Parte I

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Quella lettera era sul tavolo in soggiorno da giorni ormai.

John aveva notato come la posta cambiasse regolarmente, ma quella busta lì era ferma da un po'. La prese tra le mani, sentendo la superficie non totalmente liscia. Aveva tutta l'aria di essere una lettera con qualcosa di importante dentro. Era però misteriosamente indirizzata al 156 di Montague Street e John si chiese come mai il nome di Sherlock fosse associato a quell'indirizzo se, ormai, da quattro anni (in realtà due se venivano sottratti i due di finta morte) viveva lì a Baker Street.

C'era anche una macchia di caffè davanti e John la sfiorò appena con i polpastrelli.

"Qualcosa di interessante?" Domandò Sherlock non appena entrò in salotto, con il proprio tè caldo tra le mani. Si lasciò andare calmo sulla poltrona nera, con la vestaglia che gli svolazzava sui polpacci ad ogni movimento.

"C'è questa lettera per te da una settimana ormai, hai intenzione di lasciarla qui per sempre?" Rispose con un'altra domanda e un sorriso sul viso mentre camminava verso il suo compagno, trascinando appena i propri passi sul pavimento. In una mano aveva la tazza con il suo caffè americano e nell'altra la lettera che porse a Sherlock, ma il detective scosse la testa senza allungarsi per afferrarla. Al contrario, portò anche l'altra mano sulla tazza e bevve il primo sorso.

"Lasciala pure lì, non è niente di importante." Disse convinto e per quanto John fosse curioso, si lasciò convincere che non fosse nulla per cui valesse la pena di aprirla. La lasciò cadere di nuovo sul tavolo e poi andò a sedersi sulla propria poltrona, allungando le gambe e incrociando le caviglie prima di bere anche lui.

"Se non è così importante puoi buttarla," continuò John e a quelle parole Sherlock scollegò completamente la mente da quella realtà che lo circondava, per saltare in un'altra.

"Dici che non sono più importante eppure continui a volermi vedere." La voce dell'altro uomo era calda e ridotta ad un sussurro tra un gemito e l'altro; i palmi delle sue mani aperti contro la sua schiena nuda e pallida che salivano e scendevano, come se non trovassero mai pace, con il bisogno impellente di accarezzare quanta più pelle disponibile possibile.

E quella notte Sherlock era completamente disponibile.

Strinse di più le gambe intorno alla vita dell'altro e dopo aver afferrato il suo viso tra le mani tornò ad inchiodare i propri occhi a quegli altri blu. Pupille dilatate, palpebre cadenti e occhi semichiusi esprimevano il godimento di quel momento.

"Sei tu che continui a tornare a Londra." Affondò le unghie sulla pelle dell'uomo, abbastanza da fargli provare un brivido di dolore che non fece altro che accentuare quello di piacere lungo la sua schiena. Quella era una piccola punizione, secondo Sherlock, perché lui continuava a tornare e a cercarlo e loro continuavano a cadere in quello stesso errore ogni volta. Se di errore si trattava.

"Lo sai che amo questa città e non posso stare lontano da lei per sempre," rispose con un lamento finale quando Sherlock si abbassò su di lui con più vigore. Le mani del moro risalirono il viso dell'altro fino ad andare ad impigliarsi nei suoi capelli ramati.

"Parli quasi come se ti interessasse veramente di Londra." Sussurrò con le labbra morbide premute contro il suo orecchio. Le mani dell'altro gli scivolarono giù dalla schiena, andando ad arpionarsi ai suoi fianchi, con i pollici che pericolosamente scendevano a sfiorare l'inguine per tirarlo il più vicino possibile. Ancora più vicino.

"Sta' zitto." Il suo braccio risalì il suo fianco fino a scivolare dietro la schiena e con la mano andò ad afferrargli la spalla per mantenerlo fermo il più possibile mentre spingeva di nuovo in lui.

Back when we had nothing || JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora