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"L'ho venduta."
"Cosa?"
"Ho venduto casa."
"E per quale spropositato motivo?"

Perché son stanco di vederlo nelle mura di casa - poi al mattino, tutto preso dal sciacquarsi il viso pallido d'arsenico, con le mani impresse d'inchiostro. Se non l'avessi venduta, gli avrei dato comunque fuoco.

"Ho trovato un appartamento più piccolo in città, non mi servono grandi spazi, lo sai. Mi bastano pochi metri quadrati per un letto ed una radio, al dire il vero."

Quella sensazione antica, di portarsi appresso un corpo, di non sapere dove lasciarlo andare.
L'illusione poetica e stupida,
di poter percepire il peso di ciascuno; dei suoi singoli atomi, o di soccombere sotto il peso della loro somma.

E di stortura in tortuna,
fin quando non cominciamo a farci a pezzi da soli, con tagli celebrali sgraziati e assimetrici - senza spazialismi o altri filosofeggiamenti -
solo la ferocia ancestrale di colpi bestiali, come se un corpo non fosse già doloroso e mortale abbastanza.

Ma io la fragilità di questo corpo,
l'ho sentita oggi, attraversando un incrocio, rosso e verde di semaforo,
per tre secondi arancione.
L'ho sentita, la pelle, sferzata dal vento.
L'ho sentito, lui, ridestare dal sonno della ragione - e questa mia pelle, dura di corda, che un archetto di violino la potrebbe suonare - pelle sottile di sangue, che quell'archetto la sapreppe squarciare.

Poco prima, sulla sommità di una via in discesa, pensavo a come chiudere gli occhi, magari trovare un posto dove parcheggiare, alla fine del pendio, e poi restituire alla terra questa massa pesante, che sta in piedi per miracolo o per caso.
Anche se io stesso non comprendo quale sia l'algoritmo su cui si basa la costruzione di questo pensiero.

In me non risiede nessun timore, di far male a questo corpo, e al suo sentirsi storto.
Anche se, ora che il tempo cambia ancora; sublimando nell'estate, ho un po' paura di riprendere a seccare, prima delle bastonate del prossimo settembre; c'è ancora del tempo per preservare, conservare, riservare ancora un po' di forza,
per ripartire dal basso, risalire qualche abisso, d'una qualche ingiustizia insostenibile, di questo eterno perdere, tutto ciò che è perdibile. Ché l'esistenza è breve, anche se fa come le pare e qualche volta, si spezza anzitempo.
E noi non possiamo che andare fino infondo, cercando il modo per lasciarci stare - come il sole verticale che irradia, ma lascia in pace la profondità del mare.

"Taehyung, non sapevo fossi vicino al cattolicesimo." La voce debole, di chi non ha più niente da raccontare,
e ne vive la tragedia,
ogni giorno,
non facendosi capace di come si possa avere un mondo dentro, che non emette neache un suono.
Eh si, tragedie, mi dico.
"No infatti, non lo sono."

Povero chi si ammala dentro,
a pensare al modo di rendere un colpo, anziché posarsi una mano sul viso scavato dal tempo,
giusto il tempo di fermarsi per invecchiare.

E lui, sussurrava lento:
"Ci faremo una carezza,
se domani sentiremo ancora male.
E se domani verrà il livido, avrà i colori dell'aurora boreale."

E se penso a me, adesso - mi viene in mente questo corpo pieno di cose, questi occhi pieni del mese in corso.
Questa pienezza vuota,
queste parole che, sono le sole a rispondere "presente"
sono le sole,
e sono presenti come le nuvole delle sera. C'è qualcosa, o forse molto,
ma chiusi gli occhi e serrata la bocca,
restano i profumi.

"Réquiem ætérnam dona eis,
dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace.
Amen." -

Ed io non lo so perché, davvero non lo so; ma sulle mie guance scendono lacrime calde, e le mie labbra rimangono schiuse, per emettere un piccolo urlo, di quelli che regrediscono ancor prima di nascere.
E si diffonde,
dal fondo delle cose, perdute in sé stesse. Ogni armonia perfetta sfonda nelle orecchie, come nel silenzio di chi muore - dove inquietano gli scricchiolii, del tempo, che niente perdona,
che di anima martoriata, si abbandona.

Sento, quest'inutile pena, e vorrei, porgergli la mano, saperlo vicino -
in questo teatro di vergogna; assopito, lacrimoso, rifiutato dall'intransigenza.
Attraverso cieli dipinti e voglie fresche,
per dire bene di questo morire,
di questo regolare grido muto,
di questa inutile pena priva di testimoni.

Gonfio di vuoto,
ci sono, e non posso riempirmi d'avvenire. Vado incontro ad occhi duri e spenti, in cerca di un po' di volontà.
Ma succede che il giorno e la notte si fondono - resta soltanto un tempo senza rimedio, e il fare male di quello che sono, inutilmente ostinato, che instancabile mi rendo solo, la totale estraneità.

"Ma la salvezza, è poi forse tutta una sciocchezza; si arriva a vivere, se si può, una specie di felicità amara." Diceva lui, a soli sedicianni poi.
Dunque io rispondevo: "Ma tu sei pesante e senza riparo per l'anima,
e chiedi, chissà cosa mi chiedi; Cosa splende, non ci riguarda. E la mia unica colpa è farti credere che sia giusto così."

Passato, trapassato, traffitto, fa buio.

Una nostalgia, di sogni e visioni che facevano amare, non solo lacrime di ghiaccio sciolto, tra dimensioni da scoprire - che non ci sono più, o son rimaste confinate, disperse, in rovina, perdute di buio.
Nella pioggia, si può a volte, e con divina pazienza, reassemblare un tutto, di grazia e orrore, che getta sentenza di condanna.
Condannato a rivivere quel che è andato, con un male come di spina di rosa, che con bellezza punge, di colpo, e di sangue ricopre una pelle ruvida, di esperienza nei sensi della realtà -
che ha costruito ponti, seppur instabili, laddove invece, la fragile questione, è ora solamente, quella di restare, su di un doloroso mare.

"Si fa greve il sorriso, e altrove rinasce. Perché possiamo guarire da ogni male, accettandone il dolore.
Io le sopporto bene le botte, se tu mi prometti una carezza lieve di mano"

E a ricordarmi tutte queste cose,
c'è un cuore che continua a battere senza sapere come. L'unico vero eroe di questo insensibile tutto.

Ogni qualvolta che qualcosa mi va male, mi ritrovo ad aggiornare.
Poi mi chiedo perché rileggendo - sembra tutto soltanto un flusso di pensieri uniti tra loro con ago e filo.

RESCRUDESCENZA kth jjk Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora