Un'ora.
Un'ora prima del fatidico momento.
Ero quasi mentalmente pronta a dover affrontare il mio primo giorno di Università ma ora che era distante solo sessanta minuti sentivo il mio animo vacillare all'idea di dover cominciare tutto da capo: conoscenze, studi, corsi... Potrei morire da un momento all'altro pensavo mentre issavo il mio zainetto in spalla. Mi diressi verso lo specchio per un'ultima occhiata.
Gesù santo, sembra che mi sia passato un bus addosso e poi abbia fatto marcia indietro.«Frances!» la voce di mia madre, dal piano inferiore, mi fece sobbalzare e corsi subito giù per le scale diretta da lei. Diana Davis - la donna più autoritaria, intelligente e forte di tutta la popolazione mondiale - era intenta a preparare la colazione e a lavare la sua tazza.
«A rapporto» risposi facendo il mio ingresso in cucina, accomodandomi a tavola per fare velocemente colazione. Addentai un toast con la nutella che mi aveva preparato. «Sei la migliore mamma del mondo» le dissi mandandole tanti piccoli baci volanti alternandoli ai miei sorsi di latte. Un sorso, un bacio, un sorso e un bacio.
Diana Davis in abiti lavorativi era ciò che tutti temevano, me compresa. Lavorava in polizia ed aveva chiesto un trasferimento a New York che, per fortuna, era stato accettato per la sua doppia cittadinanza. Una delle sue capacità era il fatto che riuscisse a farsi rispettare da tutti grazie al suo caratteraccio. Meno che da lui.«Questi baci non me la contano giusta, mi sembrano un po' troppi» si accigliò lei poggiando la sua tazza nello scomparto per far colare l'acqua. «Cosa vuoi?» mi chiese voltandosi ed appoggiandosi al lavello a braccia conserte. Beccata. Facevo sempre la ruffiana quando avevo bisogno di qualcosa, e quello era il momento.
«Sai com'è... devo andare all'Uni, sono nuova e non conosco bene gli orari del bus, qui c'è gente che gira con pistole...» venni interrotta prima di poter terminare la frase.
«No, mi dispiace baby, ma niente passaggio. Devo andare a lavoro dall'altro lato della città, e poi sono giorni che studi cartine e mappe di edifici come se lavorassi con me al commissariato. Cosa stai programmando? Un delitto perfetto?!» mi chiese con tono sarcastico dirigendosi in salone. Le feci una smorfia in risposta ma in effetti non aveva tutti i torti... «E sei vuoi proprio saperlo» continuò, ed ora la sua voce la sentivo leggermente ovattata mentre terminavo il mio toast avidamente «Sono già in ritardo e... Oh mio Dio!» la sentii improvvisamente esclamare. Mi alzai dalla mia postazione e mi spostai preoccupata in salone dove mi si presentò una scena esilarante: mia madre che correva da una parte all'altra della stanza cercando di infilarsi le sue scarpe nere saltellando. «È tardissimo! Ma come è possibile»
«Se continui così ti spezzerai un piede, lo sai?» domandai poggiandomi allo stipite della porta scorrevole che divideva la cucina dal salone.
«Ma tu non dovevi andare all'università?»
«Certo mamma, manca ancora un'ora» sbuffai indicando l'orologio posto propio sulla parete sopra di me. «È tutto calcolato e sotto controllo»
«Ah sì? Ed hai anche calcolato come farai ad arrivare a scuola, in meno di mezz'ora senza una macchina? Molto bene, che figlia attenta e organizzata che ho!» urlò l'ultima frase per farsi sentire mentre scappava, letteralmente, da casa con il suo borsone, il giubbotto e le chiavi dell'auto tra le labbra. La guardai stranita, poi alzai gli occhi verso l'orologio e per poco non svenni. Le otto e trentacinque. Come cazzo era possibile?! Cos'era appena accaduto?! Avevo semplicemente sceso le scale!
«Ma che cazzo!» sbottai cominciando a correre per la casa raccattando la mia roba. Lanciai la mia tazza nel lavabo e pregai che al mio ritorno mia madre non mi facesse una ramanzina per non aver messo tutto al suo posto.
Conoscevo perfettamente la strada per arrivare all'Università, sia a piedi che con la macchina. Ero sempre pronta a tutto, io. Tranne a correre come Bolt tra le strade di New York. Quello proprio no. Sarebbe stata una corsa contro il tempo anche perché non correvo da quando avevo circa 10 anni.
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Limerence [h.s]
Fanfiction"Era bastato uno sguardo, solo uno per incasinarle la mente. Il respiro le si era mozzato in gola e le sue labbra si erano socchiuse leggermente. Quella scarica elettrica appena provata era bastata a far restare entrambi sorpresi e confusi. Era stat...