Capitolo 2_Seconda Parte

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Stava camminando in territorio nemico, pensò con un sorriso di scherno.
Ad una certa distanza, alla sua sinistra, vi era un gruppo di centauri. Quattro per essere precisi. Due avevano la pelle scura, lunghi capelli intrecciati lungo la schiena e, dai lineamenti affilati e con una bocca carnosa, intuì che dovevano essere parenti, forse cugini o fratelli. Il terzo, il più vicino a lei, aveva la pelle ambrata in cui spiccavano due occhi di un azzurro intenso. Aveva un profilo nobile e i capelli lisci color castano scuro. Teneva in mano un liuto ma ci giocherellava soltanto. Il quarto era di vedetta. Teneva l'arco in mano ed i suoi occhi, affilati e scuri come pece, si guardavano intorno con sospetto. Paragonato ai suoi compagni aveva muscoli ben definiti e i capelli, ricci e rossi, gli donavano un'aria ancor più feroce.
Deianira li vide passarsi una fiasca ma, nonostante l'apparente tranquillità, erano tutti armati. Archi, mazze e pugnali erano a portata di mano o posati accanto. Sicuramente si aspettavano un attacco e, in altre circostanze, sarebbe stata più che lieta di scontrarsi con loro ma la sua missione aveva la priorità.
Prestando la massima attenzione, si allontanò. Nel corso delle ore seguenti si fermò più volte ad esaminare il terreno, trovando altre tracce che si diramavano in direzioni diverse.
Il loro accampamento principale non doveva essere distante, rifletté. I centauri erano un popolo nomade che si spostava continuamente. Un gruppo scelto di centauri pattugliava l'area circostante garantendone sempre la sicurezza.
Il tempo li aveva resi così sicuri di sé da non prendersi neppure il disturbo di cancellare le proprie tracce. Erano abilissimi arcieri, possenti con le mazze, e la struttura del loro corpo consentiva loro di colpire con le zampe. Molti soldati erano stati riportati in città in agonia, chi con il cranio fracassato, chi con il torace ridotto a pezzi.
Anni di pattuglie avevano consentito a Deianira di imparare a leggere le tracce e a nascondere le sue. Mai una simile esperienza le tornò utile come in quel momento. Le consentì di evitarli in più di un'occasione.
Deianira li conosceva troppo bene per non aver tenuto conto che avrebbero rafforzato le guardie, quindi era partita con la certezza di correre un rischio enorme avventurandosi in luoghi simili ma questo le avrebbe fatto guadagnare tempo prezioso e loro non potevano nascondersi.
Ormai appartenevano a ricordi vaghi della bambina che Deianira era stata ma in più di un'occasione suo padre aveva accolto i centauri alla sua tavola. Lei si era sempre sentita in soggezione, erano così alti e possenti!
In seguito alla morte di suo padre, tutto era svanito. Aveva ripudiato ogni cosa, anche le parole di suo padre. Asio si era sempre raccomandato di non giudicarli mai per il loro aspetto come faceva Eace che non aveva mai fatto mistero di considerarli solo uno scherzo degli dei.
Naturalmente, Eace si era sempre tenuto lontano dalla loro casa quando vi erano loro, sapendo che Asio non avrebbe gradito che si lasciasse sfuggire anche solo un acido commento. Le regole dell'ospitalità, lo xenia, si applicavano a chiunque. Un'offesa ai suoi ospiti era un'offesa al padrone di casa.
Dopo quei tristi eventi, Deianira aveva voluto guardarli attraverso gli occhi di Eace, considerandoli solo bestie anomale. Era stato più facile. Gli anni erano volati colmi di sangue versato, senza che mai si fosse trovata a mettere in discussione le sue scelte.
Inizialmente, era stata davvero dura nascondere le sue tracce e muoversi in silenzio. Ma Deianira era diventata sempre più abile tanto che un giorno era riuscita a seguirli fino al loro accampamento.
Si era sentita così... fiera di sé!
In quel periodo l'abilità acquisita l'aveva resa temeraria e indifferente alla morte. Di conseguenza aveva pregustato l'idea di tendere un agguato ad Acheronte e porre fine alla sua miserabile vita.
Le era sembrato un bel modo di morire. Qualcosa di cui vantarsi nell'oltretomba.
Acheronte era stato trovato avvelenato, sempre ammesso che fosse vero, e sempre quella bestia avida di sangue aveva attaccato Persea.
Tutto era iniziato con Acheronte e sarebbe finita con la morte di quel bastardo. Senza di lui, cosa avrebbero mai potuto fare?
Quante volte si era scontrata con lui senza tuttavia riuscire ad ucciderlo? Era stato così frustrante! Ci aveva riflettuto su, sempre più convinta che fosse la sua possibilità. Lui non poteva prevedere una cosa simile.
Con quel pensiero a inebriarle la mente, si era avvicinata ulteriormente.
Era stato un brusco risveglio.
Deianira aveva provato l'assurda sensazione che suo padre fosse tornato dagli inferi solo per darle uno schiaffo.
Vi erano esseri viventi che interagivano fra molteplici tende bellissime e di ottima fattura con carri colmi di oggetti lavorati dalle loro stesse mani.
Parlavano. Scherzavano. Ridevano. Riflettevano tormentati dagli eventi in corso. Ovunque aveva visto madri intente ad allattare i propri bimbi, con lo sguardo colmo d'amore. Il suono delle risate dei bambini più grandi che correvano e giocavano si era mescolato più volte alla musica dei musicisti, fatti di liuti e flauti. E poi vi era stato quel rumore. Sordo, cupo. Un grido disperato. Tutto si era interrotto.
Aveva visto un piccolo centauro scoppiare in lacrime e chinarsi ad invocare il padre, portato lì in fin di vita. Lo squarcio che aveva sullo stomaco non aveva lasciato dubbi che fosse stata opera di un soldato. Era spirato di lì a poco. Le urla del piccolo erano diventate agghiaccianti.
Una stretta al cuore indesiderata.
Di colpo una profonda stanchezza le era calata sulle spalle e non l'aveva più abbandonata. Si era ritrovata a pensare a suo padre. Aveva cercato di aggrapparsi ai ricordi che aveva di lui. Non era morto nel suo letto, in pace. Eppure non era bastato. Per contro, ne aveva avvertito la presenza accanto a sé.
Da bambina adorava ascoltare le sue avventure. Aveva sognato la guerra persino, ma con la morte del nemico. Perché chiunque li attaccasse spingendo il suo papà a combattere non poteva che essere il cattivo. Era stata la saggia conclusione di una bambina che non conosceva il mondo.
Lui aveva scosso il capo quando si era confidata con lui. 
«Un vero guerriero sa quando è arrivato il momento di smettere di combattere e favorire la pace. Non si può combattere per sempre e ognuno ha le sue ragioni. Solo gli egoisti tengono conto solo delle proprie ragioni.»
Si era ritrovata a chiedersi cosa avrebbe fatto suo padre. Non aveva mai messo in discussione che si sarebbe vendicato.
Se n'era andata in silenzio, rimpiangendo di essersi spinta sin lì.
Le aveva fatto comprendere un orribile verità. Non aveva alcuna importanza quanti ne uccidesse. Suo padre non sarebbe tornato. Per quanto tempo ancora sarebbero andati avanti?
Aveva cercato di dimenticare. Da tempo avevano superato il punto di non ritorno ed il suo odio, nonostante tutto, era rimasto immutato. Le immagini dell'agghiacciante morte di suo padre non potevano essere cancellate.
Aveva continuato la sua missione ma non era stata più la stessa e nel suo cuore era nato il desiderio di fare nuove esperienze, confrontarsi e... ricominciare.
Che assurdità, pensò Deianira in quel momento. La terra ruggì sotto i suoi piedi e l'aria diventò fredda.
Era giunta al confine del bosco divino senza rendersene conto.
La luna brillava nel cielo e le lucciole danzavano nell'aria.
Non appena s'inoltrò fra gli alberi, abbandonando i sentieri conosciuti, l'aria tornò tiepida e un'altra caratteristica le rivelò quanto fosse speciale quel posto: quell'oasi era circondata una soave luce, simile ai raggi del sole che filtravano fra le foglie di una foresta rigogliosa e troppo fitta.
Deianira posò lo sguardo ovunque, memorizzando ogni tratto di quel regno inviolato. Per quanto incantevole non aveva alcuna intenzione di perdersi.
Il muschio regnava sovrano, notò. Era ovunque, nelle dolci curve del terreno, sulle rocce e persino sui tronchi degli ulivi, fino a raggiungerne i rami. L'aria era solleticata dal suo profumo stuzzicante, eppure si ritrovò quasi ad imprecare. Per quanto piacevole potesse essere, la sua presenza rendeva tutto scivoloso ed un solo attimo di distrazione poteva costarle più di una semplice caduta.
Gli alberi di alloro avevano una forma curiosa, rifletté Deianira mentre avanzava usandoli come supporto.
Le radici possenti spuntavano dal terreno, intrecciandosi con quelle degli altri arbusti ed i tronchi sembravano dividersi, diramandosi in direzioni diverse.
Vi erano molte piante a lei sconosciute e da cui pendevano frutti rigogliosi e dall'aspetto invitante che avrebbero indotto chiunque in tentazione ma si era imposta di non raccogliere mai nulla che non conoscesse. Alcune potevano rivelarsi letali.
Aveva visto un uomo raccogliere una bacca di un insolito colore accesso solo perché un animale se n'era nutrito. Ma se quest'ultimo se n'era andato incolume, l'uomo era spirato dopo atroci tormenti.
Anche volendo, la vista di quelle vittime innocenti le aveva tolto l'appetito.
La pianta che cercava aveva le foglie sottili, in apparenza delicate, e con un fiore rosso che ricordava una spirale. Seppur lenta a maturare, poteva crescere ovunque fintanto che era un luogo sacro, rifletté.
Un dolce suono si diffuse nell'aria simile al cinguettio felice di un gruppo di uccelli intenti a intonare un canto.
Deianira si guardò intorno e all'ombra degli alberi silenziosi fece capolino una fanciulla. Aveva radiosi occhi verde smeraldo, lunghi capelli lucenti e dal colore indefinito, che mutava dal verde scuro, al castano e al nero, in un continuo mutamento imprevedibile. Non indossava altra veste se non le foglie che graziosamente creavano arabeschi lungo le sue gambe. Non era umana. Deianira realizzò che si era imbattuta in una driade.
La ninfa delle querce le rivolse un gentile sorriso. «Perché sei qui sorella?» le domandò.
Le sue labbra non si mossero però Deianira le udì perfettamente. L'eco della sua voce cantilenò ovunque.
«Cosa mai ti spinge qui?»
Ancora una volta la sua voce risuonò soave e delicata.
«Amata sorella sono qui in cerca d'aiuto.» esordì Deianira avanzando con calma. Cercando di essere breve e concisa, le raccontò cos'era accaduto.
La ninfa parve riflettere serenamente e poi, con soave grazia, alzò il braccio. Deianira seguì con lo sguardo la direzione indicata e, quando tornò a posarlo sulla driade, essa era scomparsa.
«Grazie, amata sorella.» bisbigliò.
Si ritrovò a provare una strana emozione mista a rimpianto. Il fatto che non l'avesse scacciata era stato rincuorante ma vi era dell'altro. Deianira si sentiva come se... avesse trovato una sorella che subito dopo le era stata strappata via. Proseguì fra i fiori di narciso dopo essersi scrollata di dosso quelle sensazioni. Aveva bisogno di mantenersi lucida.
Non aveva trovato tracce di centauri ma questo non ne escludeva automaticamente la presenza. La zona era vasta e accessibile ovunque.
Ad un tratto, uno strano rumore si riversò nell'aria: era basso, ruvido e non assomigliava a niente che lei avesse mai udito prima. Le si accapponò la pelle.
Prestando attenzione a non far rumore, Deianira si guardò intorno e proseguì, un passo alla volta, cercando di catturare l'origine della fonte. Ben presto il suono diventò sempre più forte e netto. Raggiunto un colle alto e maestoso, sfruttò le querce presenti per celare la sua presenza e si avvicinò ulteriormente.
L'altura si affacciava su uno strapiombo roccioso e di ragguardevole altezza, terminando su un praticello che circondava un laghetto.
Un mostro la stava osservando. L'enorme occhio era così vicino da sembrare irreale.
Le si gelò il sangue nelle vene!

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