L'orfanotrofio a cui si riferiva era sia una scuola che un rifugio per i mutati come lei. Si trovava nel centro del Maine e solo pochi erano a conoscenza di ciò che si faceva lì; oltre a regalare momenti di serenità e aggregazione per i poveri ragazzi abbandonati, la preside Heidi Stewart insisteva nel far sviluppare al massimo le loro capacità superumane. Dana aveva vissuto lì quando era molto piccola, prima che i suoi genitori adottivi decidessero di portarla via con loro, ma ora aveva deciso da tornarci, per ritrovare se stessa e acquisire maggiore forza.
Era passato un anno dalla sua partenza. Dana era ancora all'orfanotrofio, aveva allenato moltissimo le sue capacità, diventando più forte e la presenza di altri mutati l'aveva resa più sicura di sé. Si era fatta molti amici e grazie a loro era riuscita a "dimenticare" Roger.
In un giorno qualsiasi, anonimo e tranquillo come gli altri, dopo un'intensa sessione d'allenamento con altri compagni, Dana si stava dirigendo nella cucina per prendere qualcosa da bere; passando di fianco al salotto comune vide un nutrito stuolo di studenti, chi in piedi e chi seduto, tutti intenti a fissare lo schermo acceso della tv.
«New York è sotto attacco! Degli strani individui vestiti di bianco hanno iniziato a seminare il caos! Non sappiamo se siano terroristi ma stanno distruggendo Manhattan!»
La ragazza si fece largo tra la piccola folla, fino a raggiungere il televisore, lì davanti notò la presenza di alcuni professori, la loro espressione era tutt'altro che rassicurante.
«Niente sembra poterli fermare! L'esercito è arrivato...»
Le facce degli altri ragazzi erano spaventate, preoccupate, un paio di ragazzine stavano addirittura piangendo. Dana fissava le immagini a bocca aperta, stentava ancora a crederci, nella sua mente tentava di convincersi di essere ancora ad allenarsi con i suoi amici e che quella fosse solo una simulazione.
«Cosa dovremmo fare?» sussurrò un professore alla sua vicina.
La donna lo fissò preoccupata e indecisa. Dana li udì e si scrollò di dosso quella sensazione di irrealtà; si sedette su un bracciolo del divano, le gambe a stento la reggevano, ora sentiva tutto il devastante peso della verità.
«Dobbiamo fare qualcosa!» una voce in fondo alla sala fece risvegliare tutti da quell'incubo.
«E' vero!»
«Andiamo a New York, dobbiamo aiutare l'esercito!»
Molti ragazzi stavano esprimendo le loro opinioni, tutti concordi nell'andare nella Grande Mela ad aiutare i cittadini.
«..Annie...» sussurrò Dana con le lacrime agli occhi. Si alzò di scatto e si rivolse ai due professori.
«Devo andare a New York!». La sua non era una richiesta.
«Calma calma ragazzina, anzi calmi tutti!» il professor Hill cercava invano di sedare gli animi.
«La mia migliore amica è lì, devo salvarla!»
«Aspetta Dana, tu non sei ancora pronta...» intervenne la signora Stewart, appena entrata nella stanza. «Nessuno di voi è abbastanza preparato per sconfiggere un esercito di...qualsiasi cosa siano!»
«I terroristi stanno sbucando da tutte le parti...stanno distruggendo tutto...hanno dei superpoteri! Non ci sono più speranze, la gente è nel panico! Ma...aspettate...quello è JEET STAR!» lo speaker televisivo lo annunciò a gran voce.
I presenti nella sala si voltarono di scatto, le immagini facevano vedere uno scattante supereroe in tuta argento che abbatteva quei mostri come mosche.
«NON È SOLO! GUARDATE!» la telecamera inquadrò altri personaggi in costume e non che utilizzavano i loro poteri per combattere.
Tutta la sala esultò con applausi e fischi. Dana invece aveva una strana sensazione, appena la telecamera lo inquadrò il suo cuore si fermò, per poi riprendere a battere all'impazzata.
«Roger...» sussurrò.
«Ci sono Monroe e Pluton, i protettori di Harlem, seguiti da Greeda, che con i suoi raggi laser ne sta uccidendo uno dopo l'altro! Ma questi esseri si rialzano come se non fossero stati nemmeno sfiorati!» la voce del giornalista era carica ma preoccupata. Il tg stava seguendo tutte le azioni dei supereroi. «Ecco adesso The Master e...ce ne sono altri! Tanti altri mutati senza costume che stanno dando il loro contributo!»
Tutta la scuola era incollata agli schermi a vedere l'andamento della battaglia, c'era chi esultava, chi era fin troppo preoccupato, chi cercava conforto nel vicino e chi faceva cori d'incitamento; tutti, però, trattennero il fiato quando videro apparire il capo di quegli strani esseri, vestito come loro ma più grande. Tutti gli eroi si coalizzarono per sconfiggerlo e dopo un'intensa battaglia ci riuscirono. Nella stanza dell'orfanotrofio si levò un grido collettivo; anche i professori erano sollevati, quei supereroi se l'erano cavata davvero bene.
Dana uscì silenziosamente dalla stanza, nessuno la notò, erano tutti troppo intenti a festeggiare. La mutata corse nella sua camera, decisa a partire immediatamente e dopo essersi lavata e cambiata cominciò a preparare il suo bagaglio. Voleva sincerarsi che Annie fosse sana e salva, in cuor suo sapeva che era così, ma uno strano dubbio non la lasciava in pace. Prese il necessario per star via circa una settimana, mise il tutto alla rinfusa in un borsone e uscì quasi correndo.
Era ferma davanti la porta dell'ufficio della direttrice. Non aveva il coraggio di entrare.
«Ehi, testa di verdura!»
Dana si girò di scatto, vide il professor Hill avvicinarsi dal corridoio.
«Che fai con quel borsone?» chiese una volta che la ebbe di fronte.
«Devo andare a New York» rispose sostenendo lo sguardo indagatore dell'uomo.
«La battaglia è finita, cosa ci vai a fare?»
«La mia amica...» cominciò, ma lui aveva già capito tutto.
«Ho capito» la interruppe. «Non credo che qualsiasi cosa dica o faccia servirà a fermarti...» sospirò. «Lo dico io a Mrs. Stewart...» concluse con un sorrisetto rassicurante.
La ragazza era al settimo cielo, un grande sorriso le si era dipinto sul volto. «Grazie!» disse entusiasta mentre già si incamminava verso l'uscita.
Il professore la salutò con un gesto della mano.
Era ormai notte inoltrata quando Dana giunse a New York, i collegamenti con la città non erano ancora stati ripristinati quindi si arrangiò facendo l'autostop. La macchina che l'accompagnava si fermò nel Bronx. Grazie all'intervento dei supereroi la battaglia era stata circoscritta ad un solo quartiere di Manhattan, così in quella zona della città sembrava che non fosse successo proprio nulla. Nessuno si curava di quella ragazza incappucciata, con jeans e all star consumate, borsone alla mano, che girava indisturbata nel cuore della notte. Ci mise circa un'ora ad arrivare al suo vecchio appartamento, ora occupato dall'amica; usando i suoi poteri ci avrebbe messo molto meno, ma dopo tutto il casino con quegli esseri paranormali era meglio lasciar perdere altre stranezze. Aprì con facilità il portone d'ingresso e salì al piano. Bussò. , ma non ottenne risposta. Guardò l'orologio, erano le 5 del mattino. Sbuffò e provò di nuovo, più forte questa volta. Ancora nessuna risposta. Iniziò a sudare freddo. Aprì anche quella porta, preoccupatissima. A grandi passi raggiunse la camera da letto e vide l'amica avvolta in un bozzolo di coperte. Tirò un sospiro di sollievo. Si sedette al bordo del letto ad osservarla dormire tranquilla, a quella vista così rassicurante Dana si sentì pervadere da una sensazione di torpore, l'adrenalina aveva lasciato il suo corpo ed ora si sentiva solo stanca, così si distese e chiuse gli occhi.
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More than a Feeling
ParanormalIn un mondo dove le persone con i superpoteri sono uscite allo scoperto, Dana desidera solo essere normale. L'incontro con Roger farà nascere in lei una nuova forza interiore e un sentimento che va oltre l'amore. (Liberamente ispirato all'universo M...