1. Come un angelo della morte.

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Buio.

Era quella l'unica cosa che Kaycee riusciva ad avvertire sia nel profondo di sé che fuori, in quel vicolo cieco ormai deserto. Si sentiva come se mille lame le avessero trafitto il petto e l'avessero lasciata marcire lì, in mezzo a quella stradina nascosta e scordata da tutti.

Proprio come quella stradina Kaycee si sentiva persa, dimenticata; come quando, da piccola, all'asilo le bullette della classe l'avevano spinta per terra, qualcuno le aveva fatto anche lo sgambetto e lei era caduta vicino le scale per poi scenderle tutte, rotolando su ogni gradino e rimanendo accovacciata là vicino. La differenza era che in quel caso ci fu qualcuno ad aiutarla, anche se dopo tanto tempo: era Calvin -che sarebbe di lì a poco diventato il suo migliore amico- il salvatore di quest'ultima, il quale, passando dal corridoio, accorse subito in suo aiuto, la fece rialzare e in seguito andò a sgridare le ragazze che le avevano fatto del male.

In quel momento però non c'era nessun Calvin a soccorrerla. Non c'era nessuno.

Avrebbe dovuto fare tutto da sola, se avesse voluto tornare a casa sana e salva e non far preoccupare i suoi genitori.

Kaycee provò quindi a rialzarsi da terra, poggiando entrambe le mani sul marciapiede e provando a sollevare il suo corpo -ma fu tutto inutile, sebbene fosse così leggera e minuta: le faceva male tutto, dalla testa ai piedi; le braccia di fatti cominciarono a tremare non appena si trovò a un centimetro dal marciapiede e cedettero poco prima che potesse pensare di avercela fatta, quindi crollò di nuovo per terra. Non riusciva più a ragionare lucidamente né ad avere fiato per urlare aiuto. Perché si trovava lì? Cosa era successo di tanto grave? Perché non aveva le forze per muoversi?

Dopo l'impatto che aveva avuto con la cosa, che le sembrò essere addirittura entrata nel petto subito dopo aver assaggiato il suo sangue -e sicuramente era quello il motivo per il quale le faceva tanto male; Kaycee sembrava aver dimenticato il motivo per il quale si ritrovasse in quell'assurda posizione -la stessa che aveva quando le amiche la fecero cadere dalle scale- e priva di forza fisica.

Come se avesse perso la memoria.

Cercò di tornare indietro con la mente per ricordare, ma nulla: la sua testa sembrava aver completamente eliminato l'accaduto di qualche minuto prima... e ciò non fece altro che aumentare la disperazione della ragazza.

Si guardò intorno, cominciando ad avere il fiato corto e a tremare. La calma che aveva mostrato fino a quel momento, prima di realizzare che fosse sola e che nessuno l'avrebbe aiutata, stava via via scomparendo e lasciando il posto a un'emozione ancora più brutta, motivo per il quale era così agitata: la paura.

Kaycee aveva paura. Non vedeva nulla, il buio sembrava inghiottirla ogni secondo di più, avvertiva un senso di nausea e una voglia matta di vomitare, ma non aveva la forza di riuscire a fare nemmeno quello.

Non poteva però finire in quel modo.

Se avesse dovuto morire giovane, di certo non avrebbe permesso che succedesse in quel modo.

E quindi ritentò: posizionò entrambi i gomiti per terra facendo appello a tutte le sue forze e richiedendo al suo corpo uno sforzo enorme. Se non fosse riuscita ad alzarsi, avrebbe camminato strisciando fino alla piazza, in modo che qualcuno la vedesse e la soccorresse... con la speranza di trovare un buon samaritano. Forza, Kaye, muoviti, la incoraggiò la parte razionale nella sua testa. Era finalmente tornata, nonostante la maggior parte della sua mente fosse affollata da una fitta nebbia, come se qualcuno le avesse impiantato direttamente nel cervello della droga e non stesse capendo più di tanto.

Kaycee allora chiuse gli occhi per fare ordine tra i suoi pensieri, strinse i pugni e si morse il labbro mentre cominciava ad avanzare nella notte, ignorando le pietre e i sassolini che le si conficcavano nelle braccia mentre cercava di strisciare via e il dolore che provava a causa degli impatti... iniziava già a sentire l'odore del suo di sangue. Si sentiva debole, patetica, inetta. Non sembrava pensarlo solo lei: era come se le stelle, da lì sopra, si stessero burlando di lei e stessero dicendo: «Guarda quella poveraccia com'è messa male! Fortuna che noi siamo qui e non ci succederà niente!»

Xìtoni- l'albero della disgraziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora