Capitolo 5

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la mattina dopo mi sveglio presto, così vado a fare una doccia fredda e poi mi vesto. Indosso i jeans blu notte e una maglietta rossa con un taschino in alto a destra. Scendo le scale e mi ritrovo in cucina. Saluto Elena, che mi avvisa che la colazione è pronta, e che suo marito mi aspetta fuori.

Sinceramente non sto più nella pelle, così prendo un cornetto al volo ed esco. Appena arrivo alla scuderia noto un uomo sulla cinquantina che porge una carota ad un cavallo baio scuro che si affaccia dal box. « Salve. Lei deve essere il Signor Fonda. Io sono Emma» decido di parlare io per prima, dato che il signore non mi aveva notata. Lui si gira ed esclama
« Oh! Si, sono Davide Fonda ( Davide per te), e si, so bene chi sei, Emma. Vieni, ti stavo aspettando.» io mi avvicino incerta e molto in imbarazzo.

Passiamo davanti ad una giumenta color crema cona criniera bianca, davvero bella.
« Lei è Lesya. Tra meno di due mesi avrà due puledrine.» mi informa Davide, noto infatti il suo pancione.
« Davvero bella!» mi complimento.

«Vieni, oggi monterai Olivio», accenno un sorriso e lo seguo. Appena Davide apre il box vedo un cavallo molto alto e affascinante. Mi dice di prepararlo alla lezione e io mi do da fare sotto il suo sguardo attento, pronto a richiamarmi al minimo errore. Quando finisco, mi loda dicendomi: «molto bene, vieni nel campo esterno» io prendo Olivio e lo seguo.

Entro nel campo e salgo su, come immaginavo mi trovo molto in alto. Pietro mi ordina di riscaldarlo e così faccio, poi mi dice : « adesso fammi vedere di cosa sei capace». Dopo queste parole rabbrividisco, però faccio un sorriso tirato e sprono Olivio al galoppo e mi dirigo verso un verticale. Lo supero e continuo il percorso, salto ostacoli di diverse dimensioni, facendo cadere di tanto in tanto qualche barriera, ma non vado così male come mi aspettavo. Posso dire di ritenermi soddisfatta.

Quando incontro però lo sguardo del mio nuovo istruttore le mie sicurezze svaniscono in un battito di ciglia. Lui scuote la testa e dice con fare preoccupato: «non ci siamo...» voglio sprofondare.
Poi ripete: «non ci siamo, non ci siamo, fai le cose troppo meccanicamente, non ci metti il cuore». Io non so che dire, così non dico niente. Poi mi ordina indicando le docce di lavare Olivio e di riportarlo nel box, così mi avvio verso l'uscita, non riuscendo a capire dove ho sbagliato. Ho fallito. Ho perso la mia occasione. Mi sento uno straccio.

Avete presente quando pensate di avercela fatta, ma invece vi hanno di nuovo spinto giù dal burrone da dove eravate appena risaliti? Ecco, a me è successo questo. La giornata prosegue normalmente, per quanto normale possa essere quel posto estraneo e sconosciuto. Girovago tra i box e leggo le targhette con i nomi dei cavalli, intanto evito e ignoro le occhiate curiose della gente là intorno. Si vede così tanto che non sono di qui? Mi tormento le mani e ripenso a cosa è successo in campo. Che cosa farò? Tornerò a casa? E possibile che io non mi possa adattare in nessuna situazione? L'ultima domanda sembra più che altro un'affermazione. Non so come comportarmi.

Mi dirigo dentro casa e mi chiudo nella mia stanza per il resto della giornata. La mattina dopo mi alzo svogliatamente e scendo in cucina. Faccio colazione con Elena e nessuno di noi due prova anche solo ad avvicinarsi all'argomento "cavalli", evidentemente suo marito deve averle detto tutto, ovvio, come potrebbe non farlo. Sembra delusa. Sono stanca di deludere la gente. Ho deluso mia madre, Cecilia, Davide e ora anche lei.

Il mio telefono vibra della tasca posteriore dei pantaloni, così lo tiro fuori e leggo il nome sul display. Rebecca. Non mi va di parlare ora, specialmente con lei. Dovrei raccontarle di cosa ho fatto in questi due giorni e non ce la faccio proprio. Già ho dovuto (anche se molto molto vagamente) raccontare a mia madre l'accaduto, non ce la faccio a riviverlo di nuovo.

Decido di fare un altro giro per il maneggio, voglio conoscere tutto di qui. Passo davanti alla club house e alzo gli occhi al cielo quando un gruppetto di ragazze e ragazzi si girano al mio passaggio. Faccio di nuovo un giro delle scuderie e poi ne faccio un altro. Ho scoperto che il bellissimo cavallo baio scuro a cui Davide ieri stava dando una carota è suo, e che lo porta spesso in gara. Arrivo davanti al cancello del maneggio e mi viene in mente quando solo due giorni fa ero ammaliata dalla grandezza di questo posto, ora lo conosco in ogni sua sfaccettatura, o quasi. Mi viene in mente di uscire, fare una passeggiata nel boschetto dietro il maneggio, tanto non sono prigioniera qui dentro, posso fare quello che voglio.

Apro il cancello di ferro e sto per uscire quando mi accorgo che il cancello era già aperto. Perché era aperto? Non me ne curo e mi immergo nel boschetto. Cammino per circa 10 minuti e mi guardo in giro, sopra di me c'è una fitta rete di rami di alberi dal tronco forte e robusto. Poi sento un rumore di un ramo spezzato e istintivamente mi immobilizzo e sbarro gli occhi, pronta a cogliere ogni segno di pericolo. Poi eccone un altro. Mi giro confusa e mi guardo attorno. Non vedo nessuno, così tentando di non fare movimenti bruschi faccio qualche altro passo, ma non ho nemmeno il tempo di fare due metri di camminata che sento un altro rumore. Mi volto con uno scatto veloce e lo vedo.

Un bellissimo stallone morello si trova a meno di quattro metri da me. Si impenna spaventato probabilmente dal mio movimento improvviso. Quando poggia di nuovo le zampe a terra riprendo a respirare, non mi sono neanche accorta di aver trattenuto il fiato. Non so che fare. Rimango incantata dal suo pelo lucido che luccica sotto la luce del sole che riesce a penetrare nella radura attraverso il fitto bosco. I mei occhi non riescono a scollarsi dai suoi, sorprendentemente neri come la pece. Mi ci perdo dentro e non vorrei mai andare via. Credete nel destino? Beh, io fino a tre secondi fa no, ma h imparato a crederci, ho trovato la mia misura da quel momento in poi. 

L'unico Limite È Il CieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora