Capitolo 6

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Le tende impedivano alla luce di filtrare attraverso le finestre e di conseguenza l'enorme salone era pressocchè buio.

Al centro della stanza era posizionato un divano dalla foggia antica, con i piedi in oro e i rivestimenti verdi.

E lì, comodamente seduto con le caviglie accavallate, c'era il ragazzo della notte scorsa.

Le sorrise beffardamente, incorciando anche le braccia dietro la testa e squadrandola dalla testa ai piedi.

-Sei ancora qui- constatò lui, osservando gli ochi verde smeraldo della ragazza.

-Ti lasceranno tutti bambina, non l'hai ancora capito?- la canzonò, socchiudendo gli occhi chiari, nella penombra Èlise non riusciva a distinguerne il reale colore.

La ragazza si soffermò a riflettere su quella frase, osservando un punto indefinito mentre la sua mente viaggiava.

Vide Chris ridere mentre rincorreva Aron, i gemelli che si spintonavano, Ryan che le tendeva una mano, Aiden che le sorrideva.

Un sorriso le increspò le labbra e fece per ribattere che, nonostante tutto, in quel momento era felice.

Il ragazzo parve leggerle nella mente e scuotendo la testa la precedette.

-Credi davvero che rimarranno con te? Guarda le tue braccia, guarda tutte quelle ferite, loro avranno paura di quelle e di te- ribattè duramente.

-Ti tratteranno come un malata, una pazza, una ragazza così fragile da non poter vivere la propria vita da sola.

Gli psicologi non basteranno, ti rinchiuderanno in una clinica, faranno di tutto pur di non dover venire a contatto con il tuo dolore.

Sarai il loro pupazzo finché non si accorgeranno di ciò che sei- il ragazzo sorrise in modo beffardo, alzando solo un'angolo delle labbra.

Èlise sussultò, spalancando gli occhi e guardando il ragazzo come se fosse un alieno.

-Tu non esisti- affermò -Sei solo una produzione della mia mente- ringhiò.

Il ragazzo ghignò e nel momento in cui schioccò le dita, il pavimento sotto di lei si aprì e il buio la inghiottì.

***

-Èlise!- aprii gli occhi di scatto, incontrando nella penombra le iridi castane di mio padre.

Mi guardava spaventato, mentre ancor stringeva le mie spalle nelle sue mani.

-Era solo un sogno- sussurrò, portando una mano all'altezza della mia guancia e accarezzandola lentamente.

-Papà- iniziai con voce asciutta, pronta ad imporgli di uscire dalla mia stanza.

Il mio stomaco si contorse, la nausea mi fece girare la testa e in pochi secondi mi ritrovai piegata sul wc a vomitare tutto ciò che avevo mangiato la sera precedente.

Strinsi la tavoletta in ceramica del water e pregai che mio padre se ne andasse, lasciandomi sola a vomitare in quello stupido bagno.

Ovviamente non lo fece.

Mi irrigidii appena la sue mani sfiorarono le mie tempie, raccogliendo delicatamente le ciocche rame che mi erano ricadute sul volto.

Una sua mano iniziò a percorrere lentamente la mia schiena e il mio stomaco si strinse in una morsa dolorosa sotto quel tocco che tanto mi era mancato.

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