Capitolo 1

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Uscii di casa come al solito, alle sei del mattino, tuta nera, T-shirt a maniche corte e un giacchino grigio legato in vita. L'aria era fresca, e il leggero venticello scostava le ribelli ciocche dei miei capelli color grano. Assaporavo il silenzio mattutino mentre passeggiavo, tenendo al guinzaglio Mark, il mio cagnolino da quando avevo dieci anni. Non ho mai capito di che razza fosse, più che altro non me ne intendo. Era come un barboncino, ma di quelli che restavano piccolini. Di tanto in tanto si fermava in qualche angolo della strada, depositando i suoi bisogni. Holmes Chapel era deserta. La gente se ne stava nelle loro case, al caldo, a rilassarsi e continuare a dormire. Non ci sarebbe stata vita prima di un'altra ora. La gente matura andava al lavoro, c'erano i ricconi impiegati in aziende e fabbriche. Gli avvocati, i presidenti di grandi editorie, e poi c'erano i meno benestanti, semplici operai in boutique, negozi o assistenti dei grandi signori. Il primo anno del college non sembrava male, mi ero trovata bene con le mie compagne di classe, ancora meglio con la mia compagna di stanza. Sì beh, c'erano ovunque le leader, che facevano di tutto pur di farsi notare dai giocatori di football, basket o baseball. Andavano in giro mezze nude, per mia sfortuna non c'era un'uniforme, almeno non le avrei viste con mezzo sedere scoperto e reggiseni imbottiti di spugna. Bionde, c'erano tante, troppe bionde per i miei gusti. Andavano in giro per i corridoi sculettando a più non posso per avere quell'attenzione che, a me, faceva francamente schifo. Diciamo che non ho un bel rapporto con i ragazzi. La maggior parte di loro sono montati, fissati col calcio, lo sport in generale e terribilmente egoisti; alti, belli da togliere il fiato e dannatamente stronzi. Sì, erano fighi, molto fighi, ma quando c'è la bellezza senza cuore e cervello beh, è bellezza sprecata. Non ero mai stata una che si fa notare dagli altri, né tanto meno una che notavano. Non indossavo gonne striminzite e talmente corte da far intravedere ogni dove. Non ero una cheerleader, non facevo parte di tutti quei gruppetti dove non si sapeva far altro che spettegolare, e non trasformavo la mia faccia in una maschera di ceramica o una bambola di porcellana. Indossavo dei semplici jeans attillati, non troppo provocanti perché non volevo farmi notare da nessuno, delle normali T-shirt con delle scritte inutili sopra, delle figure o a tinta unica. Non facevo acconciature particolari, e spesso andavo in giro con la coda di cavallo, ma solitamente portavo i capelli sciolti, né fermagli, né pinze, mollette luccicanti o piene di strass. Mettevo un filo di matita blu sulle palpebre degli occhi e un gloss trasparente. Ero strana? Strana o meno, avrei preferito essere considerata tale che essere un ammasso di nudità bionda, vanitosa e luccicante.

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Erano le 06:30 ed io assaporavo ancora l'umidità del mattino. Per ingannare il tempo inserii le cuffiette alle orecchie, mettendo in play la playlist con le mie canzoni preferite. Il sole stava iniziando a dar vita ai suoi raggi, ad est della città. Era una bella giornata, o almeno lo sembrava. Armeggiavo col guinzaglio, passeggiando per strada a ritmo di musica. Immaginavo di essere a quei grandi e maestosi concerti a cui non sono mai stata, pieni di luce, musica, ragazze urlanti e con un mare addosso. Ragazze che avrebbero fatto di quel giorno, il più bello della loro vita. La musica mi rimbombava nelle orecchie, facendomi sentire libera e muovere il mio corpo a ritmo. Era come se fossi sola, nella mia stanza, con la musica a palla e addio mondo. Mi godevo quelle sensazioni e quei minuti di pura libertà. Ma senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai presto a dover correre alla velocità maggiore di quella di un leopardo. Mark aveva visto qualcosa, e il guinzaglio era diventato impossibile da tenere.

«Mark, Mark fermati!»

Gli urlavo contro, ma lui sembrava avere i tappi alle orecchie. Credo che stesse abbaiando, non ne ero sicura per via delle auricolari ancora presenti all'interno delle mie orecchie.

«Mark, che c'è? Cos'hai visto?»

Non riuscivo a fermarlo e lui accelerava sempre più. Le mani mi facevano male per via della forte presa che avevo sul guinzaglio. Mi strattonò in avanti, persi l'equilibrio e caddi per terra, mollando il guinzaglio e lasciandolo andare.

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