Capitolo I

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Regno Ostrogoto. AD 451

"Cittadini, amici, fratelli! Molti di voi guardano con odio me e la mia gente, molti di voi vorrebbero la mia testa infilzata su una picca. Ma io vi chiedo: per quale motivo nutrite questo risentimento nei miei confronti? La mia gente ha conquistato questa terra con il sangue e con il ferro, in molti sono morti e in molti dovranno ancora morire. Ma voi potete salvarvi, amici cari! Non siete voi il nostro nemico." La voce di Totila si fece più decisa. "Noi combattiamo contro chi per anni, senza scrupoli, ha mangiato i frutti del vostro lavoro. Noi vogliamo liberarvi da chi, con arroganza ha riso delle vostre fatiche e vi ha sempre considerati inferiori, indegni, alla stregua di schiavi. La corte di Bisanzio non ha avuto ripensamenti a portare via i vostri mariti e i vostri figli dalle loro case e dai loro campi. Non ha esitato a lasciare che i vostri vigneti marcissero e il vostro grano appassisse e come se non bastasse, ha rubato tutto quello che di buono vi era rimasto. Io sono qui per dire basta a tutto questo. Voi meritate una vita migliore, un'esistenza libera da soprusi!" Il generale goto fece una pausa, strinse i pugni ed incalzò: "Disertare il vile Giustiniano ed i suoi generali: questa è la via! Giratemi fedeltà ed io prometto solennemente, sulle sacre scritture, che continuerete ad abitare queste terre, stavolta, però, da padroni!"

La strategia di Totila era semplice ma poteva dare una svolta alla guerra. L'ostrogoto sapeva che per avere successo nella conquista della penisola, doveva ottenere l'appoggio delle genti italiche. Non potendo contare sull'aristocrazia, ormai da tempo al guinzaglio della corte di Bisanzio, decise di cercare consensi tra gli strati più infimi della gerarchia sociale, più facilmente malleabili.

Questo era il quarto villaggio in cui passava quella settimana. Più che un atto di guerra, il suo, sembrava una fiera itinerante. Nelle città di dimensioni notevoli, dove le porte erano distanti dai centri abitati, veniva sempre preceduto da un annunciatore che aveva il compito di radunare la plebe. Successivamente faceva il suo ingresso trionfante in sella ad un meraviglioso andaluso nero. Lo seguivano circa centomila fanti e trentamila cavalieri. Ogni volta che entrava in una città veniva accolto da un silenzio reverenziale che suonava alle sue orecchie come la più bella musica che avesse mai ascoltato, probabilmente migliore anche di quella prodotta dagli applausi e dalle grida di acclamazione che accompagnavano la sua partenza.

La sua campagna, però, non poteva svolgersi esclusivamente nei grandi centri urbani. La parte più importante del suo disegno politico era quella moltitudine di contadini e piccoli proprietari terrieri che abitavano le zone rurali del regno.

La sola opposizione della corte d'Oriente era puntare sulla differenza di credo che separava i cattolici italici dai goti ariani. Ma queste dispute teologiche sono proprie di chi ha il ventre pieno. Così, villaggio dopo villaggio, Totila guadagnò migliaia di consensi.

Totila terminò il suo discorso e la folla, come al solito, accolse le sue parole con enorme entusiasmo. Agli occhi dei poveri contadini della campagna del riminese gli aggressori erano divenuti liberatori.

Nella piazza centrale del villaggio quasi non si respirava. Così la giovane Elia decise di osservare il generale goto dall'alto del tetto della chiesa. Da quel punto riusciva a vedere solo di spalle il generale ma in compenso poteva osservare con attenzione i volti dei suoi compaesani.

Suo padre un giorno le disse che più piccola è la mente, più grande è il sorriso. Guardare i suoi compaesani reagire con tanta gioia alle parole di Totila, le fece finalmente capire il senso di quelle parole.

Elia era graziosa ma per niente aggraziata. Dal modo in cui si comportava e in cui si conciava i capelli di paglia, sembrava quasi un maschio. Questo la portava ad essere spesso sola.

Le vergini di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora