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Era una fredda sera d'estate, e come d'abitudine, un leggero vento soffiava sulla spiaggia e su quel corpo, così fine e delicato che a tratti, per qualche secondo, tremava anche un po'. Non era una sensazione fastidiosa, anzi, al contrario, quei brividi scaturivano un qualcosa di piacevole alla quale, ormai, il corpo aveva fatto l'abitudine. Quasi sembrava di essere accarezzati dalle braccia del vento.
Quella, era una delle spiagge più frequentate del paese, al mattino. Ma, la notte, quando ormai il sole e tutta l'armonia che esso portava con sé, celavano da tempo ormai dietro quel cielo, anzi, al di sopra di esso; lasciando così spazio a quella grande e luminosa luna, accompagnata dalle stelle e da un silenzio tombale dove l'unico rumore, o meglio, suono udibile era il frangere delle onde; tutto cambiava.
Non c'era mai un'ombra o una singola traccia umana, ed era proprio per questo che lui amava stare lì.
Lontano da tutto, e soprattutto da tutti, lontano dalle sofferenze e dalle tristezze, insicurezze, di cui, purtroppo, era prigioniero, nel brutale mondo dì lì fuori.
Lo definiva così, il mondo.
Brutale, un cumulo di macerie e menzogne, di cui tutti, ogni singolo giorno, diventiamo vittime, preferendo vivere nell'illusione che così tanto amiamo e sperando che, almeno per una volta, magari, la vita possa conservare qualcosa di speciale per noi. E lui si chiedeva perché, ma più si poneva domande, e più non riusciva, quasi mai, a darsi risposte.
Ed ecco perché amava stare lì, si trovava quasi buffo a dir la verità, quando si incantava a guardare le stelle, che lo lasciavano senza fiato, preso da così tanta bellezza.
Trovava anche buffo il fatto che corpo ed anima di ogni essere umano siano anch'essi formati da polvere di stelle. Allora perché nessuno brilla di luce propria ed il mondo è così spento? Privo di tutto? Si domanda ogni notte, quando, preso da una irrimediabile voglia di scappare, si ritrova sempre lì, nello stesso posto, ad ammirare sempre le stesse stelle.
Era infelice, Baekhyun, lo era eccome.
Non sapeva neanche definire la sua tristezza, la sua amarezza. Sapeva di essere un tipo particolare; non guardava mai in faccia la gente per il timore di risultare strano e non era mai in compagnia di nessuno, indossava vestiti più che larghi per nascondere quel corpo che tanto odiava, distruggeva tutto ciò che gli si presentava davanti, perché doveva stare solo. Meritava di stare solo. O almeno così credeva.
E a lui, tutto ciò, andava fin troppo bene.

E così, quella sera, uscendo di casa più presto del solito e portando con se solo una giacca, si ritrovò a contare i passi, uno ad uno, finché finalmente non arrivò nel suo posto, o, come amava definirlo, la sua casa.
Notò, però, qualcosa di differente. Quella volta, non fu l'unico ad essere presente lì, ma, più in là, potè scorgere una figura appoggiata ad una ringhiera, che sembrava esser sul punto di una crisi o semplicemente sembrava pensare.
Non ci fece molto caso comunque e decise di lasciar perdere, così, si tolse le scarpe e cominciò a scendere, camminando ed affondando i piedi nella sabbia, come tanto amava far, fino ad arrivare sulla riva dove, poi, posò le scarpe poco più in là e si distese sui piccoli sassolini.
In pochi minuti, cullato dal suono delle onde e dal canto delle cicale, si lasciò andare e cadde in un leggero sonno.

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