch’io», ammetto, accennando un sorriso.
La giornata mi sembra non finire mai: è stata la più lunga e la più stressante della mia vita. Sono esausta, voglio solo che Hardin mi prenda in braccio e mi porti a letto, dove potrò smettere di pensare.
«Ti amo troppo, perché altrimenti l’avrei fatto, credimi.» Mi bacia sulle palpebre abbassate.
Scelgo di credere che non avrebbe picchiato mia madre, che stia parlando in senso metaforico. Dentro di me so che non farebbe una cosa così orribile, e per questo lo amo più di prima. Ho imparato che con me Hardin abbaia ma non morde. «Voglio andare a letto», gli dico.
«Certo.»
«Pensi che lei sarà sempre così?» gli chiedo quando mi sdraio.
Lui si stringe nelle spalle e butta un cuscino per terra. «Ti direi di no, che le persone cambiano e maturano. Ma non voglio darti false speranze.» Mi sdraio a pancia in giù e affondo il viso sul cuscino.
«Ehi», bisbiglia Hardin, accarezzandomi la schiena. Mi giro sospirando e gli leggo negli occhi la preoccupazione.
«Sto bene», mento. Ho bisogno di una distrazione. Gli accarezzo le labbra, giocherellando con il piercing.
Sorride. «Ti diverti a guardarmi come se fossi un esperimento scientifico?» Annuisco, e con l’altra mano gli tocco il piercing sul sopracciglio.
«Buono a sapersi.» Mi morde il pollice. Lo tiro indietro di scatto e sbatto la nuca sulla testiera del letto.
Cerco di schiaffeggiarlo per scherzo, come faccio spesso, ma lui mi prende la mano e se la porta alla bocca, e comincia a leccarmi la punta dell’indice in modo molto provocante. Continua così, un dito dopo l’altro… Questi gesti affettuosi, così strani per lui, mi fanno un effetto fantastico.
«Ti piace? Ne vuoi ancora?» mi stuzzica, leccandosi le labbra. Faccio sì con la testa. «Parla, piccola», insiste.
«Sì, ancora, per favore.» Il cervello non mi funziona più. Mi appoggio a lui, ho bisogno che mi tocchi, che continui a distrarmi.
Mi sfila i pantaloni del pigiama e tira giù le mutandine fino alle caviglie. Si posiziona tra le mie cosce divaricate.
«Lo sapevi che il clitoride esiste al solo scopo di dare piacere? Non ha altra funzione fisiologica», mi informa, sfiorandolo con il pollice. Mi sfugge un gemito, affondo la testa sul cuscino. «È vero, l’ho letto da qualche parte.» «Su Playboy?» ironizzo.
La battuta sembra piacergli, perché sorride, e poi china la testa. La sua lingua si muove rapida sulla parte più sensibile del mio corpo, accompagnata dalle dita. Ringrazio in silenzio chiunque abbia scoperto quel fatto scientifico mentre Hardin mi conduce all’orgasmo, due volte.
Mi abbraccia per tutta la notte e mi sussurra che mi ama. Mentre mi addormento penso alla giornata che abbiamo passato: i miei rapporti con mia madre si sono incrinati, forse definitivamente, e Hardin mi ha rivelato altre cose sulla sua infanzia.
I miei sogni sono popolati da un bambino riccioluto che chiama disperatamente sua madre.
Al mattino sono felice di constatare che lo schiaffo di mia madre non ha lasciato segni visibili. La rottura mi fa ancora soffrire, ma mi rifiuto di pensarci, almeno per oggi.
Faccio la doccia e mi arriccio i capelli, li lego perché non mi diano fastidio mentre mi trucco e mi metto la maglietta che ieri indossava Hardin. Lo sveglio con una sfilza di baci sulle spalle e sulle orecchie, e vado in cucina a preparare la colazione. Voglio iniziare la giornata nel modo migliore possibile, in vista del matrimonio. Sono abbastanza fiera del risultato: uova, pane tostato, pancake… ho preparato troppa roba per noi due, ma Hardin mangia sempre tantissimo, perciò non dovrebbe avanzare molto.
Mi sento cingere in vita da due braccia muscolose. «Ehi, cos’è tutta questa roba?» chiede con voce assonnata. «È esattamente questo il motivo per cui volevo che vivessimo insieme.»
«Perché ti preparassi la colazione?» domando divertita.
«No, be’, sì. E per vederti mezza nuda in cucina appena mi alzo.» Mi mordicchia il collo, e tenta di sollevare l’orlo della maglietta per palparmi le cosce.
Mi giro e gli sventolo una spatola da cucina in faccia. «Tieni le mani a posto fin dopo colazione, Scott.»
«Sissignora.» Prende un piatto e lo riempie di cibo.
Dopo colazione lo costringo a fare una doccia, benché lui tenti di trascinarmi di nuovo a letto. La sua tragica confessione e il litigio con mia madre sembrano dimenticati alla luce del giorno. Resto senza fiato quando Hardin esce dalla camera vestito per il matrimonio: i pantaloni neri sono un po’ aderenti ma gli si appoggiano sui fianchi in modo delizioso, e la cravatta penzola sul petto sotto il colletto slacciato della camicia, che rivela il torace liscio e muscoloso.
«A dire il vero… non so fare il nodo alla cravatta.»
Non riesco a smettere di fissarlo e ho la gola serrata, ma mi sento dire: «Ti aiuto io». Per fortuna non mi chiede dove ho imparato ad annodare una cravatta, perché gli passerebbe subito il buonumore se nominassi Noah. «Sei proprio bello», ammetto al termine dell’operazione. Lui si stringe nelle spalle e si infila la giacca nera, completando il look.
Lo vedo arrossire e mi viene da ridere. Capisco che si senta un pesce fuor d’acqua vestito in quel modo, ed è una reazione adorabile.
«Perché non sei ancora vestita?» mi chiede.
«Aspettavo l’ultimo momento perché il vestito è bianco», gli ricordo.
Alla fine, dopo un ultimo ritocco al trucco, mi metto le scarpe e il vestito. È ancora più corto di come lo ricordassi, ma Hardin sembra approvare: non smette più di guardarmi il petto dopo aver visto il reggiseno senza spalline. Mi fa sempre sentire così bella e desiderabile.
«Purché tutti gli uomini presenti abbiano l’età di mio padre, non dovremmo avere problemi», scherza mentre mi tira su la lampo del vestito e mi bacia sulla spalla. Sciolgo i capelli, lasciando ricadere i lunghi ricci sulla schiena. Sorrido quando mi vedo allo specchio accanto a Hardin.
«Sei stupenda», e mi bacia di nuovo.
Ci assicuriamo di avere tutto il necessario per il matrimonio, compreso l’invito e un biglietto d’auguri che ho comprato. Infilo il telefono in una piccola clutch. Hardin mi cinge in vita. «Sorridi», dice, tirando fuori il telefono.
«Pensavo odiassi le foto.»
«Ti ho detto che ne avrei tollerata una, perciò scattiamone una.» Sfodera un sorriso goffo, da bambino. Ho un tuffo al cuore.
«Facciamone un’altra», continua poi, e all’ultimo momento tiro fuori la lingua e gli lecco la guancia. La foto immortala alla perfezione lo sguardo divertito di Hardin. «Questa è la mia preferita», gli confesso.
«Sono due in tutto.»
«Sì, ma la preferisco lo stesso.» Lo bacio. Scatta un’altra foto.
«Ho premuto per sbaglio», mente. Lo guardo storto e sento un altro clic.
Poco prima di arrivare a casa di suo padre, Hardin si ferma a un distributore. Mentre lui fa benzina, vedo entrare nella stazione di servizio un’auto che conosco. Seduto davanti c’è Nate. Zed parcheggia due pompe di benzina più in là della nostra macchina e scende.
Quando lo guardo in faccia mi si mozza il fiato in gola: ha il labbro gonfio ed entrambi gli occhi neri, un brutto livido sulla guancia. Nel vedere l’auto di Hardin, sul suo bel viso ferito si disegna una maschera di odio. Ma che succede? Non dice niente, non ci saluta. Pochi istanti dopo Hardin risale in macchina e mi prende per mano. Gli guardo le nocche ferite e trasecolo.
«Tu!» esclamo. «L’hai picchiato tu, vero? Ecco con chi hai fatto a botte, ed ecco perché non ci ha salutati!»
«Ti calmi, per favore?» sbotta, chiudendo il finestrino e accendendo il motore.
«Hardin…» Guardo la porta in cui è entrato Zed, e poi guardo Hardin.
«Possiamo parlarne dopo il matrimonio, per cortesia? Sono già nervoso.»
«E va bene. Dopo il matrimonio.» Accarezzo la mano che ha fatto così male al mio amico. 
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HARDIN cerca di cambiare argomento. «Allora, adesso che abbiamo una casa tutta nostra, immagino che stanotte non vorrai restare a dormire a casa di mio padre.»
Cerco di non pensare al volto tumefatto di Zed. «Immagini bene. A meno che non ce lo chieda Karen; sai che non le direi di no.»
Non so come reagirò vedendo Ken, dopo quello che Hardin mi ha raccontato. Mi sforzo di non pensarci, ma è più difficile del previsto.
«Ah quasi dimenticavo», fa, tendendo una mano verso la radio.
Lo guardo, e lui alza un dito per dirmi di aspettare. «Ho deciso di dare un’altra chance ai Fray», mi informa.
«Davvero? E quando l’hai deciso?»
«Be’, dopo il nostro primo appuntamento al ruscello. Ma non ho scartato il cd fino alla scorsa settimana.»
«Quello non era un appuntamento.»
Ridacchia. «Ti sei lasciata infilare le dita dentro. Per me è un appuntamento.»
Intercetta la mano con cui tentavo di schiaffeggiarlo e la bacia. Scoppio a ridere e intreccio le dita alle sue. Mi torna in mente quella scena, io sdraiata sulla sua maglietta e Hardin che mi regala il mio primo orgasmo.
«È stato divertente, eh?» si vanta.
«Ma parlami ancora della tua nuova opinione sui Fray», ribatto.
«Be’, non sono poi così male. C’è una canzone, in particolare, che mi è entrata in testa.»
Sono sempre più curiosa. «Davvero?»
«Già…» Torna a guardare la strada e accende la radio.
Sorrido all’istante.
«Si intitola Never Say Never», mi dice, come se non lo sapessi già. È una delle mie preferite.
Ascoltiamo la canzone in silenzio, e non riesco a smettere di sorridere. So che Hardin è un po’ imbarazzato, quindi mi limito a godermi il momento in silenzio.
Sentiamo anche il resto dell’album, e Hardin mi dà la sua opinione su ciascun brano. Questo piccolo gesto è importante per me, più di quanto lui possa immaginare. Adoro i momenti in cui mi mostra un lato nuovo di sé.
Quando arriviamo a casa di suo padre, vediamo macchine parcheggiate lungo tutta la strada. Scendo e rabbrividisco per il vento gelido, da cui la giacca sottile che indosso non mi protegge. Hardin si toglie la sua e me la posa sulle spalle. È molto calda e profuma di lui, il mio profumo preferito.
«Accidenti, sei diventato un vero gentiluomo. Chi se l’aspettava?» gli dico.
«Se non la smetti ti riporto in macchina e ti scopo.»
Lancio uno strilletto di sorpresa, che lui trova molto divertente. «Pensi di avere spazio in quella… borsetta… per tenermi il telefono?» mi chiede.
«È una clutch, e sì.» Sorrido e gli porgo la mano. Lui ci posa il telefono e nel conservarlo mi accorgo che sullo sfondo del display c’è la foto che mi ha scattato mentre parlavamo, in camera. Ho le labbra socchiuse e gli occhi pieni di vita, le guance arrossate; è strano vedermi così. È questo l’effetto che Hardin mi fa: mi dà vita.
«Ti amo», gli dico, e richiudo la borsetta senza commentare il nuovo sfondo del suo telefono.
La grande casa di Ken e Karen è gremita di gente, e Hardin si rimette la giacca e mi prende per mano.
«Andiamo a cercare Landon», propongo.
Lui mi fa strada. Troviamo il suo fratellastro in salotto, accanto alla credenza che ha sostituito quella distrutta da Hardin la prima sera che sono stata in questa casa. Sembra passato un secolo. Landon è circondato da un gruppo di uomini sulla sessantina, uno dei quali gli posa la mano sulla spalla. Quando ci vede sorride e ci viene incontro. Indossa un abito simile a quello di Hardin, e gli sta molto bene.
«Accidenti, non pensavo che ti avrei mai visto con la cravatta», dice a Hardin.
«Se continui a parlarne, la tua vita non durerà ancora a lungo», ribatte Hardin, in tono divertito. Mi rendo conto che Landon inizia a stargli simpatico, e questo mi rende felice.
Landon è uno dei miei più cari amici, tengo molto a lui.
«Mia madre sarà felicissima. E tu sei splendida, Tessa.» Mi abbraccia. Cerco di ricambiare la stretta ma devo farlo con un braccio solo, perché Hardin non mi lascia andare la mano.
«Chi è tutta questa gente?» chiedo. So che Ken e Karen vivono qui da poco più di un anno, perciò mi stupisco di vedere almeno duecento persone.
«Quasi tutti amici di Ken dell’università, e il resto sono parenti. Ne conosco meno della metà.» Ride. «Volete bere qualcosa? Tra una decina di minuti usciamo tutti.»
«Di chi è stata la brillante idea di un matrimonio all’aperto a dicembre?» domanda Hardin.
«Di mia madre. Comunque i tendoni sono riscaldati, ovviamente.» Landon si guarda intorno, poi torna a posare lo sguardo su Hardin. «Dovresti avvertire tuo padre che sei arrivato. È di sopra. La mamma è nascosta non so dove con mia zia.» «Bah… penso che resterò qui», risponde lui.
Gli accarezzo la mano con il pollice, e Hardin la stringe forte. Landon annuisce. «Be’, ora devo andare, ma ci vediamo dopo», dice, e si accomiata con un sorriso.
«Vuoi che usciamo adesso?» chiedo a Hardin. Lui fa cenno di sì. «Ti amo», gli dico.
Fa un gran sorriso. «Ti amo, Tess.» Mi bacia sulla guancia.
Mi presta di nuovo la sua giacca. Uscendo, vedo che il giardino è irriconoscibile: è occupato quasi interamente da due grandi tende, e centinaia di piccole lanterne sono appese agli alberi e alla veranda. Sono molto suggestive anche alla luce del giorno. «Penso che sia questa», dice Hardin indicando la più piccola delle due tende.
Entriamo. Aveva ragione: c’è un semplice altare e varie file di sedie di legno, bellissimi fiori bianchi alle pareti e tutti gli invitati vestiti di bianco e nero. Ci sediamo nella penultima fila, perché so che Hardin preferisce non avvicinarsi troppo.
«Non avrei mai pensato di partecipare al matrimonio di mio padre», mi confessa.
«Lo so. Sono molto fiera di te per essere venuto. Li rendi molto felici, e secondo me pensi che farà bene anche a te.» Gli appoggio la testa sulla spalla e lui mi cinge con un braccio.
«Immagino che il ricevimento si terrà nell’altra tenda», continua.
«Penso di sì. Scommetto che è ancora più bella di…»
«Hardin? Sei tu?» dice una voce di donna. Ci giriamo. Una signora anziana con un abito a fiori bianchi e neri e scarpe senza tacco ci guarda stupefatta. «Oh, santo cielo, sei proprio tu!» esclama. Ha i capelli grigi raccolti in un semplice chignon e un trucco leggero che le dà un’aria sana e radiosa.
Hardin invece è impallidito. Si alza per salutarla. «Nonna.»
Lei gli getta le braccia al collo. «Non ci posso credere, sei venuto! Non ti vedevo da anni. Ma guarda un po’ che bel ragazzo. Be’, ormai sei un uomo. E sei così alto! E questi cosa sono?» Indica i piercing.
Lui arrossisce e fa un risolino imbarazzato. «Come stai?» le chiede, dondolandosi sui talloni.
«Sto bene, caro, mi sei mancato così tanto.» Si asciuga gli occhi. Dopo un momento si volta a guardare me e domanda, con aria molto interessata: «E chi è questa bella signorina?»
«Ah… scusa. Lei è Tess… Tessa. La mia… ragazza. Tessa, questa è… mia nonna.»
Sorrido e mi alzo. Non mi era mai passato per la testa che un giorno avrei conosciuto i nonni di Hardin. Avevo dato per scontato che fossero morti, come i miei. Lui non me ne ha mai parlato, ma questo non mi stupisce. D’altra parte non gliel’ho mai chiesto.
«Che piacere conoscerla», dico porgendole la mano, ma lei mi abbraccia e mi bacia sulla guancia.
«Il piacere è tutto mio. Come sei bella!» esclama, con un accento ancora più marcato di quello di Hardin. «Mi chiamo Adele, ma puoi chiamarmi Gammy, che dalle nostre parti vuol dire nonnina.»
«Grazie», arrossisco.
Batte le mani tutta contenta. «Non ci credo ancora, sei venuto. Hai visto tuo padre? Sa che sei qui?» chiede a Hardin.
Lui si mette le mani in tasca, imbarazzato. «Sì, lo sa. Ultimamente passo spesso da queste parti.»
«Be’, questa sì che è una bella notizia. Non ne avevo idea.» È di nuovo sull’orlo delle lacrime.
«Okay, gente, se volete sedervi… La cerimonia sta per iniziare», annuncia un uomo al microfono accanto all’altare.
Gammy prende a braccetto Hardin. «Vieni a sederti con la famiglia: non è giusto che voi due stiate così indietro.» Lui mi guarda come per chiedermi aiuto, ma io sorrido e li seguo verso la prima fila. Ci sediamo accanto a una donna che somiglia molto a Karen: immagino sia sua sorella. La nonna di Hardin lo prende per mano; lui si irrigidisce ma non si sottrae.
Ken va a posizionarsi davanti all’altare, e la sua espressione quando vede il figlio seduto in prima fila è indescrivibile: commossa e straziante al tempo stesso. Hardin gli rivolge persino un accenno di sorriso, che Ken ricambia con gioia. Landon è in piedi accanto a Ken, ma la cosa non sembra dar fastidio a Hardin, che in ogni caso non vorrebbe essere al suo posto.
Quando entra Karen, nella tenda risuona un sospiro collettivo. È bellissima, nel suo abito lungo fino a terra. Percorre lentamente la navata, e lo sguardo che rivolge allo sposo sembra illuminare tutta la scena.
La cerimonia è molto toccante, e quando Ken recita le promesse alla sposa con voce incrinata, mi ritrovo con le guance rigate di lacrime. Hardin me le asciuga. Al momento del primo bacio dei neosposi, dalla platea si levano applausi e grida festose.
«Che sdolcinati», ironizza Hardin.
All’uscita, accompagniamo sua nonna all’altra tenda. Avevo ragione: è ancora più bella della prima. Lungo le pareti ci sono tavoli coperti da tovaglie bianche e tovaglioli neri. I centrotavola sono composizioni floreali in bianco e nero. Dal soffitto penzolano lanterne uguali a quelle in giardino, che creano giochi di luce sul cristallo dei bicchieri e la porcellana bianca dei piatti. Al centro della tenda c’è una pista da ballo con piastrelle bianche e nere, e i camerieri aspettano solo l’arrivo degli invitati.
«Non sparire, voglio rivederti prima che finisca la serata», dice la nonna a Hardin, prima di andarsene.
«È il matrimonio più elegante che abbia mai visto», commenta lui.
«Non andavo a un matrimonio da quand’ero bambina», ammetto.
«Questo mi fa piacere.» Sorride e mi bacia sulla guancia. Potrei abituarmi in fretta a queste dimostrazioni d’affetto in pubblico.
«Cosa?»
«Che non sei stata a nessun matrimonio con Noah.» Rido per mascherare la perplessità.
Il pranzo è a buffet, perché gli sposi preferivano qualcosa di meno formale. Io scelgo il pollo e Hardin la bistecca. Hardin mi ruba una forchettata da sotto il naso, ma rischia di strozzarsi quando tenta di masticare e ridere allo stesso tempo.
«Ecco la tua punizione per avermi rubato il cibo», commento.
Ride, si appoggia alla mia spalla. Vedo che la donna davanti a noi ci fissa, e non con un’espressione divertita. Ricambio il suo sguardo con altrettanto astio e lei si volta.
«Vuoi che ti prenda un altro piatto?» chiedo a Hardin, a voce abbastanza alta perché quella maleducata mi senta. Lei guarda perplessa l’uomo accanto a sé. Lui non sembra prestarle attenzione, e questo la fa innervosire ancora di più. Hardin non si è accorto di niente, per fortuna.
«Ah sì, grazie.»
Lo bacio sulla guancia e vado a rimettermi in fila per il buffet.
«Tessa?» mi chiama una voce familiare. Mi giro e vedo Mr Vance e Trevor a pochi passi da me.
«Salve», sorrido.
«Sei bellissima», mi dice Trevor. Lo ringrazio a bassa voce.
«Come sta andando il tuo fine settimana?» mi chiede Mr Vance.
«Benissimo. Ma ultimamente mi sto godendo anche i giorni feriali», lo rassicuro.
«Ah, certo», ride lui, prendendo un piatto.
«Niente carne rossa!» esclama Kimberly alle sue spalle. Lui finge di spararsi alla tempia e lei gli lancia un bacio. Kimberly e Mr Vance? Chi l’avrebbe mai detto? Lunedì dovrò farmi raccontare tutti i dettagli.
«Ah, le donne!» esclama Mr Vance, e riempie il piatto di Kimberly mentre io lo riempio per Hardin.
«Ci vediamo dopo», mi dice prima di tornare al tavolo. Kimberly mi saluta con la mano e chiede al bambino che ha sulle ginocchia di fare lo stesso. Ricambio il saluto e mi domando se Kimberly abbia figli.
«È il figlio di lui.» Trevor sembra avermi letto nel pensiero.
«Ah», faccio, e distolgo lo sguardo da Kimberly.
Trevor continua a guardare Mr Vance. «Sua moglie è morta cinque anni fa, appena dopo la nascita del bambino. Non è più uscito con nessuna fino a Kim, e si frequentano da pochi mesi, ma lui è innamorato pazzo.» Mi sorride.
«Be’, ora so a chi chiedere i pettegolezzi in ufficio», scherzo. Ridiamo entrambi.
«Piccola», dice Hardin, che mi ha raggiunta e mi sta abbracciando, nel chiaro tentativo di marcare il territorio.
«Ciao, piacere di rivederti. Hardin, giusto?» chiede Trevor.
«Sì», risponde lui secco. «È meglio che torniamo a sederci; Landon ti stava cercando.» Mi stringe a sé, congedando implicitamente Trevor.
«Ci vediamo dopo, Trevor!» lo saluto con un sorriso educato. Porgo a Hardin il suo piatto mentre torniamo al tavolo.
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«DOV’È Landon?» domando a Hardin quando ci sediamo. Addenta un croissant. «Non lo so.»
«Ma… dicevi che mi cercava?»
«Sì, ma non so dove sia adesso.»
«Hardin, non devi parlare con la bocca piena», lo riprende la nonna, avvicinandosi alle sue spalle.
Vedo che Hardin fa un respiro profondo prima di girarsi. «Scusa», borbotta.
«Volevo salutarti di nuovo prima di andare… Dio sa quando ti rivedrò. Puoi concedere un ballo alla tua nonnina?» gli chiede in tono adorabile, ma lui scuote la testa. «Perché no?» domanda lei con un sorriso.
Ora capisco che il nervosismo di Hardin non era dovuto solo alla sorpresa: tra i due c’è una tensione che non so come interpretare.
«Sto andando a prendere da bere per Tessa», mente, e si alza.
Lei ride imbarazzata. «Be’, è fatto a modo suo, giusto?» Non so come rispondere; il mio primo istinto è di difenderlo, ma a quanto pare la nonna sta scherzando.
Poi però mi chiede: «Beve ancora?»
«Cosa? No…» balbetto, colta alla sprovvista. «Be’, beve qualcosa ogni tanto», spiego, mentre lo vedo tornare da noi con due flûte piene di un liquido rosa.
Me ne porge una. Ha un profumo dolce e le bollicine mi pizzicano il naso. Anche il sapore è dolce.
«Champagne», mi informa. Lo ringrazio.
«Tessa!» strilla Karen. Viene ad abbracciarmi. Si è tolta l’abito da sposa e ora indossa un vestito a portafoglio bianco, lungo fino al ginocchio, che le sta altrettanto bene. «Sono così felice che siate venuti! Come ti è sembrato?» Karen è l’unica persona al mondo che chiederebbe a un’invitata come le è sembrata la cerimonia. È troppo gentile.
«È stato bellissimo.» Sorrido.
Hardin mi posa una mano sulla schiena e io mi appoggio a lui. Sento che è molto a disagio, stretto tra la nonna e Karen. E ora sta arrivando anche Ken.
«Grazie di essere venuto», gli dice il padre porgendogli la mano.
Hardin gliela stringe rapidamente. Vedo che Ken fa per abbracciarlo, ma poi ci rinuncia. Sul suo viso, tuttavia, è dipinta la gioia.
«Tessa, cara, sei bellissima.» Mi stringe a sé. «Vi state divertendo?» Mi sento un po’ in imbarazzo con lui, ora che so chi era tanti anni fa.
«Sì, gli addobbi sono molto belli.» Hardin fa del suo meglio per complimentarsi con il padre, e io gli accarezzo la schiena per confortarlo.
La nonna tossisce e guarda Ken. «Non sapevo che voi due vi rivolgeste la parola.»
Ken si massaggia la nuca, un’abitudine che Hardin deve aver ereditato da lui. «Sì. Ne parliamo un’altra volta, mamma.» Lei annuisce.
Bevo un altro sorso di champagne e cerco di non pensare al fatto che sto bevendo davanti a degli adulti, pur avendo meno di ventun anni. Anzi, di fronte al rettore dell’università.
Rabbrividisco quando vedo Ken prendere un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere, ma poi noto che lo porge alla sua nuova moglie e mi rilasso.
«Ne vuoi un altro?» mi chiede Hardin. Guardo Karen.
«Fa’ pure, siamo a un matrimonio», mi dice lei.
Sorrido. «Sì, grazie», e Hardin va a prendermi un altro bicchiere.
Parliamo per un po’ dei fiori, e quando Hardin torna con una sola flûte Karen si impensierisce. «Non ti piace lo champagne?» gli domanda.
«Sì, è buono, ma ne ho già bevuto uno e devo guidare», risponde lui. Karen lo guarda adorante.
Poi si rivolge a me: «Avresti tempo di passare questa settimana? Ho ordinato un po’ di semi per la serra». «Sì, certo.»
Gammy saetta lo sguardo tra me e Karen, con aria compiaciuta ma anche sorpresa.
«Da quanto vi conoscete, voi due?» chiede a me e Hardin.
«Da qualche mese», risponde lui a bassa voce.
A volte mi dimentico che nessuno, a parte i nostri amici (be’, gli amici di Hardin), sa che fino a pochi mesi fa ci detestavamo.
«Ah, quindi nessun nipotino in vista per il momento?»
Hardin diventa paonazzo. «No no, siamo appena andati a convivere.» A me e Karen va di traverso lo champagne.
«Voi due vivete insieme?» chiede Ken.
Non mi aspettavo che Hardin lo dicesse a tutti proprio oggi. Accidenti, pensavo che non gliel’avrebbe mai detto, visto com’è fatto. Sono scioccata e un po’ imbarazzata dalla mia reazione, ma più che altro contenta che lui lo ammetta senza problemi.
«Sì, ci siamo trasferiti all’Artisan qualche giorno fa», spiega.
«Wow, è un bel posto, ed è vicino alla casa editrice», osserva Ken.
«Sì», ribatte Hardin, cercando di sondare la reazione di tutti a questa notizia bomba.
«Be’, figliolo, sono molto contento per te.» Gli posa la mano sulla spalla. «Non avrei mai immaginato di vederti così felice e… così in pace.» «Grazie», risponde Hardin, e si concede un sorriso.
«Forse possiamo venire a vedere la casa, uno di questi giorni?» chiede Ken.
Karen abbassa gli occhi. «Ken…» lo avverte. Probabilmente ricorda, come lo ricordo io, quella volta in cui Ken ha esagerato con la confidenza.
Ma Hardin ci stupisce tutti: «Be’, sì, si può fare», replica.
«Davvero? Okay, fateci sapere in che giorno vi è più comodo», dice Ken, con gli occhi un po’ lucidi.
Nella tenda inizia a risuonare la musica. Karen prende il marito per il braccio. «Il primo ballo tocca a noi. Grazie a entrambi per essere venuti», e mi bacia sulla guancia.
«Hai fatto tantissimo per questa famiglia, non ne hai idea», mi bisbiglia all’orecchio. Ha le lacrime agli occhi.
«E ora il primo ballo del signore e della signora Scott!» annuncia una voce dagli altoparlanti. La nonna di Hardin si allontana con gli altri per assistere alle danze. «Li hai resi felici», dico a Hardin.
«Andiamo di sopra.»
«Eh?» Mi gira un po’ la testa per lo champagne.
«Di sopra», ripete lui.
Mi sento percorsa da un brivido. «Adesso?» rido.
«Adesso.»
«Ma tutta questa gente…»
Non risponde, ma mi prende per mano e mi conduce fuori dalla tenda. Quando entriamo in casa mi porge un altro bicchiere di champagne e corriamo su per le scale.
«Qualcosa non va?» domando mentre chiude a chiave la porta della sua camera.
«Ho bisogno di te», risponde in tono cupo, togliendosi la giacca.
«Ma stai bene?» gli chiedo. Mi è venuto il batticuore.
«Sì, ho solo bisogno di distrarmi un po’.» Mi prende il bicchiere e lo posa sul cassettone. Mi afferra i polsi e mi fa sollevare le braccia sopra la testa.
Sono felice di distoglierlo un po’ dal sovraccarico di emozioni: ha rivisto la nonna per la prima volta dopo anni, ha visto suo padre risposarsi, ha accettato di invitarli a casa nostra.
Non gli faccio domande. Lo afferro per il colletto della camicia e inizio a strusciarmi contro di lui. È già duro. Mi lascia libere le mani e io gliele affondo tra i capelli. Quando mi bacia, gli sento sulla lingua il sapore dolce dello champagne. Lo vedo infilare una mano in tasca ed estrarne un preservativo.
«Dovresti iniziare a prendere la pillola, così posso smettere di usare questi. Voglio poterti sentire davvero.»
Emette un sibilo quando gli tiro giù i pantaloni e i boxer, poi mi infila le mani sotto il vestito e tira giù le mutandine. Mi reggo a lui mentre le sfilo dai piedi. Hardin mi bacia sul collo e mi solleva da terra mentre io gli avvolgo le gambe intorno ai fianchi.
Inizio a sfilarmi il vestito, ma lui mi ferma: «No, lascialo. Questo vestito è così sexy… sexy, ma bianco e casto… cazzo… mi eccita così tanto. Sei così bella». Mi issa ancora più in alto e poi mi cala sopra di sé. Appoggio la schiena alla porta. Hardin inizia a muovermi su e giù. C’è in lui un’ansia, una disperazione che non gli avevo mai visto in faccia: mi sembra di essere fatta di ghiaccio, e che lui sia il fuoco. Siamo così profondamente diversi, eppure uguali.
«Ti… piace?» mormora.
«Sì», gemo. Sentirmi prendere così, appoggiata alla porta, le gambe strette sui suoi fianchi, è molto intenso ma anche molto eccitante.
«Baciami», mi scongiura.
Gli passo la lingua sulle labbra e lui le schiude. Non è facile baciarlo mentre entra ed esce da me sempre più velocemente. I nostri corpi si scuotono con forza, ma il bacio resta lento e intimo.
«Non mi basti mai, Tess. Ti… oh, cazzo. Ti amo», dice senza smettere di baciarmi.
Sento montare la tensione nello stomaco e raggiungiamo l’orgasmo nello stesso istante. Lui mi appoggia la testa sul petto ma continua a tenermi ferma per qualche secondo prima di sollevarmi e rimettermi con i piedi per terra.
Appoggio la testa alla porta e riprendo fiato. Hardin infila il preservativo usato nell’incarto e se lo mette in tasca.
«Ricordami di buttarlo via appena scendiamo di sotto. Grazie», dice, e mi bacia sulla guancia. «Non per quello che abbiamo appena fatto, ma per tutto.»
«Non c’è bisogno che mi ringrazi, Hardin. Tu fai altrettanto per me.» Guardo i suoi occhi di un verde intenso. «Anzi, di più.»
«Impossibile.» Mi prende per mano. «Torniamo di sotto, prima che qualcuno venga a cercarci.»
«Come ti sembro?» gli chiedo, ravviandomi i capelli e ripulendo le sbavature del trucco sotto gli occhi.
«Appena scopata.» Lo guardo storto. «Sei bellissima.» «Anche tu.»
Quando torniamo di sotto le danze sono in pieno svolgimento, e a quanto pare la nostra assenza è passata inosservata. Mentre ci sediamo inizia un’altra canzone. La riconosco: è Never Let Me Go di Florence and the Machine.
«Ti va di ballare?» chiedo a Hardin, ma so già la risposta.
«Io non ballo.» Mi guarda. «A meno che… tu non lo voglia?»
Sono sorpresa e felice che sia disposto a ballare con me. Lo conduco sulla pista da ballo, in tutta fretta, prima che cambi idea. Restiamo in disparte, lontani dalle altre coppie.
«Non so cosa devo fare», ride.
«Ti faccio vedere», rispondo. Gli prendo le mani e me le poso sui fianchi. Mi pesta ripetutamente i piedi, ma poi impara in fretta. Mai nella vita avrei immaginato Hardin intento a ballare alle nozze di suo padre.
«Che canzone stupida da suonare a un matrimonio, eh?» mi bisbiglia all’orecchio.
«No, anzi, è perfetta», ribatto, e gli appoggio la testa sul petto.
Più che ballare ci dondoliamo sul posto, ma per me va bene lo stesso. Restiamo abbracciati in quella posizione per altre due canzoni, che sono tra le mie preferite. You Found Me dei Fray strappa a Hardin una risata, e il brano successivo, un pezzo pop di una boy band, gli suscita espressioni di disgusto. Mentre balliamo, mi racconta di sua nonna. Vive ancora in Inghilterra, ma non si vedevano da quando lei gli aveva telefonato per il suo dodicesimo compleanno. Si era schierata con suo padre durante il divorzio, trovando giustificazioni per il suo alcolismo e scaricando sulla madre di Hardin tutte le colpe. Hardin non aveva più voluto rivolgerle la parola.
A un certo punto si lamenta che le canzoni sono una più lagnosa dell’altra. Scoppio a ridere.
«Vuoi che torniamo di sopra?» scherza, posandomi una mano appena sopra il sedere.
«Forse.»
«Dovrò farti bere più spesso lo champagne.» Gli tiro su la mano e lui fa il broncio, e io rido ancora di più. «In realtà mi sto quasi divertendo», ammette.
«Anch’io. Grazie di essere venuto.»
«Non vorrei essere da nessun’altra parte.»
So che non parla del matrimonio, ma del fatto di stare con me. È un pensiero che mi scalda il cuore.
«Posso avere l’onore?» mi chiede Ken mentre inizia la canzone successiva.
Hardin si rabbuia, guarda me, guarda suo padre. «Sì, ma solo una canzone», borbotta.
Ken ride. «Una sola.» Hardin mi lascia andare e Ken mi posa una mano sulla schiena. Cerco di non pensare al disagio che mi provoca la sua presenza. Chiacchieriamo del più e del meno mentre balliamo, e ridiamo di una coppia vistosamente ubriaca che barcolla danzando accanto a noi.
«Ma vedi un po’!» esclama Ken, meravigliato.
Mi giro e, con mia grande sorpresa, vedo Hardin che si dondola imbarazzato con Karen. Lei ride quando lui le pesta le scarpe bianche, e lui sorride imbarazzato. Non avrei mai immaginato di poter passare una serata così bella.
Al termine della canzone Hardin torna subito da me, seguito da Karen. Annunciamo agli sposi che ce ne andiamo e ci abbracciamo tutti di nuovo. Hardin è un filo meno rigido di prima. Ken e Karen ci ringraziano un’ultima volta per essere venuti e scompaiono tra la folla.
«Ah, i piedi mi fanno malissimo», dico. Non avevo mai portato i tacchi alti così a lungo, mi ci vorrà una settimana per riprendermi.
«Vuoi che ti porti in braccio?»
«Ah ah, no.»
Mentre usciamo, vediamo passare Trevor con Mr Vance e Kimberly. Lei ci sorride e mi fa l’occhiolino dopo aver squadrato Hardin da capo a piedi. Soffoco una risata e la trasformo in un colpo di tosse.
«Ve ne andate così presto?» chiede Trevor guardando me.
«Siamo qui da un pezzo, a dire il vero», risponde Hardin al posto mio. Mi strattona via.
«Ci vediamo, Vance», grida senza voltarsi mentre usciamo.
«Sei maleducato», lo rimprovero quando saliamo in macchina.
«Stava flirtando con te. Ho il diritto di essere maleducato quanto voglio.»
«Non stava flirtando, era solo gentile.»
«Sì, come no. Ti vuole, è chiaro. Non essere così ingenua.»
«Trattalo bene, per favore. Lavoro con lui e non voglio problemi.» Parlo in tono pacato: è stata una serata troppo bella per farmela rovinare dalla sua gelosia.
Mi rivolge un ghigno malevolo. «Potrei sempre chiedere a Vance di licenziarlo.» Non riesco a trattenere una risata. «Tu sei pazzo.» «Di te.»
95
«CHE bello tornare a casa!» esclamo quando entriamo nell’appartamento. Poi mi accorgo che si gela. «Tranne quando lasci spento il riscaldamento.»
Hardin sghignazza. «Non ho ancora capito bene come funziona, quel coso. È troppo tecnologico.»
Mentre lui studia il funzionamento del termostato, prendo la coperta del letto e altre due dall’armadio e le butto sul divano. Poi torno in camera. «Hardin!»
«Arrivo!»
«Puoi tirarmi giù la lampo?» gli chiedo.
Rabbrividisco al contatto con le sue dita fredde. Si scusa e mi slaccia rapidamente il vestito, che scivola a terra. Mi tolgo le scarpe e scopro che anche il pavimento è gelido.
Corro a prendere il pigiama più pesante che ho.
«Aspetta, metti questo», dice lui, tirando fuori una felpa grigia con il cappuccio.
«Grazie.» Gli sorrido. Non so perché mi piaccia tanto indossare i vestiti di Hardin; mi sembra quasi che mi aiutino a stargli più vicina. Non lo facevo mai con Noah, a parte quella volta in campeggio, quando mi ha prestato una felpa.
A quanto pare, anche a Hardin piace che porti i suoi vestiti: mi guarda con molto interesse mentre infilo la felpa. Lo aiuto a togliersi la cravatta e lui mi osserva in silenzio mentre gliela sfilo dal collo.
Mi metto un paio di spessi calzettoni viola, un regalo di mia madre per il Natale dell’anno scorso. Mi viene in mente che mancano solo tre settimane a Natale, e mi domando se mia madre vorrà ancora che rientri a casa. Non sono più tornata da quando ho iniziato il college.
«Cosa sono quelli?» ridacchia Hardin indicando i pompon di pelliccia sulle mie caviglie.
«Calzini. Calzini pesanti, per la precisione.» Gli faccio una linguaccia.
«Carini.» Si mette una tuta.
Quando torniamo in salotto l’appartamento si è un po’ scaldato. Hardin accende la televisione e si siede sul divano, mi fa appoggiare al suo petto e distende le coperte sopra di noi.
«Mi stavo chiedendo cosa pensavi di fare per Natale», dico, nervosa. Non so perché mi imbarazzi domandarglielo, dato che viviamo già insieme.
«Be’, volevo aspettare la prossima settimana per parlartene, dopo il caos degli ultimi giorni, ma dato che me lo chiedi…» Sorride, nervoso quanto me. «Torno a casa per Natale, e mi piacerebbe che tu venissi con me.»
«A casa?!»
«In Inghilterra… da mia madre.» Poi, un po’ imbarazzato: «Capisco se non vuoi. Non è una richiesta da poco, e sei già venuta a vivere con me».
«Non è che non voglio, è solo… non lo so…» L’idea di fare un viaggio all’estero con Hardin è emozionante ma mi terrorizza anche. Non sono mai uscita dallo Stato di Washington.
«Non devi rispondermi stasera, ma fammi sapere al più presto, okay? Io parto il 20.»
«È il giorno dopo il mio compleanno.»
«Il tuo compleanno? Perché non mi hai detto che era così presto?»
Mi stringo nelle spalle. «Non lo so, non ci ho pensato molto. I compleanni non sono una ricorrenza importante per me. Mia madre festeggiava in grande stile quand’ero piccola, ma non negli ultimi anni.»
«Be’, cosa ti piacerebbe fare?»
«Niente. Magari possiamo andare a cena fuori?» «A cena… non lo so, non sarà troppo?» scherza.
Lo costringo a guardare il nuovo episodio di Pretty Little Liars e ben presto ci addormentiamo sul divano.
Mi sveglio sudata in piena notte, mi tolgo la felpa e vado ad abbassare il riscaldamento. Passando davanti al telefono di Hardin vedo lampeggiare una lucetta azzurra. Lo prendo in mano e attivo lo schermo. Tre nuovi messaggi.
Metti giù il telefono, Tessa.
Non ho motivo di leggere i suoi messaggi: è una pazzia. Poso il cellulare e torno verso il divano, ma in quel momento lo sento vibrare: un nuovo messaggio in arrivo.
Solo uno. Ne leggo solo uno. Non è così grave, no? So che non dovrei, ma non riesco a resistere.
Richiamami, cazzone, dice il messaggio. Sopra c’è il nome di Jace.
Sì, è stata una pessima idea. Non ho scoperto niente di concreto e ora mi sento in colpa. Ma perché Jace scrive a Hardin?
«Tessa?» gracchia lui, facendomi trasalire. Il cellulare mi cade di mano e atterra con un tonfo.
«Che succede? Cosa stai facendo?» chiede. La stanza è immersa nel buio, rischiarata solo dal televisore acceso.
«Ti è suonato il telefono… e l’ho preso», rispondo con una mezza verità, e lo raccolgo. C’è un piccolo graffio su un lato del display. «E ti ho rigato lo schermo», soggiungo.
Sbuffa. «Torna a letto.»
Poso il telefono e torno a sdraiarmi con lui sul divano. Ma non mi addormento subito.
Al mattino mi sveglio sentendo Hardin che cerca di muoversi sotto di me. Mi sposto verso lo schienale del divano per lasciarlo alzare. Lui va a prendere il telefono sulla credenza e si chiude in bagno. Spero non sia troppo arrabbiato perché gli ho rigato lo schermo. Se non fossi stata così ficcanaso non sarebbe successo. Decido di andare a mettere su il caffè.
L’invito in Inghilterra continua a ronzarmi in testa. Abbiamo già corso fin troppo, in questa relazione; siamo andati a convivere così giovani. Però mi piacerebbe molto conoscere sua madre e visitare l’Inghilterra con lui.
«Immersa nei pensieri?» mi chiede Hardin entrando in cucina.
«No… be’, forse.»
«A cosa pensavi?»
«Al Natale.»
«Perché? Non sai cosa regalarmi?»
«Credo che chiamerò mia madre per capire se pensava di invitarmi per Natale. Mi sentirei in colpa se non ci provassi neppure, capisci. Sarà tutta sola.»
Non sembra contento, ma resta calmo. «Capisco.»
«Mi dispiace per il tuo telefono.»
«Non fa niente.» Si siede al tavolo della cucina.
Ma poi esclamo: «Ho letto un messaggio di Jace». Non voglio avere segreti con Hardin.
«Cosa?»
«Stava vibrando, ho guardato. Perché ti scriveva così tardi, comunque?» «Cos’hai letto?»
«Un messaggio di Jace», ripeto.
Si irrigidisce. «Cosa c’era scritto?»
«Solo che dovevi richiamarlo…» Perché si agita tanto? Sapevo che non l’avrebbe presa benissimo, ma ora mi sembra che esageri.
«E basta?»
Adesso inizia a irritarmi. «Sì, Hardin… Cos’altro doveva dire?»
«Niente…» Beve un sorso di caffè, improvvisamente disinteressato. «È solo che non mi piace che rovisti tra le mie cose.»
«Okay, be’, non lo farò più.»
«Bene. Ho un po’ di faccende da sbrigare, oggi. Puoi tenerti occupata per un po’?» «Cosa devi fare?» domando, e me ne pento subito.
«Cazzo, Tessa», esclama. «Perché mi tartassi?»
«Non ti tartasso, ti ho solo chiesto cosa facevi. Stiamo insieme, Hardin, ed è una relazione seria; perché non posso chiederti dove vai?»
Spinge via la tazza e si alza. «Il tuo problema è che non capisci quand’è ora di lasciar perdere. Non sono tenuto a dirti tutto, anche se viviamo insieme! Se avessi saputo che avevi intenzione di rompermi le scatole in questo modo, sarei uscito mentre dormivi ancora.»
«Wow», riesco a dire. Corro in camera.
Ma lui mi segue. «Wow cosa?»
«Dovevo immaginarlo, che ieri era troppo bello per essere vero.» «Scusa?!»
«Ci siamo divertiti tanto; tu non eri insopportabile come al solito. Poi però ti svegli stamattina e bum! Sei di nuovo stronzo come prima!» Raccolgo da terra i suoi vestiti sporchi.
«Dimentichi il dettaglio che tu hai letto i miei messaggi.»
«Okay, e mi dispiace di averlo fatto, ma sinceramente non mi sembra così grave. Se su quel telefono c’è qualcosa che non vuoi farmi vedere, allora sì che abbiamo un problema!» strillo, gettando i vestiti nella sacca del bucato.
Mi punta il dito contro. «No, Tessa, il problema sei tu. Ti inventi complicazioni dal nulla, in continuazione.»
«Perché hai fatto a botte con Zed?»
«Non stiamo parlando di questo.»
«Allora quando ne parleremo, Hardin? Perché non vuoi dirmelo? Come faccio a fidarmi di te se non mi dici le cose? C’entra in qualche modo Jace?»
«Non capisco perché sia così difficile farti gli affari tuoi», borbotta, ed esce dalla stanza.
Pochi secondi dopo sento sbattere la porta d’ingresso e mi asciugo le lacrime di rabbia.
Continuo a fare le pulizie e a rimuginare sulla reazione di Hardin quando gli ho chiesto di Jace. È stata davvero eccessiva: c’è qualcosa che non mi dice, e non capisco perché. Sono quasi certa che la cosa non riguardi me, ma non capisco proprio perché Hardin si agiti così tanto. La prima volta che ho visto Jace ho capito subito che era pericoloso. Se Hardin non vuole darmi risposte, dovrò trovare un’altra strada. Mi affaccio alla finestra e vedo la sua macchina uscire dal parcheggio. Vado a prendere il telefono. La mia nuova fonte risponde al primo squillo.
«Zed? Sono Tessa.»
«Sì… lo so.»
«Okay… be’, mi chiedevo se posso farti una domanda», dico, in tono meno convinto di quanto vorrei.
«Ehm… dov’è Hardin?» mi chiede lui. Da come mi parla, sospetto che ce l’abbia un po’ con me per averlo snobbato, dopo che era stato così buono con me. «Non è qui.»
«Non penso che sia una buona idea…»
«Perché Hardin ti ha picchiato?» lo interrompo.
«Scusami, Tessa, devo andare.» Chiude la telefonata.
Ma che cavolo?… Non ero sicura al cento per cento che me l’avrebbe detto, ma non mi aspettavo neppure questa reazione. Ora sono più curiosa che mai, e più irritata di prima.
Provo a chiamare Hardin, ma ovviamente non risponde. Perché Zed si comporta così? Sembra quasi che abbia… paura di dirmi come stanno le cose? Forse è davvero qualcosa che ha a che fare con me? Non so cosa stia succedendo, ma non ci capisco più niente. Provo a ragionare a mente fredda. Ho reagito in maniera esagerata? L’espressione di Hardin quando gli ho chiesto di Jace… era ansioso, ne sono sicura.
Faccio una doccia per tentare di calmarmi, ma non funziona. Mentre mi vesto e mi asciugo i capelli cerco di farmi venire un’altra idea.
Mi sento un po’ come Miss Havisham in Grandi speranze, sempre intenta a tramare e complottare nell’ombra. Non mi è mai piaciuto quel personaggio, ma all’improvviso sento una certa affinità con lei. Ora capisco che l’amore può spingerti a fare cose che normalmente non faresti, può renderti ossessiva e anche un po’ pazza. Ma in realtà il mio piano non è affatto folle: voglio solo trovare Steph e chiederle se sa perché Hardin e Zed hanno litigato, e cosa sa di Jace. Il problema è che Hardin uscirà di testa quando verrà a sapere che ho chiamato Zed e sono andata da Steph.
Ora che ci penso, da quando viviamo insieme Hardin non mi ha fatto incontrare i suoi amici. Perciò è probabile che nessuno di loro sappia che conviviamo.
Esco di casa con i pensieri in subbuglio e dimentico il telefono sul bancone della cucina. Appena entro in autostrada comincia a nevicare, e ci metto più di mezz’ora a raggiungere i dormitori. Sono identici a come li ricordavo… be’, è ovvio, visto che ci abitavo fino a una settimana fa, anche se mi sembra sia passato molto più tempo.
In corridoio, ignoro la ragazza bionda che mi fissa. È la stessa che quella sera si era lamentata perché Hardin aveva rovesciato la vodka fuori dalla sua porta. Quella prima sera in cui Hardin è rimasto nel dormitorio con me mi sembra lontanissima; da quando lo conosco il tempo scorre a un ritmo diverso.
Busso alla porta della mia vecchia camera, ma non risponde nessuno. Certo, Steph non è mai in camera. Passa la maggior parte del tempo a casa di Tristan e Nate, ma non conosco l’indirizzo. E se anche lo sapessi, ci andrei?
Salgo in macchina e cerco di elaborare un nuovo piano. Sarebbe tutto più facile se non avessi dimenticato il telefono a casa, ma proprio mentre sto per rinunciare a pedinare la mia ex compagna di stanza mi ritrovo a passare davanti al Blind Bob’s, il bar per motociclisti in cui sono stata con Steph. Vedo la macchina di Nate parcheggiata davanti e decido di fermarmi. Prima di scendere faccio un respiro profondo, e quando apro la portiera l’aria fredda mi sferza le narici. La cameriera all’ingresso mi sorride, e con grande sollievo vedo i capelli rossi di Steph.
Se solo sapessi cosa mi aspetta.
96
MENTRE attraverso il bar mi assale il nervosismo. Perché ho pensato che fosse una buona idea? Hardin sarà furioso con me, e Steph mi crederà pazza.
Quando mi vede, Steph fa un gran sorriso e strilla: «Tessa, che cavolo ci fai qui?!» Viene ad abbracciarmi.
«Be’… ti cercavo.»
«Va tutto bene? O sentivi solo la mia mancanza?»
«Sentivo solo la tua mancanza», le rispondo; decido di limitarmi a questo, per il momento.
«Non ti vedevo da un secolo, Tessa», mi dice Nate, abbracciandomi. «Dove ti ha nascosta Hardin?»
Tristan compare dietro Steph e la cinge in vita. Intuisco che si siano riconciliati dopo il litigio causato da Molly.
Steph mi sorride. «Vieni a sederti, per adesso ci siamo solo noi.»
Vorrà dire che sta per arrivare anche Hardin? Ho paura della risposta, perciò non indago: mi siedo a tavola con loro e ordino un hamburger con patatine. Non mangio niente da stamattina, e sono le tre passate.
«Mi assicuro che non ci mettano il ketchup», dice la cameriera con un sorriso complice.
Evidentemente ricorda la scenata di Hardin.
«Ieri ti sei persa una serata bellissima, Tessa», fa Nate.
«Ah sì?» La cosa più frustrante della mia relazione con Hardin è che non so mai cosa posso raccontare alla gente e cosa no. Se fosse una relazione normale, risponderei: Sì, ci siamo divertiti molto ieri sera, dopo il matrimonio di suo padre. Ma poiché non è una relazione normale, sto zitta.
«Sì, una festa proprio scatenata. Alla fine siamo andati al porto, anziché alla confraternita. Laggiù possiamo fare quello che ci pare e poi non dobbiamo ripulire.»
«Ah. Jace abita nel quartiere del porto?» chiedo, cercando di parlare in tono normale.
«Eh? No, ci lavora. Non vive lontano, comunque.»
«Ah…» Mordicchio nervosamente la cannuccia della Coca.
«Faceva un freddo cane, e Tristan era così sbronzo che si è tuffato in acqua.» Steph scoppia a ridere e lui le fa un gestaccio.
«Non è stato male, appena ho toccato l’acqua mi si è intorpidito tutto il corpo», scherza.
Arrivano le nostre ordinazioni. «Sicura che non vuoi una birra? Qui non ti chiedono i documenti», mi dice Nate.
«No, devo guidare. Ma grazie lo stesso.»
«Allora, com’è il tuo nuovo dormitorio?» mi chiede Steph, rubandomi una patatina dal piatto.
«Il mio cosa?»
«Il tuo nuovo dormitorio.»
«Non ho un nuovo dormitorio.» Hardin le ha raccontato questo?
«Ehm, sì che ce l’hai, perché non abiti più nel mio. La tua roba non c’era più e Hardin mi ha detto che hai cambiato dormitorio, che tua madre ti ha fatto una scenata o qualcosa del genere.» Beve un lungo sorso di birra.
Decido che non mi importa se Hardin si arrabbia. Non voglio mentire. Mi manda su tutte le furie che lui voglia ancora tenere nascosta la nostra relazione. «Io e Hardin abbiamo preso un appartamento.»
«Cosa?» esclamano in coro Steph, Nate e Tristan.
«Sì, la settimana scorsa. È a una ventina di minuti dall’università», spiego. Mi guardano come se mi fosse spuntata una seconda testa.
«Che c’è?» chiedo in tono brusco.
«Niente. È solo che… wow… non lo so. È una grande sorpresa», risponde Steph.
«Perché?» sbotto. Non è giusto sfogare su di lei la rabbia che provo per Hardin, ma non riesco a trattenermi.
Mi guarda pensierosa. «Non lo so, è solo che non riesco a immaginare Hardin che convive con qualcuno. Non sapevo che le cose fossero così serie tra voi. Vorrei che tu me l’avessi detto.»
Sto per chiederle di spiegarsi meglio, ma in quel momento gli occhi di Nate e Tristan saettano verso la porta e poi di nuovo su di me. Quando mi giro vedo Molly, Hardin e Jace all’ingresso. Hardin si scrolla la neve dai capelli e si pulisce le scarpe sullo zerbino. Gli volto subito le spalle; il cuore mi martella nel petto. Stanno succedendo troppe cose insieme: Molly è con Hardin, il che mi fa infuriare; Jace è con Hardin, il che mi confonde all’inverosimile. E ho appena detto a tutti che conviviamo, e tutti sono ancora sbigottiti.
«Tessa.» La voce di Hardin alle mie spalle è carica di rabbia.
I suoi lineamenti sono contratti dall’ira. Sta cercando di controllarsi, ma è sul punto di scoppiare. «Dobbiamo parlare», dice a denti stretti.
«Adesso?» chiedo, cercando di sembrare calma ma volitiva.
«Sì, adesso.» Mi prende per un braccio. Lo seguo in un angolo del piccolo locale. «Che cazzo ci fai qui?» sibila, con il viso a pochi centimetri dal mio.
«Sono venuta a fare due chiacchiere con Steph.» Non è proprio una bugia, ma non è neppure la verità.
E lui se ne accorge subito. «Stronzate.» Si sforza di tenere la voce bassa, ma abbiamo già attirato l’attenzione. «Devi andartene», mi ordina.
«Scusa?»
«Devi andare a casa.»
«A casa dove? Nel mio nuovo dormitorio?» Lui impallidisce. «Sì, gliel’ho detto. Ho detto loro che viviamo insieme… Come hai potuto non parlargliene? Non capisci che mi fai fare la figura della cretina? Pensavo che non volessi più tenermi nascosta.»
«Non volevo…» mente.
«Sono stufa dei segreti e degli inganni, Hardin. Ogni volta che mi illudo che tra noi fili tutto liscio…»
«Mi dispiace. Non volevo tenere il segreto, stavo solo aspettando.» È visibilmente confuso: mi sembra di veder infuriare una battaglia interiore dietro quegli occhi verdi. Si guarda intorno, ansioso. La sua ansia mi preoccupa.
«Non posso andare avanti così, Hardin, lo sai, vero?»
«Sì, lo so.» Sospira, si prende il piercing tra i denti e si passa la mano tra i capelli ancora umidi. «Possiamo andare a parlarne a casa?»
Lo seguo al tavolo dove sono seduti gli altri, e lui annuncia: «Ce ne andiamo».
Jace gli rivolge un sorriso sinistro. «Così presto?»
Mi accorgo che le spalle di Hardin si irrigidiscono. «Sì.»
«Nel vostro appartamento?» chiede Steph, e io la fulmino con lo sguardo affinché taccia.
«Il vostro cosa?» sghignazza Molly. Francamente sarei contenta di non rivederla più in vita mia.
«Il loro appartamento: ora convivono», spiega Steph in tono cantilenante. Capisco che sta solo cercando di rinfacciare la cosa a Molly, e in circostanze diverse gliene sarei grata, ma sono troppo arrabbiata con Hardin per pensare anche a Molly.
«Bene, bene, bene.» Molly tamburella sul tavolo le lunghe unghie rosso acceso.
«Questo sì che è interessante», dice, guardando Hardin.
«Molly…» fa lui in tono minaccioso. Giurerei che sia in preda al panico.
«Stai un po’ esagerando con questa storia, non ti pare?» continua lei con aria di sfida.
«Molly, giuro su Dio, se non chiudi la bocca…» «Quale storia? In che senso sta esagerando?» chiedo.
«Tessa, va’ fuori», mi ordina Hardin.
«No, cos’è questa storia? Dimmelo!» grido.
«Ehi, aspetta, stai al gioco anche tu, vero?» ride Molly. «Lo sapevo! L’ho detto a Jace, che tu lo sapevi, ma non voleva credermi. Hardin, dovrai sganciare a Zed un bel po’ di bigliettoni.» Si alza, continuando a ridere.
Hardin è bianco come un lenzuolo. Mi gira la testa, da quanto sono confusa. Scocco un’occhiata a Nate, Tristan e Steph, ma tutti stanno guardando Hardin.
«Che sapevo cosa?» Mi trema la voce. Hardin mi prende per un braccio e cerca di tirarmi via, ma mi divincolo e vado a piazzarmi davanti a Molly.
«Non fare la finta tonta, so che lo sai. Cos’è, vi siete spartiti i soldi?» mi chiede.
Hardin mi prende per mano: ha le dita gelide. «Tessa…»
Tiro via la mano e grido: «Dimmelo! Di cosa parla?» Ho le lacrime agli occhi.
Hardin non risponde.
«Oddio, davvero non lo sai? Oh mamma, è fantastico. Venite, venite tutti a godervi lo spettacolo!» esclama Molly.
«Molly, lascia stare», la interrompe Steph.
«Sicura di volerlo sapere, principessa?» continua Molly, ostentando un sorriso vittorioso.
Sento il sangue fischiarmi nelle orecchie, e per un istante mi domando se lo sentano tutti. «Dimmelo.»
Molly piega la testa di lato… ma poi ci ripensa. «No, credo che debba dirtelo Hardin.» E inizia a ridacchiare, e si passa tra i denti il piercing che ha sulla lingua, producendo un orribile rumore metallico, peggio delle unghie sulla lavagna. 
97
STA succedendo tutto troppo in fretta, sono sempre più confusa. Mi guardo intorno e mi vedo circondata da persone che non fanno che prendermi in giro, per quanto io mi sforzi di adeguarmi al loro modo di vivere, e so che non posso fidarmi di nessuno di loro.
Cosa succede? Perché Hardin se ne sta lì e non dice niente?
«Sono d’accordo», interviene Jace. Alza la bottiglia di birra in un saluto. «Coraggio,
Hardin, diglielo.»
«Te lo spiego fuori», mi bisbiglia lui.
Mi guarda disperato, confuso. Non so cosa stia succedendo, ma so che non voglio andare da nessuna parte con lui.
«No, me lo dici qui. Davanti a tutti, così non puoi mentire.» Mi fa già male il cuore, so di non essere pronta a sentire quello che ha da dirmi.
Indugia a lungo prima di parlare. «Mi dispiace.» Alza le mani. «Tessa, devi ricordare che era molto prima che ti conoscessi», continua con occhi imploranti.
Non sono sicura di riuscire a parlare. «Dimmelo», mormoro con una fatica immane.
«Quella sera… la seconda sera… la seconda festa a cui sei venuta, quando abbiamo giocato a Obbligo o verità… e Zed ti ha chiesto se eri vergine…» Chiude gli occhi come per raccogliere i pensieri.
Mi crolla il mondo addosso. Non può essere vero. Non sta succedendo davvero. Non adesso, non a me.
«Va’ avanti…» lo incalza Jace, e si sporge per godersi lo spettacolo. Hardin lo incenerisce con lo sguardo, e so che, se non fosse impegnato a distruggere la nostra relazione a quest’ora starebbe ammazzando quell’uomo orribile. «Hai detto che lo eri… e a qualcuno è venuta un’idea…» «A chi è venuta un’idea?» lo interrompe Molly.
«A me… a me è venuta l’idea…» ammette Hardin. Non smette per un attimo di guardarmi negli occhi. Il che non semplifica le cose. «Che potesse… essere divertente fare… fare una scommessa.» China il capo.
Mi viene da piangere. «No», dico con voce strozzata. Faccio un passo indietro.
Ho la mente in subbuglio, non riesco a dare un senso logico a quello che sento. La confusione quasi subito lascia il posto a un atroce miscuglio di dolore e rabbia. Mi tornano alla mente tutti i ricordi e poco a poco iniziano a collegarsi tra loro…
«Sta’ lontana da lui.» «Stai attenta.» «A volte pensi di conoscere una persona, ma non è vero.» «Tessa, devo dirti una cosa.»
Tutte le frasi buttate lì dagli altri e dallo stesso Hardin: me le sento nella testa una dopo l’altra. C’è sempre stato un retropensiero, l’impressione che qualcosa mi sfuggisse. Mi manca l’aria, mi sembra di soffocare. C’erano così tanti indizi; ma ero troppo accecata da Hardin per vederli.
Perché si sarebbe spinto fino a chiedermi di andare a vivere con lui?
«Tu lo sapevi?» chiedo a Steph. Non riesco più a guardare Hardin.
«Io… volevo dirtelo, Tess, tante volte.» Ha le lacrime agli occhi per il senso di colpa.
«Non ci ho creduto quando ha detto di aver vinto, anche se con il preservativo», ridacchia Jace.
«Vero? Non ci credevo neanch’io! Le lenzuola, però. Insomma, come si fa a dubitare, con il sangue sulle lenzuola!» Molly scoppia a ridere.
Le lenzuola. Ecco perché erano ancora in macchina…
So che dovrei ribattere qualcosa, qualsiasi cosa, ma non trovo la voce. Il mondo mi gira intorno; i clienti mangiano e bevono, e non si accorgono che a pochi metri da loro il cuore di una ragazza ingenua viene spezzato. Com’è possibile che il tempo continui a scorrere mentre sto qui a guardare Tristan che china la testa, Steph che piange, e soprattutto Hardin che mi guarda?
«Tessa, mi dispiace tanto.» Fa un passo verso di me, e io non riesco neppure a scappare come dovrei.
La voce stridula di Molly fende l’aria. «Insomma, il modo in cui si è svolto il tutto… Ammetterete anche voi che sembra un film. Vi ricordate l’altra volta che eravamo tutti qui, e Steph ha vestito e truccato Tessa in quel modo ridicolo, e Hardin e Zed facevano a gara per portarsela in camera?» Si interrompe per ridere, poi riprende: «E dopo Hardin è venuto in camera tua, vero? Con quella vodka! Tu pensavi che fosse ubriaco! Ti ricordi quando l’ho chiamato mentre era lì?» Per un attimo mi guarda come se si aspettasse davvero una risposta da me. «In realtà quella sera doveva vincere la scommessa. Se la tirava un sacco, era sicuro di vincere, ma Zed continuava a ripetere che tu non gliel’avresti data tanto facilmente. Alla fine aveva ragione Zed, però gliel’hai data più in fretta di quanto prevedessi io, perciò meno male che non ci ho scommesso dei soldi…» Le uniche cose che distinguo sono quella voce orribile e gli occhi di Hardin.
Non mi ero mai sentita così. Non avrei mai immaginato di potermi sentire così umiliata. Hardin mi ha ingannata per tutto questo tempo; per lui era solo un gioco. Tutti gli abbracci, i baci, i sorrisi, le risate, i «ti amo», il sesso, i progetti… Cazzo, quanto fa male. Ha pianificato ogni mossa, ogni notte, ogni dettaglio, e lo sapevano tutti tranne me. Persino Steph, che pensavo stesse diventando un’amica. Lo guardo, concedendomi un momento di debolezza, e me ne pento subito. Sta lì impalato, come se non mi avesse appena rovinato la vita, come se non mi avesse umiliata davanti a tutti.
«Sarai felice di sapere che vali un bel po’ di soldi, però, anche se Zed ha cercato di chiamarsi fuori varie volte. Ma con i soldi di Jace, Logan e Zed, spero che ti abbia almeno offerto la cena!» ride Molly.
Jace beve l’ultimo sorso di birra e si unisce alla risata. «Mi dispiace solo di essermi perso il grande annuncio del ‘ti amo’ davanti a tutti. Ho sentito dire che è stato fenomenale.»
«Basta!» sbotta Tristan, cogliendo tutti di sorpresa. Se non fossi completamente inebetita avrebbe sorpreso anche me. «Piantatela, tutti. Ha sofferto abbastanza!»
Hardin fa un altro passo verso di me. «Piccola, per favore, di’ qualcosa.»
E con quel «piccola», finalmente il mio cervello ripristina il collegamento con la bocca.
«Non osare chiamarmi in quel modo, cazzo! Come hai potuto farmi una cosa del genere? Tu… tu… non…» Avrei tante cose da dire, ma non riesco a tirarle fuori. «No, sto zitta, perché è quello che vuoi.» Sembro molto più sicura di me, rispetto a come mi sento. Dentro sono distrutta.
«So che ho sbagliato…» borbotta lui.
«Hai sbagliato? Hai sbagliato?» strillo. «Perché? Dimmi solo perché. Perché io?»
«Perché c’eri tu», risponde. E quella frase così sincera serve solo a darmi il colpo di grazia. «E per il brivido della conquista. Non ti conoscevo, Tessa. Non sapevo che mi sarei innamorato di te.»
La parola amore sulle sue labbra significa l’esatto opposto. Sento la rabbia stringermi la gola. «Sei malato. Sei malato, cazzo!» grido, dopodiché corro verso l’uscita.
È davvero troppo. Quando la mano di Hardin mi afferra il braccio, mi giro e gli do uno schiaffo. Con forza.
La sua smorfia di dolore mi dà una tremenda soddisfazione.
«Hai distrutto tutto!» grido. «Hai preso da me qualcosa che non ti spettava, Hardin. Spettava a una persona che mi amasse davvero. Spettava a lui, chiunque sia, e tu te la sei presa… per soldi? Ho rovinato i rapporti con mia madre per te. Ho rinunciato a tutto! Avevo un ragazzo che mi amava, che non mi avrebbe mai fatto del male come me ne hai fatto tu. Sei disgustoso.»
«Ma io ti amo, Tessa. Ti amo più di ogni altra cosa. Volevo dirtelo. Ho cercato di evitare che te lo dicessero loro. Non volevo che tu lo scoprissi. Per questo sono rimasto fuori tutta la notte, per convincerli a stare zitti. Te l’avrei detto presto, ora che viviamo insieme, perché poi non sarebbe importato più.»
A questo punto non ho il controllo delle parole che mi escono di bocca. «Ma tu… tu… Oddio. Hardin! Ma dici sul serio? Pensavi che convincere gli altri a non dirmelo sarebbe bastato a risolvere tutto? Non venire a saperlo avrebbe risolto il problema? Pensavi che avrei lasciato correre, siccome ormai abitavo con te? Per questo ci tenevi tanto ad avere il mio nome sul contratto! Oddio. Sei malato!»
Tutti i dettagli che mi erano sembrati strani da quando conosco Hardin puntano dritti a questa spiegazione. Era così evidente. «Per questo sei andato a prendere tutta la mia roba al dormitorio: perché temevi che Steph me lo dicesse!»
Tutti i clienti del bar ci fissano. Mi sento così piccola… distrutta e piccola. «Cosa ci hai fatto con i soldi, Hardin?» «Io…» inizia, ma non prosegue.
«Dimmelo.»
«La tua macchina… la vernice… e l’anticipo per l’appartamento. Pensavo che se… Stavo per dirtelo così tante volte, quando ho capito che non era più solo una scommessa.
Ti amo… Ti ho amata per tutto il tempo, te lo giuro.»
«Hai conservato il preservativo per mostrarlo a loro, Hardin! Gli hai fatto vedere le lenzuola, le lenzuola macchiate di sangue, cazzo!» Affondo le mani tra i capelli e li strattono. «Dio, che idiota sono stata! Mentre io rivivevo ogni dettaglio della notte più bella della mia vita, tu stavi mostrando le lenzuola ai tuoi amici.»
«Lo so… non ho scuse… ma devi perdonarmi. Possiamo superarlo.»
Scoppio in una risata isterica. Tra le lacrime. Sto impazzendo. Non è come la scena di un film, non resto calma, non ricevo la notizia con compostezza, un semplice sussulto o una sola lacrima che scende sulla guancia. Piango a dirotto, mi tiro i capelli, non riesco a parlare.
«Perdonarti?!» Rido come una pazza. «Mi hai rovinato la vita, ti rendi conto? Ah, certo che ti rendi conto. Era quello il tuo piano, ricordi? Mi hai promesso che mi avresti rovinata. Congratulazioni, Hardin, ci sei riuscito. Come posso sdebitarmi, in denaro? O vuoi che ti procuri un’altra vergine?»
Si sposta leggermente, come per coprirmi la visuale degli altri seduti al tavolo. «Tessa, ti prego. Sai che ti amo, sono sicuro che lo sai. Andiamo a casa, per favore, e ti spiegherò tutto.»
«A casa? Quella non è casa mia. Non lo è mai stata, lo sappiamo entrambi.» Provo di nuovo a raggiungere la porta, e ci sto quasi riuscendo.
«Cosa posso fare? Farò qualsiasi cosa», mi scongiura. Si piega, e solo dopo un momento capisco che si sta mettendo in ginocchio davanti a me.
«Tu? Niente. Non puoi fare più niente per me, Hardin.»
Se sapessi cosa dirgli per farlo soffrire quanto lui ha fatto soffrire me, glielo direi. E glielo ripeterei mille volte, così capirebbe come ci si sente quando si viene traditi e fatti a pezzi.
Approfitto del fatto che lui è in ginocchio per correre verso l’uscita. Sulla porta mi scontro con una persona. È Zed, che ha ancora in faccia i lividi causati da Hardin.
«Che succede?» mi chiede, prendendomi per i gomiti. Poi sposta lo sguardo dietro di me, vede Hardin ed è evidente che ha capito tutto.
«Mi dispiace…» inizia, ma non lo ascolto. Hardin si sta avvicinando e io devo fuggire.
Il vento è gelido e i capelli mi sferzano la faccia. È una sensazione piacevole, spero attenui il bruciore che sento dentro. La neve ha ricoperto la mia macchina e le strade.
Sento Zed gridare dietro di me: «Non puoi guidare, Tessa». Continuo ad avanzare nella neve, nel parcheggio.
«Lasciami in pace! So che c’eri di mezzo anche tu! C’eravate tutti!» strillo mentre cerco le chiavi.
«Lascia che ti accompagni a casa, non sei in condizioni di guidare», insiste lui. Sto per insultarlo ancora, ma in quel momento Hardin esce dal bar.
Guardo la persona che credevo fosse l’amore della mia vita, che pensavo avrebbe reso speciale ogni mio giorno, che doveva rendermi libera, spensierata. E poi guardo Zed.
«Va bene», concedo.
Quando scatta la chiusura centralizzata dell’auto di Zed, salgo più in fretta che posso. Appena Hardin si rende conto che sto andando via con Zed, si mette a correre verso la macchina. Il suo volto è una maschera di rabbia, e spero per il suo bene che Zed riesca a salire prima che Hardin ci raggiunga.
Salta a bordo e dà gas. Dal finestrino vedo Hardin buttarsi in ginocchio per la seconda volta in pochi minuti.
«Mi dispiace tanto, Tessa. Non avevo idea che la situazione sarebbe sfuggita di mano…» inizia Zed, ma lo interrompo.
«Non parlarmi.»
Non ho la forza di sentire altro. Non ce la faccio più. Sono nauseata e il dolore del tradimento di Hardin mi rende sempre più debole. Ho paura che se Zed mi dice qualcosa crollerò definitivamente. Devo sapere perché Hardin ha fatto quel che ha fatto, ma ho anche il terrore di cosa succederà se vengo a sapere tutti i dettagli. Non avevo mai sofferto così e non so come reagire né, se sono in grado di reagire. Zed annuisce e viaggiamo in silenzio per qualche minuto. Penso a Hardin, a Molly, a Jace e agli altri, e qualcosa dentro di me si trasforma. Qualcosa mi rende più coraggiosa. «Sai una cosa?» faccio a Zed. «Dimmi tutto invece. Fino all’ultimo dettaglio.»
Lui mi guarda preoccupato per un momento, poi, consapevole di non avere scelta, mentre imbocchiamo l’autostrada mormora: «Okay». 



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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 28, 2017 ⏰

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