CAPITOLO 2 (parte seconda) dobbiamo scappare

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IO: senta, io devo andare da lui, non ho intenzione di riposare ore e ore su questa brandina.


Il mio tono mi apparve scontroso e beffardo, quasi mi vergognai, ma tenevo una rabbia dentro indescrivibile. L'infermiera mi diede uno sguardo di consenso e dopo un breve respiro, mi indicò la stanza di Luca.

INFERMIERA: ecco, si trova lì infondo la camera di tuo fratello, ma puoi restare fuori dal tuo reparto per al massimo dieci minuti, non è consentito ai minori non accompagnati in ospedale, di circolare liberamente, e fa attenzione, sei ancora molto debole, nei primi tre giorni hai perso molto sangue, e si deve riformare.

Mi staccò la flebo dalla vena del braccio sinistro, l'ago si sfilzò lentamente e mi diede una sensazione di fastidio pari a quella di grattare le unghie sul muro, o come quando ti bucano l'orecchio per metterci l'orecchino, sopportabile, ma fastidioso.

INFERMIERA: ecco, puoi andare, ma solo dieci minuti!

Mi guardò in tono di disapprovo e raccomandazioni.

IO: grazie.

Fu l'unica parola che riuscii a dire, era troppo emozionato al rivedere mio fratello dopo così tanto tempo, di solito non ci separavamo mai.

Ricambiò con un dolce "prego" e uscì dalla stanza.

Attraversai il corridoio buio e pieno di barelle, che una per una mi fecero rabbrividire: le persone erano malinconiche e avevano un senso di morte in viso. velocemente terrorizzato oltrepassai la porta ma qualcuno la aprì prima di me, sbattendomela in faccia.

Mi massaggiai il naso e con grande sorpresa lo vidi.

LUCA: Andrea!, eccoti, ti stavo venendo a trovare, avevo chiesto all'infermiera e mi ha detto che eri all'inizio del corridoio.

Risi, senza controllo, un po' imbarazzato, in quanto mi era successa la medesima cosa.

Lui senza guardarmi negli occhi mi disse "mi dispiace" E intuii che a stento riusciva a trattenere le lacrime, infatti, cedette.

IO: ti prego....

Lo fermai subito, non volevo parlarne, aver visto tutte quelle cose mi era più che bastato, e certamente dispiaceva anche a me. L'unica domanda che mi feci fu dov'era mio padre in quel momento. Ma credo era in prigione, ormai in sei giorni si sarà indagato abbastanza, pensai. Volevo bene a mio padre, ma era sempre nervoso, con tutti, certe notti tornava a casa ubriaco gridando parole sconosciute al mondo, forse per sfogo, sapevo che provava un forte rancore dentro di se, e l'unico motivo che mi portò a darne spiegazione era il fatto, che perse due compagni stretti del suo settore dell'esercito durante una guerra in Turchia, e tornato a casa dopo una spedizione durata sette anni non si riprese e diventò scontroso e nervoso con tutti, non parlava con nessuno, e scoppiava in pianti isterici, dopo aver gridato la notte. Certe volte, sognavo la sua voce di notte, e mi svegliavo paonazzo, capendo che non era un sogno.

LUCA: Andrea....so a cosa pensi, ma non vedremo mai più né

nostra madre nè nostro padre, l'infermiera mi ha detto che ci metteranno in in un orfanotrofio, ma alcuni anni fa avevo sentito in un film, che è più difficile che vengano adottati ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, la gente vuole bambini piccoli.

Rimasi spiazzato, anche lui, dopo aver pensato a ciò che aveva detto. Gli facevo quasi tenerezza, ma si mostrò duro, impassibile, perché non voleva mostrare di star male. Riflettei sulle parole, le assimilai e dopo una pausa di silenzio pronunciai due sole parole: "dobbiamo scappare".



AndreaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora