Chapter 1

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Il mio nome è Tereza Euphrosyne Rusakova. O per lo meno questo è il mio nome da quando sono morta. Da quel giorno in cui decisi di porre fine alla mia vita.

Era una bella giornata di sole ed io mi trovavo su una sassosa spiaggia dell'Inghilterra. Il sole accecava con il suo riflesso sulle acque calme dell'oceano e i gabbiani volavano e gemevano tranquilli alla ricerca di cibo. Il vento rendeva tutto completamente ghiacciato.

C'era freddo. Lo ricordo molto bene. Indossavo un vestito bianco. Odiavo il bianco. Camminai verso l'acqua. Sapevo nuotare ma non lo feci. Rimasi a galleggiare trasportata dalla corrente. Il freddo mi entrava nella pelle, fino ad arrivare alle ossa e a tutto quello che c'è all'interno di un corpo umano. Iniziai a tremare tutta ma non uscii dall'acqua. Rimasi a fissare il cielo azzurro rotto ogni tanto da un gabbiano in volo fino a che gli occhi non si chiusero dalla stanchezza e iniziai a sentire l'acqua ricoprirmi completamente e poi più nulla. Non c'era freddo, neanche caldo. Non c'era dolore, neanche sollievo. Non c'era buio, neanche luce. Il nulla. Poi calore. Leggero. Lo sentivo scorrermi nel sangue. Ma io non avevo sangue. Ero morta.

Sì, ero morta. 20 minuti, ma il freddo ha tenuto in salvo il mio corpo e la mia mente. Sono stata salvata. A quel tempo, quando mi svegliai e mi resi conto di essere ancora viva dissi che loro mi stavano torturando ancora, che mi stavano uccidendo. Non mi stavano salvando. Stavano lasciando che il mostro che dimorava dentro di me mi mangiasse lentamente fino a che non ci sarebbe rimasto niente da salvare.

Ma adesso so che mi hanno salvato. Mi hanno dato esattamente quello che volevo.

E in cambio hanno ricevuto la stessa cosa: quello che loro volevano.

Per fortuna i nostri desideri coincidevano e così abbiamo trovato un accordo perfetto.

Sono stata trasferita in Russia in una 'Casa di Cura' per quelli come me, ma in realtà facevano esperimenti. Esperimenti per rendere gli uomini più forti, più intelligenti, più veloci. Molti test fallirono, molte persone morirono urlando nei loro letti. Li sentivo tutte le notti e speravo che quando sarebbe toccato a me, sarei riuscita a sopravvivere.

Alcuni di loro sopravvissero ed ebbero in dono delle doti particolari ma, ancora, la formula non era perfetta perché quegli uomini non erano esattamente quello che volevano.

Così modificarono la formula e fu il mio turno.

La porta si aprì quella sera, poco dopo che mi ero coricata. Due uomini entrarono nella mia stanza. Mi misi a sedere e li fissai per qualche secondo prima di alzarmi e seguirli senza opporre alcun tipo di resistenza. In fondo quegli esperimenti erano parte dell'accordo e lo sapevo. Dovevo solo combattere per vivere. Lo so che può sembrare assurdo. Una suicida a cui viene offerta la possibilità di morire ma che combatterà per vivere. Ma io non ero più una suicida. Non ero più quella ragazza in riva al mare. Mi chiamavo Tereza. Avevo scelto io il nome.

Li seguii nel laboratorio dove mi legarono ad un lettino, per la mia sicurezza, mettendomi qualcosa in bocca per evitare che mi mordessi la lingua durante l'esperimento.

Iniziarono a prendermi i parametri vitali. Saturazione: 99. Pressione 130/60. Frequenza cardiaca: 67. Frequenza respiratoria: 20. Temperatura corporea 35.6. ECG e EEG nella norma. Tutto in continua osservazione per assicurarsi che non ci fossero picchi fatali.

Mi presero poi la vena iniziando ad iniettarmi del liquido argenteo che sembrava mercurio.

L'effetto fu quasi istantaneo. Iniziai ad avvertire dolore in tutto il corpo. Le vene bruciavano, gli organi andavano a fuoco e il cuore batteva all'impazzata pompando sangue e quella mistura chimica che forse mi avrebbe ucciso. Iniziai a divincolarmi nelle cinghie cercando di liberarmi. Il dolore era troppo intenso. Urlai stringendo i denti, tendendo il mio corpo allo stremo cercando di alleviare anche di poco quella sofferenza ma continuò per un tempo veramente infinito. Non diminuiva. Finita la prima flebo ne misero un'altra dello stesso colore e il dolore continuò. Questa volta ogni tanto aggiungevano alcuni cc di qualche sostanza. A volte era di colore nero, altre rosso, altre volte sembrava sangue. A chi appartenesse non lo potevo sapere e non avevo il tempo di chiederlo. A fatica riuscivo a vedere i colori di quello che mi iniettavano. Successivamente scoprii che quello era sangue di alcuni animali. Tra cui quello di un camaleonte. Il loro intento, ovviamente, era quello di rendermi invisibile quando necessario ma non funzionò ma ebbe la capacità di cambiarmi in altre maniere. Velocemente i miei capelli divennero completamente bianchi, la mia carnagione si scurì leggermente, come se mi fossi abbronzata e gli occhi divennero d'argento. Gli scienziati non sanno come mai, tra tutti i pigmenti possibili i miei occhi avessero preso quel colore. I più poetici, come me, pensano che la flebo, che stavo fissando nel momento in cui il sangue mi è stato iniettato, abbia contribuito al cambio del colore. Gli occhi fissano, il cervello recepisce e il DNA scombussolato, fatto a pezzi, unito al sangue di camaleonte, ricostruito manda segnali alle altre cellule che si disintegrano e si ricreano in un altro colore. Sì, lo so non sembra così tanto realistico, ma è l'unica teoria che sono riusciti a trovare. Passai tutta la notte ad urlare dal dolore, un dolore terribile ma mai così forte da farmi perdere i sensi, forse anche per colpa dell'adrenalina che mi iniettavano ogni tanto. Forse non volevano che svenissi perché avevano paura che sarei morta. E quindi, nonostante il dolore, cercavo di rimanere sveglia sapendo per certa che quella sofferenza mi avrebbe portata dove volevo. Ad essere quella che volevo.

La strega dagli occhi d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora