01- L'esordio olimpico

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Quando sei lì sul trampolino, sei da sola. Tu e lui. E l'acqua, ovviamente, che brilla sotto di te, per i riflettori o alla luce del sole, con quegli schizzi che servono a farti capire a che punto sei.

Sistemo con il piede la ruota che regola l'elasticità della tavola e lancio un'occhiata a Rebecca, che sembra nervosa molto più di me. Nonostante questa sia la mia seconda gara seria, non sento su di me alcuna pressione. Lei, invece, si asciuga la treccia castana e continua a pizzicarsi il costume da diversi minuti, già da prima di avvicinarci ai nostri trampolini. 

La sento buttare fuori un lungo sospiro, prima di chiedermi, come da rituale: - Pronta?

Siamo a Roma e ci sono le Olimpiadi; e noi le giochiamo in casa. È il primo giorno, il che significa che per noi dei tuffi la prima gara è il sincro da tre metri donne. Io neanche sarei dovuta esserci, ma la compagna di sincro di Rebecca ha avuto un incidente in moto qualche mese fa. Quindi lei non si è potuta allenare e io sono qui.

Tentenno un secondo prima di rispondere. Non devo pensare a niente. Il primo tuffo è facile, un semplice capofitto ritornato, ha solo mezza rotazione, in avanti per di più... l'ho fatto migliaia di volte. Inoltre io e Rebecca abbiamo una buona sincronia, anche se ci siamo allenate per questa gara solo negli ultimi mesi...

Sono pronta?

- Sì.

E allora Becky, come tutti la chiamiamo affettuosamente, conta. - Uno, due, tre.

Salto indietro, unendo velocemente il busto alle gambe tese e stringendole al petto con le braccia, conscia che Rebecca al mio fianco sta facendo lo stesso. Ben presto apro le braccia per entrare in acqua, unendo i palmi delle mani davanti a me, poco prima di immergere la testa e il resto del mio corpo. Una volta sotto il pelo dell'acqua, eseguo una piccola capriola, che dovrebbe aiutarmi a controllare l'ingresso di gambe e piedi. Sento le punte delle dita sbattere contro la superficie umida, non sono riuscita a eseguire l'entrata come avrei dovuto. E come so fare.

Rapidamente, riemergo e recupero la pelle, quel pezzo di stoffa sintetica con cui ci si asciuga prima e dopo il tuffo, senza riuscire a trattenere una mezza smorfia di disappunto. Sì, era il mio primo tuffo in una gara olimpica... ma proprio per questo volevo farlo meglio.

Mi avvicino alla figura longilinea e abbronzata di Becky che, nonostante la tensione che ho ben percepito poco fa, sembra una maschera di cera: nessuna emozione traspare dai lineamenti delicati del suo viso. Ho paura che mi guardi storto, perché so di non aver fatto un tuffo pulito, ma lei mi sorride, forse perché non ha visto quanti schizzi ho sollevato entrando in acqua o forse perché le mie gambe e le sue non hanno tremato, come entrambe temevamo. Ironico che siamo proprio noi ad iniziare la serie.

Guardo il tabellone con i voti dei giudici: 45.50. Per essere quasi il mio esordio internazionale, va bene così, anche se non è un gran punteggio. Mi butto sulla spalla la pelle umidiccia e vado da Sandro, il nostro allenatore, che già sta parlando con Becky.

- Eri poco carpiata, devi stringere di più dopo negli altri, va bene? - mi dice sbrigativo. È un uomo alto, con un accenno di barba sul mento e due scuri occhi da lupo. Indossa quasi sempre un berretto da baseball di un grigio sporco tendente al nero, anche se oggi c'è una temperatura che credo sfiori, o addirittura superi, i trenta gradi.

Annuisco e, ignorando completamente il tuffo delle australiane, vado nella vasca idromassaggio. Incrocio una delle canadesi, ma nessuna delle due guarda l'altra. In gara, soprattutto in quelle importanti, sono come in trance. Non vedo niente, non vedo nessuno, se non Sandro. Qualsiasi tipo di gara sia, io vedo solo il mio allenatore e quei suoi occhi scuri, caldi, che sin da subito ispirano fiducia.

Dai tuffi al cuore (Ex "Un tuffo al cuore")Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora