Mi prende di nuovo per un braccio e mi trascina verso il vicoletto che separa due edifici, lontano dalla gente. «Tess, io… Non so cosa mi è preso. Mi hai baciato tu per prima, te lo ricordi?»
«Sì… ed ero ubriaca, te lo ricordi? E ieri mi hai baciata prima tu.»
«Sì… e tu non mi hai fermato.» Esita per un momento. «Dev’essere stancante», afferma poi.
Cosa? «Cosa?»
«Fingere di non volermi, mentre sappiamo entrambi che mi vuoi», dice, e si avvicina.
«Cosa? Non ti voglio affatto. Ho il ragazzo.» Le parole mi escono troppo in fretta, rivelando la loro assurdità e strappandogli un sorriso.
«Un ragazzo che ti annoia. Ammettilo, Tess. Non a me, a te stessa. Lui ti annoia. Ti ha mai fatto sentire come ti faccio sentire io?» sussurra in tono sensuale.
«Cosa?… Certo che sì», mento.
«No, invece. L’ho capito, sai, che nessuno ti aveva mai toccata… toccata davvero.»
Quelle parole mi sprigionano dentro un calore che ormai conosco fin troppo bene. «Non sono affari tuoi», taglio corto, e faccio un passo indietro; ma lui annulla subito la distanza tra noi.
«Non hai idea di quanto piacere potrei darti», replica. Mi si mozza il fiato in gola: com’è passato dal gridarmi in faccia a… questo? E perché mi piace così tanto? Mi sento debole, vulnerabile e confusa. In trappola.
«Non c’è bisogno che tu lo ammetta, lo capisco da solo», afferma in tono arrogante.
Riesco solo a scuotere la testa. Il suo sorriso si allarga e io arretro istintivamente contro la parete. Non può succedere ancora.
«Ti è venuto il batticuore, eh? Senti la bocca asciutta, e hai di nuovo quella sensazione… laggiù. Non è così, Theresa?»
È esattamente così. E più mi parla in quel modo, più lo voglio. È assurdo desiderare e odiare una persona allo stesso tempo. L’attrazione che provo è puramente fisica, ed è strano, considerando che Hardin è l’opposto di Noah. Non ricordo di essermi mai sentita attratta da qualcuno che non fosse Noah.
Se non gli rispondo gliela darò vinta. «Ti sbagli», mormoro.
Ma lui sorride. E anche quel sorriso mi dà una scossa elettrica.
«Non mi sbaglio mai, non su queste cose.»
Faccio un passo di lato, prima che mi immobilizzi contro il muro. «Perché continui a dire che mi butto ai tuoi piedi, visto che ora sei tu a mettermi all’angolo?» La rabbia sta avendo il sopravvento sul desiderio che provo per questo insopportabile tipo tatuato.
«Perché sei stata tu a fare la prima mossa. E ti assicuro che sono rimasto sorpreso quanto te.»
«Ero ubriaca e avevo passato una brutta serata, come già sai. Ero confusa perché tu eri gentile… be’, eri civile con me.» Vado a sedermi sul bordo del marciapiede. Parlare con lui è faticoso.
«Non ti tratto poi così male», replica restando in piedi davanti a me, ma sembra più una domanda che un’affermazione.
«Sì che mi tratti male. Ti impegni proprio, per trattarmi male. Lo fai con tutti, ma con me ti sforzi più che con gli altri.»
«Non è vero. Non ti tratto peggio di come tratto chiunque altro.»
Scatto in piedi. Sapevo che era impossibile fare una conversazione normale con lui. «Non so perché continuo a perdere tempo con te!» grido, e mi incammino verso il vialetto e il prato.
«Ehi, scusa. Torna qui.»
Sbuffo, ma senza rendermene conto mi ritrovo a pochi metri da lui.
Si mette seduto sul marciapiede, dov’ero io fino a poco prima. «Siediti», ordina.
Obbedisco.
«Ti sei seduta molto lontana. Non ti fidi di me?»
«No, certo che no. Perché dovrei fidarmi?»
Si rabbuia per un istante, ma si riprende subito. Che gliene importa se mi fido di lui?
«Possiamo trovare un compromesso? O ci teniamo alla larga l’uno dall’altra oppure diventiamo amici. Non ho più le energie per litigare con te», sospiro.
Scorre un po’ verso di me. Fa un respiro profondo prima di parlare. «Non voglio starti alla larga.»
Cosa? Il cuore mi martella nel petto.
«Insomma… non penso che riusciremmo a evitarci, dato che una delle mie migliori amiche è la tua compagna di stanza. Quindi forse la cosa più sensata è provare a essere amici.»
Mi assale una delusione improvvisa, ma era quello che volevo, no? Non posso continuare a baciare Hardin e tradire Noah.
«Okay, allora amici?» gli chiedo, e intanto ricaccio indietro quell’emozione.
«Amici», dice lui, e mi porge la mano.
«Non ‘più che amici’.» Mi sento arrossire.
«Perché dici così?»
«Come se tu non lo sapessi. Steph mi ha raccontato tutto.»
«Cosa, di me e lei?»
«Tu e lei, tu e tutte le altre.» Mi sforzo di ridere ma mi esce una specie di colpo di tosse, quindi tossisco un altro po’ per camuffare la cosa.
Mi guarda in modo strano ma lo ignoro. «Be’, io e Steph… ci siamo divertiti.» Sorride come ricordando qualcosa, e io tento di mandar giù la rabbia. «E sì, ho delle ragazze con cui scopo. Ma per te che differenza fa, amica?»
Il suo tono è di assoluta indifferenza, ma io sono scioccata. Sentirgli ammettere che va a letto con altre ragazze non dovrebbe turbarmi, invece è così. Lui non è mio, Noah è mio. Noah è mio, rammento a me stessa.
«Infatti non me ne importa niente. È solo che non voglio lasciarti credere che sarò una di quelle ragazze.»
«Aaah… Sei gelosa, Theresa?» mi prende in giro.
Gli do uno spintone. Non lo ammetterò mai. «Ovviamente no. Mi dispiace per quelle ragazze.»
Mi guarda divertito. «Oh, non dispiacerti. Loro sono felicissime, credimi.»
«Okay, okay, ho capito. Possiamo cambiare argomento, per favore?» Sospiro esasperata, e cerco di togliermi dagli occhi l’immagine di Hardin e del suo harem. «Allora, proverai a essere più gentile con me?»
«Certo. E tu proverai a non essere sempre così bigotta e acida?»
Guardo le nuvole e dico con voce sognante: «Non sono acida, sei tu che sei insopportabile».
Mi volto verso di lui e inizio a ridere: per fortuna Hardin mi imita. È molto più piacevole che insultarsi a vicenda. Sono consapevole di non avere ancora risolto il mio problema, i sentimenti che temo di provare per lui, ma se riuscissi almeno a farlo smettere di baciarmi potrei spezzare quel circolo vizioso prima che sia troppo tardi.
«Ma guardaci, siamo amici.» Il suo accento è molto bello, quando non dice cattiverie. Le parole gli scivolano giù dalla lingua, passano attraverso quelle labbra carnose… Mi costringo a smettere di fissarlo e mi alzo in piedi, sistemandomi la gonna.
«Però quella gonna è orribile, davvero, Tess. Se vogliamo essere amici non devi più mettertela.»
Per un attimo ci resto male, ma poi vedo che sorride. Ha uno strano senso dell’umorismo, ma è sempre meglio della cattiveria pura.
Suona la sveglia sul mio telefono. «Devo tornare a studiare», gli dico.
«Metti la sveglia per studiare?»
«Metto la sveglia per un sacco di cose; è un’abitudine, tutto qui.» Spero che lasci perdere.
«Be’, metti una sveglia per domani dopo la lezione: io e te faremo qualcosa di divertente insieme.»
Chi è questo ragazzo, e dove ha nascosto il vero Hardin?
«Non penso che la mia idea di divertimento coincida con la tua.»
«Be’, sacrificheremo solo qualche gatto, daremo fuoco a un paio di palazzi…» Non riesco a trattenere una risatina. Lui sorride.
«Davvero, però, dovresti prenderti una pausa ogni tanto; e dato che ora siamo amici, possiamo prendercela insieme.»
Mi domando se voglio davvero restare da sola con lui, ma prima che possa rispondere qualcosa Hardin se ne sta già andando. «Bene, sono contento che tu abbia accettato. A domani.»
Una volta sola, mi siedo sul marciapiede. Mi gira la testa. Negli ultimi venti minuti ha praticamente tentato di sedurmi, e dopo ha promesso che si sforzerà di essere più gentile con me; poi ci siamo messi a ridere e scherzare. Nutro ancora molti dubbi sul suo conto, ma penso di poter essere sua amica come lo è Steph. Okay, non proprio come Steph, ma come Nate o uno degli altri ragazzi del gruppo.
È la cosa migliore. Niente più baci, niente più avances. Soltanto amicizia.
Ma non riesco a scacciare il sospetto di essere appena caduta in un’altra delle sue trappole.
24
IN camera cerco di mettermi a studiare, ma non riesco a concentrarmi. Una doccia potrebbe ridarmi un po’ di energia. I bagni unisex mi innervosiscono ancora, ma nessuno mi disturba mai, quindi mi sto lentamente abituando.
L’acqua calda allevia la tensione nei muscoli. Dovrei sentirmi sollevata ora che io e Hardin abbiamo raggiunto una specie di tregua, invece la confusione ha preso il posto della rabbia. Domani ci vedremo per fare qualcosa di divertente, dice lui, e sono terrorizzata. Spero solo che vada tutto bene; non mi aspetto di diventare la sua migliore amica, ma dobbiamo smetterla di insultarci ogni volta che parliamo.
La doccia è così piacevole che ci resto per un po’, e quando torno in camera vedo che
Steph è passata e uscita di nuovo. Trovo un biglietto, in cui dice che va a cena con Tristan fuori dal campus. Mi piace Tristan: sembra molto simpatico, anche se si trucca troppo gli occhi. Se non si mollano prima, forse quando Noah viene a trovarmi potremmo fare qualcosa tutti insieme… Ma chi voglio prendere in giro? Noah non vorrebbe uscire con tipi come loro, e devo ammettere che fino a tre settimane fa non ci sarei uscita neanch’io.
Prima di andare a letto telefono a Noah: non ci siamo sentiti per tutto il giorno. È sempre gentile e premuroso, e mi chiede com’è andata la giornata. Rispondo che è andata bene; non gli dico che domani io e Hardin usciamo insieme. Lui mi racconta che la sua squadra di calcio ha stracciato la Seattle High, una squadra molto forte. Sento la sua soddisfazione, e sono contenta per lui.
Il giorno seguente le ore passano troppo in fretta, e quando io e Landon entriamo a lezione di letteratura Hardin è già al suo posto. «Sei pronta per il nostro appuntamento?» mi domanda, lasciandomi esterrefatta. E lo è anche Landon. Non so cosa mi metta più a disagio: Hardin che parla così o l’idea che Landon possa pensare male di me. Finora il nostro tentativo di essere amici non è stato un gran successo.
«Non è un appuntamento», puntualizzo. Mi giro verso Landon con uno sguardo esasperato e gli faccio in tono disinvolto: «Siamo solo amici».
«Amici, non amici, che differenza fa», commenta Hardin.
Lo evito per il resto della lezione… ed è facile, perché lui non tenta più di parlarmi.
Dopo la lezione Landon mi dice a voce bassa: «Sta’ attenta, stasera».
«Non preoccuparti, stiamo soltanto cercando di andare d’accordo perché la mia compagna di stanza è sua amica», gli spiego, sperando che Hardin non ascolti.
«Lo so, ed è molto gentile da parte tua. Il punto è che non so se Hardin merita la tua gentilezza», precisa a voce più alta del dovuto, per farsi sentire da lui.
«Non hai di meglio da fare che sparlare di me? Piantala, bello», sbotta Hardin dietro di me.
«Ricorda quello che ti ho detto», mi ripete Landon, andandosene rabbuiato. Ho paura di averlo offeso.
«Ehi, non devi trattarlo così male, siete praticamente fratelli», intervengo riprendendo Hardin.
«Cos’hai detto?» ringhia lui palesemente sorpreso.
«Insomma, tuo padre e sua madre, no?» Landon mi ha mentito? Oppure non dovevo dirlo? Landon mi ha chiesto di non parlare del fatto che Hardin non va d’accordo con suo padre, ma non pensavo di dover tacere sull’intera faccenda.
«Non sono affari tuoi.» Guarda infuriato in direzione della porta. «Non so perché quello stronzo te ne abbia parlato. A quanto pare dovrò farlo tacere.»
«Lascialo stare, Hardin. Non voleva neanche dirmelo, l’ho costretto io.» L’idea che gli faccia del male mi dà la nausea. Devo cambiare argomento. «Allora, dove andiamo oggi?»
Mi guarda storto. «Non andiamo da nessuna parte; era una pessima idea», sbotta. Gira sui tacchi e se ne va. Resto lì un momento per vedere se cambia idea e torna indietro, ma non lo fa.
È proprio bipolare, ormai ne sono certa.
Al dormitorio trovo Zed, Tristan e Steph seduti sul letto di lei. Tristan guarda Steph, e Zed giocherella con un accendino. Di solito, trovare in camera ospiti inattesi mi darebbe fastidio; ma Zed e Tristan mi stanno molto simpatici, e al momento ho bisogno di distrarmi.
«Ciao, Tessa! Come sono andate le lezioni?» mi chiede Steph, con un gran sorriso.
Noto che a Tristan si illuminano gli occhi quando la guarda.
«Bene, e a te?» Appoggio i libri sulla cassettiera mentre lei mi racconta che il professore si è versato addosso il caffè e li ha fatti uscire prima.
«Ti trovo bene, oggi, Tessa», mi dice Zed. Lo ringrazio e mi siedo sul letto di Steph a sparlare dei professori. Dopo qualche minuto si apre la porta.
È Hardin.
«Potresti anche bussare, ogni tanto», lo rimprovera Steph. «Potevo essere nuda», continua ridendo. Evidentemente la maleducazione di Hardin non le dà troppo fastidio.
«Niente che non abbia già visto», scherza lui, e Tristan si rabbuia mentre gli altri tre ridacchiano. Neanch’io ci trovo niente di divertente; detesto pensare a Steph e Hardin insieme.
«Oh, sta’ zitto», lo rimprovera lei, ancora ridendo, e prende Tristan per mano. Lui ricomincia a sorriderle.
«Cosa combinate?» domanda Hardin sedendosi davanti a noi, sul mio letto. Vorrei dirgli di togliersi da lì, ma non lo faccio. Per un attimo ho pensato che fosse venuto a chiedermi scusa, ma ora capisco che voleva solo vedere i suoi amici, e io non sono una di loro.
«A dire il vero stavamo per andare al cinema», risponde Zed. «Tessa, vieni anche tu?»
Prima che io possa aprire bocca, interviene Hardin: «Io e Tessa abbiamo altri programmi». Il suo tono è stranamente nervoso. Accidenti, è così volubile… «Cosa?» esclamano in coro Zed e Steph.
«Ero appunto venuto a prenderla.» Si alza in piedi e mette le mani in tasca, indicando la porta con un cenno del capo. «Sei pronta?»
La mia mente grida di no, ma annuisco e mi alzo dal letto di Steph.
«Ci vediamo dopo», annuncia Hardin, praticamente spintonandomi fuori dalla porta. Mi conduce alla sua macchina e mi tiene aperta la portiera, un gesto che mi stupisce. Resto ferma a guardarlo con le braccia conserte.
«Be’, starò attento a non tenerti più le portiere aperte…»
«Cosa ti è preso? So benissimo che non eri venuto per me, mi avevi appena detto che non volevi più uscire insieme!» strillo.
Ecco, abbiamo ricominciato a litigare. Mi fa letteralmente impazzire.
«Sì, ti ho detto così. Ora sali in macchina.»
«No! Se non ammetti che non eri venuto per vedere me, torno in camera e vado al cinema con Zed», ribatto, e mi accorgo che lui si irrigidisce.
Lo sapevo. Non so cosa pensare di questa nuova rivelazione, ma avevo intuito che Hardin non volesse lasciarmi andare al cinema con Zed, ed è solo per questo che ora vuole uscire con me.
«Ammettilo, Hardin, o me ne vado.»
«Va bene, lo ammetto. Adesso però sali: non te lo chiederò un’altra volta», afferma, e va al posto di guida.
Contro ogni buonsenso, salgo in macchina.
Sembra ancora arrabbiato mentre esce dal parcheggio. La musica è troppo alta, e io spengo la radio.
«Non toccare la mia radio.»
«Se hai deciso di comportarti così, non voglio passare il pomeriggio con te», dico, seriamente intenzionata a tornare al dormitorio in autostop, se fosse necessario.
«Non ho deciso niente, ma tu non toccare la mia radio.»
Ripenso a quando ha buttato all’aria i miei appunti, e mi viene voglia di prendere l’autoradio e scagliarla fuori dal finestrino.
«Che te ne importa se vado al cinema con Zed? Sarebbero venuti anche Steph e
Tristan.»
«Non penso che Zed abbia buone intenzioni», mormora, tenendo gli occhi sulla strada.
Scoppio a ridere e lui si acciglia. «Ah, e tu invece sì? Almeno Zed è gentile.» L’idea che Hardin tenti di proteggermi è esilarante. Zed è un amico, niente di più. Proprio come Hardin.
Mi guarda indispettito ma non risponde. Riaccende la radio, a un volume tale da farmi male alle orecchie.
«Puoi abbassare, per favore?»
Stranamente esaudisce la mia preghiera, e lascia la musica a basso volume in sottofondo.
«Questa musica è orribile.»
Ride e tamburella le dita sul volante. «No, non lo è. Ma non vedo l’ora di sentire le tue opinioni in fatto di buona musica.» Sembra così spensierato quando sorride in quel modo, e con i capelli spettinati dal vento. Adoro i suoi capelli, ma è meglio se non ci penso. «Be’, mi piacciono i Bon Iver e i Fray», rispondo.
«Prevedibile», ridacchia.
«Cos’hanno che non va? Sono bravissimi.»
«Bravissimi a conciliare il sonno, sì.»
Gli do una manata sulla spalla, lui ride. «Be’, a me piacciono», dico. Se potessimo continuare a scherzare così, forse mi divertirei. Do un’occhiata fuori dal finestrino e mi accorgo che non so dove siamo. «Dove stiamo andando?»
«In uno dei miei posti preferiti.»
«Ovvero?»
«Devi proprio sapere tutto in anticipo, eh?»
«Sì, mi piace…»
«…avere il controllo della situazione?»
Non rispondo. Ha ragione, ma sono fatta così.
«Be’, non te lo dico finché ci arriviamo… Cioè tra cinque minuti.»
Mi giro a guardare il sedile posteriore: c’è un mucchio di libri di scuola, fogli sparsi e una pesante felpa nera.
«Vedi qualcosa che ti piace, là dietro?»
Per distrarmi dall’imbarazzo, e dal fatto che non so dove stiamo andando, chiedo: «Che macchina è questa?»
«Una Ford Capri, un grande classico», annuncia fiero. Poi mi racconta un sacco di dettagli che non capisco. Ma mi piace fissare le sue labbra mentre parla. Durante la conversazione mi lancia qualche occhiata, e alla fine dice in tono brusco: «Non mi piace che mi guardi fisso». Poi però fa un sorrisetto.
25
IMBOCCHIAMO un viale di ghiaia e Hardin spegne la radio. C’è silenzio, a parte il fruscio dei sassolini sotto le ruote. All’improvviso mi rendo conto che siamo in mezzo al nulla e completamente soli. Non ci sono macchine, case, niente. Sono nervosa.
«Non preoccuparti, non ti ho portata fin qui per ammazzarti», scherza lui. Mi si serra la gola, ma dubito che abbia capito la verità: non ho paura che mi uccida, ma delle cose che potrei fare, qui da sola con lui.
Dopo un altro paio di chilometri ci fermiamo. Vedo solo erba e alberi, prati tempestati di fiorellini gialli mossi da una brezza tiepida. Sì, è un bel posto. Ma perché mi ci ha portata?
«Cosa ci facciamo qui?» gli chiedo, scendendo dalla macchina. «Be’, prima di tutto camminiamo un po’.» Sospiro. Mi ha portata a fare ginnastica?
Vedendomi perplessa aggiunge: «Un po’, non troppo». Si incammina su una parte del prato dove l’erba è calpestata.
Procediamo in silenzio, tranne qualche lamentela di Hardin per la mia lentezza. Non ribatto e mi guardo intorno. Inizio a capire perché gli piace questo posto: c’è silenzio, c’è pace. Potrei restare qui in eterno, se avessi un libro con me. Lui lascia il sentiero e si inoltra fra gli alberi. Mi insospettisco, ma lo seguo. Qualche minuto dopo usciamo dal bosco e ci ritroviamo sulla riva di un ruscello. Anzi, è quasi un fiume. Non ho idea di dove siamo, ma l’acqua sembra piuttosto profonda.
Si toglie la maglietta. Gli guardo i tatuaggi sul petto: alla luce del sole, i rami spogli disegnati sulla pelle sono meno inquietanti. Poi comincia a slacciare gli scarponcini, e si accorge che lo fisso.
«Aspetta, perché ti stai spogliando?» gli chiedo, e poi mi volto verso il ruscello. «Vuoi fare il bagno? Lì dentro?»
«Sì, lo faccio sempre. E tu verrai con me.» Si sbottona i pantaloni e si china per sfilarli. Mi proibisco di spostare l’attenzione sui muscoli che gli guizzano sulla schiena.
«Non ho intenzione di fare il bagno in questo ruscello.» Mi piace nuotare, ma non in mezzo al nulla.
«E come mai? Guarda», e indica l’acqua. «È così limpida che si vede il fondo.»
«Ma ci saranno… i pesci, e chissà cos’altro.» Mi rendo conto di essere ridicola, ma non mi importa. «E poi non mi avevi detto che andavamo a nuotare, quindi non ho il costume.» A questa obiezione non potrà ribattere!
«Mi stai dicendo che sei il tipo di ragazza che gira senza mutande?» ghigna, e io lo fisso attonita. «Già, e allora basteranno quelle, e il reggiseno.»
Pensava che sarei venuta qui, mi sarei spogliata e avrei nuotato con lui? Mi agito al pensiero di ritrovarmi nuda nell’acqua con Hardin. Ma cosa mi prende? Non avevo mai fatto pensieri del genere.
«Io non nuoto in mutande, pervertito che non sei altro.» Mi siedo sull’erba. «Sto qui a guardarti.»
Ora indossa solo un paio di boxer neri aderenti. È la seconda volta che lo vedo senza maglietta, e alla luce del sole è ancora più bello. «Sei una guastafeste. E non sai cosa ti perdi», sentenzia. Dopodiché si tuffa.
«L’acqua è caldissima, Tess!» mi chiama da laggiù. L’acqua gronda dai suoi capelli, che bagnati sono più scuri. Sorride e si asciuga il viso con la mano.
Per un momento vorrei essere un’altra persona, più coraggiosa. Una come Steph. Se fossi lei, mi spoglierei ed entrerei nell’acqua tiepida con Hardin. Gliela schizzerei addosso. Ci divertiremmo.
Ma io non sono Steph. Sono Tessa.
«Questa amicizia è noiosissima, finora…» esclama Hardin, nuotando verso riva. «Almeno togliti le scarpe e infila i piedi in acqua. È fantastica. Presto farà troppo freddo per nuotare.»
L’idea non mi dispiace, quindi mi tolgo le scarpe e rimbocco i jeans. Aveva ragione, l’acqua è tiepida e limpida. Non riesco a trattenere un sorriso.
«È bella, no?» chiede lui, e mi trovo costretta ad annuire.
«Se entri, ti prometto che risponderò a una delle tue domande indiscrete. Quella che vuoi, ma soltanto una.»
Sono troppo curiosa. Questo ragazzo ha tanti misteri, e ora ho l’occasione di farmene svelare uno.
«L’offerta scade tra un minuto», dice, e si immerge nell’acqua limpida. La sfida è irresistibile: è bravissimo a usare la mia curiosità contro di me.
«Smettila di rimuginare su tutto, tuffati e basta», riprende quando riemerge.
«Non ho niente da mettermi. Se nuoto così, dovrò salire in macchina con i vestiti fradici», protesto. Quasi quasi mi è venuta voglia di entrare in acqua. Okay, sì, lo voglio.
«Mettiti la mia maglietta», propone. Lo guardo senza rispondere: sicuramente scherza. «Forza, mettitela. È abbastanza lunga, ma puoi tenere addosso anche le mutandine», sorride.
«E va bene, ma girati e non guardarmi.» Ride ma si volta, e io mi cambio più in fretta che posso. Aveva ragione: la maglietta mi arriva a metà coscia. Sa di buono: un profumo e un aroma che non può che essere il suo.
«Sbrigati, altrimenti mi volto», mi provoca. Vorrei picchiarlo. Mi sfilo i jeans, li piego con cura insieme alla maglietta e li poso sull’erba accanto alle scarpe. Cerco di tirare la tshirt più giù possibile sulle cosce.
Si gira e mi squadra da capo a piedi. Stringe tra i denti il piercing che ha sul labbro e arrossisce. Dev’essere una reazione al freddo: di sicuro non può essere per me.
«Ehm… vieni in acqua, okay?» dice, con voce roca. Faccio cenno di sì, e mi avvicino lentamente alla riva. «Tuffati e basta!»
«Aspetta, dammi tempo…»
Ride. «Prendi un po’ di rincorsa.»
«Okay.» Faccio un passo indietro e comincio a correre. Mi sento stupida, ma non voglio che la mia indecisione cronica rovini questo momento. All’ultimo passo, guardo l’acqua e mi blocco sulla sponda.
«No! Avevi iniziato così bene!» mi canzona ridendo di gusto. È adorabile.
Hardin, adorabile?
«Non ce la faccio!» Non so perché non ci riesco: l’acqua è abbastanza profonda per tuffarsi, ma si tocca.
«Hai paura?» mi chiede. Non ride più.
«No… non lo so. Forse.»
Viene verso di me. «Siediti sulla riva, ti aiuto a scendere.»
Mi siedo e stringo le gambe per non fargli vedere le mutandine. Lui se ne accorge e sorride. Mi afferra per le cosce, e dentro di me si accende di nuovo il fuoco. Perché il mio corpo reagisce così? Siamo solo amici, perciò non ci devo pensare. Lui mi cinge in vita e mi chiede: «Pronta?»
Io faccio cenno di sì, e lui mi solleva di peso e mi cala nell’acqua. È piacevolmente tiepida e mi arriva sotto il seno.
«Non startene lì impalata», mi rimprovera. Non gli rispondo ma faccio qualche passo in avanti. La maglietta si solleva nell’acqua, mi affretto a tirarla giù.
«Potresti anche togliertela», ghigna lui. Gli schizzo un po’ d’acqua addosso. «Mi hai schizzato, per caso?» Per tutta risposta, lo schizzo di nuovo. Lui si avventa su di me. Le sue braccia mi cingono in vita e mi trascinano sotto. Mi tappo il naso: non ho ancora imparato ad andare sott’acqua senza tapparmi il naso. Quando torniamo in superficie Hardin ride a crepapelle, e io con lui.
«Non so cos’è più buffo: il fatto che tu ti stia divertendo o il fatto che devi tapparti il naso per andare sotto», dice senza smettere di ridere.
Mi sento improvvisamente più coraggiosa e avanzo verso di lui senza badare alla maglietta che si sta alzando di nuovo. Cerco di spingergli la testa sott’acqua, ma naturalmente non ci riesco perché lui è più forte di me. Lo guardo ridere: perché non è sempre così?
«Credo che tu mi debba la risposta a una domanda», gli ricordo.
Si volta verso la riva. «Va bene, ma solo una.»
Non so quale domanda scegliere, ne ho così tante… «Chi è la persona che ami di più al mondo?»
Perché questa? Volevo sapere qualcosa di più specifico, del tipo: perché è così stronzo?
Cosa ci fa in America?
Mi rivolge uno sguardo sospettoso, spiazzato.
«Me stesso», risponde, e torna sott’acqua per qualche secondo.
Quando riemerge lo guardo con aria di sfida. «Impossibile», dico. So che è arrogante, ma dovrà pur amare… qualcuno? «E i tuoi genitori?» domando, ma me ne pento subito.
Fa una smorfia e i suoi occhi perdono la dolcezza che avevo intravisto. «Non parlare più dei miei genitori, capito?» sbotta. Vorrei prendermi a schiaffi per aver rovinato questo momento.
«Scusa, ero solo curiosa. Hai detto che avresti risposto a una domanda», gli ricordo a voce bassa. La sua espressione si addolcisce un po’. Viene verso di me, facendo increspare l’acqua. «Mi dispiace davvero, Hardin, non parlerò più di loro», prometto. Non voglio proprio litigare con lui; probabilmente se ne andrebbe e mi pianterebbe in asso qui in mezzo al nulla.
Senza preavviso mi afferra e mi solleva in aria. Mi divincolo e lo imploro di mettermi giù, ma lui non fa altro che scaraventarmi in acqua. Quando riemergo vedo nei suoi occhi una scintilla di divertimento.
«Me la pagherai!» grido. Per tutta risposta, finge di sbadigliare. Lo raggiungo a nuoto e lui mi cinge di nuovo in vita: ma stavolta, senza rendermene conto, gli stringo le gambe intorno ai fianchi. Lui sussulta.
«Scusa», mormoro, e mi stacco subito.
Ma Hardin prende le mie gambe e se le rimette intorno ai fianchi. Sento di nuovo quell’elettricità tra noi, più intensa di prima. Perché mi succede sempre? Decido di non pensarci e gli getto le braccia al collo per tenermi in equilibrio.
«Cosa mi fai, Tess…» sussurra, passandomi il pollice sulle labbra.
«Non lo so…» rispondo sinceramente.
«Queste labbra… le cose che potresti farci…» mormora. Mi sento sciogliere tra le sue braccia. «Vuoi che smetta?» Mi guarda negli occhi: ha le pupille così dilatate che l’iride verde è ridotta a un anello sottile.
Prima di poterci riflettere faccio segno di no e mi spingo contro di lui sott’acqua.
«Non possiamo essere solo amici, lo sai, vero?» Le sue labbra mi sfiorano il mento, e mi danno un brivido. Continua a posarmi una serie di baci lungo la mandibola e io annuisco. So che ha ragione. Non so cosa ci sia tra di noi, ma so che non riuscirò mai a essere solo sua amica. Quando le sue labbra si posano appena sotto il mio orecchio mugolo, e lui indugia su quel punto e inizia a succhiare.
«Oh, Hardin», mormoro, e lo stringo più forte con le gambe. Un semplice bacio sul collo, e sto già per esplodere.
«Voglio farti gridare il mio nome, Tessa. Tante volte. Lo vuoi anche tu?» La sua voce è carica di tensione.
So che non riuscirò a dirgli di no.
«Dillo, Tessa.» Prende il mio lobo tra i denti. Annuisco di nuovo, con più decisione. «Devi dirmelo, piccola, e a voce alta, così saprò che lo vuoi davvero.» Fa scivolare la mano sotto la maglietta.
«Lo voglio…» rispondo in un soffio. Senza parlare inizia a uscire dall’acqua, tenendomi per le cosce, e mi deposita sulla riva. Protesto quando lo sento staccarsi da me, e senza dubbio così facendo gonfio il suo ego ancora di più, ma non mi importa. So solo che lo voglio, che ho bisogno di lui.
Si china a guardarmi negli occhi. «Qui o in camera mia?»
Non ho intenzione di andare in camera sua, perché è troppo lontana: in macchina avrei tempo per riflettere e cambiare idea.
«Qui», rispondo, e mi guardo intorno. Non c’è nessuno in giro, e prego che nessuno venga a disturbarci.
«Vieni da me», mormora.
Cammino sull’erba senza far rumore e mi fermo a pochi centimetri da lui. Mi afferra l’orlo della maglietta e me la sfila. Il modo in cui mi guarda mi fa impazzire: ho gli ormoni totalmente fuori controllo. Sento battere più forte il cuore mentre lui mi squadra da capo a piedi un’ultima volta e poi mi prende per mano.
Stende la maglietta sull’erba come se fosse una coperta. Mi aiuta a distendermi sulla stoffa bagnata e si sdraia su un fianco accanto a me appoggiandosi su un gomito. Tento di coprirmi con le mani, perché nessuno mi aveva mai vista così nuda, e Hardin ha visto talmente tante ragazze, ragazze molto più belle di me. Ma lui mi prende per i polsi e mi fa distendere le braccia lungo i fianchi.
«Non coprirti mai, quando sei con me», dice con i suoi occhi nei miei.
«È solo che…»
«Non devi coprirti, Tess, perché non hai niente di cui vergognarti.» Lo pensa davvero?
«Dico davvero, guardati», continua. Sembra che mi legga nel pensiero.
«Sei stato con tante ragazze.»
«Nessuna come te.» So che potrei interpretare questa risposta in molti modi, ma scelgo di lasciar correre.
Cerco di ricordare le poche cose che so sul sesso. «Hai un preservativo?» gli chiedo. «Un preservativo?» ripete ridacchiando. «Non ho intenzione di fare sesso con te.»
Mi assale il panico. È tutto un gioco per umiliarmi? «Ah», faccio, e tento di alzarmi. Sono sicura di essere avvampata, e non voglio espormi ancora al suo sarcasmo.
Ma lui mi prende per le spalle e con delicatezza mi fa sdraiare di nuovo. «Dove pensi di andare…» inizia, ma poi capisce. «Oh… No, Tess, non intendevo in quel senso. Volevo solo dire che tu non hai mai fatto… quelle cose, perciò non voglio fare sesso con te.» Mi fissa per un momento. «Per oggi», aggiunge poi. Sento alleviarsi un po’ la pressione nel petto.
«Prima ci sono un mucchio di altre cose che voglio farti.» Si posiziona sopra di me reggendosi sulle mani, come se volesse fare le flessioni. I suoi capelli bagnati sgocciolano sul mio viso.
«È incredibile che nessuno ti abbia ancora scopata», bisbiglia, e torna a sdraiarsi sul fianco. Fa scorrere le punte delle dita sul mio collo, tra i seni, sulla pancia, e si ferma appena sopra l’orlo delle mutandine. Sta succedendo davvero? Ora cosa farà? Mi farà male? Mille pensieri mi si affollano in testa, ma svaniscono tutti appena lui infila le dita nelle mutandine e inizia a muoverle. Inspira tra i denti e si china a baciarmi. «Ti piace?» Mi sta solo accarezzando, com’è possibile che mi piaccia così tanto? Annuisco. Rallenta il movimento delle dita. «Ti piace più di quando lo fai da sola?» Eh?
«Allora?» insiste.
«Cosa?…» balbetto.
«Quando ti tocchi, ti piace come adesso?»
Non so cosa rispondere e lo fisso in silenzio. Leggo nei suoi occhi che ha capito.
«Aspetta… Non hai mai fatto neppure quello, vero?» La sua voce rivela stupore, ma anche qualcos’altro… Desiderio? Ricomincia a baciarmi, e intanto le sue dita si muovono su e giù. «Sei così sensibile, così bagnata», bisbiglia, e mi strappa un altro gemito. Perché queste parole spinte sono tanto eccitanti, dette da lui? A un certo punto mi dà un pizzicotto, e una scossa elettrica si propaga in tutto il mio corpo.
«Cosa… cos’era?» chiedo, con il fiato mozzo. Lui ridacchia e non risponde, ma poi sento che lo fa di nuovo e la schiena mi si inarca, sollevandosi dall’erba. Lui scende a baciarmi il collo, poi il petto. Infila la lingua sotto il reggiseno e intanto mi accarezza un seno con la mano. Quella che provo è gioia allo stato puro. Chiudo gli occhi e iniziano a tremarmi le gambe.
«Brava, Theresa, vieni per me», mi dice, e sento che sto per perdere il controllo. «Guardami, piccola», sussurra.
Apro gli occhi. La vista delle sue labbra sul mio seno mi sospinge oltre il limite, e per qualche istante non vedo più niente. «Hardin», dico, poi lo ripeto un’altra volta; dal rossore che gli si dipinge sulle guance capisco che gli piace quando lo chiamo per nome. Lentamente, tira fuori la mano e la posa sulla mia pancia fin quando non riporto la respirazione alla normalità. Non mi ero mai sentita così carica di energia e al contempo così rilassata.
«Ti lascio un minuto per riprenderti.» Ride tra sé e si allontana.
Vorrei che mi restasse accanto, ma non riesco a parlare. Reduce dai minuti più belli della mia vita, mi alzo a sedere e mi giro: lui si è rimesso i jeans e le scarpe.
«Ce ne andiamo già?» chiedo imbarazzata. Pensavo che anche lui mi avrebbe chiesto di toccarlo; non avrei saputo bene cosa fare, ma me l’avrebbe spiegato lui.
«Sì, volevi restare ancora?»
«Pensavo… non lo so, pensavo che magari tu volessi qualcosa…» Non so proprio come dirlo.
Per fortuna ci arriva da solo. «Ah, no. Per il momento sono a posto», risponde, e mi fa un sorrisetto. Ha intenzione di tornare antipatico come prima? Spero di no, dopo quello che è successo: ho appena condiviso con lui l’esperienza più intima della mia vita, e non sopporterei che ricominciasse a trattarmi male. Ha detto «per il momento», quindi forse vorrà qualcosa più tardi. Inizio già a pentirmi. Mi rimetto i vestiti sopra la biancheria bagnata e cerco di ignorare il fremito che sento tra le gambe.
Hardin mi porge una maglietta. Accorgendosi che sono confusa spiega che è per «asciugarmi», e mi guarda il pube.
Mi sbottono i pantaloni e mi tampono con la maglietta nel punto più sensibile. Non mi sfugge il modo in cui si passa la lingua sulle labbra, mentre mi osserva. Poi tira fuori il telefono dalla tasca dei jeans e si mette a digitare qualcosa. Gli restituisco la maglietta e mi rimetto le scarpe. L’atmosfera è cambiata, lui è distaccato e io vorrei essere il più lontano possibile.
Mentre torniamo alla macchina resta in silenzio. Sto già immaginando gli scenari più tetri. Lui mi apre la portiera e lo ringrazio con un cenno del capo.
«Qualcosa non va?» mi domanda mentre torniamo indietro sul sentiero di ghiaia.
«Non lo so. Perché sei così strano, adesso?» Ho parlato, pur avendo paura della risposta, e ora non riesco a guardarlo in faccia.
«Io? Sei tu quella strana.»
«Non mi hai più detto una parola da quando… be’, lo sai.» «Da quando ti ho procurato il tuo primo orgasmo?»
Arrossisco. Perché mi stupisco ancora della sua volgarità?
«Be’, sì. Da allora in poi non hai detto più niente. Ti sei rivestito e ce ne siamo andati.» Mi sembra che la sincerità sia la migliore strategia, date le circostanze, quindi aggiungo: «Mi fa sentire usata, o qualcosa del genere».
«Cosa? Ma no, non ti sto usando. Usare una persona implica trarne un vantaggio per sé», spiega, in tono così indifferente che mi vengono le lacrime agli occhi. Faccio del mio meglio per trattenerle, ma me ne sfugge una.
«Stai piangendo? Cos’ho detto?» Mi posa una mano sulla coscia. Non so perché, ma quel gesto mi fa stare meglio. «Non volevo… Mi dispiace. Non avevo certo intenzione di riportarti in camera tua e andarmene! Pensavo di invitarti a cena, che ne dici? Scommetto che muori di fame.» Mi stringe delicatamente la coscia.
Gli sorrido, confortata dalle sue parole. Mi asciugo la lacrima sfuggita al controllo, e con lei se ne vanno le mie preoccupazioni.
Non so perché Hardin mi renda così emotiva. Un minuto prima lo odio, un minuto dopo voglio baciarlo. Mi fa provare emozioni che non sapevo di poter provare, e non solo riguardo al sesso. Mi fa piangere, mi fa ridere, mi fa gridare; ma soprattutto mi fa sentire viva.
26
LA sua mano è ancora sulla mia coscia e spero che non la tolga. Ne approfitto per guardargli i tatuaggi sulle braccia. Il simbolo dell’infinito sul polso: mi chiedo se abbia un significato particolare. Cerco lo stesso simbolo sull’altro polso, ma non c’è. Tante persone si fanno tatuare il simbolo dell’infinito, soprattutto donne, ma il fatto che i due anelli ai lati siano a forma di cuore mi incuriosice ancora di più.
«Allora, cosa ti piace mangiare?» mi domanda.
Che domanda piacevolmente normale! Ci penso su mentre mi lego i capelli, ormai quasi asciutti. «Be’, mangio di tutto, a patto di sapere cos’è. E a patto che non ci sia il ketchup.»
Ride. «Non ti piace il ketchup? Pensavo che tutti gli americani ne andassero pazzi.» «Io lo trovo disgustoso.»
Ridiamo entrambi. «Ti va bene se andiamo in una tavola calda?»
Annuisco. Lui fa per alzare il volume della musica, ma poi ci ripensa e mi posa di nuovo la mano sulla gamba. «Allora, cosa pensi di fare dopo l’università?» Me l’aveva già chiesto, quella volta in camera sua.
«Mi trasferirò a Seattle, e spero di trovare lavoro in una casa editrice o di scrivere un libro. So che è stupido», aggiungo, imbarazzata dalla vastità delle mie ambizioni. «Ma me l’avevi già chiesto, ricordi?»
«No, non è stupido. Conosco qualcuno alla casa editrice Vance. Se vuoi posso scambiarci due parole; è un po’ lontana da qui, ma potresti fare domanda per uno stage.»
«Cosa? Faresti questo per me?» strepito, perché sono davvero sorpresa: è stato gentile con me nelle ultime due ore, ma non mi aspettavo tanto.
«Certo, non c’è problema.» Sembra un po’ in imbarazzo. Evidentemente non è abituato a fare favori alla gente.
«Wow, grazie! Ho bisogno di trovare al più presto un lavoro o uno stage, e quello sarebbe un sogno che si avvera!» Sono così elettrizzata che batto le mani.
Lui ridacchia. «Non c’è di che.»
Entriamo nel piccolo parcheggio di un vecchio edificio in mattoni che ospita un ristorante.
«Qui si mangia benissimo», dice Hardin, scendendo. Gira intorno alla macchina, apre il bagagliaio… e tira fuori un’altra maglietta nera. Deve averne una scorta, lì dentro. La vista di lui a torso nudo per l’intero tragitto è stata così piacevole da farmi dimenticare che ne avrebbe dovuta indossare una.
Entriamo e andiamo a sederci: il locale è quasi vuoto. Una cameriera di mezz’età ci porta il menu, ma Hardin rifiuta con un cenno della mano e ordina un hamburger con patatine, e mi invita a prendere la stessa cosa. Mi fido di lui, ma preciso che non voglio il ketchup.
Mentre aspettiamo gli racconto della mia infanzia a Richland: provenendo dall’Inghilterra, non l’ha mai sentita nominare. Non si perde granché: è una piccola città in cui tutti fanno le stesse cose e dalla quale nessuno se ne va mai. Nessuno tranne me: non ci tornerei neanche morta. Dal canto suo, Hardin non mi rivela molte informazioni sul suo passato; ma sono ottimista e so aspettare. Mi fa un mucchio di domande sul mio passato, e si rabbuia quando gli parlo dell’alcolismo di mio padre. Era venuto fuori durante uno dei nostri litigi, ma stavolta scendo nei dettagli.
La cameriera ci porta gli hamburger, che hanno un’aria molto appetitosa.
«Niente male, eh?» commenta Hardin quando stacco il primo morso. Finiamo di mangiare in pochi minuti: non avevo mai avuto tanta fame in vita mia.
Il viaggio di ritorno ai dormitori è così piacevole che mi dispiace che duri poco. Per tutto il tempo Hardin continua ad accarezzarmi la coscia. Mi sento molto più in sintonia con lui rispetto a qualche ora fa. Quando si impegna sa essere davvero simpatico. «Ti sei divertito?» gli chiedo una volta nel parcheggio del campus.
«Sì, a dire il vero sì.» Sembra che la cosa lo sorprenda. «Senti, ti accompagnerei in camera, ma non voglio che Steph cominci con le domande…» Sorride, e si gira a guardarmi.
«Non importa, ci vediamo domani», gli rispondo. Non so se è il caso di salutarlo con un bacio, quindi sono sollevata quando le sue dita afferrano una ciocca dei miei capelli e la sistemano dietro le orecchie. Rimango con la faccia nel suo palmo, mentre lui inclina la testa e avvicina le sue labbra alle mie. All’inizio è un bacio delicato, ma poi il mio corpo si infuoca, e io sento il bisogno di qualcosa di più. Hardin mi prende per un braccio e mi fa cenno di scavalcare la console tra i due sedili; io gli monto a cavalcioni battendo la schiena sul volante. Lo sento reclinare il sedile e gli infilo le mani sotto la maglietta. Ha gli addominali tesi e la pelle calda. Seguo con le dita il disegno dei tatuaggi.
La sua lingua accarezza la mia. Mi abbraccia stretta, fin quasi a farmi male, ma è un dolore che sopporto volentieri pur di stargli così vicina. Mugola quando faccio scorrere le mani sul suo petto. Mi piace farlo mugolare, è bello sapere di fargli quest’effetto. Sto per smarrirmi completamente in quelle sensazioni quando veniamo interrotti dallo squillo del mio telefono.
«Un’altra sveglia?»
Gli sorrido e faccio per rispondergli a tono, ma poi vedo il nome sul display: Noah. Guardo Hardin e intuisco che ha capito, perché ha cambiato espressione. Ho paura di rovinare il momento, perciò rifiuto la chiamata e butto il telefono sul sedile del passeggero. Non sto pensando a Noah, ora. Lo caccio in un ripostiglio in fondo alla mente e lo chiudo a chiave.
Torno a baciare Hardin, ma lui mi ferma. «È meglio se me ne vado, adesso», dice in tono risoluto. Quando mi tiro indietro mi accorgo che ha lo sguardo perso nel vuoto, e nel mio corpo il ghiaccio prende il posto del fuoco.
«Hardin, ho ignorato la chiamata. Gli parlerò di tutto questo. Non so ancora come né quando, ma lo farò presto. Te lo prometto.» Fin dalla prima volta che io e Hardin ci siamo baciati qualcosa dentro di me mi suggeriva che avrei dovuto lasciare Noah. Non posso continuare a stare con lui dopo averlo tradito: mi sentirei troppo in colpa. Lo amo, ma se davvero lo amassi come merita non proverei ciò che provo per Hardin. Non voglio ferire Noah, ma ormai non posso tornare indietro.
«Parlargli di cosa?»
«Di tutto questo… di noi.»
«Noi? Non starai cercando di dirmi che vuoi lasciarlo… per me, vero?»
Mi gira la testa. Dovrei scendere dalle sue ginocchia, ma mi sento come paralizzata.
«Non… non vuoi che lo lasci?» mormoro.
«No, perché dovresti? Cioè, sì, se vuoi lasciarlo lascialo pure, ma non farlo per me.» «Ma… io pensavo…» Non trovo le parole.
«Ti ho già spiegato che non voglio relazioni, Theresa.»
Resto bloccata come un cervo davanti ai fari di una macchina; alla fine mi stacco da lui, ma solo perché mi rifiuto di farmi vedere in lacrime un’altra volta.
«Sei disgustoso», dichiaro. Recupero la borsa e il telefono. Hardin sembra in procinto di replicare qualcosa, ma poi ci ripensa. «Sta’ lontano da me, d’ora in poi: dico sul serio!» urlo, e lui chiude gli occhi.
Torno in dormitorio camminando in fretta, vado in camera e riesco – non so come – a trattenere le lacrime finché mi sono chiusa dentro. È un sollievo che Steph non ci sia. Come ho potuto essere così stupida? Sapevo com’era fatto quando ho accettato di restare sola con lui, eppure non vedevo l’ora di farlo. Solo perché oggi è stato gentile con me, mi sono messa in testa che… cosa?… che sarebbe diventato il mio ragazzo? Rido tra i singhiozzi: sono una povera ingenua. Non posso neppure arrabbiarmi con lui: me l’ha detto chiaro e tondo che non vuole relazioni. Ma oggi ci siamo divertiti così tanto. È stato gentile, abbiamo scherzato insieme, e ho pensato che stessimo instaurando un rapporto di qualche tipo.
Ma era tutta una farsa, un trucco per infilarsi nelle mie mutande. E io l’ho lasciato fare.
27
LE lacrime si asciugano, e quando Steph torna dal cinema ho già fatto una doccia e ho ritrovato un po’ di equilibrio mentale.
«Allora, com’è andata con Hardin?» mi chiede, tirando fuori il pigiama da un cassetto.
«Bene, lui è stato… un gran signore, come al solito», rispondo, e mi sforzo di ridere. Vorrei raccontarle tutto, ma mi vergogno troppo. So che lei non mi giudicherebbe, e d’altra parte sento il bisogno di sfogarmi, ma allo stesso tempo non voglio farlo sapere a nessuno.
Steph mi guarda preoccupata. «Sta’ attenta, capito? Sei una persona troppo buona per uno come Hardin.»
Vorrei abbracciarla e piangere sulla sua spalla, invece cambio argomento e le domando: «Com’era il film?» Mi confida che Tristan inizia a piacerle davvero, e che l’ha imboccata con i popcorn. Mi viene la nausea, ma capisco di essere invidiosa perché Steph piace a Tristan in un modo in cui io non piaccio a Hardin. Poi però ricordo a me stessa che c’è un ragazzo che mi ama, e che devo iniziare a trattarlo meglio e a stare lontana da Hardin, stavolta sul serio.
La mattina seguente sono distrutta, apatica e perennemente sull’orlo delle lacrime. Ho gli occhi rossi e gonfi perché ieri sera ho pianto, quindi vado a prendere il beauty di Steph, tiro fuori l’eyeliner marrone e traccio una linea sottile sotto e sopra gli occhi. Ecco, va già molto meglio. Metto un po’ di cipria e di fard per darmi un tocco di colore, qualche passata di mascara… e sembro un’altra. Soddisfatta, infilo un paio di jeans attillati e una canottiera; ma mi sento ancora nuda e prendo dall’armadio un cardigan bianco. Non mi preoccupavo così tanto di come vestirmi per andare a lezione dal giorno della foto di classe al liceo.
Landon mi scrive che ci vediamo direttamente in aula, perciò passo al bar a prendere un caffè anche per lui. Arrivo comunque in anticipo, quindi cammino più piano del solito.
«Ciao, ti chiami Tessa, vero?» dice una voce maschile. Mi giro e vedo un ragazzo molto ben vestito che viene verso di me. «Sì, Logan, giusto?»
«Giusto. Vieni da noi anche questo weekend?» chiede. Deve far parte della confraternita: ovvio, è elegante e bellissimo.
«Ah, no, non questo weekend.»
«Peccato, mi eri simpatica. Be’, se cambi idea sai dove trovarci. Ora devo andare, ma ci vediamo in giro.» Finge di alzarsi il cappello in segno di saluto e se ne va.
In aula Landon è già seduto. Mi ringrazia per avergli portato il caffè. «Mi sembri diversa, oggi», osserva mentre mi siedo.
«Perché mi sono truccata», ribatto, e lui sorride. Non mi fa domande su com’è andata con Hardin, e gliene sono grata. Non saprei cosa rispondergli.
Proprio quando la giornata inizia a farsi piacevole, e ho smesso di pensare a Hardin, arriva l’ora della lezione di letteratura.
Hardin è seduto al solito posto, in prima fila. Oggi ha una maglietta bianca anziché nera, che lascia trasparire i tatuaggi. Mi stupisco di trovare improvvisamente così attraenti i tatuaggi e i piercing, che non mi sono mai piaciuti. Distolgo subito lo sguardo, mi siedo accanto a lui come al solito e tiro fuori il quaderno. Non ho intenzione di rinunciare al mio solito banco per colpa di un ragazzo sgarbato. Spero però che Landon arrivi presto, così non resterò sola con Hardin.
«Tess?» bisbiglia mentre l’aula inizia a riempirsi.
No, non rispondergli. Ignoralo.
«Tess?» ripete, a voce più alta.
«Non rivolgermi la parola, Hardin», rispondo tra i denti. Non lo guardo. Non voglio cadere di nuovo nella sua trappola.
«Oh, per favore!» esclama in tono divertito.
«Dico sul serio, Hardin, lasciami in pace», ribatto acida.
«E va bene, fa’ come ti pare», dice con altrettanta freddezza.
Sospiro di sollievo quando arriva Landon. Coglie subito la tensione tra me e Hardin e mi chiede, con la sua consueta delicatezza: «Va tutto bene?» «Sì, sto bene», mento, e la lezione comincia.
Io e Hardin continuiamo a ignorarci per tutta la settimana, e questo silenzio mi aiuta a pensare un po’ meno a lui. Steph e Tristan escono insieme ogni sera, quindi mi ritrovo spesso in camera da sola, e questa è una cosa bella e brutta insieme. Bella perché posso studiare in pace, ma brutta perché resto sola con i miei pensieri, che vertono immancabilmente su Hardin. Per l’intera settimana mi sono truccata un po’, ma indosso sempre abiti larghi e poco vistosi. Venerdì mattina mi convinco di aver dimenticato Hardin… finché tutti iniziano a parlare della festa alla confraternita. In quel posto danno una festa ogni venerdì, e di solito anche il sabato: quindi non capisco cos’abbiano da emozionarsi tanto ogni settimana.
Alla decima volta che qualcuno mi chiede se andrò alla festa, decido di fare l’unica cosa che mi impedirà di andarci. Telefono a Noah.
«Ciao, Tessa!» trilla. Non ci parlavamo da qualche giorno, e la sua voce mi mancava.
«Pensi di riuscire a venire a trovarmi?» gli domando.
«Certo. Facciamo il prossimo fine settimana?»
Sospiro. «No, pensavo oggi. Subito. Puoi partire adesso?» So che anche a lui piace pianificare le cose, ma ho bisogno che venga immediatamente.
«Tessa, ora sono a scuola, e poi ho gli allenamenti.»
«Ti prego, Noah, mi manchi tanto. Non puoi partire adesso e venire per il weekend?
Per favore…»
«Be’… certo, sì, Tessa. Vengo subito. Va tutto bene?»
Sono al settimo cielo, anche se mi stupisco molto che Noah abbia acconsentito, abitudinario com’è. «Sì, è solo che mi manchi da morire. Non ci vediamo da quasi due settimane», gli ricordo.
«Mi manchi anche tu», dice ridendo. Mi faccio firmare un permesso e parto tra pochi minuti, quindi ci vediamo fra tre ore, più o meno. Ti amo, Tessa.»
«Ti amo anch’io», rispondo, e riaggancio. Be’, la questione è risolta. Ormai non posso più andare a quella festa.
Con un gran sollievo nel cuore vado a lezione di letteratura. Il sollievo però svanisce quando entro in aula e vedo Hardin chino sul banco di Landon.
Mi affretto a raggiungerli, e in quel momento Hardin batte la mano sul banco e ringhia: «Non azzardarti mai più a sparare cazzate del genere, imbecille».
Landon fa per tirarsi in piedi; è assurdo, lui è una persona così buona che non riesco a immaginarlo alzare le mani su qualcuno.
Prendo Hardin per un braccio e lo strattono via. Lui alza l’altra mano e io rabbrividisco, ma poi si rende conto che sono io e la fa ricadere, imprecando a mezza voce.
«Lascialo stare, Hardin!» grido. Landon sembra altrettanto infuriato, ma torna a sedersi.
«Devi farti gli affari tuoi, Theresa», sibila Hardin andando a sedersi al suo banco.
Mi metto a sedere tra loro due e sussurro a Landon: «Stai bene? Cos’è successo?»
Lui scocca un’occhiata a Hardin. «È uno stronzo. Tutto qui, più o meno», conclude a voce alta.
Sento il respiro pesante di Hardin accanto a me e mi viene un’idea. Sarà infantile, ma pazienza.
«Ho una bella notizia!» dico a Landon, ostentando allegria. «Ah sì?»
«Oggi viene Noah, e si ferma per tutto il fine settimana!» Sfodero un gran sorriso e batto le mani elettrizzata. So che sto esagerando, ma sento gli occhi di Hardin su di me e capisco che ha sentito.
«Che bello!» esclama Landon in tutta sincerità.
La lezione inizia e finisce senza che Hardin mi rivolga la parola. Andrà sempre così, d’ora in poi, e per me va benissimo. Auguro a Landon un buon fine settimana e torno in camera per ritoccarmi il trucco e mangiare qualcosa prima che arrivi Noah. Da quando in qua sono il genere di persona che deve ritoccarsi il trucco prima che arrivi il suo ragazzo? Lo sono diventata quel giorno al ruscello con Hardin: un’esperienza che mi ha cambiata. E ancora di più mi ha cambiata il dolore che lui mi ha inferto dopo. Il trucco è una novità di poco conto, di per sé, ma è simbolica.
Mangio e metto un po’ in ordine la stanza. Ripiego anche i vestiti di Steph e li ripongo; spero che non le dispiacerà. Quando finalmente Noah mi scrive che è arrivato, salto giù dal letto dove mi ero stesa per riposare e corro fuori ad accoglierlo. È più bello che mai: indossa pantaloni blu scuro, un cardigan color crema e una maglietta bianca. Devo ammettere che ha un mucchio di cardigan, però a me piacciono. Il suo sorriso mi scalda il cuore. Mi abbraccia e mi dice che è contento di vedermi.
Mentre torniamo in camera mi guarda per un momento e mi chiede: «Ti sei truccata?»
«Sì, un po’. Sto facendo qualche esperimento.»
«Ti dona», osserva con un sorriso, e mi bacia sulla fronte.
In camera, cerchiamo su Netflix una commedia romantica. Steph mi scrive che è con Tristan e starà fuori tutta la notte, quindi spengo le luci e ci appoggiamo alla testiera del letto, il braccio di Noah sulla mia spalla e la mia testa sul suo petto.
Ecco, io sono questa persona, mi ripeto. Non una sbandata con indosso la maglietta di un ragazzo lunga fino alle ginocchia.
Iniziamo a guardare un film che non avevo mai visto, ma dopo neanche cinque minuti la porta si apre di schianto. Immagino che Steph si sia dimenticata qualcosa.
Ma ovviamente è Hardin. Ci guarda, abbracciati sul letto, illuminati dallo schermo del televisore. Arrossisco: è venuto qui per rivelare tutto a Noah, ne sono sicura. Mi assale il panico, e mi stacco dal mio ragazzo per dare l’impressione di essere solo sorpresa.
«Che ci fai qui?» sbotto. «Non puoi entrare così, senza bussare!»
Hardin sorride. «Devo vedere Steph», risponde, e va a sedersi. «Ciao, Noah, piacere di rivederti», ghigna. Noah sembra a disagio: si starà chiedendo come mai Hardin ha la chiave della stanza e non si scomoda a bussare.
«È con Tristan, probabilmente sono già a casa vostra», gli dico lentamente, pregando in silenzio che se ne vada. Se rivela tutto a Noah, non so proprio come farò.
«Ah sì?» Dal suo sorrisetto capisco che è venuto fin qui solo per tormentarmi. Forse si tratterrà finché sarò io a confessare la verità a Noah. «Voi due venite alla festa?»
«No, non veniamo. Vorremmo vedere un film», rispondo, e Noah mi prende per mano.
«Peccato. Allora è meglio che vada…» Si avvia alla porta, e io mi sento un po’ sollevata. Ma poi si volta di nuovo. «Ah, Noah…» fa, e a me si stringe lo stomaco. «Che bel cardigan!»
Lascio andare il fiato che trattenevo.
«Grazie, l’ho preso da Gap», precisa Noah, senza sospettare minimamente che Hardin lo sta prendendo in giro.
«Be’, si vede. Divertitevi, voi due», conclude Hardin, ed esce dalla stanza.
28
«NON è poi così antipatico», commenta Noah quando la porta si richiude.
Faccio una risatina nervosa. «Eh?» Quando lui mi guarda perplesso, continuo: «Noah, mi stupisco di sentirti parlare così». Poso la testa sul suo petto. L’elettricità che pochi istanti fa riempiva la stanza si è dissolta.
«Non sto dicendo che vorrei uscirci a cena, ma è stato cordiale.»
«Hardin è tutto tranne che cordiale», ribatto. Noah ridacchia e mi abbraccia. Se solo sapesse cos’è successo tra noi, come ci siamo baciati, come ho mugolato il suo nome mentre… Dio, Tessa, smettila. Bacio Noah sul mento e lui sorride. Voglio che mi faccia sentire come mi fa sentire Hardin. Mi tiro a sedere sul letto e mi giro verso di lui, gli prendo il viso tra le mani e premo le labbra sulle sue. Lui mi bacia: un bacio morbido, lento, delicato… Non mi basta. Devo sentire il fuoco, la passione. Gli getto le braccia al collo e gli monto a cavalcioni.
«Tessa, che ti prende?» fa lui, cercando di spingermi giù con delicatezza.
«Eh? Niente, voglio… voglio solo baciarti», rispondo, abbassando lo sguardo. Non mi imbarazzo facilmente con Noah, ma questo non è un argomento di cui parliamo spesso.
«Okay…» dice. Lo bacio di nuovo e inizio a dimenare le anche, sperando di appiccare quelle fiamme che ho così bisogno di sentirmi dentro. Lui mi appoggia le mani sui fianchi, ma per fermarmi. Lo so, abbiamo deciso di aspettare il matrimonio: ma ci stiamo solo baciando! Gli prendo le mani, le tiro via e continuo a dondolarmi addosso a lui. Cerco di baciarlo con più decisione, ma le sue labbra restano morbide, rilassate. Sento che si sta eccitando, ma si rifiuta di reagire.
So bene che lo sto facendo per le ragioni sbagliate, ma non me ne importa niente: ho solo bisogno di sapere che Noah può farmi sentire come mi fa sentire Hardin. Non voglio davvero Hardin, voglio solo provare di nuovo quella sensazione… Giusto?
Smetto di baciare Noah e scendo da sopra di lui.
«È stato bello, Tessa.» Sorride, gli sorrido. Bello, dice. Ha un tale autocontrollo. Eppure lo amo. Faccio ripartire il film e dopo pochi minuti sento che sto per addormentarmi: Devo andare, dice Hardin. I suoi occhi verdi mi fissano. Andare dove? Non voglio che se ne vada. Sto in un albergo qui vicino, torno domattina, continua, e dopo un momento il suo viso si trasforma in quello di Noah.
Mi sveglio di soprassalto e mi stropiccio gli occhi. Noah. È Noah. Non è Hardin.
«Vedo che hai molto sonno, e non posso passare la notte qui», spiega, accarezzandomi la guancia.
Vorrei che restasse, ma ho paura di parlare nel sonno e farmi sfuggire chissà cosa. A quanto pare Noah ritiene sconveniente restare a dormire nella mia stanza. Lui e Hardin sono due poli opposti. Diversi in tutto.
«Va bene, grazie ancora di essere venuto», borbotto, e lui mi posa un altro bacio leggero sulla guancia prima di togliersi da sotto di me.
«Ti amo», dice. Io poso la testa sul cuscino e sprofondo in un sonno senza sogni.
La mattina seguente mi sveglia una telefonata di Noah. Mi dice che sta arrivando, quindi mi alzo e corro a fare la doccia. Chissà come passeremo la giornata. Non c’è molto da fare da queste parti, a meno di andare in città; forse dovrei scrivere un messaggio a Landon per chiedergli cos’altro succede qui in giro a parte le feste delle confraternite. Penso che tra i miei amici sia l’unico che mi saprebbe rispondere.
Indosso una gonna grigia a pieghe e una maglietta azzurra, e ignoro le critiche di Hardin che mi rimbombano nella testa.
Quando torno in camera, con i capelli ancora avvolti in un asciugamano, trovo Noah ad aspettarmi fuori dalla porta. «Sei molto carina oggi», mi dice con un sorriso, e mi posa un braccio sulle spalle mentre apro la porta.
«Faccio subito, devo solo asciugare i capelli e truccarmi un po’», gli faccio, e vado a prendere la trousse di Steph: per fortuna non se l’è portata via. Dovrò comprare qualche cosmetico, ora che ho scoperto che mi piace truccarmi.
Noah si siede sul mio letto e aspetta paziente mentre mi asciugo i capelli e arriccio le punte. Gli do un bacio sulla guancia prima di truccarmi. «Cosa vogliamo fare oggi?» gli chiedo mentre passo il mascara.
«Il college ti fa bene, Tessa. Non sei mai stata così bella», commenta lui. «Non lo so, possiamo fare una passeggiata al parco e poi andare a cena fuori?»
Guardo l’orologio. Come fa a essere già l’una? Scrivo a Steph che sarò via per quasi tutto il giorno e lei risponde che non torna fino a domani. Praticamente ogni weekend si trasferisce nella confraternita di Hardin.
Noah mi tiene aperta la portiera della sua Toyota. I genitori gli hanno comprato la macchina più sicura che ci sia, e l’ultimo modello. Dentro è in perfetto ordine, senza mucchi di libri né vestiti sporchi. Troviamo parcheggio quasi subito, in un piccolo spiazzo deserto con l’erba ingiallita e qualche albero.
«Ehi, quando inizi a cercarti una macchina?» mi fa.
«Questa settimana, penso. E cercherò anche lavoro.» Non gli parlo dello stage alla casa editrice Vance che Hardin mi ha fatto penzolare sotto il naso. Non so se l’offerta sia ancora valida, e in ogni caso non saprei come spiegarlo a Noah.
«Benissimo. Fammi sapere se hai bisogno di aiuto per entrambe le cose.»
Facciamo un giro del parco, poi ci sediamo a un tavolo da picnic. Parla quasi sempre lui, e io mi limito ad annuire. Non sempre riesco a prestargli attenzione, ma lui sembra non accorgersene. Passeggiamo un altro po’ e arriviamo a un ruscello. Mi viene da ridere.
Noah mi guarda perplesso.
«Ti va di fare il bagno?» gli chiedo. Non so perché voglio farmi del male così.
«Qui? Neanche morto», ride lui.
Sono un po’ delusa, ma mi rimprovero: devo smetterla di paragonare Noah e Hardin. «Scherzavo», mento, e lo trascino via.
Alle sette, quando usciamo dal parco, decidiamo di ordinare una pizza da mangiare in camera mentre vediamo un grande classico del cinema: Meg Ryan che si innamora di Tom Hanks ascoltandolo alla radio. Muoio di fame, e quando arriva la pizza ne faccio fuori quasi metà da sola. A mia discolpa, non avevo mangiato niente per tutto il giorno.
A metà del film il mio telefono squilla, e Noah va a prenderlo per portarmelo. «Chi è Landon?» mi chiede incuriosito, non in tono sospettoso. Non è mai stato un tipo geloso:
non ne ha mai avuto motivo.
Finora, come mi ricorda la coscienza.
«Un compagno di corso», dico, e rispondo alla chiamata. Perché Landon mi telefona così tardi? Di solito ci sentiamo solo per confrontare gli appunti.
«Tessa?»
«Ciao, va tutto bene?»
«Be’, no, a dire il vero. So che sei con Noah, ma…» Esita.
«Che succede, Landon?» Mi viene il batticuore. «Stai bene?»
«Sì, non sono io. È Hardin.»
Mi assale il panico. «Hardin?» balbetto.
«Sì, se ti do un indirizzo puoi venire, per favore?» Sento sbattere qualcosa in sottofondo. Salto giù dal letto e infilo le scarpe. Noah mi imita, come per solidarietà.
«Landon, Hardin sta cercando di farti del male?» Non riesco a immaginare cos’altro potrebbe essere successo. «No, no.»
«Scrivimi l’indirizzo», gli dico, e sento un altro schianto.
Mi giro verso Noah. «Devi prestarmi la macchina.»
Mi guarda storto. «Cosa succede?»
«Non lo so… è Hardin. Dammi le chiavi», ordino.
Le tira fuori di tasca, ma insiste: «Vengo con te».
Gliele strappo di mano e scuoto la testa. «No, tu… No, devo andarci da sola.»
Ci resta male, l’ho ferito. E so che è sbagliato lasciarlo lì, ma al momento riesco a pensare solo a Hardin.
29
IL messaggio di Landon contiene l’indirizzo, Cornell Road 2875, che copio e incollo nella app delle mappe, scoprendo che dista quindici minuti in macchina. Cosa può essere successo perché Landon abbia bisogno di me?
Durante il tragitto Noah mi chiama due volte, ma non rispondo; ho bisogno di lasciare attiva la app del navigatore, e ho ancora impresso nella memoria il suo sguardo confuso quando l’ho lasciato in camera.
La strada è costeggiata da imponenti costruzioni: la villa che corrisponde all’indirizzo è almeno tre volte più grande di quella di mia madre. È una bella casa in mattoni circondata da un giardino in pendenza: sembra costruita sulla cima di un colle. Dev’essere la casa del padre di Hardin, il che spiegherebbe la presenza di Landon. Faccio un respiro profondo, scendo dalla macchina e salgo i gradini che portano all’ingresso. Busso con forza sulla porta di mogano, che si apre pochi secondi dopo.
«Tessa, grazie di essere venuta. Scusa, so che avevi compagnia. C’è anche Noah?» chiede Landon, mentre mi fa cenno di entrare.
«No, è rimasto al dormitorio. Che succede? Dov’è Hardin?» «Nel giardino sul retro. È fuori di sé.» Sospira.
«E io sono qui perché?…» chiedo, con tutta la gentilezza possibile. Cosa c’entro io se Hardin è fuori di sé?
«So che lo detesti, ma almeno vi rivolgete la parola. È ubriaco fradicio ed è molto aggressivo. Ha aperto una bottiglia di whisky di suo padre e ne ha bevuto più di metà! Poi ha iniziato a spaccare tutto: i piatti di mia madre, i vetri di una credenza, praticamente qualsiasi cosa su cui è riuscito a mettere le mani.»
«Come? Perché?» Hardin mi ha detto che non beve. Era una bugia anche quella?
«Suo padre gli ha appena comunicato che lui e mia madre si sposano…»
«Ah sì?» Sono ancora confusa. «E lui non vuole?» azzardo mentre Landon mi conduce nella grande cucina. Sussulto quando vedo il caos che Hardin ha provocato: sul pavimento sono sparsi i cocci dei piatti, un grosso mobile è rovesciato a terra con le vetrine in frantumi.
«No, ma è una storia lunga. Subito dopo avergli dato la notizia al telefono, suo padre e mia madre sono andati a festeggiare fuori città per il weekend. Penso che Hardin sia venuto qui sperando di trovare il padre, per fargli una scenata. Non viene mai in questa casa», spiega, aprendo la porta sul retro.
Vedo un’ombra seduta a un tavolino in veranda.
«Non so cosa ti aspetti da me, ma farò un tentativo.»
Landon mi posa la mano sulla spalla. «Ti cercava, ti chiamava per nome», mi dice sottovoce. Il mio cuore salta un battito.
Raggiungo Hardin, che alza la testa per guardarmi. Ha gli occhi iniettati di sangue e porta un berretto di lana grigia. Assume un’espressione bellicosa e io sono tentata di indietreggiare. Mi fa quasi paura, sotto quella luce tenue.
«Che ci fai qui?» sbraita, alzandosi.
«Landon… ha…» balbetto, e me ne pento subito.
«L’hai chiamata tu, stronzo?» grida rivolto a Landon, che per tutta risposta rientra in casa.
«Lascialo stare, Hardin. È preoccupato per te», lo rimprovero.
Si siede e mi fa cenno di fare lo stesso. Mi metto di fronte a lui e lo guardo portarsi alla bocca la bottiglia ormai quasi vuota. Mentre deglutisce osservo il suo pomo d’Adamo andare su e giù. Quando finisce sbatte la bottiglia sul tavolo di vetro facendomi sobbalzare.
«Aaah, come siete carini, voi due. Siete così prevedibili. Il povero Hardin è di malumore, perciò vi coalizzate per farmi sentire in colpa perché ho rotto qualcuno di quegli orribili piatti», biascica con un ghigno malevolo.
«Mi sembrava di aver capito che tu non bevessi», dico, incrociando le braccia.
«Non bevo. O non bevevo finora. Non farmi la predica, non sei migliore di me.» Mi punta un dito addosso, poi beve un altro sorso.
Mi fa paura, ma non posso negare che essergli accanto, anche quand’è ubriaco, mi rinvigorisce. Mi è mancata questa sensazione.
«Non ho mai detto di essere migliore di te. Vorrei solo sapere cosa ti ha spinto a bere.»
«E che te ne importa? Dov’è il tuo ragazzo?» Mi fissa dritta negli occhi, con tanta intensità che sono costretta a distogliere lo sguardo.
«È ancora nella mia stanza. Voglio solo aiutarti, Hardin.» Mi sporgo un po’ sul tavolo per prendergli la mano, ma lui si ritrae.
«Aiutarmi?» ridacchia. Vorrei chiedergli perché chiamava il mio nome, se continua a trattarmi così. Ma non voglio aizzarlo di nuovo contro Landon. «Se vuoi aiutarmi, vattene.»
«Perché non mi spieghi che ti prende?»
Sospira, si toglie il berretto, si passa la mano tra i capelli, se lo rimette. «Mio padre ha deciso di dirmi proprio adesso che vuole sposare Karen, e il matrimonio è il mese prossimo. Avrebbe dovuto dirmelo molto tempo fa, e non per telefono. Scommetto che il caro, infallibile Landon lo sapeva da un pezzo.»
Non mi aspettavo che me ne parlasse davvero, quindi ora non so bene come rispondere. «Avrà avuto i suoi motivi per non dirtelo.»
«Tu non lo conosci: non gliene frega un cazzo di me. Lo sai quante volte ci ho parlato nell’ultimo anno? Una decina al massimo. Gli interessa solo la sua grande casa, la sua futura moglie e il suo nuovo figlio perfetto», biascica, e beve un altro sorso. Resto in silenzio, lo lascio proseguire. «Dovresti vedere la topaia in cui vive mia madre, in Inghilterra. Dice che le piace, ma so che non è vero. È più piccola della camera da letto di mio padre in questa villa. La mamma mi ha praticamente costretto a venire qui per fare l’università, per stare più vicino a lui… ed ecco cosa ci ho guadagnato.»
Ora che mi ha rivelato questi dettagli mi pare di capirlo molto meglio. Si sente ferito: ecco perché si comporta in quel modo.
«Quanti anni avevi quando se n’è andato?»
Mi guarda sospettoso ma risponde. «Dieci. Ma anche prima non c’era mai. Andava ogni sera in un bar diverso. Ora è Mister Perfezione e possiede tutta questa robaccia», dice, facendo un gesto verso la casa.
Il padre lo ha abbandonato quando aveva dieci anni, proprio come il mio, ed erano entrambi alcolizzati. Abbiamo più cose in comune di quanto pensassi. Questo Hardin amareggiato e ubriaco sembra molto più piccolo, molto più fragile del ragazzo che conoscevo.
«Mi dispiace che vi abbia abbandonati, ma…» «Non mi serve la tua pietà», mi interrompe.
«Non è pietà. Cerco solo di…»
«Di fare cosa?»
«Di aiutarti. Di starti vicino», mormoro.
Lui sorride. È un sorriso bello e malinconico, che mi dà una speranza di poterlo aiutare. Ma so cosa sta per succedere.
«Sei patetica. Non capisci che non ti voglio qui? Solo perché ci siamo divertiti, non significa che voglio avere ancora a che fare con te. E invece eccoti qua: hai piantato in asso il tuo simpatico fidanzato – che quantomeno tollera la tua presenza – per venire qui a cercare di ‘aiutarmi’. Questa, Theresa, è la definizione da manuale di ‘patetico’», dice, disegnando le virgolette in aria con le dita.
La sua voce stilla veleno, e me l’aspettavo, ma ignoro il dolore che sento nel petto e lo guardo dritto negli occhi. «Non dici sul serio.» Ripenso a non molti giorni prima, quando ridevamo e giocavamo nell’acqua del ruscello. Non so decidere se è un eccellente attore o un perfetto bugiardo.
«Invece dico sul serio. Tornatene a casa», mi ordina, e si porta di nuovo la bottiglia alle labbra. Gliela strappo di mano e la butto sull’erba.
«Ma che?!…» strilla. Mi incammino verso la porta sul retro della casa.
Sento che si alza e me lo ritrovo davanti. «Dove vai?» Il suo viso è a un millimetro dal mio.
«Devo aiutare Landon a rimettere a posto il casino che hai combinato, poi vado a casa.» Parlo in tono molto più calmo rispetto a quello che provo.
«E perché vorresti aiutarlo?» esclama disgustato.
«Perché lui, diversamente da te, merita l’aiuto di qualcuno», rispondo, e lo vedo trasalire. Dovrei dirgli molte altre cose, gridargli in faccia per le cattiverie che mi ha appena detto, ma so che è proprio quello che vuole. È così che fa: ferisce le persone che ha accanto, perché si diverte a creare scompiglio.
Si fa da parte per lasciarmi passare.
Entro in casa e trovo Landon che sta rimettendo in piedi il mobile rovesciato.
«Dov’è la scopa?» domando.
Mi guarda con un sorriso riconoscente. «Laggiù. Grazie di tutto.»
Inizio a radunare con la scopa i cocci dei piatti. Sono tantissimi. Tremo al pensiero di quando la madre di Landon tornerà a casa e troverà i piatti distrutti. Spero che non avessero un valore affettivo per lei.
Una scheggia mi ferisce il dito, e delle goccioline di sangue finiscono sul parquet. Con uno strillo scatto in piedi e corro al lavandino.
«Ti sei fatta male?» mi chiede Landon, preoccupato.
«No, è solo una scheggia, non so perché sanguini così tanto.» Non fa neanche troppo male. Chiudo gli occhi e lascio scorrere l’acqua fredda sul dito; dopo un paio di minuti sento aprirsi la porta che dà sul giardino. Mi giro e vedo Hardin sulla soglia.
«Tessa, posso parlarti, per favore?»
So che dovrei dire di no, ma quando vedo che ha gli occhi rossi mi viene spontaneo acconsentire. Lui guarda la mia mano sanguinante.
Viene subito da me. «Stai bene? Cos’è successo?»
«Niente, mi sono tagliata con un vetro.»
Mi prende la mano, la tira via da sotto l’acqua. E quando mi tocca sento l’elettricità scorrermi nelle vene. Accigliato, mi osserva il dito, poi lo lascia andare e va da Landon. Mi ha appena detto che sono patetica, e ora si preoccupa così per me? Mi farà ammattire, se andiamo avanti di questo passo.
«Dove sono i cerotti?» chiede a Landon in tono autoritario, e lui gli dice che sono in bagno. Nel giro di un minuto Hardin torna dal bagno e mi prende di nuovo la mano. Ci versa sopra una goccia di disinfettante, poi avvolge delicatamente il dito in un cerotto.
Resto in silenzio, confusa. Anche Landon sembra interdetto.
«Posso parlarti, per favore?» mi chiede di nuovo. So che non dovrei, ma quando mai faccio la cosa giusta se c’è di mezzo Hardin?
Annuisco, lui mi prende per un polso e mi porta fuori.
30
TORNIAMO al tavolo in veranda. Hardin mi lascia andare il polso e scosta la sedia per me. Mi siedo massaggiandomi il polso. La mia pelle brucia dove lui l’ha toccata. Prende l’altra sedia e la trascina sul cemento piazzandola davanti a me. Si siede a sua volta, ed è così vicino che le nostre ginocchia si sfiorano.
«Di cosa mai vorrai parlarmi, Hardin?» chiedo, nel tono più acido di cui sono capace.
Lui fa un respiro profondo, si toglie il berretto e lo posa sul tavolo. Osservo le sue dita che scorrono tra i capelli folti. Mi guarda negli occhi.
«Mi dispiace», dice con un’intensità che mi costringe a distogliere lo sguardo. Si sporge verso di me. «Mi hai sentito?»
«Sì, ti ho sentito», rispondo secca. È più pazzo di quanto pensassi, se crede che bastino due parole di scuse per farmi dimenticare le sofferenze che mi infligge ogni giorno.
«È così faticoso avere a che fare con te», continua appoggiandosi allo schienale. Ha di nuovo in mano la bottiglia che avevo lanciato poco prima, beve un altro sorso. Com’è possibile che non sia ancora in coma etilico?
«Ah, io sarei faticosa? Cosa dovrei fare, Hardin? Sei crudele con me… così crudele», dico, mordendomi il labbro. Non voglio piangere di nuovo davanti a lui. Noah non mi ha mai fatta piangere; abbiamo avuto qualche litigio, negli anni, ma niente di così grave da farmi versare una lacrima.
Parla a voce bassa, le sue parole rischiano di smarrirsi nell’aria della sera. «Non lo faccio apposta.»
«Sì, invece: e lo sai. Lo fai apposta. Non sono mai stata trattata così male da nessuno in tutta la mia vita.» Sento un nodo alla gola. Se piango, ha vinto lui: è quello che vuole.
«Allora perché continui a tornare da me? Perché non ti arrendi?»
«Non lo so. Ma posso assicurarti che dopo stasera non torno più. Mi ritiro dal corso di letteratura, lo seguirò il prossimo semestre.» Non avevo in programma di farlo, ma ora che ci penso è proprio la decisione giusta.
«No, per favore non farlo.»
«Che te ne importa? Non vuoi essere costretto a frequentare una persona patetica come me, giusto?» Mi ribolle il sangue. Se sapessi cosa dire per ferirlo come lui ferisce me, lo direi.
«Non parlavo sul serio… Sono io quello patetico.»
Lo guardo dritto negli occhi. «Be’, su questo non ti do torto.»
Beve un altro sorso, e quando faccio per togliergli la bottiglia me lo impedisce.
«Quindi solo tu hai il diritto di ubriacarti?» chiedo, e lui fa un sorrisetto. La luce della veranda si riflette sul piercing al sopracciglio mentre mi porge la bottiglia.
«Pensavo che volessi buttarla via di nuovo.»
Dovrei farlo, invece me la porto alle labbra. Il liquore è tiepido e sa di liquirizia bruciata e di disinfettante. Mi viene un conato e Hardin ridacchia.
«Da quando in qua bevi? Mi hai lasciato intendere di non averlo mai fatto», gli dico. Mi riprometto di ricominciare a essere arrabbiata con lui, dopo che mi avrà risposto.
«Fino a stasera erano circa sei mesi che non bevevo.» Abbassa gli occhi come se si vergognasse.
«Be’, non dovresti bere affatto. L’alcol fa di te una persona ancora più brutta del solito.»
Si fa serio, continua a guardare a terra. «Mi trovi una brutta persona?» Ma che dice? È così ubriaco da credersi una bella persona?
«Sì.»
«Non è vero. Be’, forse sì. Voglio che tu…» inizia, ma poi si interrompe, tira su la testa e si appoggia allo schienale.
«Vuoi che io? Vai avanti.» Devo sapere cosa stava per dire. Gli restituisco la bottiglia, e lui la posa sul tavolo. Non voglio più bere, dato che già da sobria faccio sempre la cosa sbagliata quando sono con Hardin.
«Niente», risponde, e capisco che mente.
Ma cosa ci faccio qui? Noah è in camera che mi aspetta, mentre io spreco il mio tempo con Hardin. «Devo andare.» Mi alzo e mi avvio alla porta.
«No», mormora lui. I miei piedi si fermano da soli, a quel tono supplicante. Mi volto e me lo ritrovo a venti centimetri dalla faccia.
«Perché no? Hai altri insulti per me?» grido, e mi giro.
Lui mi prende per un braccio e mi strattona. «Non voltarmi le spalle!» grida ancora più forte di me.
«Avrei dovuto voltarti le spalle molto tempo fa!» strillo dandogli uno spintone. «Non so neppure perché sono venuta fin qui appena Landon mi ha chiamata! Ho lasciato in camera il mio ragazzo – che, come hai detto tu, è l’unica persona che mi sopporta – per venire da te! Sai una cosa? Hai ragione, Hardin: sono patetica. Sono patetica perché sono venuta qui, sono patetica per aver tentato…»
Ma vengo interrotta dalle sue labbra sulle mie. Gli poso le mani sul petto, cerco di respingerlo, ma non vacilla. Voglio disperatamente ricambiare il bacio, ma me lo impedisco. La sua lingua cerca di farsi strada tra le mie labbra e le sue braccia muscolose mi cingono e mi tirano verso di lui nonostante i miei tentativi di divincolarmi. È inutile: è più forte di me.
«Baciami, Tessa», chiede sulle mie labbra.
Scuoto la testa, e lui sbuffa contrariato. «Ti prego, baciami. Ho bisogno di te.»
Quelle parole mi fanno sciogliere. Quest’uomo volgare, ubriaco, insopportabile mi ha appena detto di avere bisogno di me, ed è poesia alle mie orecchie. Hardin è come una droga: ogni volta che ne prendo un po’, ne voglio sempre di più. Riempie i miei pensieri e invade i miei sogni.
Appena schiudo le labbra la sua bocca è di nuovo sulla mia, ma stavolta non oppongo resistenza. So che non è questa la risposta ai miei problemi, e che mi sto solo cacciando ancora di più nei guai, ma non mi importa. Mi importa solo delle sue parole, e di come le ha dette: Ho bisogno di te.
È possibile che Hardin abbia bisogno di me come io ne ho, disperatamente, di lui? Ne dubito, ma per ora voglio fingere che sia così. Mi posa una mano sulla guancia e mi fa scorrere la lingua sulle labbra. Il piercing mi fa il solletico all’angolo della bocca. Poi sento un rumore, un fruscio, e mi stacco da lui. Mi giro verso la porta, pregando che Landon non abbia assistito al mio terribile errore. Per fortuna non lo vedo.
«Hardin, devo proprio andare. Non possiamo continuare così; non fa bene a nessuno dei due», gli dico senza guardarlo in faccia.
«Sì che possiamo», ribatte lui, e mi solleva il mento per costringermi a incrociare i suoi occhi.
«No, non possiamo. Tu mi detesti, e io non voglio più essere la tua valvola di sfogo. Non ci capisco niente, con te. Un minuto prima mi dici che non mi sopporti, o mi umili dopo la mia esperienza più intima.» Apre la bocca per interrompermi ma gli poso un dito sulle labbra e continuo. «Poi, un minuto dopo, mi baci e mi dici che hai bisogno di me. Non mi piace la persona che divento quando sto con te, e detesto il modo in cui mi sento quando mi dici quelle cose orribili.»
«Chi diventi, quando stai con me?» I suoi occhi verdi mi scrutano aspettando la risposta.
«Una persona che non voglio essere: una persona che tradisce il suo ragazzo e piange in continuazione.»
«Sai chi diventi, invece, secondo me?» Mi passa il pollice lungo il mento e io cerco di non perdere la concentrazione.
«Chi?»
«Te stessa. Credo che questa sia la persona che sei davvero, e non lo capisci perché sei troppo impegnata a preoccuparti di cosa pensa la gente.»
Sembra così sincero, così convinto di ciò che dice che mi soffermo a riflettere sulle sue parole. «E so cosa ti ho fatto, dopo che ti ho infilato un dito…» Vede che mi rabbuio e si corregge: «Scusa… dopo la nostra esperienza insieme. Ho capito che era sbagliato. Sono stato malissimo dopo che sei scesa dalla macchina».
«Ne dubito», sbotto. Ricordo quanto ho pianto quella notte.
«È vero, te lo giuro. So che mi credi una brutta persona… ma mi fai…» Si interrompe. «Lascia perdere.»
Perché non finisce mai le frasi?
«Finisci quella frase, Hardin, o me ne vado all’istante.»
Il modo in cui gli si illuminano gli occhi quando mi guarda, il modo lento in cui schiude le labbra, come se ogni parola dovesse contenere qualcosa, una bugia o una verità… mi induce ad aspettare la risposta. «Tu… mi fai venire voglia di diventare buono, per te… Voglio essere una brava persona per te, Tess.»
31
CERCO di fare un passo indietro, ma Hardin mi stringe troppo forte. Devo aver capito male. Le emozioni mi offuscano i pensieri, perciò mi giro a guardare il giardino buio e mi sforzo di comprendere il significato delle sue parole. Vuole migliorarsi per me? In che modo?
Non vorrà dire che…
Torno a fissarlo, confusa. «Cos’hai detto?»
«Mi hai sentito.»
«No. Di sicuro ho capito male.»
«Non hai capito male. Tu mi fai sentire… strano. Sono sentimenti che non conosco e che non so gestire, Tessa, quindi mi comporto nell’unico modo che so.» Sospira. «Cioè come uno stronzo.»
Cado di nuovo in trance.
«Non potrebbe funzionare, Hardin, siamo così diversi. Tanto per cominciare, tu non vuoi relazioni, ricordi?»
«Non siamo poi così diversi. Ci piacciono le stesse cose: per esempio i libri.»
Non riesco a credere che stia cercando di convincermi che staremmo bene insieme. «Tu non vuoi relazioni», ribadisco.
«Lo so, ma potremmo… essere amici?»
Ecco, siamo tornati daccapo. «Mi pareva che tu avessi detto che non potevamo essere amici, no? E non voglio essere tua amica, perché so cosa intendi con quella parola. Vuoi tutti i lati positivi di una fidanzata ma senza le responsabilità.»
Barcolla e si appoggia al tavolo. «E che male ci sarebbe? Perché hai bisogno di un’etichetta?» È un sollievo che si sia allontanato da me: ora annuso l’aria fresca e non più la puzza di whisky.
«Perché, Hardin, anche se ultimamente non ho avuto molto autocontrollo, continuo a nutrire rispetto per me stessa. Non voglio essere il tuo giocattolo, soprattutto se poi mi tratti male.» Faccio una breve pausa e concludo: «E poi sono già impegnata».
Le sue malefiche fossette riappaiono insieme a un ghigno. «E però guarda dove sei adesso.»
«Io lo amo e lui ama me», sbotto; e lo vedo trasecolare. Arretra e inciampa sulla sedia.
«Non dire così.» Ha la voce impastata, ma parla più veloce di prima. Mi ero quasi dimenticata quanto fosse ubriaco.
«Parli così solo perché hai bevuto: domani ricomincerai a odiarmi.» «Non ti odio.»
Vorrei che non mi facesse quest’effetto. Vorrei potermene andare. E invece rimango, e lo sento dire: «Se riesci a guardarmi negli occhi e chiedermi di lasciarti in pace e non rivolgerti più la parola, ti ascolterò. Lo giuro, da oggi in poi non mi avvicinerò più a te. Devi solo dirmelo».
Apro la bocca per dirgli esattamente quelle parole. Di starmi lontano, di non farsi più vedere.
Si avvicina. «Dimmelo, Tessa, dimmi che non vuoi più vedermi.» Poi mi tocca. Mi passa le mani sulle braccia e immediatamente mi viene la pelle d’oca. «Dimmi che non vuoi più sentirti toccare da me», bisbiglia, facendomi scorrere un dito sulla clavicola e poi su e giù per il collo. Il mio respiro accelera. Le sue labbra sono a un centimetro dalle mie. «Che non vuoi più i miei baci», mormora, e sento di nuovo il tanfo dell’alcol e il calore del suo fiato. «Dimmelo, Theresa», tuba.
«Hardin», sussurro disperata.
«Non riesci a resistermi, Tessa, come io non resisto a te.» Le nostre labbra si sfiorano. «Resti con me stasera?» mi chiede, e non so proprio come farò a rifiutare quella proposta.
Con la coda dell’occhio vedo muoversi qualcosa e mi tiro indietro di scatto. Leggo la confusione sul volto di Landon, che poi si gira e rientra in casa.
Riacquisto di colpo la lucidità. «Devo andare», dico, e Hardin impreca sottovoce.
«Ti prego, ti prego, resta. Resta con me stanotte, e se domattina decidi che non vuoi vedermi più… Ma per favore, rimani. Ti sto pregando, e io non prego mai nessuno, Theresa.»
Mi sorprendo ad annuire. «E cosa dico a Noah? Mi aspetta, e sono venuta con la sua macchina.» Non riesco a credere che sto davvero pensando di farlo.
«Digli che devi fermarti qui perché… non lo so. Non dirgli niente. Qual è la cosa peggiore che può fare?»
Rabbrividisco. Lo riferirà a mia madre. Senza il minimo dubbio. Mi assale l’irritazione: non dovrei essere costretta a temere che il mio ragazzo faccia la spia a mia madre.
«Tanto probabilmente dorme, a quest’ora», commenta Hardin.
«No, non sa come tornare in albergo.»
«Albergo? Aspetta… non dorme con te?»
«No, ha una stanza in un albergo lì vicino.»
«E tu dormi lì con lui?»
«No, lui dorme lì», rispondo imbarazzata, «e io nella mia stanza.» «Ma è… etero?» e una scintilla divertita balena negli occhi arrossati.
«Certo che lo è!» esclamo indignata.
«Scusa, ma i conti non tornano. Se tu fossi mia, non riuscirei a starti lontano. Ti scoperei a ogni occasione.»
Resto interdetta. Le volgarità di Hardin mi fanno un effetto stranissimo. Arrossisco e distolgo lo sguardo.
«Rientriamo in casa», dice lui. «Vedo ondeggiare gli alberi. Penso significhi che ho bevuto troppo.»
«Tu resti qui?» Pensavo che sarebbe tornato alla confraternita.
«Sì, e anche tu. Andiamo.» Mi prende per mano e ci avviamo alla porta.
Dovrò trovare Landon e spiegargli cos’ha visto. Non so neanch’io cosa stia succedendo, quindi non so come potrò spiegarlo a lui; ma in qualche modo devo fargli capire come stanno le cose. Entriamo in cucina, che è quasi in ordine.
«Domani devi finire di pulire», dico a Hardin.
«Lo farò», promette. Un’altra promessa che spero manterrà.
Tenendomi ancora per mano mi conduce su per la grande scalinata. Per fortuna non incontriamo Landon in corridoio.
Hardin apre la porta di una stanza buia e mi fa entrare.
32
I MIEI occhi iniziano ad abituarsi all’oscurità: l’unica luce è un raggio di luna che entra dalla finestra. «Hardin?» sussurro.
Lui inciampa in qualcosa e impreca. Mi sforzo di non ridere.
«Sono qui», risponde, accendendo un’abat-jour. Mi guardo intorno: è una stanza grande, sembra di essere in albergo. C’è un letto a baldacchino con lenzuola scure al centro della parete di fondo, molto largo e con almeno venti cuscini. Anche la scrivania è enorme, in ciliegio, e sopra c’è un computer con un monitor che è più grande della televisione di camera mia. Sotto la finestra ad arco c’è una panca ricavata nella nicchia, mentre le altre finestre sono coperte da spesse tende blu scuro che non lasciano passare il chiaro di luna.
«Questa è… la mia camera», spiega, strofinandosi la nuca con fare imbarazzato.
«Hai una stanza qui?» gli chiedo, ma è logico che ce l’abbia. Qui abita suo padre, e anche Landon. Landon mi ha detto che Hardin non ci viene mai, e forse è per questo che la stanza è in perfetto ordine e ha un tono impersonale.
«Già… non ci ho mai dormito… fino a stasera.» Si siede sulla cassapanca ai piedi del letto e si slaccia gli anfibi. Si toglie i calzini e li infila nelle scarpe. È emozionante partecipare a una «prima volta» per lui.
«Ah, e perché no?» continuo, approfittando della parlantina sciolta indotta dall’alcol.
«Perché non voglio. Odio questo posto», risponde a bassa voce; si sbottona i pantaloni neri e li sfila.
«Cosa stai facendo?»
«Mi spoglio, no?» mi dice, sottolineando l’ovvio.
«Quello che intendo è… perché?» Muoio dalla voglia di sentire di nuovo le sue mani su di me, ma spero non pensi che farò sesso con lui.
«Be’, non dormo con i jeans e gli anfibi», ridacchia. Si scosta i capelli dalla fronte, facendoli stare dritti. Ogni suo gesto è per me una scossa in tutto il corpo.
Si toglie la maglietta, e io non riesco a non fissarlo. L’addome, coperto di tatuaggi, è perfetto. Mi lancia la maglietta ma io la lascio cadere a terra. Lo guardo e lui sorride. «Puoi metterla per dormire. Immagino che non vorrai rimanere in mutande e reggiseno. D’altronde io ne sarei felice.» Mi fa l’occhiolino e io sghignazzo.
Perché sto sghignazzando? Non posso dormire con la sua maglietta, mi sentirei nuda. «Preferisco dormire vestita», replico.
Mi squadra. Finora non ha commentato la mia gonna lunga e la maglietta larga, e spero non cominci ora.
«Come preferisci. Se vuoi stare scomoda, fa’ pure.» Raggiunge il letto, con indosso solo i boxer, e inizia a buttare a terra i cuscini di troppo.
Vado ad aprire la cassapanca, e come immaginavo la trovo vuota. «Ehi, non buttarli per terra. Vanno qui dentro», gli faccio notare, ma lui continua imperterrito.
Sbuffando raccolgo i cuscini e li infilo nella cassapanca. Lui sogghigna, tira giù la coperta e si sdraia. Incrocia le braccia dietro la testa, accavalla le caviglie e mi sorride. Le parole che porta tatuate sulle costole sono distorte dalla posizione delle braccia. Il suo corpo lungo e snello è splendido.
«Non ti lamenterai perché devi dormire con me, vero?» mi chiede. Lo guardo storto: non avevo intenzione di lamentarmi. So che è sbagliato, ma voglio dormire nel letto con Hardin più di qualunque altra cosa abbia voluto in vita mia, o almeno credo.
«Non lo farò, il letto è grande abbastanza per tutti e due», rispondo. Non so se è per il sorriso di Hardin o perché indossa solo un paio di boxer, ma il mio umore è molto migliorato.
«Ecco, questa è la Tessa che amo», mi punzecchia, e il mio cuore sussulta a quella parola. So che non la intende in quel senso, non potrebbe mai, ma è così bello sentirgliela dire.
Salgo sul letto e mi rifugio sul bordo, più lontana possibile da lui. Se mi sposto un altro po’ rischio di cadere. Lo sento ridacchiare e mi giro sul fianco per guardarlo. «Che c’è di tanto buffo?»
«Niente», mente, e si morde il labbro per non ridere. Mi piace questa versione di Hardin: il suo umorismo è contagioso.
«Dimmelo!» esclamo mettendo il broncio. Lui guarda la mia bocca e si lecca le labbra. Poi si morde di nuovo il labbro, prendendo il piercing tra i denti.
«È la prima volta che dormi nello stesso letto con un ragazzo, vero?» Si gira sul fianco e si avvicina un po’.
«No», rispondo, e il suo sorriso si allarga. Prima di capire cosa sto facendo, infilo la punta del dito nella fossetta sulla sua guancia, e lui rimane sorpreso. Cerco di tirare via la mano ma lui la prende e se la rimette sulla guancia, muovendola lentamente su e giù.
«Non so perché nessuno ti abbia ancora scopata; evidentemente la tua abitudine a pianificare ti aiuta a opporre resistenza», sentenzia.
Ho la gola serrata. «Non ho mai avuto bisogno di opporre resistenza a nessuno», ammetto. Al liceo i ragazzi mi trovavano carina, ma nessuno ci ha mai provato con me, perché sapevano tutti che stavo con Noah; risultavamo simpatici e ogni anno venivamo eletti re e reginetta al ballo della scuola.
«O è una bugia oppure andavi in una scuola per ciechi. Mi viene duro solo a guardarti le labbra.»
Trasecolo e lui sghignazza. Si porta alla bocca la mia mano e la fa scorrere sulle labbra. Il suo fiato è caldo sulle mie dita, e quando mi morde delicatamente il polpastrello dell’indice mi sento scuotere tutta. Appoggia la mia mano sul suo collo, sopra il tatuaggio di un tralcio d’edera.
«Ti piace quando ti dico queste cose, vero?» Il suo sguardo è cupo ma molto sexy.
«Vedo che sei arrossita, e fai respiri più veloci. Rispondimi, Tessa, usa quelle belle labbra carnose», continua, e io rido perché non so cos’altro fare. Non ammetterei mai che le sue parole appiccano il fuoco nel profondo di me. Sento caldo, troppo caldo.
«Puoi accendere il ventilatore? Per favore.»
Sospira ma scende dal letto. «Se hai caldo, perché non ti togli quei vestiti pesanti?
Quella gonna ha l’aria di dare molto prurito.»
Mi aspettavo che mi prendesse in giro per come sono vestita, ma sorrido perché capisco il vero motivo per cui lo dice.
«Dovresti mettere in risalto le tue curve, Tessa, non coprirle. Se non ti avessi vista in reggiseno e mutandine, non avrei mai immaginato quanto sei sexy. Quella gonna è un sacco di patate.»
Mi insulta e mi fa un complimento allo stesso tempo: ma come fa? «Cosa dovrei mettermi, secondo te? Calze a rete e minigonna?»
«No… be’, mi piacerebbe, ma no. Puoi coprirti, ma con vestiti della taglia giusta. Quella maglietta ti nasconde le tette, e non devi nascondere proprio niente.»
«La smetti di usare quelle parole?»
Sorride, torna a letto e scorre verso di me, praticamente nudo. Sento ancora caldo, ma i suoi strani complimenti hanno fatto miracoli per la mia autostima. Scendo dal letto.
«Dove vai?» domanda allarmato.
«A cambiarmi», rispondo, e raccolgo da terra la sua maglietta. «Girati e non sbirciare», gli ordino mettendo le mani sui fianchi. «No.»
«In che senso, no?» Com’è possibile che mi dica di no?
«Non mi giro. Voglio vederti.»
«Ah, okay.» Sorrido, e spengo la luce.
Sento un lamento nel buio mentre slaccio la gonna. Poi però si accende un’altra luce.
«Hardin!» Mi affretto a tirare su la gonna. Lui si regge sui gomiti e mi guarda, anzi mi squadra senza ritegno. Mi ha vista più nuda di così, e so che tanto non mi darà retta, quindi faccio un gran respiro e mi tolgo la maglietta. Devo ammettere che mi piace questo giochetto. Dentro di me so di volere che lui mi osservi, che mi desideri. Indosso un semplice completino bianco, ma l’espressione di Hardin mi fa sentire sexy. Mi infilo la sua maglietta. Profuma di buono, di lui.
«Vieni», bisbiglia. Ignoro la voce della coscienza, che mi implora di scappare subito, e vado verso il letto.
33
GLI occhi di Hardin, colmi di desiderio, non si staccano dai miei. Poso un ginocchio sul letto. Lui mi prende per mano e mi tira sopra di sé. Mi ritrovo a cavalcioni su di lui e mi reggo sulle ginocchia per non toccarlo, ma lui mi prende per i fianchi e mi spinge giù. La maglietta mi risale sulle cosce, denudandole, e mi compiaccio di essermi depilata, stamattina. Appena i nostri corpi si toccano ho un fremito. So che questa felicità non può durare, e mi sembra di essere Cenerentola che aspetta mezzanotte.
«Così va molto meglio», fa lui con un sorriso sghembo.
So che è ubriaco, per questo è gentile – be’, rispetto al solito – ma al momento mi sta bene così. Se questa è l’ultima volta che ci vediamo, è in questo modo che voglio passarla, continuo a ripetermi. Stasera posso comportarmi come voglio con Hardin, perché domattina gli dirò di non avvicinarsi mai più a me, e lui obbedirà. È meglio così, e sarà d’accordo anche lui quando tornerà sobrio. A mia discolpa, mi racconto che sono ubriaca di Hardin quanto lui è ubriaco di whisky.
Non smette di guardarmi negli occhi: inizio a sentirmi nervosa. Cosa dovrei fare? Non so fin dove voglia spingersi, e non voglio rendermi ridicola facendo la prima mossa.
Pare accorgersi del mio disagio. «Cos’hai?» Mi accarezza la guancia, e a quel tocco sorprendentemente delicato gli occhi mi si chiudono da soli.
«Niente… È solo che non so cosa fare», ammetto, con lo sguardo basso.
«Fai tutto quello che ti va, Tess. Segui l’istinto.»
Mi tiro un po’ indietro e gli poso una mano sul petto. Gli chiedo il permesso con gli occhi e lui annuisce. Gli premo le mani sul petto, delicatamente, e lui chiude gli occhi. Traccio i contorni degli uccelli tatuati e scendo fino all’albero dai rami spogli sull’addome. Le sue palpebre fremono quando ripasso con un dito le scritte sulle costole. La sua espressione è perfettamente calma, ma il petto sale e scende più in fretta di prima. Non riesco a resistere: lascio scendere la mano fino all’elastico dei boxer. A questo punto lui apre gli occhi di scatto e sembra nervoso. Hardin, nervoso?
«Posso… ehm… toccarti?» chiedo, sperando che capisca cosa intendo senza doverlo precisare. Mi sento come se mi guardassi da fuori. Chi è questa ragazza che se ne sta seduta sopra quel teppista e chiede se può toccarlo… lì? Ripenso a quando mi ha detto che stando con lui rivelo la mia vera identità. Forse ha ragione. Mi piace molto il modo in cui mi sento ora.
«Sì, per favore.»
Abbasso la mano, lasciandola sopra i boxer, e lentamente raggiungo il punto in cui il tessuto si rigonfia. Lui inspira di scatto. Non so cosa fare, perciò continuo a far scorrere le dita su e giù. Troppo nervosa per guardarlo in faccia, tengo gli occhi fissi sulla parte che continua a ingrossarsi.
«Ti faccio vedere come si fa?» dice, con la voce che trema un po’.
Faccio cenno di sì. Lui posa la mano sulla mia e la fa scendere di nuovo. Mi schiude le dita e me le posa ai due lati del rigonfiamento. Poi toglie la mano, lasciando a me il controllo. Lo scruto da sotto le ciglia.
«Cazzo, Tessa, non fare così.» Confusa, smetto di muovere la mano e mi accingo a sollevarla. «No, no, non quello. Quello continua pure a farlo… Intendevo, non guardarmi così.»
«Così come?»
«In quel modo innocente… mi fa venir voglia di farti tante cose sporche.»
Voglio buttarmi sul letto e lasciarmi fare tutto ciò che vuole. Voglio essere sua: libera da tutte le mie paure, almeno per un momento. Gli sorrido e ricomincio a muovere la mano. Vorrei togliergli i boxer, ma ho paura. Gli sfugge un gemito e io stringo più forte perché voglio sentire ancora quel suono. Non so se è il caso di accelerare il ritmo, quindi continuo a muovere la mano lentamente, e sembra che gli piaccia. Mi chino a posare le labbra sulla pelle sudata del suo collo, e lui fa un altro gemito.
«Merda, Tess, è così bello sentirmi nella tua mano.» Lo stringo un po’ più forte e lui rabbrividisce. «Non così forte, piccola», dice, con una voce completamente diversa da quella con cui prima mi prendeva in giro.
«Scusa», mormoro baciandolo sul collo. Passo la lingua sulla pelle sotto l’orecchio e lui sussulta. Mi posa le mani sul petto.
«Posso… toglierti… il reggiseno?»
Annuisco e i suoi occhi sono attraversati da una scintilla. Gli tremano le mani mentre le infila sotto la maglietta e mi slaccia il reggiseno sulla schiena, con una destrezza che mi fa riflettere sul numero di volte che deve aver fatto quel gesto. Cerco di non pensarci, mentre lui mi fa scorrere le spalline giù per le braccia, costringendomi a staccarmi da lui. Lancia il reggiseno a terra e torna a posarmi le mani sul seno. Pizzica delicatamente i capezzoli e si sporge a baciarmi. Mugolo e lo prendo di nuovo in mano.
«Oh, Tessa, sto per venire», dice, e anch’io sento bagnarsi le mutandine. Le sue gambe si irrigidiscono sotto di me e il bacio si fa più appassionato. Quando sento bagnarsi i boxer tiro via la mano. È la prima volta che faccio venire qualcuno, e ho la strana sensazione di essere più vicina a diventare una donna. Mi piace il controllo che esercito su di lui. Mi piace potergli dare piacere come lui ne dà a me.
Fa respiri profondi mentre io gli resto seduta sulle cosce, non sapendo bene cosa fare. Dopo un momento apre gli occhi e alza la testa per baciarmi sulla fronte.
«Non ero mai venuto così», mi confida.
Mi imbarazzo di nuovo. «È stato brutto?» Cerco di scendere da sopra di lui, però me lo impedisce.
«Eh? No, sei stata molto brava. Di solito non ci riesco con i boxer addosso.»
Avverto una fitta di gelosia. Non voglio pensare a tutte le altre ragazze che l’hanno fatto sentire in questo modo. Lui si accorge del mio silenzio e mi accarezza la guancia. Mi consola il fatto che le altre abbiano dovuto sforzarsi più di me per ottenere lo stesso risultato; ma vorrei ancora che non ce ne fossero state altre. Non so perché mi sento così: tra me e Hardin non c’è ancora niente di preciso. Non ci fidanzeremo mai, non saremo mai altro che questo, ma per ora voglio solo vivere il presente, da sola con lui. A quel pensiero mi viene da ridere: non sono una di quelle persone che vivono l’attimo.
«Cosa stai pensando?» mi chiede. Non voglio che sappia della mia gelosia, perché non è giustificata, perciò mi limito a scuotere la testa.
«Oh coraggio, Tessa, dimmelo», insiste, ma io faccio un altro cenno di diniego. Inizia a farmi il solletico sui fianchi: una mossa che non mi sarei aspettata da lui. Scoppio a ridere e mi lascio cadere sul letto morbido. Lui continua a stuzzicarmi finché non riesco più a respirare. La sua risata si diffonde nella stanza, ed è il suono più bello che abbia mai udito. Non l’avevo mai sentito ridere così, e qualcosa mi dice che non l’ha sentito nessun altro. Nonostante i suoi difetti, i suoi tanti difetti, mi considero fortunata di poterlo vedere in questo momento.
«Okay… okay! Te lo dico!» strillo, e lui smette.
«Una decisione saggia.» Abbassa lo sguardo. «Però aspetta, prima devo cambiarmi i boxer.»
Arrossisco.
34
HARDIN apre il primo cassetto del comò, tira fuori un paio di boxer a quadretti bianchi e azzurri e li scruta con aria disgustata.
«Che c’è?» chiedo, alzando la testa e appoggiandomi al gomito.
«Sono inguardabili.»
Rido, ma sono anche contenta di aver svelato il segreto sulla presenza o meno di vestiti nel comò. La madre di Landon o il padre di Hardin devono aver comprato tutta quella roba per lui. È triste, a dire il vero, che abbiano riempito i cassetti nella speranza che Hardin venisse a dormire qui, di tanto in tanto.
«Non sono così male», lo contraddico, e lui mi guarda spazientito. Dubito che qualcosa gli starà bene quanto i suoi boxer neri, ma d’altronde non riesco a immaginare che qualcosa non gli doni.
«Be’, non ho molta scelta. Torno subito.» Esce dalla stanza con indosso solo i boxer bagnati.
Oddio, e se Landon lo vede? Sarebbe orribile. Domattina devo spiegargli la situazione. Ma cosa potrei mai dirgli? Non è come sembra, stavamo solo parlando, e poi ho accettato di fermarmi per la notte, e non so come mi sono ritrovata in mutandine e maglietta, e poi l’ho praticamente masturbato… No, suona malissimo.
Poso la testa sul cuscino e fisso il soffitto. Valuto di alzarmi per andare a controllare il telefono, ma rinuncio. Non è proprio il momento di leggere i messaggi di Noah. Sarà nel panico, ma francamente me ne importa meno di quanto dovrebbe, purché non lo vada a riferire a mia madre. Se devo essere completamente sincera con me stessa, dalla prima volta che ho baciato Hardin non provo più gli stessi sentimenti per Noah.
So che lo amo; l’ho sempre amato. Ma inizio a chiedermi se è davvero la persona con cui voglio passare il resto dei miei giorni, o se lo amo solo perché è sempre stato una presenza stabile nella mia vita. È rimasto al mio fianco in ogni occasione, e in teoria siamo perfetti l’uno per l’altra; ma non posso ignorare le emozioni che provo quando sono con Hardin, e che non avevo mai provato prima. Non soltanto quando siamo una sopra l’altro, ma quando mi guarda, il disperato bisogno che ho di vederlo anche quando sono arrabbiata con lui, e soprattutto il modo in cui invade i miei pensieri perfino quando tento di convincermi che lo odio.
È inutile negarlo: Hardin mi è entrato nel cuore. E io sono nel suo letto anziché con Noah.
La porta si apre e Hardin compare con i boxer colorati. Mi viene da ridere: gli stanno un po’ grandi, sono molto più lunghi degli altri, ma gli donano ugualmente.
«Mi piacciono», dico. Sorrido e lui mi lancia un’occhiataccia, poi spegne la luce, accende il televisore e viene a sdraiarsi accanto a me.
«Allora, cosa stavi per dirmi?» mi chiede. Speravo proprio che non tornasse sull’argomento. «Non fare la timida, adesso: mi hai appena fatto venire nei boxer», scherza, e mi stringe a sé. Affondo la testa sul cuscino. Ride.
Quando tiro su la testa mi ravvia i capelli dietro l’orecchio e mi posa un bacio leggero sulle labbra. È la prima volta che mi bacia con tanta tenerezza, eppure è un gesto più intimo di un bacio con la lingua. Si sdraia e cambia canale. Voglio che mi abbracci finché mi addormento, ma ho l’impressione che non sia il tipo a cui piacciono le coccole.
Mi ronzano in testa le sue parole di poche ore fa: Voglio essere una brava persona per te, Tess. Mi chiedo se dicesse sul serio o se fosse solo l’alcol a farlo parlare.
«Sei ancora ubriaco?» gli chiedo, posando la testa sul suo petto. Resta immobile ma non mi spinge via.
«No, penso che tutti quegli strilli in giardino mi abbiano fatto passare la sbronza.» Con una mano regge il telecomando mentre l’altra è sospesa in aria come se non sapesse cosa farsene.
«Be’, almeno ne è venuto fuori qualcosa di buono.»
Si gira a guardarmi. «Già, direi di sì», ammette, e finalmente mi posa la mano sulla schiena. È una sensazione bellissima essere abbracciata da lui. Non mi importa delle cose orribili che mi dirà domani: non potrà portarmi via questo momento. È il mio nuovo posto preferito: la testa posata sul suo petto e il suo braccio sulla schiena. «Sinceramente, da ubriaco mi piaci di più.» Sbadiglio.
«Ah sì?»
«Forse.» Chiudo gli occhi.
«Le tue tattiche di distrazione non funzionano. Ora dimmelo.»
Tanto vale che non opponga resistenza, so che non si arrenderà. «Be’, stavo solo pensando a tutte le ragazze che hai… insomma, con cui sei andato a letto.» Cerco di nascondere la faccia sul suo petto, ma lui posa il telecomando e mi solleva il viso perché lo guardi negli occhi.
«Per quale motivo ci pensavi?»
«Non lo so… perché ho zero esperienza e tu ne hai molta. Compresa Steph.» L’idea di quei due insieme mi fa venire la nausea.
«Sei gelosa, Tess?» Sembra divertito.
«No, certo che no», mento.
«Quindi non ti dispiace se ti racconto un po’ di dettagli?»
«No! Ti prego, no!»
Mi stringe più forte e non aggiunge altro. Sono molto sollevata: non sopporterei i dettagli dei suoi exploit sessuali. Sento le palpebre pesanti e cerco di concentrarmi sulla televisione. Sto comodissima tra le braccia di Hardin.
«Non ti starai addormentando, vero? È ancora presto.»
«Ah sì?» Mi sembrano almeno le due del mattino. Sono arrivata verso le nove.
«Sì, è solo mezzanotte.»
«Mezzanotte non è presto.» Sbadiglio di nuovo.
«Per me sì. E poi voglio ricambiare il favore.» Cosa?
Sento già un formicolio sulla pelle.
«Lo vuoi anche tu, no?» sussurra in tono sensuale. Certo che lo voglio. Gli sorrido, cercando di nascondere il desiderio. Ma lui se ne accorge lo stesso, e con un movimento fluido si sposta sopra di me, reggendosi su un braccio. Piego il ginocchio per posargli la gamba sul fianco e lui fa scorrere la mano dalla caviglia fino alla coscia.
«Sei così morbida», dice, e ripete il gesto. Mi strizza leggermente la coscia e mi viene la pelle d’oca. Mi bacia sul ginocchio e mi immobilizza la gamba circondandola con il braccio.
Cosa vuol fare? Non resisto più, devo sapere.
«Voglio sentire il tuo sapore, Tessa», e nel parlare mi guarda negli occhi per vedere la mia reazione.
Sento la bocca asciutta. Perché chiede se può baciarmi, quando sa che può farlo sempre? Schiudo le labbra e lo aspetto.
«No… laggiù», precisa, facendo scivolare una mano tra le mie gambe. La mia inesperienza deve sorprenderlo, ma si sforza di non sorridere. Quando mi sfiora sopra le mutandine mi manca il fiato. Mi accarezza con tocco leggero, continuando a guardarmi negli occhi.
«Sei già bagnata per me.» Avverto il suo fiato sull’orecchio, e poi la lingua sul lobo.
«Parlami, Tessa. Dimmi quanto lo desideri.» Preme le dita sulla mia zona più sensibile. Non trovo la voce, tutto il mio corpo avvampa.
Dopo qualche secondo toglie la mano.
«Non smettere», protesto.
«Non mi hai risposto», fa lui in tono brusco. Non voglio questo Hardin: voglio quello che ride e scherza.
«Non si capiva?» gli rispondo, cercando di alzarmi a sedere.
Si tira su e si siede sulle mie gambe, reggendosi sulle ginocchia divaricate. Mi accarezza le cosce, e il mio corpo reagisce all’istante: i fianchi si sollevano per andargli incontro.
«Dillo», comanda. Sa benissimo la risposta; vuole solo che lo pronunci a voce alta. Annuisco.
«Non basta annuire, piccola. Dimmi cosa vuoi», e scende dalle mie ginocchia. Calcolo i pro e i contro della situazione. L’umiliazione di dire a Hardin che voglio essere… baciata lì è un prezzo equo da pagare per le sensazioni che mi regalerà? Se è piacevole come le cose che mi ha fatto con le dita l’altro giorno, allora ne vale la pena. Gli poso una mano sulla spalla per non farlo allontanare. Sto pensando troppo, lo so.
«Voglio che tu lo faccia.» Mi avvicino.
«Fare cosa, Theresa?» Si diverte a prendermi in giro.
«Be’… che mi baci», rispondo. Lui sorride e mi scocca un bacio sulle labbra. Lo guardo storto. Mi bacia ancora.
«Era questo che intendevi?» La sua bocca si apre in un ghigno. Vuole proprio che lo supplichi.
«Baciami… lì!» Arrossisco e mi copro la faccia con le mani. Lui le tira via ridendo.
«Mi vuoi proprio mettere in imbarazzo», lo rimprovero. Le sue mani sono ancora sulle mie.
«Non lo faccio per metterti in imbarazzo. Voglio solo sentirti dire cosa vuoi da me.»
«Lascia perdere, Hardin.» Faccio un gran sospiro. Sì, sono imbarazzata, e forse gli ormoni mi ingarbugliano i pensieri, ma il momento magico è passato e ora mi sento infastidita dal suo ego smisurato e dal suo continuo bisogno di pungolarmi. Mi sdraio sul fianco dandogli le spalle e mi tiro la coperta addosso.
«Ehi, scusa», fa lui, ma lo ignoro. So che in parte sono arrabbiata con me stessa, perché quando sono con lui divento la tipica adolescente in tempesta ormonale.
«Buonanotte, Hardin», taglio corto. Lui sospira, borbotta qualcosa che sembra un «Vabbe’», ma non gli chiedo di ripetere. Mi costringo a chiudere gli occhi e cerco di pensare a qualcos’altro, non alla lingua di Hardin o al suo braccio che mi stringe mentre mi addormento.
35
SENTO caldo, troppo caldo. Tento di scoprirmi, ma le coperte non si muovono. Quando apro gli occhi mi torna in mente la serata di ieri: Hardin che grida in giardino, il suo alito che sa di whisky, i piatti rotti in cucina, Hardin che mi bacia, Hardin che mugola quando lo tocco, i suoi boxer bagnati. Cerco di tirarmi su, ma la sua testa è posata sul mio petto e il suo braccio mi cinge in vita immobilizzandomi. Mi stupisco che siamo finiti in questa posizione: dev’essersi mosso nel sonno. Non ho voglia di alzarmi, di allontanarmi da lui, ma è necessario. Devo tornare nella mia stanza. C’è Noah lì. Noah. Noah.
Gli spingo delicatamente la spalla all’indietro, lo faccio rotolare sulla schiena. Si gira a pancia in giù, borbotta ma non si sveglia.
Scendo dal letto e recupero i vestiti da terra. Vigliaccamente, voglio andarmene prima che lui si svegli. Non gli dispiacerà: almeno non dovrà sprecare energie per farmi del male, se me ne vado di mia volontà. È meglio così, per entrambi. Ieri sera abbiamo riso insieme, ma alla luce del giorno è tutto diverso. Ricorderà che andavamo molto d’accordo e sentirà l’esigenza di essere insopportabile per riequilibrare le cose. Per un attimo solo, nella mia mente si è affacciato il pensiero che la notte passata insieme avrebbe cambiato la sua idea di noi. Però lo conosco, lui è fatto così, e stavolta non mi presterò ai suoi giochetti.
Ripiego la sua maglietta e la lascio sul comò, mi rimetto la gonna e le scarpe. Aprendo la porta, penso: Un’occhiatina non sarà la fine del mondo.
Mi giro a guardarlo. I capelli spettinati, il braccio che ora penzola fuori dal letto. Sembra così sereno, così bello nonostante quei pezzi di metallo che ha in faccia. Mi volto e abbasso la maniglia.
«Tess?»
Oh, no… Mi rigiro lentamente, aspettandomi di vedere i suoi occhi verdi che mi scrutano severi. Invece sono chiusi: ha un’espressione corrucciata, ma dorme ancora. Non so se sentirmi sollevata perché dorme, o triste perché nel sonno ha detto il mio nome. Ma l’ha detto davvero, oppure adesso ho le allucinazioni?
Sguscio subito via dalla stanza e richiudo la porta senza far rumore. Non so proprio come uscire da questa casa. Arrivo in fondo al corridoio e trovo le scale. Per poco vado a sbattere contro Landon. Con il batticuore, cerco le parole da usare. Lui mi squadra in silenzio, aspettando una spiegazione.
«Landon… Io…» Non so proprio cosa dire.
«Stai bene?» mi chiede preoccupato.
«Sì, sto bene. So che penserai…»
«Non penso niente. Ti ringrazio di essere venuta. So che Hardin non ti sta simpatico, e ti sono molto grato di averlo aiutato a calmarsi.»
È così gentile. Troppo. Vorrei che mi rimproverasse per aver passato la notte con Hardin, per aver piantato in asso il mio ragazzo; in quel modo soffrirei quanto merito.
«Perciò tu e Hardin siete di nuovo amici?» mi chiede.
«Non so cosa siamo. Non so cosa sto facendo. È solo che… lui…» Scoppio a piangere. Landon mi abbraccia.
«Va tutto bene. A volte è insopportabile», aggiunge piano. Ora penserà che sto piangendo perché Hardin mi ha fatto qualcosa di orribile. Non penserebbe mai che io pianga a causa dei sentimenti che provo per lui.
Devo andarmene da qui prima di rovinare la buona opinione che Landon ha di me, e prima che Hardin si svegli. «Devo andare. Noah mi aspetta.» Landon mi sorride comprensivo e mi saluta.
Salgo sulla macchina di Noah e torno al dormitorio più in fretta che posso, piangendo per l’intero tragitto. Come spiegherò tutto questo a Noah? So che devo farlo, non posso mentirgli. Ma non riesco a immaginare quanto lo farò soffrire.
Sono una persona orribile. Perché non riesco a stare lontana da Hardin?
Quando arrivo a destinazione sono quasi calma. Raggiungo la stanza a passo lento, perché non so ancora cosa racconterò a Noah.
Lo trovo sdraiato sul mio letto, a fissare il soffitto. Quando mi vede entrare si alza di scatto.
«Cazzo, Tessa! Dove sei stata tutta la notte? Ti ho cercata mille volte!» grida. È la prima volta che alza la voce con me. Fa quasi paura.
«Mi dispiace tantissimo, Noah. Sono andata a casa di Landon perché Hardin era ubriaco e stava spaccando tutto, e ho perso la cognizione del tempo… Quando abbiamo finito di pulire era molto tardi e avevo il telefono scarico.»
Lui è sempre stato così buono con me, e ora eccomi qui a mentirgli spudoratamente. Perché non ho il coraggio di farlo soffrire dicendogli la verità.
«Perché non ti sei fatta prestare il telefono da qualcuno?» ribatte, poi si interrompe. «Lasciamo perdere. Hardin stava spaccando tutto? Ma tu stai bene? Per quale motivo sei rimasta lì se lui era violento?»
Mi sento disorientata sotto quel fuoco di fila di domande. «Non era violento, era solo ubriaco. Non mi farebbe mai del male», mi sento rispondere, pentendomi subito di quelle parole.
«In che senso, non ti farebbe del male? Non lo conosci neppure, Tessa», sbotta. Poi fa un passo verso di me.
«Sto solo dicendo che non alzerebbe le mani su di me. Lo conosco abbastanza per saperlo. Cercavo solo di aiutare Landon, anche lui era lì.»
Ma emotivamente mi ha già fatto del male, eccome, e sono sicura che ci riproverà. E io cosa faccio? Lo difendo.
«Non avevi promesso a me e a tua madre che non avresti più frequentato quella gente? Tessa, quelle persone non ti fanno bene. Hai iniziato a bere e a tirare l’alba, e mi hai lasciato qui tutta la notte… Non so perché mi hai chiesto di venire, visto che poi te ne sei andata tu.» Si siede sul letto e si prende la testa tra le mani.
«Non sono cattivi; tu non li conosci. Da quando in qua giudichi le persone su due piedi?» Dovrei scongiurarlo di perdonarmi per come l’ho trattato, ma non riesco a non trovare irritante il modo in cui parla dei miei amici.
In particolare Hardin, mi ricorda il mio subconscio, inopportunamente.
«Non li sto giudicando, ma prima non saresti mai uscita con questi punk.»
«Eh? Non sono punk, Noah, sono solo se stessi», continuo. Sono stupita quanto lui dal tono di sfida che ho usato.
«Be’, non mi piace che esci con loro, ti stanno cambiando. Non sei più la Tessa di cui mi sono innamorato.» Non ha il tono arrabbiato, solo triste.
«Be’, Noah…» inizio, e la porta si apre di schianto. Hardin, infuriato, entra nella stanza.
Lo guardo, poi guardo Noah, poi di nuovo Hardin. È impossibile che vada a finire bene.
36
«COSA ci fai qui?» chiedo a Hardin, anche se non voglio sentire la risposta. Soprattutto non davanti a Noah.
«Secondo te? Mi spieghi perché te la sei filata di soppiatto mentre dormivo?!» strepita.
La sua voce rimbomba nella stanza. Sul volto di Noah si dipinge la rabbia, e capisco che sta cominciando a fare due più due.
Sono indecisa: cercare di spiegare a Noah cosa succede o cercare di spiegare a Hardin perché me ne sono andata?
«Rispondimi!» grida, piazzandosi a un millimetro da me.
«Non urlarle in faccia», interviene Noah, frapponendosi tra me e lui.
Il volto di Hardin è una maschera di rabbia. Perché non gli sta bene che me ne sia andata? Ieri sera mi ha presa in giro per la mia inesperienza, e probabilmente stamattina mi avrebbe comunque buttata fuori a calci. Devo fare qualcosa, prima che il problema si ingigantisca e mi travolga.
«Hardin, per favore… non fare così.» Se se ne va ora, posso ancora provare a spiegare tutto a Noah.
«Così come, Theresa?» e intanto gira intorno a Noah. Spero che Noah si tenga a debita distanza, perché non penso che Hardin esiterebbe a mettergli le mani addosso. Noah è piuttosto muscoloso perché gioca a calcio, mentre Hardin è alto e snello, ma non ho dubbi che in uno scontro sarebbe Hardin a vincere.
Ma come ho fatto a ritrovarmi in una situazione in cui Noah e Hardin minacciano di fare a botte?
«Hardin, per favore, va’ via. Ne parleremo più avanti.»
«Parlare di cosa? Che cavolo succede, Tessa?» mi incalza Noah.
Oddio.
«Diglielo. Coraggio, diglielo», mi esorta Hardin.
Non riesco a credere che si stia comportando così. A volte sa essere perfido… ma un simile comportamento porta tutto a un altro livello.
«Dirmi cosa, Tessa?» continua Noah. Capisco che inizia a dubitare di me.
«Niente, solo quello che sai già, cioè che sono rimasta a dormire da Hardin e Landon», mento. Cerco di intercettare lo sguardo di Hardin per fargli capire che deve smetterla, ma lui non mi guarda.
«Diglielo, Tessa, altrimenti lo faccio dico io», ringhia.
È tutto perduto. Non posso più nascondere la verità. Ma voglio che Noah la sappia da me, non da questo bastardo strafottente. Mi vergogno di come ho trattato Noah e della confessione che ora sarò costretta a fargli davanti a Hardin. «Noah… io… io e Hardin abbiamo…» comincio.
«Oh mio Dio», balbetta. Gli vengono le lacrime agli occhi.
Come ho potuto fargli questo? Che cavolo mi è passato per la testa? Noah è così buono, e Hardin è così crudele a spezzargli il cuore in questo modo.
Noah si porta le mani alla fronte. «Come hai potuto, Tessa? Dopo tutto quello che abbiamo passato? Quand’è iniziata questa storia?» Dai suoi occhi azzurri scendono le prime lacrime. Non mi sono mai sentita così in colpa. Ma l’odio che provo per Hardin è più forte del senso di colpa: invece di rispondere a Noah vado da lui e lo spintono. Barcolla all’indietro ma riesce a non cadere.
«Noah, mi dispiace tanto. Non so cosa mi sia saltato in testa.» Corro dal mio ragazzo e cerco di abbracciarlo, ma lui non si lascia toccare. E probabilmente fa bene. Se devo essere sincera, è da un po’ che non mi comporto nel modo giusto con Noah. Non so cosa mi sia preso. Evidentemente mi ero illusa che Hardin sarebbe diventato una persona perbene, così avrei lasciato Noah per mettermi con lui… Oppure che sarei riuscita a stare lontana da Hardin, e Noah non avrebbe mai scoperto cos’era successo tra noi… Il problema è che non riesco a stare lontana da Hardin. Sono attratta da lui come una falena dalla luce, e lui non ci pensa mai due volte prima di bruciarmi. Che stupida sono stata; da quando lo conosco non ne faccio più una giusta.
«Non so neanch’io cosa ti sia saltato in testa», ribatte Noah, guardandomi con dolore e rimpianto. «Non ti riconosco più.»
Esce dalla stanza; esce dalla mia vita.
«Noah, per favore, aspetta!» Gli corro dietro, ma Hardin mi prende per un braccio e tenta di trattenermi.
«Non toccarmi! Ma ti rendi conto di cos’hai fatto? Questo è un colpo basso persino per te!» Tiro via il braccio e lo spintono di nuovo, con forza. Non avevo mai preso a spintoni nessuno in vita mia, ma lo odio così tanto…
«Se lo insegui, io con te ho chiuso», mi minaccia.
Rimango attonita. «Chiuso? Chiuso cosa? Non puoi chiudere qualcosa che non si è mai aperto.»
Lascia ricadere le mani lungo i fianchi e apre la bocca, ma non parla.
«Noah!» grido e intanto mi precipito in corridoio e poi fuori sul prato. Finalmente lo raggiungo nel parcheggio. Lui affretta il passo.
«Noah, ti prego, ascoltami. Mi dispiace tantissimo, davvero. Avevo bevuto. So che non è una scusa, ma…»
Sembra ammorbidirsi appena. «Non posso più ascoltarti», dice. Ha gli occhi rossi. Faccio per prendergli la mano, ma la ritrae.
«Noah, per favore, mi dispiace tanto. Ti prego, perdonami. Ti prego.» Non posso perderlo. Non posso.
Raggiunge la macchina, si passa una mano sui capelli perfettamente ingellati, si volta a guardarmi. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo, Tessa. Non so cosa pensare in questo momento.»
Sospiro sconfitta, non sapendo come ribattere. Un po’ di tempo, e poi possiamo tornare alla normalità. Gli serve solo un po’ di tempo, mi ripeto.
«Ti amo, Tessa», conclude posandomi un bacio sulla fronte, poi sale in macchina e se ne va.
37
DA persona disgustosa quale è, Hardin è seduto sul mio letto quando torno in camera. Mi viene voglia di spaccargli l’abat-jour in testa, ma non ne ho la forza.
«Non ti chiederò scusa», mi fa quando gli passo davanti, diretta al letto di Steph. Non voglio sedermi sul mio finché c’è sopra lui.
«Lo so», ribatto, e mi sdraio.
Non mi lascerò costringere a un litigio, e non mi aspetto che si scusi. Ormai lo conosco. Anzi no: a giudicare dagli ultimi eventi non lo conosco affatto. Ieri sera pensavo che fosse solo un ragazzino arrabbiato che era stato abbandonato dal padre e si aggrappava a quel dolore per tenere lontani gli altri. Stamattina capisco invece che è solo una persona orribile, piena di odio. Non c’è niente di buono in lui. Mi ha illusa che non fosse così, ma era un inganno.
«Prima o poi doveva venirlo a sapere», commenta.
Mi mordo il labbro per non piangere. Resto in silenzio finché sento Hardin alzarsi e venire verso di me. «Vattene», dico, ma quando sollevo la testa me lo ritrovo davanti. Si siede sul letto e io scatto in piedi.
«Doveva scoprirlo», ripete, e dentro di me si accende la rabbia. Vuole solo provocarmi.
«Perché, Hardin? Perché doveva scoprirlo? A cosa serve farlo soffrire così? Per te non faceva nessuna differenza, che lui lo sapesse o no. Non avevi il diritto di fare una cosa del genere, né a lui né a me.» Sento tornare le lacrime e stavolta non riesco a fermarle.
«Se fossi in lui, avrei voluto saperlo», continua con voce pacata e fredda.
«Ma tu non sei lui, e non lo sarai mai. Sono stata stupida a pensare che tu potessi somigliargli anche solo un po’. E da quando in qua t’importa qualcosa di cos’è giusto e cosa no?»
«Non osare paragonarmi a lui», sbotta. Detesto quando sceglie di rispondere soltanto a una delle cose che ho detto, e poi la distorce anche, per potersi sentire più offeso. Fa per avvicinarsi, ma io mi rifugio dall’altra parte del letto.
«Non c’è confronto. Non l’hai ancora capito? A te non frega niente di nessuno tranne che di te stesso. Invece lui… lui mi ama. Lui è disposto a tentare di perdonarmi per i miei sbagli.» Lo guardo negli occhi. «I miei gravissimi sbagli.»
Fa un passo indietro come se l’avessi spintonato. «Perdonarti?»
«Sì, mi perdonerà. So che lo farà. Perché mi ama, quindi il tuo patetico piano di indurlo a lasciarmi per farti due risate non ha funzionato. Ora esci dalla mia stanza.»