Capitolo 16

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Uno spiffero di luce insistente mi risveglia lentamente e mi impedisce di rimanere tutta la mattina a letto.

Ieri sera ero troppo stanca persino per svestirmi così mi sono buttata sul letto senza badare al caos nella quale è immersa la stanza da prima della festa.

Mi dirigo in bagno per sciacquarmi il viso e mettere degli indumenti più comodi sperando di non incontrare il mio riflesso nello specchio, non sono pronta per vedere lo stesso volto sfigurato della festa.

Non voglio più pensare a quella crisi e spero che anche Peter se ne sia scordato, sento di aver condiviso già troppo del mio dolore con lui.

Da mesi ormai sono abituata a stare sulla difensiva per evitare che qualcuno rimanga coinvolto nella mia sofferenza ma ieri sera quando Peter è entrato in quel bagno mi sono sentita troppo debole per continuare a lottare da sola ed egoisticamente gli ho permesso di aiutarmi.

Apro il rubinetto e mi getto ripetutamente acqua gelata sulla faccia per cercare di scacciare il ricordo della festa.

Mi spoglio e getto gli indumenti sporchi a terra, poi indosso una tuta e mi dirigo in cucina per mangiare qualcosa.

Oggi non ho voglia di fare nulla, tantomeno di andare al Caffè De Gasparis.

Più tardi dovrò telefonare a Beth e mettere a posto i maglioni sparsi per la camera.

Sorseggio un thè caldo in silenzio e mi tornano in mente le parole di Peter.

'Non andartene Sam, non fare come tutti gli altri, tu sei diversa'

'Poi ho capito che è vero, le gabbie sono senza uscita, ma si possono intersecare e, con l'aiuto di qualcuno, forse anche distruggere'

Vorrei poter dire di essere una di quelle specie di sensitive che capiscono già tutto con il primo sguardo ma purtroppo per capire le persone io ci impiego maledettamente tanto.

Prima ero sempre a mio agio e riuscivo a farmi rispettare da tutti senza problemi, mi adattavo a qualsiasi situazione e non avevo problemi a trascorrere del tempo con sconosciuti o a stringere nuove amicizie.

Adesso invece ogni parola mi costa uno sforzo immenso, come se ci fosse una forza contraria che mi allontana dagli altri.

Quando devo condividere troppo sento un peso sul petto che mi opprime e mille allarmi che mi ricordano di non abbassare la guardia.

Tutto è diventato superfluo e inutile e raramente percepisco qualcosa per cui valga la pena continuare a soffrire.

Io però non posso mollare, non riuscirei mai a togliermi la vita sapendo benissimo ciò che provocherei a chi mi vuole ancora bene.

Non potrei mai fare questo a Beth o alla mamma, non dopo quello che sto passando in questi mesi a causa della morte di Sophi.

Sospiro rumorosamente e mi alzo dal divano per andare in camera a ordinare.

Raccolgo tutti i maglioni e li piego con cura, poi mi avvicino all'armadio e mi inginocchio per fare spazio sul fondo di esso.

Un piccolo taccuino attira la mia attenzione e improvvisamente mi ricordo di quando, dopo aver trovato tra le mie vecchie cose il diario di Sophia, l'avevo distrattamente nascosto tra gli indumenti vecchi e poco usati.

Appoggio a terra la pila di maglioni e prendo il quadernetto titubante.

Lo rigiro tra le mani un po' di volte indecisa su cosa fare e poi, sopraffatta dalla curiosità scelgo di leggere alcune pagine.

Osservo attentamente quelle piccole parole incise sulla prima pagina a caratteri piccoli e regolari, quasi fossero una minaccia.

"Diario di Sophia Clarens"

Cullata dalla tempestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora